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    UE e NATO ora preoccupati: “Dobbiamo essere pronti a un attacco della Russia”

    Bruxelles – La Russia minaccia sempre più reale e probabile, in grado di tramutarsi in un vero e proprio attacco alla NATO. In Europa iniziano a farsi ricorrenti gli allarmi e gli avvertimenti di possibili se non addirittura probabili aggressioni russe. Non da ultima quella del ministro delle difesa tedesco, Boris Pistorius, che considera lo scenario possa verificarsi tra 5-8 anni. Per la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, invece, potrebbe materializzarsi anche prima, nel giro di tre anni. Tre anni, esattamente quanto sostenuto da Eirik Kristoffersen, ministro della difesa della Norvegia.Una preoccupazione tutta interno ai membri UE della NATO, che plana prepotentemente sui tavoli di confronto, e non solo quelli politici. Perché l’ammiraglio Rob Bauer, capo del consiglio militare della NATO, ha messo in chiaro al termine dell’ultima riunione dell’organismo, giovedì scorso (18 gennaio), che “consideriamo la Russia una minaccia, e dobbiamo essere pronti per un attacco“. In questo contesto serve “un’industria che produca armi e munizioni più velocemente” rispetto a capacità e ritmi avuti prima dell’invasione dell’Ucraina.Dichiarazioni figlie di un mutato contesto, che vede la guerra allungarsi senza che se ne riesca ad immaginare il momento della fine, e la necessità che i Paesi dell’Unione tengano fede alle loro promesse ad esempio sulle munizioni all’Ucraina. Il sospetto che si voglia alzare la tensione per accelerare la produzione militare, come in realtà Bauer dice in maniera esplicita, c’è.Kallas vorrebbe sostituire Jens Stoltenberg alla guida dell’Alleanza atlantica e l’Estonia è attaccata alla Russia, dalla quale si sente da sempre minacciata, dunque è possibile che la premier sia guidata un po’ da preoccupazioni difensive e un po’ dalla volontà ri rinforzarsi come candidata alla Nato. D’altra parte è vero che dalla Russia ci sono continue azioni di disturbo sui confini estoni e finlandesi, ad esempio spingendovi dei migranti e molte sono anche le azioni realizzate con attacchi cibernetici.Il capo del comitato militare della Nato, nella stessa conferenza stampa, ha anche affermato che “non cerchiamo la guerra, ma dobbiamo essere pronti per la guerra“. Affermazione comprensibile. Eppure, a rileggere il discorso di Monaco pronunciato dal presidente russo Vladimir Putin alla conferenza sulla sicurezza globale del 2007, sembra che Europa e occidente abbiano colpevolmente ignorato le minacce di una Russia che chiedeva più meno NATO vicina ai suoi confini, annunciando passo passo le cose che poi ha fatto. Putin non ha mai fatto mistero di voler riprendere gli spazi di quello che fu l’impero russo e molti dei Paesi oggi confinanti ne erano parte.Dopo il discorso di Monaco del 2007 l’UE ha intensificato rapporti con Georgia, Ucraina, Kazakistan. La risposta russa, più o meno diretta, è stata l’intervento a fianco degli indipendentisti dell’Ossezia del sud, in chiave anti-georgiana (2008), l’annessione della Crimea (2014), l’aiuto militare per sedare proteste di piazza in Kazakistan, su richiesta del presidente kazako (gennaio 2022, poco prima dell’avvio delle operazioni in Ucraina). Tutti modi per ribadire che Mosca ha scelto una sua sfera d’influenza, sulla quali non vuole intromissioni. Neanche da parte dei governi legittimi di quei Paesi.La destabilizzazione è un’altra arma che Mosca ha usato spesso, armando e favorendo forze secessioniste quando ce ne sono, o esaltando fenomeni, esecrabili ma piccoli, come i partiti che si richiamano direttamente al nazismo o al fascismo indicando dunque quei Paesi come pericolosi.Di recente un drone russo è precipitato in Romania, ma si è deciso di tenere un profilo basso, di evitare di poter dare pretesti per un acuirsi del confronto.Non preoccuparsi di cosa potrebbe fare la Russia dunque, visti i precedenti, sarebbe, secondo molti osservatori “da sconsiderati”. Non c’è bisogno di invadere militarmente l’Estonia per creare un problema alla Nato, ci sono molte altre azioni che possono essere compiute, e che Mosca ha compiuto che possono essere viste come un attacco all’Alleanza, che difficilmente può essere un’invasione con i carri armati, anche perché la Russia si rende conto che un’azione del genere creerebbe una situazione di debolezza per il Cremlino. Almeno finché non arriva magari un Trump che negozia una sua pace con Mosca e abbandona la Nato e l’Europa a sé stesse.

