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    Dalla Bosnia un’onorificenza a Putin. La Republika Srpska di Milorad Dodik irrita l’Ue per il rapporto con la Russia

    Bruxelles – Un’onorificenza a Vladimir Putin nel cuore dell’Europa. Il membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, ha conferito all’autocrate russo l’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico), come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nel confronti delle istanze di Banja Luka. “Questa decisione isola la Republika Srpska in Europa, non c’è spazio per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”, ha attaccato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, durante il punto quotidiano con la stampa europea: “È deplorevole, tutto il mondo sa chi è Putin e Dodik è consapevole di cosa ci aspettiamo dalla Bosnia nel suo cammino europeo”.
    Il membro serbo sella presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Nel corso della cerimonia svoltasi ieri (8 gennaio) proprio Dodik ha dichiarato che “Putin è responsabile dello sviluppo e del rafforzamento della cooperazione e delle relazioni politiche e amichevoli tra la Republika Srpska e la Russia”. Un ringraziamento è arrivato anche sul fatto che “con la posizione di Vladimir Putin e la forza della Federazione Russa la voce e la posizione della Repubblica Srpska sono state ascoltate e rispettate“, di fronte all’ambasciatore russo in Bosnia ed Erzegovina, Igor Kalbukhov. Per Mosca “questo premio è un’affermazione della determinazione strategica delle nostre relazioni volte a rafforzare l’amicizia tra i nostri popoli fratelli”, ha aggiunto l’ambasciatore russo. La medaglia dovrebbe essere consegnata direttamente Putin nel corso di un prossimo incontro con Dodik, verosimilmente a Mosca.
    L’evento di premiazione dell’autocrate russo si è svolto per commemorare la Giornata nazionale della Republika Srpska (la cui parata si terrà nella giornata di oggi con oltre duemila poliziotti serbo-bosniaci e una delegazione in arrivo anche dalla Serbia), nonostante la Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina abbia da tempo dichiarato incostituzionale la festività. A Banja Luka il 9 gennaio si celebra il giorno in cui i serbo-bosniaci istituirono la propria Assemblea separatista nel 1992, considerato il momento decisivo per lo scoppio del conflitto etnico in Bosnia ed Erzegovina (durato fino al 1995) e della campagna di pulizia etnica contro le altre componenti non-serbe, in particolare i bosniaci musulmani. “La leadership politica deve rispettare le decisioni della Corte Costituzionale ed è ancora più importante dopo la concessione dello status di candidato” all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, ha precisato Stano.
    La Republika Srpska tra secessionismo e sanzioni
    Dall’ottobre del 2021 proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione ha iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno dello scorso anno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (24 novembre 2021)
    La provocazioni secessioniste mai sopite nella Republika Srpska si accompagnano alla questione della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive dell’Ue, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Anche considerata la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, per Bruxelles non è ipotizzabile un mancato allineamento ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come messo in chiaro dal vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre scorso a Tirana.
    Ma Dodik – e le autorità della Republika Srpska in generale – non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, era stata la provocazione di fine settembre dello scorso anno dopo i referendum illegali in Ucraina. Un incontro concretizzatosi lo scorso 20 settembre, a cui dovrebbe seguirne ora quello per la consegna della medaglia all’autocrate russo. Un altro nodo che si stringe sull’asse Banja Luka-Mosca e che allontana l’entità a maggioranza serba in Bosnia dall’Ue.

    L’entità a maggioranza serba ha premiato l’autocrate russo per “la preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti di Banja Luka. È un passo ulteriore di rottura con le richieste Ue: “Non c’è spazio in Europa per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”

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    Dopo l’intesa politica tra i leader Ue l’economia russa viene colpita con il nono pacchetto di sanzioni

