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    L’Unione Europea stringe i rapporti con l’Ucraina per affrontare la crisi energetica e la minaccia russa

    Bruxelles – Sono due gli spettri che aleggiano sul vertice UE-Ucraina e lo si capisce ascoltando le prime parole della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa: “Vogliamo che la Russia si prenda le sue responsabilità sulle violazioni della sovranità dell’Ucraina e vi consideriamo partner stretti nell’affrontare la comune crisi energetica“.
    L’incontro di oggi (martedì 12 ottobre) tra la leader dell’esecutivo comunitario, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva come obiettivo il rafforzamento delle relazioni tra Kiev e Bruxelles sul piano dell’integrazione economica in diversi settori, tra cui clima, energia, telecomunicazioni, connettività, trasporti, istruzione e ricerca. Dopo la firma degli accordi sullo spazio aereo comune, sui programmi UE di ricerca e innovazione Horizon Europe ed Euratom e sul programma europeo di sostegno al settore culturale Creative Europe, sono stati i due temi politicamente più scottanti a monopolizzare gli interventi post-vertice.
    In primis, la questione russa e la tensione tra i due Paesi da quando Mosca ha annesso nel 2014 la penisola di Crimea. Come già ribadito in diverse occasioni (ultima in ordine cronologico, la risposta dello scorso aprile all’accumulo di truppe russe lungo il confine orientale del Paese), “l’Unione Europea supporta pienamente l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, non ha lasciato spazio a dubbi la presidente von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, che ha condannato “fermamente” quella che per Bruxelles è “un’annessione illegale della Crimea”. Michel ha sottolineato che “per la sicurezza e la stabilità del Paese, potete contare su di noi”.
    Ma se queste prese di posizione erano tutto sommato attese e prevedibili, ben più importanti sono state le dichiarazioni dei due rappresentanti delle istituzioni europee al vertice UE-Ucraina sul tema della crisi energetica che sta sconvolgendo il mondo, con un aumento dei prezzi di gas ed energia per i Paesi importatori.  “Stiamo esplorando la possibilità di stoccaggi in comune di gas naturale con l’Ucraina“, ha annunciato von der Leyen, spiegando le prospettive sul breve e lungo periodo allo studio della Commissione UE. A causa del taglio dei rifornimenti di gas da parte dell’azienda russa Gazprom, “questo sarà un problema comune non solo di questo inverno, ma anche dei prossimi”.
    La cooperazione tra Bruxelles e Kiev viene vista come “molto benefica per entrambi” da parte della presidente della Commissione, che sta analizzando diversi scenari di reazione alla crisi attuale con un coinvolgimento del partner ucraino. Per “assicurare una fornitura sufficiente al Paese”, von der Leyen ha spiegato che una soluzione potrebbe essere “l’aumento delle capacità dei gasdotti già in uso“, ipotizzando “un’inversione del flusso in un gasdotto dalla Slovacchia”. Altrimenti si dovrà pensare a riserve strategiche comuni e assicurare che “l’Ucraina resti un Paese di transito affidabile per l’approvvigionamento di gas”.
    L’obiettivo dichiarato è di “raggiungere l’indipendenza energetica, per non dipendere più dall’estero“, ha esortato la leader dell’esecutivo comunitario, dopo aver ricordato che però “il nostro fine ultimo rimane svincolarci dai combustibili fossili”. Al momento però, come ricordato anche dalla commissaria per l’Energia, Kadri Simson, la settimana scorsa davanti alla plenaria del Parlamento UE, si deve ragionare sull’impennata dei prezzi e cercare una risposta a livello comunitario. Di questo – e in particolare della capacità di stoccaggio comune – si discuterà al prossimo Consiglio Europeo del 21-22 ottobre a Bruxelles. “È un argomento fondamentale, su cui possiamo cercare di costruire una cooperazione con l’Ucraina“, ha sottolineato il presidente Michel, presentandolo come un “esempio pratico di come vogliamo affrontare insieme i problemi ed essere politicamente più efficienti”.