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    I missili balistici nordcoreani utilizzati dalla Russia in Ucraina preoccupano Bruxelles e Washington

    Bruxelles – Tra il 29 dicembre e il 2 gennaio, la Russia ha lanciato più di 500 droni e missili contro obiettivi ucraini. Come ricostruito dalle forze di intelligence americane, in quei cinque giorni Mosca avrebbe utilizzato diversi missili acquistati dalla Corea del Nord. Un patto, quello sulle armi tra Vladimir Putin e Kim Jong-un, che “preoccupa profondamente” l’Occidente.La condanna è arrivata in una dichiarazione congiunta, firmata dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in nome dei 27 Paesi membri e dal segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, insieme ad Albania, Andorra, Argentina, Australia, Canada, Georgia, Guatemala, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Moldavia, Monaco, Nuova Zelanda, Macedonia del Nord, Norvegia, Palau, Repubblica di Corea, San Marino, Ucraina e Regno Unito.Zona residenziale nel centro di Kharkiv colpita da un missile lanciato dalla Russia il 2 gennaio 2024 (Photo by SERGEY BOBOK / AFP)“Il trasferimento di queste armi aumenta la sofferenza del popolo ucraino, sostiene la guerra di aggressione della Russia e mina il regime globale di non proliferazione“, denunciano i ministri degli Esteri dei 49 Paesi uniti in una “risoluta opposizione” alla compravendita tra Mosca e Pyongyang. È una “palese violazione” di molteplici risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – la risoluzione 1718 nel 2006, la risoluzione 1874 nel 2009 e la risoluzione 2270 nel 2016 – che imponevano alla Repubblica Popolare Democratica di Corea (Rpdc) un percorso di demilitarizzazione. Risoluzioni “che la stessa Russia ha sostenuto”, sottolineano nella dichiarazione congiunta.Perché a preoccupare l’Occidente non è solo l’effetto che il supporto militare di Pyongyang può avere sulla guerra di aggressione russa in Ucraina, ma anche le possibili azioni unilaterali di un leader inaffidabile come Kim Jong-un. “Stiamo monitorando da vicino ciò che la Russia fornisce alla Corea del Nord in cambio di queste esportazioni di armi”, assicurano Borrell e Blinken. Il patto stretto tra Mosca e Pyongyang in occasione della visita di Kim Jong-Un in Russia lo scorso settembre prevederebbe infatti uno scambio reciproco di armamenti. A Putin i missili balistici, al leader supremo della Corea del Nord aerei, veicoli blindati, attrezzature per la produzione degli stessi missili e altre tecnologie avanzate.Inoltre “l’uso da parte della Russia di missili balistici della Rpdc in Ucraina fornisce anche preziose informazioni tecniche e militari” alla Corea del Nord. Nel momento più basso delle relazioni con i vicini della Corea del Sud degli ultimi decenni, con Kim Jong-Un che proprio oggi ha dichiarato che “se la Corea del Sud userà le sue forze armate contro la Corea del Nord o ne minaccerà la sovranità e sicurezza, non esiteremo ad annientarla”, la comunità internazionale teme il rischio che questo rafforzamento dell’arsenale militare possa deflagrare in un conflitto vero e proprio.“Siamo profondamente preoccupati per le implicazioni sulla sicurezza che questa cooperazione ha in Europa, nella penisola coreana, nella regione dell’Indo-Pacifico e in tutto il mondo“, avvertono i leader occidentali. Che concludono la dichiarazione congiunta esortando “tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, compresi tutti i membri del Consiglio di sicurezza, a unirsi a noi nel condannare le flagranti violazioni delle risoluzioni Onu da parte della Russia e della Rpdc”.