    Bruxelles – A due settimane dalla fine dell’anno più turbolento per i rapporti tra Unione Europea e Russia, a causa dell’aggressione armata dell’Ucraina da parte di Mosca, i Ventisette hanno dato un altro colpo all’economia russa, imponendo un nuovo pacchetto di sanzioni contro il regime di Vladimir Putin. La nona tornata di misure restrittive è una risposta all’escalation della guerra sul fronte orientale e prende di mira il settore energetico, minerario e tecnologico russo, ma cercando di non mettere a repentaglio la sicurezza alimentare globale.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Dopo il cibo e la fame, Putin sta ora utilizzando l’inverno come arma, privando deliberatamente milioni di ucraini di acqua, elettricità e riscaldamento“, è il duro commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Il via libera dal Consiglio dell’Ue alle nuove sanzioni è arrivato dopo l’intesa politica tra i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri durante il vertice di ieri (giovedì 15 dicembre): “Il Consiglio Europeo accoglie con favore il rafforzamento delle misure restrittive dell’Ue nei confronti della Russia, anche attraverso il nono pacchetto di misure restrittive e il tetto internazionale dei prezzi del petrolio“, si legge nelle conclusioni, con un richiamo alle misure contenute nell’ottavo pacchetto di sanzioni.
    Il nodo principale su cui “ci eravamo bloccati nella procedura scritta” – come confessato in conferenza stampa post-vertice dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – ha riguardato la deroga delle sanzioni per gli oligarchi russi attivi nel campo alimentare e dei fertilizzanti e del cibo. Come spiegato da fonti Ue a margine del Consiglio, l’esenzione si applicherà solo per questo tipo di transazioni, dal momento in cui le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazioni sul fatto che le consegne di cibo e fertilizzanti sono ritardate dai controlli nei porti degli Stati membri Ue e dei partner internazionali. In ogni caso Bruxelles sottolinea con forza che “nessuna delle misure adottate riguarda in alcun modo il commercio di prodotti agricoli e alimentari tra Paesi terzi e Russia”. Tuttavia, considerata la “ferma volontà” dell’Unione di combattere l’insicurezza alimentare globale, “è stato deciso di introdurre una nuova deroga che consenta di scongelare i beni e mettere a disposizione fondi e risorse economiche a determinate persone” che ricoprono un “ruolo significativo” nel commercio di prodotti come “grano e fertilizzanti“.

    Sciolto questo nodo e trovato “il giusto bilanciamento tra la fermezza contro il Cremlino e la sicurezza alimentare”, come ha precisato il presidente Michel, la strada è stata in discesa per l’imposizione del nuovo ciclo di sanzioni. Sul piano energetico e minerario sono stati vietati nuovi investimenti in Russia, “fatta eccezione per attività di estrazione e di cava che coinvolgono materie prime critiche“. Per quanto riguarda il fronte tecnologico, sono vietate le esportazioni di beni e tecnologie che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza (all’elenco dei sanzionati sono state aggiunte altre 168 entità del complesso militare e industriale russo): stop al commercio con Mosca di sostanze chimiche, agenti nervini, attrezzature per la visione notturna e la radio-navigazione, elettronica e componenti informatici.
    Ma nel capitolo delle esportazioni assume particolare rilevanza un’altra gamma di tecnologie-chiave per la guerra in Ucraina: nel campo dell’aviazione e dell’industria spaziale sono stati inclusi i motori degli aerei “sia di velivoli con equipaggio sia senza equipaggio”. In altre parole, da oggi sarà vietata l’esportazione di motori per droni in Russia “e in qualsiasi Paese terzo che potrebbe fornirli” a Mosca. Un riferimento nemmeno troppo velato all’Iran, già sanzionato per il supporto al Cremlino con droni e addestratori in Crimea. Sul fronte delle consulenze europee viene invece introdotto il divieto di servizi di collaudo di prodotti e di ispezione tecnica.
    Il nono pacchetto di sanzioni prevede anche il congelamento dei beni nei confronti di altre due banche russe, mentre la Banca russa di sviluppo regionale è stata aggiunta all’elenco di entità soggette al divieto totale di transazioni attraverso il sistema dei pagamenti Swift. La propaganda di regime viene poi colpita con il divieto di sospensione delle licenze di trasmissione di altri quattro media (oltre a Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24 e TV Centre International): si tratta di NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal. “Queste emittenti sono sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa”, specifica il Consiglio dell’Ue, sottolineando che “sono state utilizzate per le continue e concertate azioni di disinformazione e propaganda di guerra”.

