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    Un colpo al cerchio ucraino e uno alla botte russa. La Serbia di Vučić tenta uno spericolato equilibro tra Mosca e Kiev

    Bruxelles – Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si muove sui cristalli, ma nessuno dei cocci che rompe fanno piacere a Bruxelles. Perché il leader del Paese candidato all’adesione Ue dal 2012 sembra avere una propensione naturale al cerchiobottismo, sfidando sempre un po’ di più i limiti che l’Unione può tollerare. Ma il rischio che si sta assumendo dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina sta diventando sempre più grosso e l’equilibrio sempre più delicato, volendo barcamenarsi in una presunta “equidistanza” non solo tra Bruxelles e Mosca, ma ora anche tra Kiev e il Cremlino, e tirando in ballo un’altra questione molto delicata per l’Ue: convincere altri Paesi a non riconoscerei il Kosovo.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ad Atene (21 agosto 2023)
    A mettere in luce la nuova spericolata avventura di Vučić è stata la cena informale di lunedì (21 agosto) ad Atene tra i leader delle istituzioni comunitarie, dei Balcani Occidentali, dell’Ucraina e della Moldova, in cui sono andati in scena anche una serie di incontri bilaterali su allargamento Ue e invasione della Russia. Proprio uno dei punti, quest’ultimo, su cui Vučić ha dovuto più destreggiarsi. Il leader serbo non è nuovo alle critiche dell’Unione per il mancato allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina (unico in Europa a non averlo fatto nemmeno a livello di principio), ma fino a oggi non ha mai ceduto ad allontanarsi eccessivamente dal legame con il Cremlino. Al contrario, nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro, nel maggio dello scorso anno ha siglato un’intesa con Vladimir Putin per altri tre anni di gas russo a condizioni favorevoli.
    La vera novità dalla cena di Atene è – come lo stesso Vučić ha dichiarato oggi (23 agosto) nel corso di una conferenza stampa – l’opposizione esplicita a inserire riferimenti alle sanzioni e ai crimini di guerra di Putin nella Dichiarazione di Atene, il tutto allo stesso tavolo di Zelensky: “Per noi sono condizioni molto difficili”, anche se ha concesso molto vagamente che “non può esserci impunità per la guerra e altri crimini, come gli attacchi contro i civili e la distruzione delle infrastrutture”. Il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, nel celebrare pomposamente la “vittoria diplomatica da soli contro 13 Paesi” in un’intervista a Kurir Tv, ha rivelato un dettaglio di non poco conto: il presidente serbo avrebbe usato “la sua influenza politica” per modificare il testo della dichiarazione ufficiale, “in modo da eliminare il paragrafo che menzionava le sanzioni contro la Russia“, perché “contrario ai nostri interessi nazionali”. Da Bruxelles nessun commento sulla questione, ma in ogni caso non si tratta di segnali incoraggianti sullo spirito che anima l’establishment politico di Belgrado a un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
    L’Ucraina tra Serbia e Kosovo
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Per cercare di non tagliare i ponti con l’Ucraina, il leader serbo ha cercato di spostare la discussione su un altro livello: quello dell’integrità territoriale, che interessa tanto Kiev quanto Belgrado. “Un incontro aperto, onesto e proficuo”, lo ha definito il presidente Zelensky, riportando i temi di discussione all’incontro bilaterale di Atene: “Rispetto della Carta delle Nazioni Unite e inviolabilità dei confini, futuro comune delle nostre nazioni nella casa europea e relazioni reciproche nel mutuo interesse”. Perché se per l’Ucraina integrità territoriale significa Donbas e Crimea all’interno dei confini nazionali, per la Serbia significa non accettare l’indipendenza del Kosovo proclamata nel 2008. “Sto cercando di ottenere il meglio per la Serbia”, ha dichiarato alla stampa il presidente serbo, parlando delle conversazioni che ha avuto con quattro leader presenti ad Atene i cui Paesi non riconoscono la sovranità di Pristina: due membri Ue (Grecia e Romania) e due non-Ue, Bosnia ed Erzegovina e Ucraina, appunto. Facendo riferimento alle “pressioni” esercitate da Bruxelles su questi Stati, la missione di Vučić ad Atene è stata quella di spingere il leader ucraino a non cedere, facendo leva con tutta probabilità sull’invio di armi per la difesa dall’invasione russa.
    Eppure questo atteggiamento di Vučić si potrebbe scontrare presto non solo con l’irritazione di Mosca per il supporto all’esercito ucraino, ma soprattutto con la posizione dell’Unione Europea per la violazione di accordi precedentemente presi. Secondo l’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo firmato sotto l’egida Ue lo scorso 27 febbraio “nessuna delle due Parti bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare i progressi dell’altra Parte nel rispettivo cammino verso l’Ue sulla base dei propri meriti”, recita l’articolo 5, riferendosi implicitamente alla sovranità di Pristina (un Paese non indipendente non può fare ingresso nell’Ue). A questo si aggiunge il punto 4 dello stesso accordo, già violato da Belgrado in occasione della votazione sulla richiesta di Pristina di aderire al Consiglio d’Europa: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Secondo quanto confermato dallo stesso presidente serbo, Belgrado chiederà che si tenga “quanto prima” una sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni sulla situazione nel nord del Kosovo. Perché la strada di Vučić ormai è tracciata, per quanto spericolato sia l’equilibrio cercato tra Mosca e Kiev e a prescindere dagli avvertimenti di Bruxelles.