    Tra le soluzioni emerse dal vertice di Kiev c’è anche la possibilità di disporre di “stoccaggi in comune di gas naturale”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen

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    La Corte europea dei diritti umani ha condannato la Russia per l’assassinio di Litvinenko

    Bruxelles – È il governo russo il responsabile dell’assassinio dell’ex-spia dei servizi segreti russi (ex KGB e FSB) Aleksander Litvinenko. Lo ha stabilito della Corte europea dei diritti umani con una sentenza emessa oggi (martedì 21 settembre), che ha riconosciuto Mosca colpevole dell’avvelenamento dell’uomo con polonio 210, avvenuto nel 2006 sul territorio del Regno Unito.
    “Esiste un forte sospetto che, nell’avvelenare Litvinenko, Andrey Lugovoy e Dmitriy Kovtun abbiano agito in qualità di agenti dello Stato russo”, si legge nella sentenza. Inoltre, “senza alcuna giustificazione, la Russia non ha fornito il materiale richiesto, necessario per l’indagine sul caso”. La Corte con sede a Strasburgo ha deciso che Mosca dovrà versare 100 mila euro per danni morali alla moglie di Litvinenko e altri 22.500 per le spese legali.
    Il ricorso alla Corte europea dei diritti umani era stato presentato proprio da Marina Litvinenko, conosciuta come Maria Anna Carter da quando lei e il marito acquisirono la cittadinanza britannica nel 2006 (dopo aver ottenuto il diritto di asilo). Litvinenko aveva lavorato per i servizi di sicurezza sovietici e russi e nel 1998 aveva accusato pubblicamente i suoi superiori di aver organizzato un piano per assassinare il milionario Boris Berezovsky. Dopo essere stato licenziato, era fuggito dal Paese. Litvinenko era stato successivamente coinvolto nella denuncia di casi di corruzione e di legami con la criminalità organizzata da parte dei servizi segreti russi.
    Tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre del 2006, gli ex-colleghi Lugovoy e Kovtun si recarono tre volte a Londra per incontrare Litvinenko. Come dimostrato da successive indagini britanniche, in ogni occasione portarono con loro polonio 210, una sostanza altamente radioattiva. Il 2 novembre Litvinenko fu ricoverato in ospedale, con sospetti immediati di avvelenamento attraverso agenti radioattivi. L’ex-KGB morì tre settimane più tardi, il 23 novembre: la causa del decesso fu riconosciuta in una sindrome acuta da radiazioni, causata da livelli molto alti di polonio 210 ingerito attraverso un composto solubile.
    “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, la Corte con sede a Strasburgo ha considerato “accertato” che l’assassinio è stato eseguito da Lugovoy e Kovtun: “L’operazione pianificata e complessa che coinvolgeva l’approvvigionamento di un raro veleno mortale, gli accordi di viaggio e i ripetuti e prolungati tentativi di somministrare il veleno” indicano che “l’obiettivo dell’operazione era Litvinenko”, si legge nella sentenza. Per quanto riguarda il fatto che i due agenti dei servizi segreti russi abbiano agito per conto del governo russo, la Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che “non ci sono prove che entrambi avessero una ragione personale” per uccidere l’uomo. Al contrario, “se avessero agito per proprio conto, non avrebbero avuto accesso all’isotopo radioattivo usato per avvelenarlo”.
    Durissime le reazioni russe alla sentenza della Corte europea dei diritti umani. “Cerca di contribuire alla diffusione della russofobia in Europa“, ha attaccato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha anche insinuato che “la sentenza stessa inoltre solleva molte domande”. Per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, le conclusioni della Corte sono “infondate”, dal momento in cui “è improbabile che abbia l’autorità o le capacità tecnologiche per avere informazioni sulla questione”.

