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    Bruxelles avverte la Georgia sull’allineamento alle sanzioni internazionali sul transito aereo dalla Russia

    Bruxelles – Un richiamo a rispettare i principi e doveri della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue per i Paesi che aspirano ad aderire all’Unione, un’esortazione a chiudere le porte a qualsiasi forma di elusione delle sanzioni internazionali e a mezzi “ormai non a norma di sicurezza”. Da Bruxelles arrivano pressanti richieste alla Georgia, Paese aspirante candidato all’adesione Ue dal 4 marzo 2022, ad allinearsi al regime di misure restrittive contro la Russia anche sul livello dell’aviazione civile, in risposta alla decisione di Mosca di eliminare il divieto di volo verso la Georgia.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi del 7 marzo 2023
    L’appello è arrivato oggi (11 maggio) dal portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle domande della stampa a proposito della notizia sulla decisione delle autorità russe di togliere il divieto tra i due Paesi. “Ne prendiamo atto”, ha commentato seccamente il portavoce, approfittando però dell’occasione per richiamare all’ordine i partner georgiani sullo stesso tema, ma da un’angolatura differente: “Dobbiamo ricordare che a causa delle guerra illegale di aggressione della Russia in Ucraina, l’Ue e i partner internazionali hanno introdotto sanzioni contro il settore dell’aviazione russa e non permettiamo voli da, per e sulla Russia“. La questione non riguarda solo i Ventisette, ma anche e soprattutto i Paesi candidati all’adesione Ue (come la Serbia, unico Paese europeo che autorizza la sua compagnia di bandiera Air Serbia a volare sulle città russe) e aspiranti tali: “L’Ue incoraggia la Georgia ad allinearsi alle sanzioni esistenti contro la Russia, bisogna rimanere vigili rispetto a qualsiasi possibile tentativo di aggirarle“, ha incalzato Stano.
    C’è poi anche una questione di sicurezza che si solleva sul sorvolo di velivoli russi nei cieli dei Paesi partner dell’Unione. Come evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) esistono “significativi rischi” che un Paese come la Georgia potrebbe correre se autorizzasse “mezzi ormai non a norma di sicurezza”. È qui che si inserisce la questione più volte rimarcata dalla Commissione Europea sull’impatto delle sanzioni internazionali sull’economia e l’industria di Mosca: “La Russia non è in grado di aggiornare il 95 per cento dei mezzi della propria flotta aerea“. O, in altre parole, il Paese non riesce a “mantere il livello sufficiente di standard di sicurezza” nel settore dell’aviazione civile.
    La situazione politica in Georgia
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). L’ultima notizia è il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per le politiche contestate da tutta l’Unione e per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest).
    Due mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente del Paese, Salomé Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti. Nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. Ecco perché anche la questione dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia nel settore dell’aviazione civile da parte di Tbilisi viene considerato essenziale da Bruxelles per tagliare ogni rapporto equivoco con il Cremlino e per proseguire con decisione sulla strada della candidatura per l’adesione all’Unione Europea.

    In qualità di Paese che aspira a diventare candidato all’adesione all’Unione, Tbilisi è chiamata a impedire “qualunque tentativo di elusione” anche nel settore dell’aeronautica civile. A causa delle misure restrittive Mosca non è in grado di aggiornare “il 95% della propria flotta”

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    Tre pilastri per un unico obiettivo nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia: evitarne l’elusione da Paesi terzi