    Il presidente serbo sostiene di essere riuscito a modificare la bozza della Dichiarazione di Atene, rendendo meno duri i punti sui crimini di guerra e sanzioni. Ma intanto stringe i rapporti con Zelensky sull’integrità territoriale per impedire che Kiev riconosca la sovranità del Kosovo

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    L’Ue ha adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. C’è lo strumento anti-elusione e nuovi divieti

    Bruxelles – E sono undici. Dal Consiglio dell’Ue è arrivato questa mattina (23 giugno) il via libera all’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il secondo introdotto dall’inizio dell’anno, l’undicesimo dall’inizio della guerra d’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022. Una media di una tornata di misure restrittive ogni 44 giorni, che nel suo ultimo aggiornamento si è concentrata sulla prevenzione e il contrasto dell’elusione delle misure restrittive già introdotte nei precedenti dieci pacchetti. “Massimizzeremo la pressione sulla Russia privandola ulteriormente delle risorse di cui ha disperatamente bisogno per proseguire la sua guerra illegale contro l’Ucraina”, ha promesso l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Considerato il fatto che “le nostre sanzioni stanno già avendo un forte impatto sull’economia russa e sulla capacità del Cremlino di finanziare le sue aggressioni”, l’undicesimo pacchetto “aumenta la nostra pressione sulla Russia e sulla macchina da guerra di Putin“, grazie a una serie di misure restrittive proposte dalla Commissione Ue lo scorso 5 maggio e dopo poco più di un mese approvate dagli ambasciatori dei 27 Paesi membri riuniti al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti). L’elemento di vera novità è il contrasto all’elusione di quanto già previsto finora, attraverso un nuovo strumento anti-elusione che sarà attivato solo in caso di fallimento del rafforzamento della cooperazione con i Paesi terzi. In questo scenario – non auspicato da Bruxelles – si metterà in moto un processo in due fasi, ovvero una “azione rapida, proporzionata e mirata“, finalizzata “esclusivamente a privare la Russia delle risorse” bandite da Bruxelles. Prima l’Unione si impegnerà in un ulteriore “dialogo costruttivo con il Paese terzo in questione” e nel caso in cui l’elusione rimanga comunque “sostanziale e sistemica”, l’Ue avrà la possibilità di adottare “misure eccezionali di ultima istanza“. In altre parole, il Consiglio potrà decidere all’unanimità di limitare la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di beni e tecnologie la cui esportazione verso la Russia è già vietata – “in particolare prodotti e tecnologie per il campo di battaglia” – a Paesi terzi la cui giurisdizione è dimostrata essere “a rischio continuo e particolarmente elevato“.
    Nell’undicesimo pacchetto rientra comunque anche il lavoro per aumentare la pressione sull’economia russa. In particolare viene aggiornato l’elenco delle entità soggette a restrizioni più severe sulle esportazioni di beni e tecnologie a duplice uso. Tra le 87 nuove entità, ce ne sono anche quattro iraniane che producono droni e li vendono al Cremlino, ma anche altre coinvolte nell’elusione delle restrizioni commerciali e registrate in Cina, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, Iran, Siria e Armenia. Anche un altro elenco Ue è stato aggiornato nella nuova tornata di sanzioni, ovvero quello dei prodotti che potrebbero contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza della Russia: ora ne fanno parte 15 di nuovi, tra cui componenti elettronici, materiali per semiconduttori, attrezzature per la produzione e il collaudo di circuiti elettronici integrati e schede a circuito stampato, precursori di materiali energetici e di armi chimiche, componenti ottici, strumenti di navigazione, metalli utilizzati nel settore della difesa e attrezzature marine. Anche attraverso il dialogo sempre più stretto con la Svizzera come Paese partner, Bruxelles ha deciso di inasprire le restrizioni sulle importazioni di prodotti siderurgici e di vietare l’esportazione di auto elettriche e ibride di lusso (cilindrata maggiore di 1.900 cm³).
    Di grande importanza per l’Unione anche la lista delle persone ed entità soggette al congelamento dei beni e al divieto di viaggio sul territorio dell’Unione, che ora conta più di 1.500 nomi. Con il nuovo pacchetto sono stati aggiunti 100 nuovi soggetti, tra cui alti ufficiali militari, responsabili della deportazione illegale di bambini e del saccheggio del patrimonio culturale ucraino, uomini d’affari, giudici e banche che operano nei territori occupati, aziende informatiche che forniscono tecnologia, software critici all’intelligence e propagandisti. A questo proposito, “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti”, è stato estesa la sospensione delle licenze di trasmissione ad altri cinque media (oltre a quelli già inseriti, Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal). Si tratta di RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, tutte emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa” e che preoccupano anche in vista delle elezioni europee del 2024: “La propaganda ha ripetutamente e costantemente preso di mira i partiti politici europei, soprattutto durante i periodi elettorali”.
    C’è infine la questione dei trasporti e dell’energia. In primis è stato esteso il divieto di trasportare merci nell’Ue su strada ai rimorchi e ai semirimorchi immatricolati in Russia, anche se trasportati da autocarri immatricolati fuori dalla Russia. Inoltre – considerato il “forte aumento di pratiche ingannevoli da parte di navi che trasportano greggio e prodotti petroliferi” – il Consiglio ha deciso anche di vietare l’accesso ai porti e alle chiuse dell’Ue a “tutte le navi che effettuano trasferimenti da nave a nave”, se le autorità competenti hanno “ragionevoli motivi” per sospettare che la nave stia violando il divieto di importare greggio e prodotti petroliferi russi o stia trasportando prodotti russi acquistati al di sopra del massimale di prezzo concordato dalla Price Cap Coalition. Sull’energia spicca lo stop definitivo alla deroga temporanea concessa a Germania e Polonia per la fornitura di petrolio greggio dalla Russia attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, mentre quello proveniente “dal Kazakistan o da un altro Paese terzo” potrà continuare a transitare per la Russia. Sarà estesa invece fino al 31 marzo 2024 l’estensione dell’eccezione al tetto del prezzo del petrolio di Sakhalin per il Giappone.