    L’avvelenamento dell’ex-agente del KGB con polonio 210 era avvenuto nel 2006 nel Regno Unito. La sentenza ha riconosciuto i due esecutori dell’omicidio come “agenti dello Stato russo”, privi di ragioni personali per ucciderlo

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    Russia al voto per il rinnovo della Duma. Mosca accusa l’UE di tentativi di interferenza nelle elezioni parlamentari

    Bruxelles – La Russia va alle urne, ma l’atmosfera che si respira è da guerra fredda. Mentre in Kamčatka, nell’estremità orientale del Paese, sono già iniziate le operazioni di voto che dureranno fino a domenica (19 settembre), Mosca e Bruxelles hanno ingaggiato una battaglia diplomatica sulla trasparenza e la democraticità delle elezioni per il rinnovo della Duma di Stato, la Camera bassa dell’Assemblea Federale.
    È stato il ministero degli Esteri russo ad attaccare direttamente l’Unione Europea, dopo l’approvazione della relazione del Parlamento UE che ha chiesto alle istituzioni comunitarie di tenersi pronte a non riconoscere l’esito delle elezioni parlamentari, se saranno riscontrate violazioni dei principi democratici e del diritto internazionale. “Condanniamo fermamente i tentativi di manipolare l’opinione pubblica e siamo convinti che questa azione porti al discredito definitivo del Parlamento Europeo”, ha affondato la portavoce Maria Zakharova. “Come in passato, ci difenderemo da interferenze inaccettabili nel processo democratico nazionale”, ha aggiunto.
    Il relatore per il Parlamento UE, Andrius Kubilius (PPE)
    La relazione presentata martedì (14 settembre) dall’eurodeputato lituano Andrius Kubilius (PPE) è passata con 494 voti a favore, 103 contrari e 72 astenuti. Valutando lo stato delle relazioni tra UE e Russia, gli eurodeoputati hanno definito il regime di Vladimir Putin una “cleptocrazia [modalità di governo deviata che rappresenta il culmine della corruzione politica, ndr] autoritaria stagnante guidata da un presidente a vita circondato da una cerchia di oligarchi”. Non esattamente parole al miele, ma con la precisazione che “bisogna distinguere questo regime dal popolo russo: un futuro democratico per il Paese è possibile“. Ecco perché vanno sì respinte le “politiche aggressive” dell’attuale governo (il cui destino dipenderà proprio dalle elezioni di questi giorni), ma allo stesso tempo è necessario “porre le basi per la cooperazione con una futura Russia democratica“. In questo senso deve essere contestualizzata la richiesta a Consiglio e Commissione UE di non riconoscere elezioni falsate da metodi non democratici.
    Repressioni e significato del voto
    La posizione dell’Eurocamera è giustificata dal contesto elettorale che ha vissuto negli ultimi mesi il regno dello zar Putin. Nonostante siano 14 i partiti che si affrontano alle urne per conquistare i 450 seggi della Duma, non si può davvero parlare di competizione elettorale: la formazione di una qualsiasi forza di opposizione significativa è stata negata o piegata con la forza, con arresti e manganellate. Basta solo citare il caso dell’oppositore Alexei Navalny – avvelenato prima e incarcerato poi – e della violenta repressione delle manifestazioni in suo sostegno a inizio dell’anno.
    Non solo. A giugno la Fondazione per la lotta alla corruzione è stata dichiarata un’organizzazione estremista dalle autorità giudiziarie russe e diversi candidati sono stati esclusi dalla corsa elettorale a causa di legami presunti o reali con Navalny. Il giro di vite si è esteso anche ai media indipendenti – come il sito Meduza – che da mesi sono stati inseriti in massa nel registro degli “agenti stranieri”, etichetta che è stata applicata a tutti quei giornalisti e aziende editoriali che ricevono sostegni o finanziamenti dall’estero.
    L’oppositore russo Alexei Navalny