    Bruxelles – Se i portavoce della Commissione Europea solo ieri (8 maggio) preferivano non sbilanciarsi troppo sul contenuto dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, oggi si capisce il perché. A fornire i primi dettagli della proposta dell’esecutivo comunitario che sono ora sul tavolo del Consiglio dell’Ue è stata la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita al numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky, a Kiev nella Giornata dell’Europa. “Permettetemi di approfondire brevemente tre elementi di questo pacchetto”, ha annunciato in conferenza stampa von der Leyen, parlando per la prima volta apertamente della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca a oltre due mesi dall’ultimo pacchetto.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Dopo un mese di lavori “venerdì scorso [5 maggio, ndr] la Commissione ha adottato la sua proposta per l’undicesimo pacchetto di sanzioni”, ha ricordato von der Leyen. Come accennato dai portavoce durante il punto quotidiano con la stampa di 24 ore fa, “questo pacchetto si concentra ora sulla repressione dell’elusione” delle misure restrittive già in vigore, con uno “stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, in particolare con il G7”, è quanto puntualizzato dalla leader dell’esecutivo Ue. Sanzioni che, sempre secondo le parole di von der Leyen, “stanno funzionando”, come dimostrato dalle stime che ciclicamente la Commissione tende a ricordare: “Abbiamo ridotto le nostre importazioni dalla Russia di quasi due terzi, privandola così di flussi di reddito cruciali”, ha precisato al fianco del presidente ucraino Zelensky. Dopo dieci tornate “abbiamo già imposto un prezzo pesante al Cremlino” per la sua invasione dell’Ucraina e Bruxelles continuerà a “fare tutto ciò che è in nostro potere per erodere la macchina da guerra di Putin e le sue entrate”.
    È per questo motivo che, prima di andare a colpire nuovi settori dell’economia russa, secondo il gabinetto von der Leyen è necessario azzerare le entrate che ancora sono possibili grazie all’aggiramento delle misure restrittive attraverso Paesi terzi. Per farlo la Commissione ha deciso di fondare la propria strategia su tre fondamenta. “In primo luogo stiamo affinando i nostri strumenti esistenti, con altri prodotti al nostro divieto di transito“, ha spiegato von der Leyen: “Prodotti tecnologici avanzati o parti di aeromobili destinati a Paesi terzi attraverso la Russia non finiranno più nelle mani del Cremlino”. Sarà poi messo in campo un lavoro di contrasto alle “entità ‘ombra’ della Russia e dei Paesi terzi che aggirano intenzionalmente le nostre sanzioni”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Ma è soprattutto la terza parte della strategia a interessare l’opinione pubblica e la diplomazia di tutto il mondo, con reazioni minacciose che arrivano anche dalla Cina. “Di recente abbiamo assistito a una crescita di flussi commerciali molto insoliti tra l’Unione Europea e alcuni Paesi terzi, queste merci finiscono poi in Russia“, è il duro avvertimento di von der Leyen. Per Bruxelles è arrivato il tempo di mettere fine a un commercio quasi di contrabbando e con questa intenzione “stiamo proponendo un nuovo strumento per combattere l’elusione delle sanzioni”. Cosa significa, lo spiega la stessa presidente della Commissione Ue: “Se ci accorgiamo che le merci passano dall’Unione Europea a Paesi terzi e poi finiscono in Russia, potremmo proporre agli Stati membri di sanzionare l’esportazione di queste merci“. Si tratterà comunque di una “risorsa ultima, da usare con cautela”, a seguito di una “analisi dei rischi molto accurata e dopo l’approvazione degli Stati membri dell’Ue”.

    We are proposing an 11th package of sanctions:
    The focus is now on cracking down on circumvention, together with our international partners.
    We are:
    1 – Sharpening our existing tools, adding more products to our transit ban.
    2 – Proposing a new tool to combat sanctions… pic.twitter.com/kWIiQnTBfb
    — European Commission (@EU_Commission) May 9, 2023

    Cosa non c’è nell’undicesimo pacchetto di sanzioni
    Nel discorso di von der Leyen c’è però un grande assente: il nucleare russo. “È un lavoro duro, ma alcuni Paesi membri stanno facendo progressi e potete contare che continueremo a spingere in questo senso“, ha voluto specificare la presidente dell’esecutivo comunitario, rispondendo a una domanda specifica sulla presenza o meno del settore nucleare del Cremlino nel nuovo pacchetto di misure restrittive. Gli umori dei 27 governi sono stati testati dalla Commissione attraverso i cosiddetti ‘confessionali’, colloqui riservati tra l’esecutivo comunitario e ciascun ambasciatore presso l’Ue dei 27 Stati membri per raccogliere considerazioni senza filtri da parte dei governi prima di presentare la proposta di sanzioni. Quanto emerge dalle parole di von der Leyen a Kiev è che l’unità ancora non c’è su questo punto e difficilmente si assisterà a un colpo di scena dell’ultimo momento. Secondo quanto confermano fonti europee, la prima discussione tra gli ambasciatori è in programma domani (10 maggio) al Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper), a cui ne seguirà una seconda venerdì.
    È proprio il presidente ucraino Zelensky a chiedere insistentemente da tempo a Bruxelles di inserire l’industria nucleare russa nelle misure restrittive internazionali, come evidenziato anche nella prima storica visita di persona a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. Nel mirino in particolare c’è Rosatom, il colosso di Stato fondato nel 2007 che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi nucleari del Cremlino e che nell’ultimo anno di invasione dell’Ucraina è diventato anche gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia. Le resistenze di parte dei Ventisette alle intenzioni di Bruxelles e Berlino derivano soprattutto dal fatto che l’Unione dipende dalla Russia per le importazioni di uranio, componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato nell’Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger. “Stiamo lavorando molto intensamente con i nostri Stati membri per diversificare ed essere indipendenti”, è l’ultima promessa di von der Leyen al presidente Zelensky. Con vista già a un possibile dodicesimo pacchetto di sanzioni.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fornito qualche dettaglio sulle nuove misure restrittive. Divieto di transito di prodotti tecnologici avanzati, contrasto alle entità ‘ombra’ e nuovo strumento per sanzionare l’esportazione di merci che finiscono a Mosca