    I welcome the agreement on the 9th sanctions package against Russia.
    It focuses on tech, finance and media to push the Russian economy and war machine further off the rails.
    It sanctions almost 200 individuals and entities involved in attacks on civilians & kidnapping children https://t.co/3vx73DMZyz
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 16, 2022

    Dal divieto d’investimenti nel settore energetico e minerario a quello dell’esportazione di motori per droni anche a “qualsiasi Paese terzo che possa fornirli” a Mosca. Per sbloccare le misure restrittive è stata garantita la deroga agli oligarchi attivi nel campo alimentare e dei fertilizzanti

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    La Commissione Ue propone una nuova stretta sugli oligarchi che violano le sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – “La violazione delle sanzioni Ue contro la Russia non darà i suoi frutti”. In un tweet pubblicato questa mattina (2 dicembre), la Commissione Ue ha ribadito la volontà di dare battaglia a chiunque cerchi di aggirare le misure restrittive stabilite da Bruxelles dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    Per farlo, l’esecutivo comunitario ha presentato una proposta per criminalizzare l’evasione delle sanzioni e per armonizzare la risposta in tutti i Paesi membri. Le norme comuni stabilite dalla Commissione renderanno più facile indagare e perseguire le violazioni in tutto il territorio Ue. “L’Unione Europea deve mostrare i denti per garantire la piena applicazione delle sanzioni”, ha dichiarato il commissario per la Giustizia, Didier Reynders: “Non basta presentare pacchetti sanzionatori di ampio respiro se tutti gli Stati membri non sono dotati degli strumenti necessari per garantire l’effettività delle misure restrittive”.

    The violation of EU sanctions against Russia won’t pay off.
    Today, we put forward a proposal to criminalise the evasion of EU restrictive measures.
    It will make easier to investigate, prosecute and punish violations of sanctions in all EU countries.#StandWithUkraine
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) December 2, 2022

    Le difficoltà incontrate dall’Ue nell’attuazione delle sanzioni dimostrano, secondo la Commissione, “la complessità dell’identificazione dei beni di proprietà degli oligarchi, che li nascondono in diverse giurisdizioni attraverso elaborate strutture legali e finanziarie”. La Commissione propone di usare il pugno duro: a seconda del reato, la singola persona potrebbe essere soggetta a una pena di almeno cinque anni di carcere e le società potrebbero ricevere sanzioni non inferiori al 5 per cento del fatturato totale delle stesse.
    Ma non solo. La proposta di direttiva permetterebbe ai 27 Paesi membri di avviare procedure giudiziarie per la confisca di beni, nel caso in cui venisse accertata una violazione delle misure restrittive Ue. L’elenco di reati include “mettere a disposizione fondi a beneficio di una persona o un’entità toccati da sanzioni, il mancato congelamento di tali fondi, consentire l’ingresso e il transito di persone sanzionate nel territorio di uno Stato membro, commerciare in beni e servizi vietati o limitati”.
    Prevedere la confisca dei beni, anziché il loro congelamento come accaduto fino a oggi, permetterebbe la loro messa all’asta o l’eventuale assegnazione a enti terzi, sgravando gli Stati membri dagli oneri della manutenzione. I proventi, come ha annunciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, potrebbero costituire un fondo “per il risarcimento dei danni causati all’Ucraina”.

    L’esecutivo Ue propone di criminalizzare l’evasione delle sanzioni e armonizzare le procedure penali negli Stati membri. Almeno cinque anni di carcere a chi aggira le misure restrittive e confisca dei beni, che potrebbero costituire un fondo per l’Ucraina

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    Le lobby belghe dei diamanti vincono la loro battaglia: niente bando sui preziosi russi

    Bruxelles – In extremis, con un colpo di coda quasi inatteso, l’Ue ha rinunciato a includere una misura da diversi miliardi di euro nell’ottavo pacchetto di misure restrittive contro Mosca. Il commercio di diamanti grezzi con la Russia non è entrato alla fine nell’ultima tornata di sanzioni di Bruxelles, con il gigante russo dell’estrazione Alrosa risparmiato dalla lista delle entità colpite. Un’ennesima concessione, nei fatti, alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno continuato a picconare la proposta della Commissione Europea.
    A spingere per l’esclusione di Alrosa dall’ottavo pacchetto di sanzioni è stata in particolare l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che ha denunciato che un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia potrebbe costare 10 mila posti di lavoro nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di questo prodotto. Se nelle precedenti tornate di sanzioni il governo belga è sempre riuscito a tutelare il comparto economico cruciale a livello nazionale, l’escalation della guerra in Ucraina ha reso sempre più insostenibile la posizione contraria di Bruxelles. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti attorno ai 4,5 miliardi di euro nel 2021 (una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, il 30 per cento in tutto il mondo) e la necessità di tagliare ogni ulteriore forma di finanziamento della macchina bellica del Cremlino ha fatto sì che la Commissione includesse anche il commercio dei diamanti grezzi nella proposta di ottavo pacchetto di sanzioni.
    Nel corso delle trattative al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), è passata invece la linea morbida del Belgio, che ha spinto per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti e facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro segna una sconfitta in particolare per Stati baltici e Polonia, che avevano appoggiato un embargo totale sui diamanti, per cedere poi solo su un divieto per quelli non-industriali, ma – come riportano fonti diplomatiche – gli altri Paesi membri non hanno levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Questa mattina è arrivata l’approvazione politica dell’ottavo pacchetto da parte degli ambasciatori dei 27 Paesi membri e ora, dopo la traduzione nelle lingue dell’Unione e la conclusione della procedura scritta, si attende per domani (giovedì 6 ottobre) la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore delle misure restrittive.