    L’obiettivo principale di questa ondata di repressione sulla società civile sarebbe dimostrare che non ci sono alternative reali alla leadership di Putin. Il suo mandato presidenziale scadrà nel 2024, ma potenzialmente potrebbe durare fino al 2036, dopo l’approvazione di un apposito emendamento costituzionale nell’aprile di quest’anno. Negli ultimi giorni di campagna elettorale lo zar non è sceso direttamente nell’arena politica, dal momento in cui da martedì si è dovuto mettere in isolamento fiduciario per alcuni contatti con membri del suo entourage positivi al COVID-19. E anche se queste elezioni riguardano la formazione della Camera bassa dell’Assemblea Federale, c’è anche anche un pezzo del suo destino in ballo.
    Il partito Russia Unita – che appoggia e che viene appoggiato dal Cremlino – non dovrebbe avere problemi a mantenere la maggioranza, contando anche su “partiti cuscinetto” come il Partito Liberal-Democratico e Russia Giusta. Tuttavia, la recente impennata dei prezzi dei generi alimentari e il calo dei redditi reali hanno fatto sprofondare gli indici di gradimento del partito di governo ai minimi storici. In altre parole, questa elezione rappresenta un test-chiave per l’intero sistema di potere del Paese, a tre anni dalla scadenza del mandato presidenziale.
    L’incognita del “voto intelligente”
    È stato lo stesso inquilino del Cremlino a definire questa tornata elettorale “l’evento più importante nella vita della nostra società e del Paese intero”, scagliando ulteriori attacchi all’Occidente per “tentare di interferire nel voto nazionale”. Dopo aver messo in ginocchio l’opposizione interna, Putin ha cercato di sbarazzarsi anche dell’ultimo strumento che potrebbe veicolare il dissenso organizzato: Smart Voting, l’applicazione online per il “voto intelligente” sviluppata dai sostenitori di Navalny. Si tratta di un sito e un’app per smartphone (qui il link) che indirizza gli elettori, collegio per collegio, nella scelta del candidato da votare, tra coloro che hanno maggiori possibilità di sconfiggere i rivali di Russia Unita.
    La schermata del sito per il voto tattico dell’opposizione russa, Smart Voting
    Lo scopo di questa nuova modalità di voto tattico è soprattutto quella di spingere l’affluenza alle urne, tamponando l’evidente scoraggiamento della società civile e l’assenza di veri candidati di opposizione. È molto probabile che a incanalare il malcontento e a beneficiare dello strumento digitale sarà il Partito Comunista della Federazione Russa: delle 225 indicazioni di “voto intelligente”, più della metà sono esponenti comunisti, compresi 11 su 15 individuati nel collegio della capitale, dove il sentimento anti-Putin è più forte. Il Partito Comunista è attualmente il secondo partito per numero di membri nella Duma di Stato (43, contro i 338 di Russia Unita), anche se nella legislatura che è appena terminata non si è distinto per un’opposizione particolarmente dura.
    Se è vero che all’inizio della scorsa settimana le autorità russe hanno bloccato l’accesso al sito sul territorio nazionale, Smart Voting è ancora accessibile fuori dai confini russi, anche se Facebook e Google hanno ceduto alle pressioni del ministero degli Esteri russo di cancellarlo dai loro app store. È evidente che Russia Unita e il Cremlino vedono nelle Big Tech occidentali una minaccia alla sopravvivenza dello status quo, altrimenti non si spiegherebbe l’attacco frontale di questa ultima settimana ai “giganti digitali”, accusati di “interferire negli affari interni del nostro Paese con l’aiuto del Pentagono”. Entrati nei giorni decisivi del voto, è difficile aspettarsi da queste elezioni un ribaltone politico. Ma, come hanno sottolineato gli eurodeputati, in un’atmosfera di scoraggiamento e repressione il destino della “futura Russia democratica” passa da qui.