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    La nuova iniziativa di quattro Paesi dei Balcani Occidentali per l’allineamento completo alla politica estera dell’Ue

    Bruxelles – I Balcani Occidentali spingono per l’allineamento alla politica estera dell’Ue, per avvicinarsi ancora di più all’adesione all’Unione. Non tutti, perché la questione è molto delicata per Serbia e Bosnia ed Erzegovina, toccando direttamente il tema delle sanzioni internazionali contro la Russia. Ma gli altri quattro – Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro – hanno già fatto tutti i compiti a casa da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina e vedono nel rispetto totale delle misure restrittive dell’Ue uno dei punti di forza nel proprio percorso di avvicinamento all’ingresso nell’Unione.
    Ecco perché da ieri (29 marzo) è nata una nuova iniziativa politica, la Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy, con l’obiettivo di coordinare le politiche e le migliori pratiche dei quattro Paesi dei Balcani Occidentali. “Dopo l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, l’allineamento alla Pesc [Politica estera e di sicurezza comune, ndr], ma ancor più in generale alle posizioni e ai valori del mondo democratico, si è trasformato in una delle priorità più importanti dei Paesi che aspirano all’adesione all’Ue, un chiaro messaggio di dove questi Paesi appartengono“, si legge nella dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro.
    Un’iniziativa nei Balcani Occidentali che nasce e si svilupperà “alla luce della nuova realtà geopolitica, delle minacce ibride, della crisi energetica e delle conseguenze economiche” causate dalla guerra russa, per cui l’Ue ha già deciso di stanziare un pacchetto complessivo da un miliardo di euro. I Paesi del Western Balkan Quad – un forum informale che affianca le già esistenti Open Balkan (zona economica e politica tra Albania, Macedonia del Nord e Serbia) e il Processo di Berlino (iniziativa diplomatica per l’allargamento Ue nella regione) – baseranno il proprio confronto sul fatto che “individualmente abbiamo dimostrato di essere partner affidabili della Nato e dell’Ue“, non solo con l’allineamento sulle sanzioni, ma anche attraverso “una specifica assistenza umanitaria e di altro tipo all’Ucraina”. Da qui ne scaturirà uno scambio “sugli attuali sviluppi regionali e internazionali, il processo di attuazione e applicazione delle politiche, dei regolamenti e degli standard dell’Ue”.
    Non si può non notare l’assenza di due attori centrali per i rapporti dell’Ue con i Balcani Occidentali: Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la Serbia ha sempre cercato di mantenere una – quasi insostenibile – politica di non-allineamento, per non perdere da una parte il più influente partner commerciale e politico (l’Unione Europea, tra cui in particolare l’Italia riveste un ruolo chiave) e dall’altra il punto di riferimento privilegiato per la propria retorica nazionalista (la Russia). Questo riguarda anche le sanzioni internazionali contro la Russia, che Belgrado si è sempre rifiutata di adottare, e una serie di mosse politico-economiche al limite dello scontro diplomatico con Bruxelles. Più complessa la situazione in Bosnia ed Erzegovina, dove lo scenario politico è in costante stallo per le posizione manifestamente filo-russe della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba del Paese: qualsiasi tentativo a Sarajevo di far passare politiche restrittive contro Mosca sono state bloccate dalla componente serba della presidenza tripartita e del Parlamento bicamerale.
    A che punto sono i sei Paesi dei Balcani Occidentali nel percorso verso l’Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente deve essere implementato un delicatissimo accordo di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Si chiama “Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy” e riunisce Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro, ovvero i partner più allineati agli standard di Bruxelles per l’adesione all’Unione. In particolare per le sanzioni internazionali contro la Russia

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    Ue, Nato e Ucraina rispondono al discorso alla nazione di Putin: “Prepara nuova offensiva, ma nessuno attacca Russia”