    Ribaltata in extremis la proposta della Commissione Ue. Il gigante estrattivo Alrosa (che garantisce enormi entrate economiche al Cremlino) è stata esclusa durante le discussioni degli ambasciatori dei Ventisette dalla lista delle entità colpita dalle misure restrittive europee

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    I diamanti russi inclusi nell’ottavo pacchetto di sanzioni. Ormai insostenibile la posizione contraria del Belgio

    Bruxelles – All’ottavo pacchetto di sanzioni l’assente eccellente ha fatto la sua comparsa. Come rendono noto a Eunews fonti europee, anche il commercio di diamanti grezzi dalla Russia è finito nella lista delle misure restrittive dell’Unione Europea attualmente in fase di approvazione al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). Dunque certezze definitive ancora non ci sono. Nell’ulteriore stretta annunciata mercoledì scorso (28 settembre) dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, altre fonti qualificate riportano che dovrebbero essere incluse anche tecnologie critiche per l’industria russa, prodotti chimici, farmaceutici, lignite, lavorati d’acciaio (dal valore di 3 miliardi di euro), armi a uso civile, pietre e metalli preziosi (dopo l’embargo all’oro di luglio). E, oltre ai diamanti grezzi, nella lista delle entità sanzionate dovrebbe comparire anche la più grande azienda russa di estrazione, Alrosa.
    Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti attorno ai 4,5 miliardi di euro nel 2021 (una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, il 30 per cento in tutto il mondo) e finora l’assenza di questo prodotto nella lista delle sanzioni Ue è stata determinata dal ruolo di primo piano del Belgio nell’industria mondiale della lavorazione dei diamanti, in particolare Anversa. Nella città portuale fiamminga un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia potrebbe costare 10 mila posti di lavoro – avverte l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre – ma l’escalation della guerra in Ucraina ha reso sempre più insostenibile la posizione contraria del governo belga.
    Se pubblicamente il Paese ha mostrato aperture alle richieste di Polonia, Paesi Bassi e Baltici, i diplomatici belgi dietro alle quinte hanno cercato di non cedere alle pressioni, forti del timore che questa misura restrittiva possa colpire più l’economia e l’occupazione europea – o piuttosto nazionale – rispetto a quelle di Mosca. Lo stesso premier, Alexander De Croo, in una conferenza ad Anversa ha sostenuto la tesi dell’auto-danneggiamento, sottolineando allo stesso tempo che “per sei secoli questa città ha dimostrato di riuscire a rimanere resistente e innovativa in tempi turbolenti”. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti hanno bloccato l’importazione di diamanti grezzi dalla Russia a poche settimane dall’invasione dell’Ucraina, sanzionando anche l’amministratore delegato di Alrosa, Sergei Sergeevich Ivanov.

    Fonti europee confermano a Eunews che nell’ultima proposta della Commissione Ue compare il divieto al commercio di diamanti grezzi con Mosca, stimato sui 4,5 miliardi di euro nel 2021. Il governo di Bruxelles ha cercato fino all’ultimo di salvare l’industria della lavorazione di Anversa

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    L’Ue reagisce all’escalation in Ucraina con l’ottavo pacchetto di sanzioni: price cap a petrolio e stop a europei nei Cda russi