    Gli eurodeputati hanno chiesto alle istituzioni UE di non riconoscere il nuovo Parlamento, se ci saranno violazioni dei principi democratici. Aperte le urne fino a domenica: in un clima di repressione, l’unica incognita è il sito per il “voto intelligente” sviluppato dall’opposizione al presidente Putin

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    Germania, accuse alla Russia per un’ondata di attacchi informatici contro i candidati alle elezioni federali

    Bruxelles – Le elezioni federali del 26 settembre non sono più solo una questione di affari interni della Germania. La Russia di Vladimir Putin è stata accusata da Berlino di essere mandante di una serie di attacchi informatici contro i candidati tedeschi, sia a livello nazionale sia a livello regionale. Le interferenze di Mosca si sarebbero concretizzate nell’invio di e-mail phishing, una truffa finalizzata a ottenere informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso facendo credere alla vittima di essere un ente digitale affidabile.
    “Sono azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza della Germania e per i suoi processi decisionali democratici”, ha fatto sapere Andrea Sasse, portavoce del ministero degli Esteri. “Hanno posto un pesante onere sulle nostre relazioni bilaterali”. Il segretario di Stato, Miguel Berger, ha trasmesso la protesta del governo tedesco direttamente al vice-ministro degli Esteri russo, Vladimir Titov, ma già a luglio il capo dell’agenzia di intelligence interna, Thomas Haldenwang, aveva avvertito il pericolo di interferenze estere – e in particolare russe – sulle elezioni del Bundestag, viste come un “obiettivo significativo”.
    Il rischio è reale ed è potenziato dal fatto che, dopo 16 anni di stabilità di governo data dalla figura di Angela Merkel, la Germania dovrà affrontare non solo un cambio storico alla cancelleria, ma anche un imprevedibile mutamento delle alleanze tra partiti. Fatta eccezione per il secondo governo Merkel (2009-2013), il Paese è stato guidato dal 2005 a oggi dalla Große Koalition, l’alleanza del blocco conservatore CDU-CSU (l’Unione Cristiano-Democratica e il partito gemello bavarese, l’Unione Cristiano-Sociale) con i socialdemocratici dell’SPD.
    Quando mancano meno di 20 giorni dalle elezioni più aperte nella storia recente del Paese, le uniche indicazioni certe che arrivano dai sondaggi è che sarà quasi impossibile creare un’alleanza bipartitica (ribaltoni elettorali permettendo) e che solo il risultato delle urne indicherà sia la coalizione che andrà formandosi, sia i rapporti di forza interni tra i tre o più partiti che la comporranno. Ecco perché, in questa situazione di incertezza, le interferenze di Mosca rappresentano una minaccia per la democrazia in Germania. Favorire o danneggiare l’uno o l’altro partito potrebbe avere grosse ripercussioni nello scenario post-26 settembre e per tutta la durata della legislatura. Anche se per il momento non è chiaro quale sia la forza che Mosca vorrebbe veder vincere le elezioni.
    Sia il candidato socialdemocratico, Olaf Scholz, sia quello cristiano-democratico, Armin Laschet, hanno sì tenuto bassi i toni contro la Russia, ma hanno anche riaffermato la necessità di un rinnovato impegno nella NATO e di una politica estera europea più attiva. Quel che è certo è che il governo Putin non vede di buon occhio i Verdi di Annalena Baerbock, particolarmente critici nei confronti del Cremlino e duri contro il controverso Nord Stream 2, gasdotto da 11 miliardi di dollari che attraverso il Mar Baltico porta il gas russo in Europa.
    I precedenti
    È da anni che Berlino accusa Mosca di tentativi di interferenza e di accesso alle reti digitali delle istituzioni politiche tedesche. La stessa cancelliera Merkel ha riferito di essere in possesso di “prove concrete” che le autorità russe erano responsabili dell’enorme attacco informatico al Parlamento federale nel 2015, che ha preso di mira anche l’indirizzo mail della cancelleria. La Corte federale tedesca l’anno scorso ha emesso un mandato di arresto per Dmitry Badin, hacker russo che molto probabilmente lavora a servizio dell’intelligence militare del Cremlino e che è ritenuto la mente dell’attacco del 2015.
    Il ministero degli Esteri ha avvertito che negli ultimi mesi si è moltiplicato l’invio di e-mail phishing per cercare di accedere ai dati personali dei deputati al Bundestag e delle Assemblee regionali da parte del gruppo informatico Ghostwriter. Quello ai danni dei candidati alle prossime elezioni è solo l’ultimo caso, ma il più preoccupante: “Questi attacchi potrebbero servire come preparazione per campagne di disinformazione”, ha spiegato la portavoce Sasse. “Abbiamo informazioni affidabili” che queste attività “possono essere attribuite a un attore informatico dello Stato russo, e in particolare l’intelligence militare”.