    Il Consiglio dell’Ue ha approvato l’adozione della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca, il cui punto saliente è l’introduzione di “misure eccezionali di ultima istanza” nel caso in cui le merci il cui export è vietato passano da Paesi terzi e poi finiscono sul territorio russo

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    I diamanti tornano al centro del dibattito Ue sulle sanzioni contro la Russia. Si ragiona su un sistema di tracciabilità

    Bruxelles – È passato quasi un anno dalla prima volta che la questione dei diamanti russi si è affacciata nel dibattito pubblico europeo a proposito delle sanzioni internazionali contro la Russia, ma da allora questo commercio globale che solo nel 2021 ha portato nelle casse di Mosca circa 4,5 miliardi di euro non è mai entrato in nessuno dei dieci pacchetti di misure restrittive già messi a terra dall’Unione. Si tratta di uno dei punti più critici dei rapporti tra l’Ue e la Russia, in particolare per uno Stato membro (e una sua città) che della lavorazione dei diamanti ha fatto il punto di forza della propria economia. Il Belgio e il porto di Anversa.
    Nonostante tutte le resistenze e le attività di lobby che hanno permesso all’industria belga della lavorazione dei diamanti di non essere coinvolte nei tagli alla macchina di finanziamento indiretto della guerra russa in Ucraina, nel pieno delle discussioni tra i 27 ambasciatori Ue sull’undicesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino la questione è riemersa con più vigore. Tanto che diverse fonti riferiscono a Eunews una spinta convergente da Bruxelles e Hiroshima (dove è in corso il vertice dei leader del G7) sulla limitazione a questo commercio. Come si legge nella dichiarazione del Gruppo dei Sette sull’Ucraina – in linea con le anticipazioni della vigilia da funzionari europei – “al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, continueremo a collaborare strettamente per limitare il commercio e l’uso di diamanti estratti, lavorati o prodotti in Russia“. La precisazione è un impegno “con i principali partner al fine di garantire l’effettiva attuazione di future misure restrittive coordinate, anche attraverso tecnologie di tracciamento“.
    È proprio sulla questione del tracciamento che l’attenzione ritorna a Bruxelles. Fonti diplomatiche precisano che non ci sarà l’embargo in questa tornata di misure restrittive, ma che Belgio e Commissione Europea stanno mettendo a punto un sistema di tracciabilità, che dovrebbe rendere la misura più efficace rispetto a un semplice divieto di esportazione “difficile da attuare”. In ogni caso questo lavoro richiederà altro tempo per la definizione dei dettagli e della messa a terra e perciò non è atteso all’interno dell’undicesimo pacchetto. Altre fonti però invitano a prestare attenzione alle discussioni tra i leader del G7 e in particolare a quanto messo in chiaro dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Nel corso di un punto con la stampa a poche ore dall’inizio della riunione, il numero uno del Consiglio ha sottolineato che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre e spiegheremo apertamente perché queste sanzioni sono necessarie e giustificate”. Ricordando che “non posso parlare a nome del governo belga”, proprio Michel (ex-premier del Paese) ha fatto notare che “sui diamanti c’è una discussione qui al G7 e una in parallelo sulle sanzioni a Bruxelles, faremo in modo che ci sia coerenza tra la dichiarazione e quello che stiamo facendo a livello europeo“.
    Un anno di dibattito su diamanti e sanzioni
    La questione dei diamanti era entrata per la prima volta nelle discussioni tra gli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) nel luglio dello scorso anno, in occasione del settimo pacchetto di sanzioni definito di maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 21 luglio era stato deciso di includere anche i gioielli nel divieto di acquistare, importare o trasferire l’oro russo (anche se esportato in un Paese terzo), ma era rimasto fuori il commercio di diamanti, dal momento in cui nella richiesta di allineamento dei leader del G7 in Germania questa azione non era prevista.
    (credits: Alexander Nemenov / Afp)
    Di fronte alla pressione crescente nei mesi successivi a causa dell’escalation della guerra in Ucraina, nelle trattative per l’ottavo pacchetto di sanzioni la proposta della Commissione Ue di un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia è arrivata a un passo dal via libera da tutti i Paesi membri Ue, prima di essere bloccata da un colpo di coda in extremis. A spingere per l’esclusione del gigante russo dell’estrazione Alrosa dalla lista delle entità colpite era stata l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che aveva denunciato il rischio di disoccupazione per oltre 10 mila lavoratori nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di diamanti. Si è trattata di una vera e propria concessione alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno influenzato la posizione del governo belga per prendere a picconate la proposta del gabinetto von der Leyen.
    Nel corso delle trattative tra gli ambasciatori anche per l’approvazione dei due pacchetti successivi di misure restrittive è passata la linea morbida del Belgio per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti, facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro dell’ottobre 2022 aveva segnato una sconfitta per Baltici e Polonia, che hanno sempre appoggiato un embargo totale sui diamanti (non-industriali). Ma, come avevano riferito al tempo fonti diplomatiche a Eunews, gli altri Paesi membri non avevano levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, pari al 30 per cento in tutto il mondo.