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    L’Ue colpisce Alrosa, il colosso minerario che produce oltre il 90 per cento dei diamanti russi

    Bruxelles – L’Unione europea ha inaugurato ufficialmente la battaglia contro i diamanti russi. Dopo l’approvazione del dodicesimo pacchetto di sanzioni a Mosca, che per la prima volta dall’inizio della guerra d’invasione in Ucraina ne ha vietato il commercio, oggi (3 gennaio) Bruxelles ha deciso di imporre sanzioni direttamente alla società Pjsc Alrosa, il gigante minerario di proprietà dello Stato russo, e al suo amministratore delegato.Stiamo parlando della più grande compagnia produttrice di diamanti al mondo, che rappresenta oltre il 90 per cento di tutta la produzione russa e che contribuisce in larghissima parte all’indotto complessivo di 4,5 miliardi di dollari all’anno che Mosca ricava dal commercio dei gioielli di lusso. Alrosa, così come tutte le entità colpite dalle misure restrittive dell’Ue, sarà soggetta al congelamento dei beni sul territorio europeo. E non potrà ricevere fondi da cittadini e imprese dell’Ue. Al suo amministratore delegato, Pavel Alekseevich Marinychev, sarà impedito l’ingresso e il transito nei 27 Paesi membri.Il colpo assestato ad Alrosa “integra il divieto di importazione di diamanti russi incluso nel dodicesimo pacchetto di sanzioni economiche e individuali adottato il 18 dicembre 2023″, spiega il Consiglio dell’Ue con un comunicato stampa. L’offensiva contro i diamanti russi è coordinata con i Paesi del G7 nel tentativo di privare la Russia di una importantissima fonte di ricchezza.Valdimir Putin e l’ex Ceo di Alrosa, Sergei Ivanov, al Cremlino nel 2020 (Photo by Mikhail KLIMENTYEV / SPUTNIK / AFP)Fino ad ora la compagnia di proprietà del Cremlino aveva potuto continuare la propria attività in Europa senza intoppi, così come il suo ex Ceo, Sergey Sergeyevich Ivanov, figlio di un amico di lunga data di Vladimir Putin. Sostituito da Marinychev nel maggio 2023, Ivanov è figlio di un ufficiale del Kgb, Sergey Borisovich Ivanov, nella cerchia dei più stretti collaboratori di Putin. Ivanov padre era stato inserito nella lista delle sanzioni europee già il 9 marzo 2022, due settimane dopo l’inizio dell’invasione russa, mentre l’ex amministratore delegato di Alrosa era soggetto a misure restrittive da parte di Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Giappone, Nuova Zelanda e Ucraina. Ma non dall’Ue.Con questa nuova designazione, le misure restrittive di Bruxelles nei confronti di azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina si applicano ora complessivamente a 1.950 persone ed entità in totale. La prossima tappa della battaglia per ostacolare il commercio di diamanti russi è attesa dal primo marzo, quando sarà introdotto gradualmente un sistema di tracciabilità che diventerà obbligatorio a partire dal primo settembre 2024, e che permetterà di introdurre divieti anche sui diamanti russi lavorati in Paesi terzi.

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    Adottato il dodicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia. L’Ue colpisce il commercio di diamanti