    Bruxelles – La risposta è netta, come da copione. “Non vediamo nessun segnale di apertura di Putin alla pace, oggi ha dimostrato che si prepara solo a una nuova offensiva con un ammassamento di truppe al confine e rivolgendosi a Corea del Nord e Iran”, è l’attacco del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in un punto stampa con il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una controffensiva verbale alle quasi due ore di discorso alla nazione da parte dell’autocrate russo, Vladimir Putin, in cui ha rimarcato la sua visione delle cause e delle motivazioni di un anno di guerra in Ucraina (che ovviamente per il Cremlino rimane sempre “un’operazione militare speciale”).
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 febbraio)
    Per la prima volta riuniti in un formato a tre Ue-Nato-Ucraina, a Bruxelles Borrell, Stoltenberg e Kuleba hanno discusso di fornitura e produzione di armi a sostegno della difesa armata di Kiev. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata principalmente sulla reazione alle accuse di Putin sul fantomatico progetto dell’Occidente (da leggere come Stati Uniti) di invadere la Russia sfruttando l’assist della guerra in Ucraina. “Un anno fa è iniziata la sua guerra a un vicino pacifico, ma è chiaro che nessuno sta attaccando la Russia, è l’Ucraina la vittima“, ha incalzato Stoltenberg, rifacendosi al passaggio in cui l’autocrate russo ha parlato di “pericolo esistenziale” per il Paese.
    Chi affronta davvero un pericolo esistenziale è piuttosto l’Ucraina, da un anno sotto le bombe del Cremlino. “La situazione è dura, con bombardamenti sui civili”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, rimarcando con forza che Putin “non sta certo andando nella direzione di un cessate il fuoco che stiamo chiedendo da tempo“. Riprendendo le parole di ieri (20 febbraio) a proposito della visita a sorpresa a Kiev del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, Borrell ha esortato i partner internazionali a “fare in modo che lo Stato di diritto prevalga sullo Stato della guerra e della violenza”, accusando l’autocrate russo per aver deciso la sospensione dell’applicazione del Trattato sulla riduzione delle armi nucleari (Start): “La Russia è una potenza nucleare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma continua a violarne i principi”. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si è soffermato su questo punto, esortando il Cremlino a “riconsiderare questa decisione”.
    Nella “guerra di logoramento e logistica” in Ucraina – per cui a Kiev “hanno bisogno che diamo loro tutto ciò che possa permettere loro di vincere”, ha ricordato Stoltenberg – cresce la preoccupazione per il ruolo di Pechino: “Temiamo che la Cina possa fornire armamenti leggeri alla Russia“, ha confessato il segretario generale della Nato. Ma l’alto rappresentante Ue ha cercato di frenare gli allarmismi: “Dobbiamo restare vigili, ma non ci sono prove” che il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, possa avergli mentito nel corso della conversazione telefonica in cui sono state fornite “rassicurazioni” a riguardo.
    I deliri di Putin sulla guerra in Ucraina
    Il discorso alla nazione di Vladimir Putin a Mosca, 21 febbraio 2023 (credits: Dmitry Astakhov / Sputnik /Afp)
    Il discorso alla nazione di Putin andato in scena questa mattina (21 febbraio) a Mosca era atteso per possibili annunci roboanti capaci di rendere ancora più instabile la situazione sul fronte di guerra. Le parole dell’autocrate russo sono invece sembrate molto meno minacciose di quelle pronunciate il 30 settembre dello scorso anno in occasione dell’annessione illegale delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il succo delle quasi due ore di discorso è una riproposizione della solita propaganda sul presunto neonazismo del governo ucraino che avrebbe minacciato i russofili del Donbass, condita con un pizzico di vittimismo per le “crude bugie” dell’Occidente, mentre Mosca sarebbe stata impegnata dal 2014 al “dialogo e vie pacifiche”.
    La visione di Putin è tutta uno strenuo arroccarsi su una finta posizione di auto-difesa, quando è l’esercito russo ad aver violato la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina. Quello che si può rilevare sul piano pratico per i prossimi mesi è un prosieguo della guerra, senza nessun tipo di apertura a negoziati di pace da parte di Mosca: “Più armi a lungo raggio arriveranno a Kiev, più lontano dovremo portare l’operazione speciale per la sicurezza dei nostri confini“, è la minaccia più dura di Putin. Il resto del discorso è una pseudo-analisi della situazione interna in Russia – la cui economia secondo l’autocrate non sarebbe ormai in ginocchio – e un attacco agli Stati Uniti per i “miliardi e miliardi di dollari all’Ucraina”. In nessun passaggio del discorso di Putin qualche indizio o atteggiamento che suggerisca la consapevolezza dell’autocrate russo di avere le spalle coperte da Pechino. È qui che si gioca davvero il futuro della guerra in Ucraina.

    Riuniti in un nuovo formato a tre, l’alto rappresentante Borrell, il segretario generale Stoltenberg e il ministro degli Esteri Kuleba hanno replicato alle accuse dell’autocrate russo sulle cause della guerra e sulle intenzioni dell’Occidente di invadere il Paese sfruttando Kiev

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    L’Ue saluta con favore la visita a sorpresa di Joe Biden a Kiev: “Chiara dimostrazione di unità transatlantica”