    Da Hiroshima, dove il vertice G7 ha avallato il dossier, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha messo in chiaro che “ne limiteremo il commercio, i diamanti russi non sono per sempre”. Fonti precisano a Eunews che non ci sarà l’embargo nell’undicesimo pacchetto

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    Bruxelles avverte la Georgia sull’allineamento alle sanzioni internazionali sul transito aereo dalla Russia

    Bruxelles – Un richiamo a rispettare i principi e doveri della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue per i Paesi che aspirano ad aderire all’Unione, un’esortazione a chiudere le porte a qualsiasi forma di elusione delle sanzioni internazionali e a mezzi “ormai non a norma di sicurezza”. Da Bruxelles arrivano pressanti richieste alla Georgia, Paese aspirante candidato all’adesione Ue dal 4 marzo 2022, ad allinearsi al regime di misure restrittive contro la Russia anche sul livello dell’aviazione civile, in risposta alla decisione di Mosca di eliminare il divieto di volo verso la Georgia.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi del 7 marzo 2023
    L’appello è arrivato oggi (11 maggio) dal portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle domande della stampa a proposito della notizia sulla decisione delle autorità russe di togliere il divieto tra i due Paesi. “Ne prendiamo atto”, ha commentato seccamente il portavoce, approfittando però dell’occasione per richiamare all’ordine i partner georgiani sullo stesso tema, ma da un’angolatura differente: “Dobbiamo ricordare che a causa delle guerra illegale di aggressione della Russia in Ucraina, l’Ue e i partner internazionali hanno introdotto sanzioni contro il settore dell’aviazione russa e non permettiamo voli da, per e sulla Russia“. La questione non riguarda solo i Ventisette, ma anche e soprattutto i Paesi candidati all’adesione Ue (come la Serbia, unico Paese europeo che autorizza la sua compagnia di bandiera Air Serbia a volare sulle città russe) e aspiranti tali: “L’Ue incoraggia la Georgia ad allinearsi alle sanzioni esistenti contro la Russia, bisogna rimanere vigili rispetto a qualsiasi possibile tentativo di aggirarle“, ha incalzato Stano.
    C’è poi anche una questione di sicurezza che si solleva sul sorvolo di velivoli russi nei cieli dei Paesi partner dell’Unione. Come evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) esistono “significativi rischi” che un Paese come la Georgia potrebbe correre se autorizzasse “mezzi ormai non a norma di sicurezza”. È qui che si inserisce la questione più volte rimarcata dalla Commissione Europea sull’impatto delle sanzioni internazionali sull’economia e l’industria di Mosca: “La Russia non è in grado di aggiornare il 95 per cento dei mezzi della propria flotta aerea“. O, in altre parole, il Paese non riesce a “mantere il livello sufficiente di standard di sicurezza” nel settore dell’aviazione civile.
    La situazione politica in Georgia
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). L’ultima notizia è il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per le politiche contestate da tutta l’Unione e per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest).
    Due mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente del Paese, Salomé Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti. Nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. Ecco perché anche la questione dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia nel settore dell’aviazione civile da parte di Tbilisi viene considerato essenziale da Bruxelles per tagliare ogni rapporto equivoco con il Cremlino e per proseguire con decisione sulla strada della candidatura per l’adesione all’Unione Europea.