    Bruxelles – Dal sesto all’ottavo pacchetto di sanzioni, passando dal maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento, un sorta di ‘sesto e mezzo’), per colpire il Cremlino immediatamente dopo la nuova escalation in Ucraina, caratterizzata dai referendum farsa di annessione dei territori occupati dalla Russia, l’arruolamento di 300 mila riservisti, le minacce di uso dell’arma nucleare e il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream. “La Russia ha portato l’invasione dell’Ucraina a un nuovo livello, siamo determinati a far pagare al Cremlino questa ulteriore escalation“, ha attaccato senza troppi giri di parole la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Il cuore del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia è un’ulteriore limitazione degli scambi commerciali, che “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro in entrate“. Le proposte dettagliate ancora non sono state rese note, ma dal discorso della numero uno della Commissione e dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si iniziano a intravedere le direttrici dell’intervento. Prima di tutto un isolamento ulteriore dell’economia russa, per privare il complesso militare del Cremlino di tecnologie-chiave: “Si tratta di ulteriori prodotti per l’aviazione, componenti elettronici e sostanze chimiche specifiche”, ha anticipato von der Leyen. Ma soprattutto, nel pacchetto sarà introdotto un “tetto massimo di prezzo del petrolio russo per i Paesi terzi”, per annullare i profitti del Cremlino derivanti dalla vendita di combustibili fossili. “Abbiamo già deciso di vietare il trasporto di greggio russo via mare nell’Unione Europea a partire dal 5 dicembre”, ha ricordato von der Leyen – fornendo per la prima volta una data precisa alla decisione sul sesto pacchetto approvato a giugno. “Stiamo gettando le basi legali per questo tetto al prezzo del petrolio”, è l’annuncio che però ancora rimane molto vago.
    Sarà poi vietato ai cittadini europei di fornire servizi e sedere negli organi direttivi delle imprese statali russe, perché Mosca “non dovrebbe beneficiare delle conoscenze e delle competenze europee”, e saranno anche intensificati gli sforzi per reprimere l’elusione delle misure restrittive: “Stiamo aggiungendo una nuova categoria, con cui saremo in grado di schedare le persone che aggirano le nostre sanzioni“, per esempio chi acquista beni nell’Ue e li porta in Russia passando da Paesi terzi. “Credo che avrà un grande effetto deterrente, rendendo a Putin ancora più difficile sostenere la guerra”, ha concluso la presidente della Commissione.
    “Il Cremlino sta seguendo lo stesso schema che abbiamo già visto in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014“, ha messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell: “Sono sicuro di poter parlare a nome degli Stati membri dell’Unione Europea, che nessuno di loro riconoscerà il risultato falsificato dei referendum farsa” nelle province ucraine occupate di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Ribadendo che “le nostre sanzioni stanno funzionando”, Borrell ha illustrato l’aggiornamento dell’elenco dei sanzionati, che “già ora conta più di 1.300 tra individui ed entità“. Saranno colpiti dalle sanzioni “tutti coloro che sono coinvolti nell’occupazione e nell’annessione illegale di aree dell’Ucraina da parte della Russia”, vale a dire le autorità russe per procura a Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia e i responsabili dell’organizzazione dei referendum farsa. Saranno poi inclusi i funzionari di alto livello del ministero della Difesa russo e “coloro che sostengono le forze armate russe fornendo attrezzature e armi dell’esercito, compresi missili e aerei da combattimento”, o che “partecipano al reclutamento” dei riservisti. Infine sarà prevista una nuova stretta sulla propaganda e la disinformazione di regime e ai donatori nelle aree occupate.
    A completare il quadro sulle sanzioni contro la Russia, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, ha elencato i dati del crollo dell’economia del Cremlino: “Le importazioni dall’Ue sono diminuite di circa il 50 per cento nel periodo marzo-giugno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, la nostra quota di importazioni di gas dalla Russia è diminuita dal 45 per cento prima della guerra al 14 di oggi“. Ancora più impressionante è quanto riporta il commissario italiano sull’industria civile di Mosca: “Le poche auto oggi prodotte sono prive di airbag, Abs e marmitte catalitiche, mentre i dati dell’estate indicavano un calo delle vendite di oltre il 70 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso a causa del crollo della produzione”. Un chiaro segno che “la nostra risposta comune sta funzionando”, come dimostrano anche le recenti mosse di Putin, “dall’interruzione delle consegne di gas attraverso Nord Stream 1, fino alla mobilitazione dei riservisti e ai falsi referendum nei territori occupati”, ha ribadito Gentiloni.