    Bruxelles – La visita non annunciata del presidente statunitense, Joe Biden, a Kiev ha colto di sorpresa anche i leader delle istituzioni comunitarie. Ma la reazione è completamente positiva: “È una chiara dimostrazione della nostra unità transatlantica e della nostra determinazione a continuare a sostenere l’Ucraina insieme“. La conferma arriva dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in conferenza stampa al termine del Consiglio Affari Esteri di oggi (20 febbraio).
    L’abbraccio tra il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Kiev il 20 febbraio 2023 (credits: Dimitar Dilkoff / Afp)
    Una visita a sorpresa che arriva a poco più di due settimane di distanza rispetto a quella del Collegio dei commissari e del vertice Ue-Ucraina con la trasferta congiunta della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Ue, Charles Michel. Quanto fatto da Biden oggi – nel completo silenzio e con l’avvertimento solo a Mosca per evitare qualsiasi rischio di incidente diplomatico e non solo – è stato definito dal leader ucraino, Volodymyr Zelensky, come “storico, tempestivo e coraggioso”, che ha portato i due presidenti a dialogare nuovamente (dopo la visita di Zelensky a Washington a fine dicembre) sul sostegno Usa per affrontare i prossimi mesi di guerra e sulla “pace giusta e durevole”. Come già successo a von der Leyen nel settembre dello scorso anno, anche il nome del presidente statunitense è stato inciso nella ‘Walk of the Brave’, la strada con i nomi dei valorosi che hanno combattuto al fianco di Kiev contro la Russia.
    Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Kiev (20 febbraio 2023)
    Come reso noto dallo stesso Biden in conferenza stampa post-incontro con Zelensky, gli Stati Uniti sono pronti a fornire mezzo miliardo di dollari di assistenza aggiuntiva al Paese invaso dal 24 febbraio dello scorso anno dall’esercito russo, e nel corso del colloquio è stata discussa la possibilità di inviare “armi a lungo raggio” a Kiev, oltre alle “attrezzature critiche, tra cui munizioni di artiglieria, sistemi anti-corazza e radar di sorveglianza aerea” già promesse. Nel corso di questa settimana – che marca il primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina – anche la Casa Bianca annuncerà un nuovo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, come si apprestano a fare anche le istituzioni Ue.
    “Putin ha lanciato la sua invasione quasi un anno fa, e pensava che l’Ucraina fosse debole e che l’Occidente fosse diviso, ma si sbagliava di grosso”, ha sottolineato Biden, con parole simili a quelle dell’alto rappresentante Borrell: “Quando Putin ha dichiarato guerra non si immaginava che un anno dopo lui e il suo esercito si sarebbero trovati in questa situazione“. Un riferimento non solo al fatto che “la Russia non ha alcuna chance di vincere la guerra” – come ribadito con forza dal presidente Zelensky a Kiev – ma anche perché “abbiamo costruito un’alleanza e unito le democrazie in tutto il mondo, circa 50 Paesi hanno aiutato l’Ucraina a difendersi”, ha messo in chiaro il leader statunitense.
    L’attesa per il decimo pacchetto di sanzioni Ue
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (20 febbraio 2023)
    Intanto a Bruxelles si attende solo il via libera dal Consiglio al decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. L’ok non è arrivato oggi dai 27 ministri degli Esteri, perché non c’è ancora l’unanimità, ha precisato l’alto rappresentante Borrell: “Siamo sulla strada dell’approvazione del decimo pacchetto di sanzioni e penso che arriverà nelle prossime ore o giorni, ma in ogni caso prima del 24 febbraio”, attraverso “procedura scritta”. Vanno limati ancora gli ultimi dettagli, dal momento in cui “c’è forte supporto per il pacchetto”, ma si devono “superare gli ostacoli che rimangono” entro il primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina: “È l’impegno dei 27 ministri” degli Esteri, ha puntualizzato Borrell.
    Come già rimarcato presentando la proposta di sanzioni con la presidente von der Leyen mercoledì scorso (15 febbraio), l’alto rappresentante Ue ha messo in chiaro che “ci sono tre parametri per monitorare le conseguenze delle sanzioni Ue sull’economia russa e sulla capacità di finanziare la guerra in Ucraina”, ovvero deficit pubblico, deficit commerciale ed entrate derivanti dai combustibili fossili, che “a gennaio 2023 erano la metà rispetto a gennaio 2022”. In un anno di guerra l’Ue “si è liberata dalla dipendenza dagli idrocarburi russi e i prezzi dell’energia stanno scendendo”, con Mosca che “sta vendendo il suo petrolio a 40 dollari al barile”, circa la metà del prezzo di mercato.