    In qualità di Paese che aspira a diventare candidato all’adesione all’Unione, Tbilisi è chiamata a impedire “qualunque tentativo di elusione” anche nel settore dell’aeronautica civile. A causa delle misure restrittive Mosca non è in grado di aggiornare “il 95% della propria flotta”

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    Tre pilastri per un unico obiettivo nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia: evitarne l’elusione da Paesi terzi

    Bruxelles – Se i portavoce della Commissione Europea solo ieri (8 maggio) preferivano non sbilanciarsi troppo sul contenuto dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, oggi si capisce il perché. A fornire i primi dettagli della proposta dell’esecutivo comunitario che sono ora sul tavolo del Consiglio dell’Ue è stata la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita al numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky, a Kiev nella Giornata dell’Europa. “Permettetemi di approfondire brevemente tre elementi di questo pacchetto”, ha annunciato in conferenza stampa von der Leyen, parlando per la prima volta apertamente della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca a oltre due mesi dall’ultimo pacchetto.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Dopo un mese di lavori “venerdì scorso [5 maggio, ndr] la Commissione ha adottato la sua proposta per l’undicesimo pacchetto di sanzioni”, ha ricordato von der Leyen. Come accennato dai portavoce durante il punto quotidiano con la stampa di 24 ore fa, “questo pacchetto si concentra ora sulla repressione dell’elusione” delle misure restrittive già in vigore, con uno “stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, in particolare con il G7”, è quanto puntualizzato dalla leader dell’esecutivo Ue. Sanzioni che, sempre secondo le parole di von der Leyen, “stanno funzionando”, come dimostrato dalle stime che ciclicamente la Commissione tende a ricordare: “Abbiamo ridotto le nostre importazioni dalla Russia di quasi due terzi, privandola così di flussi di reddito cruciali”, ha precisato al fianco del presidente ucraino Zelensky. Dopo dieci tornate “abbiamo già imposto un prezzo pesante al Cremlino” per la sua invasione dell’Ucraina e Bruxelles continuerà a “fare tutto ciò che è in nostro potere per erodere la macchina da guerra di Putin e le sue entrate”.
    È per questo motivo che, prima di andare a colpire nuovi settori dell’economia russa, secondo il gabinetto von der Leyen è necessario azzerare le entrate che ancora sono possibili grazie all’aggiramento delle misure restrittive attraverso Paesi terzi. Per farlo la Commissione ha deciso di fondare la propria strategia su tre fondamenta. “In primo luogo stiamo affinando i nostri strumenti esistenti, con altri prodotti al nostro divieto di transito“, ha spiegato von der Leyen: “Prodotti tecnologici avanzati o parti di aeromobili destinati a Paesi terzi attraverso la Russia non finiranno più nelle mani del Cremlino”. Sarà poi messo in campo un lavoro di contrasto alle “entità ‘ombra’ della Russia e dei Paesi terzi che aggirano intenzionalmente le nostre sanzioni”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Ma è soprattutto la terza parte della strategia a interessare l’opinione pubblica e la diplomazia di tutto il mondo, con reazioni minacciose che arrivano anche dalla Cina. “Di recente abbiamo assistito a una crescita di flussi commerciali molto insoliti tra l’Unione Europea e alcuni Paesi terzi, queste merci finiscono poi in Russia“, è il duro avvertimento di von der Leyen. Per Bruxelles è arrivato il tempo di mettere fine a un commercio quasi di contrabbando e con questa intenzione “stiamo proponendo un nuovo strumento per combattere l’elusione delle sanzioni”. Cosa significa, lo spiega la stessa presidente della Commissione Ue: “Se ci accorgiamo che le merci passano dall’Unione Europea a Paesi terzi e poi finiscono in Russia, potremmo proporre agli Stati membri di sanzionare l’esportazione di queste merci“. Si tratterà comunque di una “risorsa ultima, da usare con cautela”, a seguito di una “analisi dei rischi molto accurata e dopo l’approvazione degli Stati membri dell’Ue”.

    We are proposing an 11th package of sanctions:
    The focus is now on cracking down on circumvention, together with our international partners.
    We are:
    1 – Sharpening our existing tools, adding more products to our transit ban.
    2 – Proposing a new tool to combat sanctions… pic.twitter.com/kWIiQnTBfb
    — European Commission (@EU_Commission) May 9, 2023