    La Commissione ha annunciato nuove misure restrittive contro “tutti coloro che sono coinvolti nell’aggressione armata e nell’annessione illegale di territori ucraini”. La presidente von der Leyen ha annunciato che la nuova stretta alle importazioni “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro”

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    I referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina sono state un plebiscito (forzato) per l’annessione alla Russia

    Bruxelles – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Si sono concluse ieri sera (martedì 27 settembre) le operazioni di voto nelle quattro province occupate dall’esercito russo in Ucraina e l’esito del referendum è stato un plebiscito: il 99 per cento dei votanti si è espressa a favore dell’annessione alla Russia. Questa è la versione di Mosca, ma il filtro è quello degli occupanti, in un Paese invaso da ormai più di cinque mesi. La realtà dei fatti è che quanto messo in piedi dal Cremlino nelle quattro regioni orientali e meridionali dell’Ucraina sono dei referendum farsa, organizzati in maniera illegale e a cui, dati alla mano, ha partecipato una quota quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi sulla popolazione al momento del voto.
    L’esito non era minimamente in discussione, ma ora si apre una fase nuova per la guerra in Ucraina. Perché l’autocrate russo, Vladimir Putin, utilizzerà il risultato di questi referendum illegali per dichiarare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupata alla Russia: in altre parole – nella visione propagandistica del Cremlino – il conflitto si trasformerà da una “operazione speciale” offensiva a una guerra di difesa dei nuovi territori inglobati e, allo stesso tempo, la controffensiva dell’esercito ucraino sarà considerata un attacco alla sovranità russa. Non è la prima volta che Mosca ribalta a 360 gradi causa ed effetto degli eventi (basti ricordare le motivazioni dell’attacco armato a un Paese sovrano, ‘giustificate’ dalla legittima richiesta dell’Ucraina di aderire all’Unione Europea e alla Nato), ma questo momento rappresenta senza dubbio un punto di svolta per lo scenario bellico sul continente europeo. Anche perché nel frattempo sono iniziate le operazioni di arruolamento dei 300 mila riservisti russi, nonostante l’ondata di proteste e la fuga di decine di migliaia di persone dal Paese.
    Per la conferma basterà aspettare venerdì (30 settembre) quando, secondo quanto riportano le fonti d’intelligence britanniche, Putin terrà un discorso in entrambe le Camere del Parlamento (l’Assemblea Federale e la Duma di Stato), con la “realistica possibilità” che annunci formalmente l’annessione delle regioni occupate come “rivendicazione” dei successi della “operazione militare speciale”. In questo scenario, l’annessione dovrebbe avvenire già il giorno seguente, consentendo a Mosca la coscrizione forzata di civili ucraini per combattere contro il loro stesso Paese. Putin si sente forte del plebiscito dei risultati del referendum-farsa nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina, ma sono impietosi i dati sul numero di cittadini che – in modo forzato e pilotato – hanno partecipato al voto. Nella regione di Zaporizhzhia hanno votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. Nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa statale Ria Novosti, ma non coincidono dati sulla popolazione: per il Cremlino sarebbero poco più di due milioni, ma al gennaio 2022 Kiev ne contava oltre quattro milioni. Tutto ciò accompagnato dai soldati russi che tra il 23 e il 27 settembre si recavano casa per casa per costringere i cittadini ucraini a votare e lo scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    Rimane alta l’attenzione anche a Bruxelles sulla situazione nell’est dell’Ucraina, con le condanne a pioggia per i “referendum illegali” di annessione alla Russia, sulla falsariga di quello in Crimea nel 2014. “L’Ue denuncia lo svolgimento di referendum illegali e il loro esito falsificato, si tratta di un’altra violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, in mezzo a sistematici abusi dei diritti umani”, è l’attacco dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica sicurezza, Josep Borrell: “Lodiamo il coraggio degli ucraini, che continuano a opporsi e a resistere all’invasione russa”. Senza troppi giri di parole la condanna del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Referendum fasulli, risultati fasulli. Non riconosciamo nessuno dei due”. Le istituzioni comunitarie si preparano a varare un nuovo pacchetto di misure restrittive contro i responsabili dei referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina e il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, avverte che la Commissione ritiene “certamente un’opzione” imporre sanzioni individuali anche ai cittadini europei che sostengono quest’azione illegale di Mosca: “Tutto dipenderà dal livello di partecipazione, la responsabilità di capire se vanno adottate misure caso per caso è degli Stati membri”.