    Bruxelles – L’Ue incarta il pacchetto regalo natalizio e lo spedisce al Cremlino. A una settimana dalle festività, i 27 hanno adottato oggi (18 dicembre) il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia dall’inizio della guerra d’aggressione in Ucraina. E finalmente prende di mira il commercio di diamanti, che frutta a Mosca 4,5 miliardi di dollari all’anno.Sconfitte le resistenze del Belgio e del settore dei gioielli di lusso: la nuova tornata di misure restrittive prevede il divieto di importazione, acquisto diretto o indiretto o trasferimento di diamanti dalla Russia. Un divieto che si applica “ai diamanti originari della Russia, ai diamanti esportati dalla Russia, ai diamanti in transito in Russia e ai diamanti russi lavorati in Paesi terzi”. L’iniziativa, coordinata con i partners del G7, farà sì che dall’inizio del nuovo anno sarà vietato il commercio di diamanti naturali e sintetici non industriali e di gioielli con diamanti.(Photo by Alexander NEMENOV / AFP)Solo in un secondo momento saranno introdotti una serie di divieti sui diamanti russi lavorati -cioè tagliati e/o lucidati – in Paesi terzi: per consentire misure di applicazione efficaci, dal primo marzo sarà introdotto gradualmente un sistema di tracciabilità che diventerà obbligatorio a partire dal primo settembre 2024. Con il dodicesimo pacchetto stop anche alle importazioni dalla Russia di prodotti derivati dai metalli: ghisa, fili di rame, fili di alluminio, tubi e tubature, che l’anno scorso sono stati acquistati da imprese europee per un valore totale di 2,2 miliardi di euro.Inoltre, il pacchetto amplia l’elenco di articoli soggetti a restrizioni che potrebbero contribuire al miglioramento tecnologico del settore militare, includendo prodotti chimici, batterie al litio, termostati, motori cc e servomotori per veicoli aerei senza pilota (i droni), macchine utensili e parti di macchinari.L’Ue a caccia delle elusioni alle misure restrittive contro la Russia“Più andiamo avanti e più saltano fuori elusioni” alle misure restrittive, spiegano fonti europee. Per tappare le fuoriuscite, Bruxelles ha deciso di estendere a tutti i beni con potenziale uso bellico esportati dall’Ue verso Paesi terzi il divieto di transito attraverso il territorio russo. I cittadini con nazionalità russa non potranno inoltre possedere, controllare o ricoprire incarichi in organi direttivi di entità che forniscono portafogli di criptovalute, servizi di conto o custodia a persone e residenti russi. Infine, l’Ue ha deciso di imporre obblighi di notifica per il trasferimento di fondi al di fuori dei 27 Paesi membri da parte di qualsiasi entità stabilita nell’Ue posseduta o controllata da un’entità stabilita in Russia.Diventa legge la clausola “no Russia”: chiunque esporti beni e tecnologie sensibili al di fuori del territorio comunitario dovrà vietare contrattualmente la riesportazione verso la Russia. La clausola copre tutti gli articoli utilizzati nei sistemi militari russi rinvenuti sul campo di battaglia in Ucraina.Una petroliera russa (Photo by Rizwan TABASSUM / AFP)Ma il nuovo pacchetto mira anche a chiudere le importanti lacune che hanno permesso a Mosca di continuare a esportare petrolio a prezzi competitivi, con un impatto ridotto sulle sue entrate. Perché l’embargo sulle importazioni e il tetto al prezzo del greggio russo non sono finora bastati, con diversi Stati Ue che hanno continuato a acquistare derivati del petrolio di Mosca da navi che battevano bandiera di Paesi terzi.Per mettere fine all’elusione Bruxelles ha escogitato un meccanismo rafforzato di condivisione delle informazioni che dovrebbe consentire una migliore identificazione delle navi e delle entità che attuano pratiche ingannevoli, come i trasferimenti da nave a nave utilizzati per nascondere l’origine o destinazione del carico. Inoltre, sarà introdotta l’obbligo di notifica per la vendita di navi cisterna, anche di seconda mano, a qualsiasi paese terzo. Infine, è stato introdotto un apposito embargo sul Gpl, il propano liquefatto, per un periodo transitorio di 12 mesi.In questo dodicesimo pacchetto non manca un capitolo dedicato alle sanzioni individuali. Un capitolo corposo, con 147 nuovi ingressi – 61 individui e 86 entità – in un elenco che conta ora 1950 individui e entità soggetti a misure restrittive dall’inizio della guerra in Ucraina. “Il nostro messaggio è chiaro – ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell -, rimaniamo fermi nel nostro impegno nei confronti dell’Ucraina e continueremo a sostenere la sua lotta per la libertà e la sovranità”.

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    Un altro inverno di guerra alle porte dell’Ucraina. La Nato non sottovaluta la Russia, “ma dipende da Iran e Corea del Nord”