    Cosa non c’è nell’undicesimo pacchetto di sanzioni
    Nel discorso di von der Leyen c’è però un grande assente: il nucleare russo. “È un lavoro duro, ma alcuni Paesi membri stanno facendo progressi e potete contare che continueremo a spingere in questo senso“, ha voluto specificare la presidente dell’esecutivo comunitario, rispondendo a una domanda specifica sulla presenza o meno del settore nucleare del Cremlino nel nuovo pacchetto di misure restrittive. Gli umori dei 27 governi sono stati testati dalla Commissione attraverso i cosiddetti ‘confessionali’, colloqui riservati tra l’esecutivo comunitario e ciascun ambasciatore presso l’Ue dei 27 Stati membri per raccogliere considerazioni senza filtri da parte dei governi prima di presentare la proposta di sanzioni. Quanto emerge dalle parole di von der Leyen a Kiev è che l’unità ancora non c’è su questo punto e difficilmente si assisterà a un colpo di scena dell’ultimo momento. Secondo quanto confermano fonti europee, la prima discussione tra gli ambasciatori è in programma domani (10 maggio) al Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper), a cui ne seguirà una seconda venerdì.
    È proprio il presidente ucraino Zelensky a chiedere insistentemente da tempo a Bruxelles di inserire l’industria nucleare russa nelle misure restrittive internazionali, come evidenziato anche nella prima storica visita di persona a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. Nel mirino in particolare c’è Rosatom, il colosso di Stato fondato nel 2007 che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi nucleari del Cremlino e che nell’ultimo anno di invasione dell’Ucraina è diventato anche gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia. Le resistenze di parte dei Ventisette alle intenzioni di Bruxelles e Berlino derivano soprattutto dal fatto che l’Unione dipende dalla Russia per le importazioni di uranio, componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato nell’Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger. “Stiamo lavorando molto intensamente con i nostri Stati membri per diversificare ed essere indipendenti”, è l’ultima promessa di von der Leyen al presidente Zelensky. Con vista già a un possibile dodicesimo pacchetto di sanzioni.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fornito qualche dettaglio sulle nuove misure restrittive. Divieto di transito di prodotti tecnologici avanzati, contrasto alle entità ‘ombra’ e nuovo strumento per sanzionare l’esportazione di merci che finiscono a Mosca

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    La nuova iniziativa di quattro Paesi dei Balcani Occidentali per l’allineamento completo alla politica estera dell’Ue

    Bruxelles – I Balcani Occidentali spingono per l’allineamento alla politica estera dell’Ue, per avvicinarsi ancora di più all’adesione all’Unione. Non tutti, perché la questione è molto delicata per Serbia e Bosnia ed Erzegovina, toccando direttamente il tema delle sanzioni internazionali contro la Russia. Ma gli altri quattro – Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro – hanno già fatto tutti i compiti a casa da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina e vedono nel rispetto totale delle misure restrittive dell’Ue uno dei punti di forza nel proprio percorso di avvicinamento all’ingresso nell’Unione.
    Ecco perché da ieri (29 marzo) è nata una nuova iniziativa politica, la Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy, con l’obiettivo di coordinare le politiche e le migliori pratiche dei quattro Paesi dei Balcani Occidentali. “Dopo l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, l’allineamento alla Pesc [Politica estera e di sicurezza comune, ndr], ma ancor più in generale alle posizioni e ai valori del mondo democratico, si è trasformato in una delle priorità più importanti dei Paesi che aspirano all’adesione all’Ue, un chiaro messaggio di dove questi Paesi appartengono“, si legge nella dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro.
    Un’iniziativa nei Balcani Occidentali che nasce e si svilupperà “alla luce della nuova realtà geopolitica, delle minacce ibride, della crisi energetica e delle conseguenze economiche” causate dalla guerra russa, per cui l’Ue ha già deciso di stanziare un pacchetto complessivo da un miliardo di euro. I Paesi del Western Balkan Quad – un forum informale che affianca le già esistenti Open Balkan (zona economica e politica tra Albania, Macedonia del Nord e Serbia) e il Processo di Berlino (iniziativa diplomatica per l’allargamento Ue nella regione) – baseranno il proprio confronto sul fatto che “individualmente abbiamo dimostrato di essere partner affidabili della Nato e dell’Ue“, non solo con l’allineamento sulle sanzioni, ma anche attraverso “una specifica assistenza umanitaria e di altro tipo all’Ucraina”. Da qui ne scaturirà uno scambio “sugli attuali sviluppi regionali e internazionali, il processo di attuazione e applicazione delle politiche, dei regolamenti e degli standard dell’Ue”.
    Non si può non notare l’assenza di due attori centrali per i rapporti dell’Ue con i Balcani Occidentali: Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la Serbia ha sempre cercato di mantenere una – quasi insostenibile – politica di non-allineamento, per non perdere da una parte il più influente partner commerciale e politico (l’Unione Europea, tra cui in particolare l’Italia riveste un ruolo chiave) e dall’altra il punto di riferimento privilegiato per la propria retorica nazionalista (la Russia). Questo riguarda anche le sanzioni internazionali contro la Russia, che Belgrado si è sempre rifiutata di adottare, e una serie di mosse politico-economiche al limite dello scontro diplomatico con Bruxelles. Più complessa la situazione in Bosnia ed Erzegovina, dove lo scenario politico è in costante stallo per le posizione manifestamente filo-russe della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba del Paese: qualsiasi tentativo a Sarajevo di far passare politiche restrittive contro Mosca sono state bloccate dalla componente serba della presidenza tripartita e del Parlamento bicamerale.
    A che punto sono i sei Paesi dei Balcani Occidentali nel percorso verso l’Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente deve essere implementato un delicatissimo accordo di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Si chiama “Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy” e riunisce Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro, ovvero i partner più allineati agli standard di Bruxelles per l’adesione all’Unione. In particolare per le sanzioni internazionali contro la Russia

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    Ue, Nato e Ucraina rispondono al discorso alla nazione di Putin: “Prepara nuova offensiva, ma nessuno attacca Russia”