    Sham referenda.
    Sham results.
    We recognize neither.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 27, 2022

    Nelle operazioni di voto “illegali” e truccate dal Cremlino negli Oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, il “sì” avrebbe vinto con il 99 per cento: Putin potrebbe dichiarare il 30 settembre l’ampliamento del territorio nazionale. Dura condanna Ue: “Altra violazione della sovranità di Kiev”

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    Le previsioni dell’Ue sull’impatto delle sanzioni sulla Russia: “Il Pil crollerà dell’11 per cento, peggio della caduta dell’Urss”

    Bruxelles – Peggio della caduta dell’Unione Sovietica. Le sanzioni internazionali stanno colpendo la Russia con una violenza mai vista prima nella storia, dopo anni in cui Mosca affronta una recessione economica. La conferma arriva dal vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Luc Pierre Devigne, nel corso di un’audizione alla sessione congiunta della commissione Affari esteri (Afet) e della sottocommissione per la Sicurezza e la difesa (Sede) del Parlamento Ue. “Le nostre sanzioni funzionano, la Russia affronta una recessione dagli anni Novanta e ora ci aspettiamo un crollo del Pil nazionale dell’11 per cento, ancora maggiore rispetto a quello della caduta dell’Urss“.
    Nel corso dell’audizione parlamentare Devigne si è soffermato sulle motivazioni per cui è necessario un nuovo round di misure restrittive internazionali contro il Cremlino, ormai in difficoltà evidente sia sul fronte economico, sia su quello militare: “La Russia è sempre più isolata, partner importanti come Cina e India hanno dichiarato che questi non possono essere tempi di guerra e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha annunciato che i territori strappati all’Ucraina non saranno riconosciuti”. Come già ha spiegato recentemente anche il premier italiano dimissionario, Mario Draghi, e ancor prima il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, “dobbiamo essere ancora più risoluti e continuare sulla strada delle sanzioni contro la Russia, che si stanno dimostrando efficaci”, ha ribadito con forza Devigne, precisando agli eurodeputati che “non posso rivelarne il contenuto per non mettere a repentaglio la loro efficacia e per non impattare sul costo di ciò che potrebbe essere sanzionato”.
    A determinare decisione di un nuovo round di misure restrittive (arrivate a sei pacchetti e un ultimo a luglio definito maintenance and alignement, aggiornamento e allineamento) è l’ulteriore escalation militare in Ucraina, con i referendum-farsa nelle autoproclamate Repubbliche filo-russe e la mobilitazione parziale dei riservisti dichiarata da Vladimir Putin, con annesse minacce nucleari all’Occidente. “Qualsiasi riferimento all’uso di armi nucleari o di azioni contro gli impianti nucleari in Ucraina pone la Russia ai margini della civiltà”, ha attaccato il vicedirettore generale del Seae. Minacce che in ogni caso “non indeboliranno la nostra decisione di continuare sulla strada delle sanzioni” e che, al contrario, stanno portando l’esecutivo comunitario a valutare la proposta di una nuova tranche di aiuti militari a Kiev attraverso lo strumento dell’European Peace Facility, rende noto Devigne.
    Il momento è cruciale per la guerra in Ucraina perché, “senza successi militari, Putin continua sulla strada dell’escalation, cercando di intimidire l’Ucraina e i Paesi che la supportano”. Le contraddizioni sono evidenti, considerato il fatto che si parla di circa 300 mila coscritti, “anche se il Cremlino riporta di aver perso solo seimila soldati e parte del decreto di mobilitazione è secretata”. La stessa mobilitazione “parziale” potrebbe essere un modo per “non far capire al popolo russo quanto la situazione sia grave”, ma nonostante questo è già iniziata l’ondata di proteste: “Più di duemila persone sono state arrestate, ma molte di più se ne vanno dal Paese”, ha ricordato Devigne, facendo riferimento alle “file chilometriche di auto ai confini e i voli aerei andati esauriti”. Mentre l’esercito ucraino continua nella propria avanzata nella controffensiva a est, “l’escalation di Putin dimostra che la Russia sta attraversando una crisi, o quantomeno un momento critico, visto che sono state anche rafforzate le sanzioni per chi si arrende o rifiuta di arruolarsi”, ha concluso il proprio intervento il vicepresidente del Seae.

    Il vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna, Luc Pierre Devigne, ribadisce che “le misure restrittive funzionano”, perché colpiscono un Paese che “affronta una recessione dagli anni Novanta e ora viene abbandonato da Cina e India”