    Bruxelles – Dopo il confronto serrato sullo scenario di guerra a Gaza, le discussioni dei 31 ministri degli Esteri della Nato si sono spostate oggi (29 novembre) sull’altro versante di guerra caldo. “L’Ucraina ha prevalso ed è progredita come nazione sovrana, indipendente e democratica, mentre la Russia ha subito una regressione e ora è più debole politicamente, militarmente ed economicamente“, è il riassunto fornito dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa che ha chiuso la due-giorni di vertice ministeriale.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg“L’Ucraina ha riconquistato il 50 per cento del territorio originario, nel Mar Nero ha respinto la flotta russa e stabilito rotte per le esportazioni di grano, rafforzando la sicurezza alimentare globale”, è il punto dei successi militari di Kiev in un anno e mezzo di guerra. Al contempo vanno sottolineate le difficoltà di Mosca. “Militarmente la Russia ha perso una parte sostanziale delle sue forze convenzionali“, vale a dire “centinaia di aerei, migliaia di carri armati e più di 300 mila soldati”, ha fatto notare Stoltenberg, ricordando inoltre la pressione economica: “I ricavi del petrolio e del gas stanno diminuendo, gli asset bancari sono soggetti a sanzioni, oltre mille aziende straniere hanno interrotto o ridotto le proprie attività nel Paese e l’anno scorso 1,3 milioni di persone hanno lasciato la Russia”. Sul piano politico “la Russia sta perdendo influenza nei Paesi vicini, anche nel Caucaso e in Asia Centrale” e il Paese è sempre più dipendente dalla Cina e non solo.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)È proprio su questo punto che il segretario generale della Nato si è soffermato maggiormente, riferendosi alla Russia come un Paese che “ha ipotecato il suo futuro alla Cina anno dopo anno“. Lo sta facendo per il “finanziamento delle materie prime e anche di materie prime chiave per l’industria della difesa” – una dimostrazione che “è diventata sempre più debole” come risultato dell’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 – quanto in precedenza “l’Europa era il mercato principale e più importante, non ultimo per il gas naturale”. A questo si aggiunge il fatto che per continuare la propria guerra il Cremlino è “sempre più dipendente da Paesi come Iran e Corea del Nord per la fornitura di armi“, come dimostrato dal “notevole sostegno” di quest’ultima sia per l’invio di munizioni sia per il lavoro “a stretto contatto” che ha portato anche al lancio di un satellite militare.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)Di qui però scaturisce una riflessione in seno all’Alleanza Atlantica. “La Russia ha accumulato una grande riserva missilistica in vista dell’inverno“, è l’avvertimento lanciato dal segretario generale Stoltenberg, che invita a “non sottostimare” le forze di Mosca: “L’economia russa è sul piede di guerra e Vladimir Putin ha un’alta tolleranza per le vittime”. Ecco perché sia l’Ucraina sia gli alleati si stanno preparando a un nuovo inverno di guerra alle porte, con “nuovi attacchi aerei e missilistici”. Gli obiettivi russi in Ucraina “non sono cambiati” e lo dimostra proprio l’accumulo della riserva missilistica dell’esercito invasore: “Assistiamo a nuovi tentativi di colpire la rete elettrica e le infrastrutture energetiche, per lasciare gli ucraini al buio e al freddo”. Il supporto dell’Alleanza Atlantica sarà portato avanti con “8 miliardi di euro dalla Germania, 2 miliardi e mezzo dai Paesi Bassi, una coalizione per la difesa aerea formata da 20 alleati e un centro di addestramento per i piloti F-16 in Romania”. Perché, secondo Stoltenberg, “è anche nel nostro interesse in termini di sicurezza che l’Ucraina prevalga“.E infine c’è la spinosa questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. “Abbiamo discusso il percorso, gli alleati concordano che diventerà un membro” dell’Alleanza, ha ricordato Stoltenberg, che ha reso noto il fatto che durante il primo Consiglio Nato-Ucraina in formato ministeriale Esteri sono state fornite le raccomandazioni “sulle riforme prioritarie” da mettere in campo, “compresa la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello Stato di diritto e il sostegno dei diritti umani e delle minoranze”. Se è vero che l’adesione di Kiev “è più vicina che mai”, c’è da fare i conti con una guerra che non accenna a finire e per questo dal quartier generale della Nato a Bruxelles c’è “unanime sostegno alla lotta dell’Ucraina per la libertà”.
    Si chiude il vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con un confronto in sede di Consiglio Nato-Ucraina sui rischi della “grande riserva missilistica” accumulata da Mosca. Che però con l’invasione “ha ipotecato il suo futuro alla Cina”