    Bruxelles – La risposta è netta, come da copione. “Non vediamo nessun segnale di apertura di Putin alla pace, oggi ha dimostrato che si prepara solo a una nuova offensiva con un ammassamento di truppe al confine e rivolgendosi a Corea del Nord e Iran”, è l’attacco del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in un punto stampa con il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una controffensiva verbale alle quasi due ore di discorso alla nazione da parte dell’autocrate russo, Vladimir Putin, in cui ha rimarcato la sua visione delle cause e delle motivazioni di un anno di guerra in Ucraina (che ovviamente per il Cremlino rimane sempre “un’operazione militare speciale”).
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 febbraio)
    Per la prima volta riuniti in un formato a tre Ue-Nato-Ucraina, a Bruxelles Borrell, Stoltenberg e Kuleba hanno discusso di fornitura e produzione di armi a sostegno della difesa armata di Kiev. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata principalmente sulla reazione alle accuse di Putin sul fantomatico progetto dell’Occidente (da leggere come Stati Uniti) di invadere la Russia sfruttando l’assist della guerra in Ucraina. “Un anno fa è iniziata la sua guerra a un vicino pacifico, ma è chiaro che nessuno sta attaccando la Russia, è l’Ucraina la vittima“, ha incalzato Stoltenberg, rifacendosi al passaggio in cui l’autocrate russo ha parlato di “pericolo esistenziale” per il Paese.
    Chi affronta davvero un pericolo esistenziale è piuttosto l’Ucraina, da un anno sotto le bombe del Cremlino. “La situazione è dura, con bombardamenti sui civili”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, rimarcando con forza che Putin “non sta certo andando nella direzione di un cessate il fuoco che stiamo chiedendo da tempo“. Riprendendo le parole di ieri (20 febbraio) a proposito della visita a sorpresa a Kiev del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, Borrell ha esortato i partner internazionali a “fare in modo che lo Stato di diritto prevalga sullo Stato della guerra e della violenza”, accusando l’autocrate russo per aver deciso la sospensione dell’applicazione del Trattato sulla riduzione delle armi nucleari (Start): “La Russia è una potenza nucleare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma continua a violarne i principi”. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si è soffermato su questo punto, esortando il Cremlino a “riconsiderare questa decisione”.
    Nella “guerra di logoramento e logistica” in Ucraina – per cui a Kiev “hanno bisogno che diamo loro tutto ciò che possa permettere loro di vincere”, ha ricordato Stoltenberg – cresce la preoccupazione per il ruolo di Pechino: “Temiamo che la Cina possa fornire armamenti leggeri alla Russia“, ha confessato il segretario generale della Nato. Ma l’alto rappresentante Ue ha cercato di frenare gli allarmismi: “Dobbiamo restare vigili, ma non ci sono prove” che il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, possa avergli mentito nel corso della conversazione telefonica in cui sono state fornite “rassicurazioni” a riguardo.
    I deliri di Putin sulla guerra in Ucraina
    Il discorso alla nazione di Vladimir Putin a Mosca, 21 febbraio 2023 (credits: Dmitry Astakhov / Sputnik /Afp)
    Il discorso alla nazione di Putin andato in scena questa mattina (21 febbraio) a Mosca era atteso per possibili annunci roboanti capaci di rendere ancora più instabile la situazione sul fronte di guerra. Le parole dell’autocrate russo sono invece sembrate molto meno minacciose di quelle pronunciate il 30 settembre dello scorso anno in occasione dell’annessione illegale delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il succo delle quasi due ore di discorso è una riproposizione della solita propaganda sul presunto neonazismo del governo ucraino che avrebbe minacciato i russofili del Donbass, condita con un pizzico di vittimismo per le “crude bugie” dell’Occidente, mentre Mosca sarebbe stata impegnata dal 2014 al “dialogo e vie pacifiche”.
    La visione di Putin è tutta uno strenuo arroccarsi su una finta posizione di auto-difesa, quando è l’esercito russo ad aver violato la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina. Quello che si può rilevare sul piano pratico per i prossimi mesi è un prosieguo della guerra, senza nessun tipo di apertura a negoziati di pace da parte di Mosca: “Più armi a lungo raggio arriveranno a Kiev, più lontano dovremo portare l’operazione speciale per la sicurezza dei nostri confini“, è la minaccia più dura di Putin. Il resto del discorso è una pseudo-analisi della situazione interna in Russia – la cui economia secondo l’autocrate non sarebbe ormai in ginocchio – e un attacco agli Stati Uniti per i “miliardi e miliardi di dollari all’Ucraina”. In nessun passaggio del discorso di Putin qualche indizio o atteggiamento che suggerisca la consapevolezza dell’autocrate russo di avere le spalle coperte da Pechino. È qui che si gioca davvero il futuro della guerra in Ucraina.