    Inviate e-mail phishing sia a livello nazionale sia regionale per ottenere informazioni personali e interferire sul voto del 26 settembre: “Azioni inaccettabili che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale”

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    Nord Stream 2, la costruzione del gasdotto è finita. Per Mosca sarà in funzione “nei prossimi giorni”

    Bruxelles – Sono giunti al termine ieri (6 settembre) i lavori di costruzione del controverso gasdotto da 11 miliardi di dollari Nord Stream 2, che raddoppierà la capacità di gas naturale (metano) in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Ad annunciarlo è la compagnia energetica russa Gazprom, che ne controlla le attività, a cui si aggiungono le parole del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov secondo cui il gasdotto Nord Stream 2 entrerà in funzione nei prossimi giorni, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    L’ultima sezione del gasdotto è stata saldata e ora dovrà essere calato nel collegamento sottomarino sotto al Mar Baltico. Secondo Reuters, il gasdotto deve ancora ricevere la certificazione che potrebbe richiedere fino a quattro mesi di tempo. Entro fine anno dovrebbe essere pienamente operativo.
    Il percorso di Nord Stream 2 andrà a replicare quello del gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, da raddoppiare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas che consentono a Mosca di trasportare il gas in Europa senza passare per via terrestre attraverso l’Ucraina, come faceva prima, indebolendone la posizione strategica.
    La costruzione del gasdotto è stata fin dall’inizio osteggiata da molti Paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti, per i timori di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente che ne dipende energeticamente. Solo a fine luglio, Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014.
    Un’opposizione che il progetto ha trovato anche in Europa, guidata in particolare dai Paesi dell’Europa orientale. Solo la cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo.

    Saldata l’ultima sezione del gasdotto da 11 miliardi di dollari che raddoppierà la capacità di gas naturale in arrivo dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Per il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sarà in funzione nei prossimi giorni

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    Nord Stream 2, arriva la sentenza tedesca: al controverso gasdotto si applicano le regole antitrust dell’UE

    Bruxelles – La Russia dovrà applicare le regole europee antitrust al gasdotto Nord Stream 2, dividendone la gestione tra i proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre per garantire una concorrenza leale. A stabilirlo, mercoledì 25 agosto è stata l’Alta Corte Regionale di Düsseldorf, in Germania, respingendo il ricorso presentato dalla principale società che si occupa della costruzione Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco (BNA -Bundesnetzagentur) che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di concorrenza dell’Unione Europea.
    Questo significa che al controverso gasdotto destinato a collegare la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico devono applicarsi le regole di diritto comunitario, inscritte nella direttiva UE sul mercato del gas. Nulla di nuovo, perché già la Commissione europea aveva chiarito che pur essendo un progetto “soggetto al diritto nazionale” tedesco, si inscrive nel quadro di diritto europeo di cui deve rispettare la conformità. L’unica competenza che spetta a Bruxelles sul futuro gasdotto è controllare il rispetto da parte degli Stati membri, e quindi in questo caso della Germania, della direttiva Ue sul mercato interno del gas.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    La sentenza può essere impugnata dalla Nord Stream 2 AG, anche se potrebbe significare, come suggerisce Reuters, un ritardo nel completamento della rete e anche un aumento dei costi. Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, raddoppiati a 110.
    Dopo varie tensioni tra Unione Europea e Stati Uniti – dovuta ai timori statunitensi di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente – a fine luglio Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, ormai quasi completo, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014. Il progetto vale almeno undici miliardi di dollari, e ha incontrato la resistenza non solo oltreoceano ma anche in Europa.
    La cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo. Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, si sono opposti al progetto perché temono l’ulteriore influenza geopolitica di Putin attraverso il gas naturale.

    Proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre devono essere diversi per garantire una concorrenza leale, in linea con la direttiva europea sul mercato del gas. A stabilirlo è l’alta corte di Düsseldorf respingendo il ricorso della società Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di Bruxelles. La sentenza può essere impugnata ma rischia di rallentare il completamento del progetto

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    Ungheria, l’ultima provocazione di Orbán: trattative aperte con la Russia per la produzione di Sputnik V

    Bruxelles – Non è la prima provocazione dell’Ungheria verso l’UE e non sarà l’ultima. Dopo aver somministrato il vaccino russo Sputnik V anche senza autorizzazione dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), Budapest compie un ulteriore passo e apre le trattative con Mosca per ottenere la licenza per la produzione del vaccino russo direttamente sul territorio ungherese. Produzione che potrebbe iniziare dalla fine del 2022, dal momento che Russia e Ungheria sono “in trattative avanzate”, ha confermato ieri (24 agosto) il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto che ha ricevuto a Budapest l’omologo russo, Sergej Lavrov. A gennaio l’Ungheria è stata il primo Paese dell’Unione europea ad autorizzare l’uso del vaccino russo, poi seguita anche dalla Slovacchia.

    🇷🇺🇭🇺 In #Budapest, Russian Foreign Minister Sergey #Lavrov held talks with Hungarian Minister of Foreign Affairs and Trade Peter Szijjarto.#RussiaHungary pic.twitter.com/o35xNyEIAo
    — MFA Russia 🇷🇺 (@mfa_russia) August 24, 2021

    Budapest si è premurata di sottolineare che senza il vaccino russo “l’Ungheria non avrebbe avuto la campagna vaccinale di maggior successo in Unione europea”, ringraziando Mosca e il governo russo per l’assistenza. In realtà, come mostrano i dati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) in Ungheria il 64 per cento della popolazione è completamente vaccinata, al di sotto di molti Paesi europei, mentre la media dell’intera Unione Europea è ferma al 65 per cento. L’Ungheria non solo non è tra i migliori in quanto a progressi nella campagna di vaccinazione, ma soprattutto ha anche usufruito del portafoglio di vaccini pre-acquistato dalla Commissione UE per i suoi Stati membri. Ad ogni modo, l’intenzione è quella di costruire “una fabbrica di vaccini nella città di Debrecen e produrremo lo Sputnik V”, ha spiegato Szijjarto.
    L’incontro tra omologhi è anche l’occasione per discutere di forniture di gas russo per l’Ungheria, mentre Mosca è alle prese con la fine della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 che trasporterà gas russo in Germania e in Europa. Secondo Reuters, il ministro ungherese ha espresso l’intenzione di firmare un nuovo accordo di fornitura di gas naturale di 15 anni con la compagnia russa Gazprom quest’anno, con il prezzo e la flessibilità da stabilire già nelle prossime settimane. “Spero di poter firmare il nuovo contratto di fornitura di 15 anni quest’autunno con buone condizioni”, ha detto Szijjarto. L’omologo russo Levrov ha fatto eco, ribadendo che la cooperazione tra Russia e Ungheria è a livelli mai raggiunti, mentre quella di Mosca e Bruxelles è forse ai minimi storici.

    La licenza per la produzione del vaccino russo nella città ungherese di Debrecen al centro dei colloqui tra il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto e l’omologo russo, Sergej Lavrov. Mosca e Budapest in trattative “avanzate”, la produzione potrebbe iniziare a fine 2022. Discusse anche le forniture di gas russo

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    Afghanistan, al vertice straordinario del G7 l’UE chiederà l’estensione della scadenza del 31 agosto per l’evacuazione