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha commentato la trasferta segreta del presidente statunitense nella capitale per confrontare con il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, rimarcando la “nostra determinazione a continuare a sostenere l’Ucraina insieme”

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    Per il Parlamento Ue “non c’è più differenza tra Russia e Bielorussia”, dai prigionieri politici alla guerra in Ucraina

    Bruxelles – A un giorno dall’annuncio del decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, dall’emiciclo del Parlamento Europeo di Strasburgo si alzano voci che mettono in guardia su una falla nelle misure restrittive: “Ormai non c’è più differenza tra Russia e Bielorussia, ma il regime di Lukashenko non è stato nemmeno citato”. In un dibattito sulla situazione dei prigionieri politici a Minsk, gli eurodeputati hanno ribadito la richiesta alla Commissione di adeguare il regime di sanzioni contro la Bielorussia di Lukashenko a quello applicato alla Russia di Putin, non solo per il trattamento della dissidenza interna, ma soprattutto per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata dell’Ucraina.
    “Stiamo facendo abbastanza?”, si è chiesto il socialdemocratico olandese Thijs Reuten, incalzando l’esecutivo comunitario a “sottoporre il burattino di Putin alle stesse sanzioni” previste dalla nuova tornata presentata ieri (15 febbraio) dalla presidente Ursula von der Leyen proprio in sessione plenaria dell’Eurocamera. “L’isolamento deve riguardare entrambi i Paesi”, gli ha fatto eco l’eurodeputata lettone del Ppe Sandra Kalinete, ribandendo una richiesta che i membri del Parlamento Ue rivolgono alla Commissione dal maggio dello scorso anno. A nome dell’esecutivo comunitario, il titolare per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha confermato agli eurodeputati che il gabinetto von der Leyen è impegno in questo obiettivo e che “presto saranno imposte altre sanzioni nel contesto della guerra“. È da almeno un mese che i servizi della Commissione stanno lavorando su una nuova tornata di misure restrittive contro il regime di Lukasehnko, considerate le anticipazioni della stessa presidente von der Leyen durante la conferenza stampa di presentazione della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato dello scorso 10 gennaio.
    Sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina le istituzioni comunitarie hanno riconosciuto il ruolo della Bielorussia come supporto al Cremlino per gli attacchi da nord e, proprio per questa ragione, hanno incluso decine di esponenti del regime di Lukasehnko e hanno rinvigorito l’embargo supotassio, acciaio, combustibili e trasporti bielorussi. L’azione di Minsk ha permesso alle truppe e alle armi russe di muoversi attraverso il suo territorio, di utilizzare il suo spazio aereo, di rifornirsi di carburante e di immagazzinare munizioni militari, e da mesi ci si aspetta che le truppe bielorusse partecipino attivamente alla guerra. Ma è stata cruciale anche la decisione di abbandonare lo status di Paese non-nucleare, attraverso un referendum-farsa a quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle misure restrittive dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – anche per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020.
    I prigionieri politici in Bielorussia
    È proprio per questo secondo aspetto – quello delle violazioni dei diritti umani e la repressione della dissidenza interna – che gli eurodeputati vogliono dalla Commissione ancora più decisione nel sanzionare la Bielorussia di Lukashenko. “I bielorussi sono diversi dal regime, credono in un altro Stato“, ha sottolineato l’eurodeputata tedesca del gruppo dei Verdi/Ale Viola von Cramon-Taubadel: “Ogni dittatore raccoglie quello che ha seminato, sia Putin sia Lukasehnko devono rispondere delle loro azioni”. Sono ormai “oltre 1.450 i prigionieri politici” che sono finiti in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e per le richieste di democrazia nel Paese, ha ricordato il commissario Lenarčič, avvertendo che “il numero aumenta ogni giorno“.
    (credits: John Thys / Afp)
    A proposito della situazione degli oppositori nelle carceri bielorusse, nel mese di gennaio sono state presentate nuove accuse penali contro Siarhei Tsikhanouski, marito della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e condannato a 18 anni di reclusione poco più di un anno fa. Sempre a gennaio è iniziato anche il processo per Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste: rischia dai 7 ai 12 anni di carcere, “la sentenza è imminente”, ha avvertito Lenarčič. Preoccupano anche le condizioni di salute di Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie.
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente hanno dato il via libera agli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge che sembra tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio. “Vogliamo un meccanismo di responsabilità presso l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani” sulle violazioni dei diritti umani in Bielorussia, è quanto spiegato con forza dal commissario Lenarčič alla plenaria del Parlamento Ue, ricordando anche che Bruxelles sta “sostenendo sul piano finanziario una piattaforma di responsabilità che raccoglie prove per perseguire i responsabili” nella cerchia del regime di Lukasehnko.