    Riuniti in un nuovo formato a tre, l’alto rappresentante Borrell, il segretario generale Stoltenberg e il ministro degli Esteri Kuleba hanno replicato alle accuse dell’autocrate russo sulle cause della guerra e sulle intenzioni dell’Occidente di invadere il Paese sfruttando Kiev

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    L’Ue saluta con favore la visita a sorpresa di Joe Biden a Kiev: “Chiara dimostrazione di unità transatlantica”

    Bruxelles – La visita non annunciata del presidente statunitense, Joe Biden, a Kiev ha colto di sorpresa anche i leader delle istituzioni comunitarie. Ma la reazione è completamente positiva: “È una chiara dimostrazione della nostra unità transatlantica e della nostra determinazione a continuare a sostenere l’Ucraina insieme“. La conferma arriva dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in conferenza stampa al termine del Consiglio Affari Esteri di oggi (20 febbraio).
    L’abbraccio tra il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Kiev il 20 febbraio 2023 (credits: Dimitar Dilkoff / Afp)
    Una visita a sorpresa che arriva a poco più di due settimane di distanza rispetto a quella del Collegio dei commissari e del vertice Ue-Ucraina con la trasferta congiunta della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Ue, Charles Michel. Quanto fatto da Biden oggi – nel completo silenzio e con l’avvertimento solo a Mosca per evitare qualsiasi rischio di incidente diplomatico e non solo – è stato definito dal leader ucraino, Volodymyr Zelensky, come “storico, tempestivo e coraggioso”, che ha portato i due presidenti a dialogare nuovamente (dopo la visita di Zelensky a Washington a fine dicembre) sul sostegno Usa per affrontare i prossimi mesi di guerra e sulla “pace giusta e durevole”. Come già successo a von der Leyen nel settembre dello scorso anno, anche il nome del presidente statunitense è stato inciso nella ‘Walk of the Brave’, la strada con i nomi dei valorosi che hanno combattuto al fianco di Kiev contro la Russia.
    Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Kiev (20 febbraio 2023)
    Come reso noto dallo stesso Biden in conferenza stampa post-incontro con Zelensky, gli Stati Uniti sono pronti a fornire mezzo miliardo di dollari di assistenza aggiuntiva al Paese invaso dal 24 febbraio dello scorso anno dall’esercito russo, e nel corso del colloquio è stata discussa la possibilità di inviare “armi a lungo raggio” a Kiev, oltre alle “attrezzature critiche, tra cui munizioni di artiglieria, sistemi anti-corazza e radar di sorveglianza aerea” già promesse. Nel corso di questa settimana – che marca il primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina – anche la Casa Bianca annuncerà un nuovo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, come si apprestano a fare anche le istituzioni Ue.
    “Putin ha lanciato la sua invasione quasi un anno fa, e pensava che l’Ucraina fosse debole e che l’Occidente fosse diviso, ma si sbagliava di grosso”, ha sottolineato Biden, con parole simili a quelle dell’alto rappresentante Borrell: “Quando Putin ha dichiarato guerra non si immaginava che un anno dopo lui e il suo esercito si sarebbero trovati in questa situazione“. Un riferimento non solo al fatto che “la Russia non ha alcuna chance di vincere la guerra” – come ribadito con forza dal presidente Zelensky a Kiev – ma anche perché “abbiamo costruito un’alleanza e unito le democrazie in tutto il mondo, circa 50 Paesi hanno aiutato l’Ucraina a difendersi”, ha messo in chiaro il leader statunitense.
    L’attesa per il decimo pacchetto di sanzioni Ue
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (20 febbraio 2023)
    Intanto a Bruxelles si attende solo il via libera dal Consiglio al decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. L’ok non è arrivato oggi dai 27 ministri degli Esteri, perché non c’è ancora l’unanimità, ha precisato l’alto rappresentante Borrell: “Siamo sulla strada dell’approvazione del decimo pacchetto di sanzioni e penso che arriverà nelle prossime ore o giorni, ma in ogni caso prima del 24 febbraio”, attraverso “procedura scritta”. Vanno limati ancora gli ultimi dettagli, dal momento in cui “c’è forte supporto per il pacchetto”, ma si devono “superare gli ostacoli che rimangono” entro il primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina: “È l’impegno dei 27 ministri” degli Esteri, ha puntualizzato Borrell.
    Come già rimarcato presentando la proposta di sanzioni con la presidente von der Leyen mercoledì scorso (15 febbraio), l’alto rappresentante Ue ha messo in chiaro che “ci sono tre parametri per monitorare le conseguenze delle sanzioni Ue sull’economia russa e sulla capacità di finanziare la guerra in Ucraina”, ovvero deficit pubblico, deficit commerciale ed entrate derivanti dai combustibili fossili, che “a gennaio 2023 erano la metà rispetto a gennaio 2022”. In un anno di guerra l’Ue “si è liberata dalla dipendenza dagli idrocarburi russi e i prezzi dell’energia stanno scendendo”, con Mosca che “sta vendendo il suo petrolio a 40 dollari al barile”, circa la metà del prezzo di mercato.

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha commentato la trasferta segreta del presidente statunitense nella capitale per confrontare con il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, rimarcando la “nostra determinazione a continuare a sostenere l’Ucraina insieme”