    Bruxelles – La parola è d’ordine è “evacuazione”. Evacuazione del personale e dei cittadini afghani che hanno collaborato per vent’anni con le forze statunitensi, europee e della NATO, da completarsi quanto più possibile entro una settimana esatta a partire da oggi. Sarà questo il tema centrale del vertice straordinario dei leader del Gruppo dei Sette, che inizierà fra poche ore (15.30 italiane) in forma virtuale.
    Ma fa già discutere e preoccupare la scadenza fissata dal regime dei talebani per il ritiro delle truppe occidentali dal Paese. Dopo Francia, Germania e Regno Unito, anche l’Unione Europea chiederà al vertice del G7 di estendere la data oltre il 31 agosto, per portare a termine tutte le operazioni di evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul. Per il momento rimane contrario il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, anche considerate le minacce talebane di ritorsioni se dal primo settembre saranno ancora presenti contingenti militari stranieri in Afghanistan, come confermato ieri (23 agosto) da un portavoce ai microfoni di Sky News.
    A Bruxelles la questione crea particolare apprensione ed è probabile che durante il vertice del G7 i due rappresentanti dell’Unione – il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – insisteranno su una linea comune di rafforzamento dell’impegno per mettere in sicurezza tutti i membri dello staff ancora sul territorio afghano. Funzionari UE hanno riferito che la priorità per l’Unione è che le operazioni di evacuazione e l’assistenza umanitaria possano continuare, anche se si dovesse andare oltre la data del 31 agosto.
    Circa 400 persone tra staff locale della delegazione UE e rispettive famiglie sono già state evacuate (il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha annunciato che tutto il personale afghano che ha collaborato con le delegazioni UE è in salvo), ma gli stessi funzionari non hanno voluto riportare quante ne rimangano ancora da imbarcare verso l’Europa.
    Sul tavolo ci sarà poi il tema di se e come affrontare le future discussioni politiche con il regime dei talebani. Sempre secondo le fonti europee, si dovrebbe impostare un dialogo su tre pilastri: rispetto dei diritti umani dei gruppi vulnerabili e delle donne, lotta alla corruzione interna e impegno a non fare di nuovo del Paese “terreno fertile” per terroristi e traffici illeciti. Su questo aspetto Bruxelles non nega che “Cina e Russia sono parte della questione“, dal momento in cui tutti gli attori internazionali hanno interessi per un Afghanistan stabile, “magari con obiettivi diversi”.

    At today’s @G7 Leaders call, I will announce an increase in the humanitarian support for Afghans, in and around the country, from #EU budget from over €50m to over €200m.
    This humanitarian aid will come on top of Member States’ contributions to help the people of Afghanistan.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 24, 2021

    Un’altra priorità per l’Unione riguarda gli aiuti umanitari per i cittadini afghani “dentro e intorno al Paese”, come anticipato dalla presidente von der Leyen su Twitter. “Alla riunione del G7 annuncerò un aumento del sostegno dal bilancio dell’UE“, da 50 a oltre 200 milioni di euro. A questo sostegno comunitario si aggiungeranno i contributi dei singoli Stati membri UE.
    Qui si apre l’ultima questione, che interessa da molto vicino le istituzioni europee e che negli ultimi giorni ha già sollevato polemiche all’interno dell’Unione. Si tratta della gestione dei flussi migratori dall’Afghanistan che si intensificheranno con l’inizio del governo talebano. Non è un caso se la presidente della Commissione ha fatto riferimento ad aiuti “intorno al Paese”. Come riferiscono i funzionari UE, il primo obiettivo sarà quello di sostenere i programmi umanitari nei Paesi confinanti (in particolare Iran e Pakistan), per renderli “soluzioni più credibili” agli occhi degli afghani rispetto al “consegnarsi nelle mani di trafficanti”.
    Prima di discutere sulla possibilità di una ridistribuzione dei profughi tra Paesi membri UE (“la situazione è ancora troppo fluida per tracciare le dimensioni dei flussi”, riferiscono le fonti di Bruxelles), si guarda alla Turchia. Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha già riferito che la capacità di ricezione del Paese “è limitata”, dal momento in cui è già ospitato un “gran numero” di migranti. Mentre il presidente del Consiglio UE Michel “rimane in contatto con Erdogan per discutere dei limiti di accoglienza di Ankara”, questo pomeriggio i leader del G7 proveranno a tracciare alternative percorribili.

    Per Bruxelles le priorità rimangono la messa in sicurezza di staff locale e delegazione europea anche oltre la scadenza fissata dai talebani, aiuti umanitari alla popolazione civile “dentro e intorno al Paese” e la gestione dei flussi migratori