    Di fronte al trattamento della dissidenza e alla partecipazione nella guerra contro Kiev, gli eurodeputati hanno rinnovato la richiesta alla Commissione di allineare le sanzioni contro Kiev a quelle adottate contro Mosca: “Ogni dittatore raccoglie quello che ha seminato”

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    Il decimo pacchetto di sanzioni Ue contro le armi russe e il supporto dell’Iran: “Putin ha già perso la guerra economica”

    Bruxelles – Le sanzioni economiche sono come l’arsenico, “applicano lentamente i loro effetti, ma in modo irreversibile”. La similitudine dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sull’impatto delle misure restrittive sull’economia della Russia sono un assaggio delle intenzioni dell’Unione a proposito del decimo pacchetto in arrivo, in corrispondenza del primo anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. “Per mantenere questa forte pressione sulla Russia, proponiamo un decimo pacchetto di sanzioni, che ha un valore complessivo di 11 miliardi di euro“, è l’annuncio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di fronte all’emiciclo del Parlamento Ue a Strasburgo.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (15 febbraio 2023)
    Intervenendo alla sessione plenaria dell’Eurocamera nel dibattito sul primo anno di guerra russa in Ucraina, la numero uno della Commissione ha anticipato i punti principali del pacchetto – come promesso al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al Consiglio Ue straordinario giovedì scorso (9 febbraio) – che prenderanno di mira non solo Mosca, ma anche Teheran. “Con nove pacchetti di sanzioni in vigore, l’economia russa sta arretrando”, ha sottolineato von der Leyen, ma è necessario fare di più: “Proponiamo nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia” e “restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri”, ma anche “tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia”.
    Proprio qui si inserisce la questione del supporto dell’Iran alla guerra russa in Ucraina, che prosegue da ottobre nonostante le misure restrittive di Bruxelles: “Ci sono centinaia di droni di fabbricazione iraniana utilizzati dalla Russia sui campi di battaglia, che uccidono i civili ucraini“, ha attaccato la presidente von der Leyen. Ecco perché “per la prima volta proponiamo di sanzionare anche le entità iraniane” all’interno delle tornate di misure restrittive contro Mosca sulle tecnologie a duplice uso. Ma sono soprattutto i destinatari a fare notizia: tra le entità iraniane che saranno sanzionate “per la fornitura di droni e il trasferimento di know-how per costruire siti di produzione” sul territorio russo, sono “comprese quelle legate alla Guardia rivoluzionaria iraniana“, in linea con la direzione tracciata dai 27 ministri Ue degli Esteri.
    A tutto ciò si aggiungono ulteriori sanzioni alla propaganda russa. “Putin sta portando guerra anche nello spazio pubblico con propaganda, disinformazione e bugie tossiche”, e per questo motivo saranno colpiti “sia i propagandisti di Putin, sia comandanti militari”, ha promesso von der Leyen, con l’alto rappresentante Borrell a rincarare la dose su “tutti coloro responsabili di rapimenti, adozioni forzate e violazioni dei diritti umani”. Un ultimo punto riguarda la prevenzione dell’aggiramento delle misure restrittive: “La prossima settimana organizzeremo un forum internazionale sulle sanzioni“, ha annunciato in una dichiarazione la presidente della Commissione Ue, chiedendo ai Ventisette di “adottare rapidamente il pacchetto”, entro la data simbolica del 24 febbraio.
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    L’efficacia delle sanzioni Ue contro la Russia
    Sia von der Leyen sia Borrell hanno rivendicato l’efficacia delle sanzioni economiche per mettere in ginocchio l’economia e la macchina bellica russa, nonostante l’apparente aumento delle entrate del Cremlino nel 2022: “È stato determinato da un rialzo quasi isterico dei prezzi del petrolio e del gas e noi eravamo dipendenti dalle fonti russe”, ha ricordato Borrell, ma mettendo in chiaro che “le cose sono cambiate con il tetto al pezzo del petrolio e la straordinaria indipendenza energetica”. L’alto rappresentante Ue ha risposto con fermezza a chi pensava che le sanzioni avrebbero avuto un impatto immediato: “Funzionano lentamente, ma erodendo la base commerciale, industriale, economica ed energetica” russa, e lo dimostrano le conseguenze sul medio/lungo periodo. Per il Cremlino “sarà quasi impossibile trovare acquirenti alternativi” all’Europa, dal momento in cui “per il gas la Cina è troppo lontana, mentre il petrolio lo vendono a 40 dollari al barile, la metà del Brent, e Pechino può comprarlo a un prezzo stracciato”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (15 febbraio 2023)
    Ecco perché a Strasburgo i vertici delle istituzioni comunitarie sostengono che “Putin ha già perso la battaglia economica ed energetica“, come sostenuto dalla stessa presidente della Commissione Ue: “Il tentativo di Putin di ricattare l’Europa con l’energia è stato un vero e proprio fallimento”. Se alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina l’autocrate russo “pensava che il nostro sostegno a Kiev non sarebbe durato, pensava che sarebbe stato facile tenere l’Europa in ostaggio, data la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas russo“, nel corso dell’anno in cui la guerra è tornata sul continente europeo “grazie all’unità e a una politica energetica intelligente, abbiamo resistito alle pressioni russe e ci siamo liberati dalla nostra dipendenza energetica”. Mentre “il Cremlino è costretto a vendere riserve d’oro per colmare i vuoti lasciati dalla mancanza di entrate petrolifere” – con il tetto del prezzo che “fa sì che la Russia perda ogni giorno 160 milioni di euro di entrate” e le “le entrate della Russia derivanti dalle vendite di gas all’Europa si sono ridotte di due terzi” – l’Unione sta “battendo un record dopo l’altro” nello sviluppo delle energie rinnovabili: “L’anno scorso, per la prima volta, abbiamo generato più elettricità dall’eolico e dal solare che dal gas“, ha rivendicato von der Leyen.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, annuncia la nuova tornata di misure restrittive da 11 miliardi di euro, che colpirà le esportazioni di tecnologia verso Mosca e la Guardia rivoluzionaria iraniana per la fornitura di droni al Cremlino: “Fallito il ricatto energetico all’Europa”

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    Sono in arrivo nuove sanzioni Ue contro la Bielorussia per il supporto alla guerra russa in Ucraina

    Bruxelles – L’annuncio è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. “Presenteremo una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia per rispondere al suo ruolo nella guerra russa in Ucraina”, è la secca anticipazione nell’intervento della leader dell’esecutivo comunitario durante la conferenza stampa di presentazione della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato di oggi (10 gennaio).
    Da sinistra: Alexander Lukashenko e Vladimir Putin
    Parlando di “tutto ciò che è in nostro potere per supportare il coraggioso popolo ucraino”, per la numero uno della Commissione è cruciale non solo “mantenere la pressione sul Cremlino per tutto il tempo necessario con un duro regime di sanzioni”, ma anche “estendere queste sanzioni contro chi sostiene militarmente la guerra russa“, ha promesso von der Leyen.
    Nei fatti è una risposta a distanza di (molti) mesi alle richieste degli eurodeputati per un adeguamento delle misure restrittive contro il regime di Alexander Lukashenko a quelle già applicate contro Mosca, che sono già arrivate a nove pacchetti di sanzioni. Oltre alla Bielorussia, tra i Paesi terzi che sostegno attivamente la Russia nella sua invasione dell’Ucraina c’è anche l’Iran, ha precisato la stessa von der Leyen. Non è esplicito l’arrivo di nuove sanzioni per Teheran – come lo è stato invece per Minsk – ma il riferimento lascia comunque intendere che nel prossimo futuro a Bruxelles si potrebbe andare nella stessa direzione anche per contro l’Iran.

    “The EU will keep supporting the Ukrainian people and pressing against Russia’s imperial war.
    We will extend sanctions to those who militarily support Russia’s war, such as Belarus and Iran.”
    — President @vonderleyen #StandWithUkraine pic.twitter.com/uxWiHjkNfD
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) January 10, 2023

    Le sanzioni a Bielorussia e Iran
    Le istituzioni comunitarie hanno riconosciuto sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina il ruolo della Bielorussia come supporto per gli attacchi russi da nord e, proprio per questa ragione, hanno incluso decine di esponenti del regime di Lukasehnko e hanno rinvigorito l’embargo supotassio, acciaio, combustibili e trasporti bielorussi. L’azione della Bielorussia ha permesso alle truppe e alle armi russe di muoversi attraverso il suo territorio, di utilizzare il suo spazio aereo, di rifornirsi di carburante e di immagazzinare munizioni militari, ma è stata cruciale anche la decisione di abbandonare lo status di Paese non-nucleare, attraverso un referendum-farsa. Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle misure restrittive dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – anche per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020.
    Da sinistra: l’ayatollah Ali Khamenei e Vladimir Putin (credits: Alexandr Demyanchuk / SPUTNIK / AFP)
    Rimane alta l’attenzione delle istituzioni comunitarie anche sul supporto dell’Iran all’aggressione armata russa dell’Ucraina. Da ottobre la Repubblica Islamica invia droni kamikaze, armi e addestratori in Crimea, per rendere più efficaci i bombardamenti del Cremlino sulle città e le infrastrutture civili ucraine, macchiandosi di corresponsabilità negli attacchi con droni Shahed 136 a guida Gps che possono volare per oltre duemila chilometri. Tra il 20 ottobre e il 12 dicembre dello scorso anno sette individui e cinque entità sono stati inseriti per questo motivo nella lista delle misure restrittive dell’Unione, tra cui il capo di Stato maggiore delle forze armate e il capo del comando Uav della forza aerospaziale del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. A questo si aggiungono 60 individui e 8 entità tra il 17 ottobre e il 15 dicembre per la repressione delle proteste interne e le sentenze di pena di morte pronunciate ed eseguite contro i manifestanti pacifici che chiedono un rinnovamento del regime teocratico.

    Lo ha anticipato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, parlando di “tutto ciò che è in nostro potere per supportare il coraggioso popolo ucraino”. Bruxelles punta il dito anche contro l’Iran: “Estenderemo queste sanzioni contro chi sostiene militarmente” il Cremlino