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    Petrolio e misure anti elusione, Bruxelles annuncia nuove sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Nuovi nomi nella lista nera dell’Ue, stretta sul tetto al prezzo del petrolio e misure contro i Paesi terzi che eludono le sanzioni. A sei mesi dall’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione ai danni dell’Ucraina, Bruxelles ha ultimato i lavori sul dodicesimo, che sarà presentato in settimana agli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Ue.Ad annunciarlo nel fine settimana la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso pronunciato sabato (4 novembre) di fronte ai membri della Verkhovna Rada, il Parlamento ucraino, in una visita a sorpresa a Kiev. “Tutti gli ucraini si oppongono alla brutalità russa. E di fronte al tuo coraggio c’è solo una cosa che noi, nel resto d’Europa, dobbiamo fare. E questo significa stare al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito la leader dell’Esecutivo comunitario, annunciando che la prossima “settimana annunceremo il nostro dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia”.A detta della presidente tedesca le nuove misure restrittive includeranno fino a 100 nuovi individui, nuovi divieti di importazione ed esportazione, azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e misure severe nei confronti delle società di paesi terzi che eludono le sanzioni. “Per troppo tempo molti in Europa hanno pensato che avremmo potuto commerciare con la Russia e integrarla nell’ordine di sicurezza europeo, ma non ha funzionato”, ha puntualizzato. A chiedere un ulteriore rafforzamento delle misure restrittive era stato lo stesso presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, intervenendo da remoto di fronte ai leader dell’Ue all’ultimo Vertice europeo del 27 e 28 ottobre. “È in discussione un nuovo pacchetto di sanzioni Ue. Dobbiamo tenere conto dell’esperienza di tutti i pacchetti precedenti e la potenza della nuova fase di sanzioni dell’UE dovrebbe essere maggiore di quelle precedenti”, aveva incalzato i leader in questi termini. Ha puntualizzato l’importanza di prestare particolare attenzione anche al “price cap” il tetto al prezzo applicato al petrolio russo. “E’ ovvio – ha detto – che non funziona così efficacemente come ci si aspettava quando è stato introdotto” ed è “necessario ridurre il “price cap” e rafforzare i meccanismi per la sua applicazione”. Il tetto massimo al prezzo del petrolio russo è stato stabilito a livello europeo nel quadro dell’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia ed è stato imposto insieme ai Paesi G7 (Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) dall’Unione Europea e dall’Australia, riuniti nella “Price Cap Coalition”. Sul prezzo effettivo del tetto l’intesa a livello europeo è arrivata a dicembre di un anno fa dopo aver convinto anche la Polonia che ha spinto per giorni per un tetto molto più basso. Nei fatti, l’imposizione del ‘cap’ consente al petrolio russo di essere spedito a Paesi terzi utilizzando petroliere dei Paesi G7 e dell’UE solo se il carico viene acquistato al di sotto della soglia dei 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato è più alto (attualmente si aggira intorno agli 80 euro). Come per tutte le sanzioni contro Paesi terzi al Consiglio Ue è richiesto un voto all’unanimità
    Ursula von der Leyen annuncia per questa settimana l’adozione del dodicesimo pacchetto per l’aggressione dell’Ucraina, anticipando che includerà nella lista nera fino a 100 nuovi individui, nuovi divieti di importazione ed esportazione, azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e misure severe nei confronti delle società di paesi terzi che eludono le misure

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    L’Ue “deplora profondamente” la revoca della ratifica del Trattato sul divieto dei test nucleari da parte della Russia

    Bruxelles – Con la firma apposta oggi (2 novembre) da Vladimir Putin, la Russia ha adottato definitivamente la legge che revoca la ratifica del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari (Ctbt). Una decisione resa nota dal Cremlino già da tempo e approvata all’unanimità dalle due camere del Parlamento russo in ottobre. Una decisione che l’Unione europea “deplora profondamente”, arrivata “dopo mesi di retorica e minacce nucleari irresponsabili”.La risposta del blocco Ue a Mosca è affidata all’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che ha definito la scelta di Putin “un grave passo indietro, aggravato dallo status della Russia come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. La revoca della ratifica del Ctbt non significa automaticamente che la Russia riprenderà i test nucleari: il Cremlino ha fatto sapere che questo non succederà, a meno che non li riprendano prima gli Stati Uniti.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep BorrellCon la nuova legge, la Russia rimane comunque firmatario del trattato, ma potrà smettere di rispettarne i vincoli. Che è la stessa posizione proprio di Washington e di diversi altri Paesi che non hanno mai ratificato il Ctbt. Adottato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1996, il Trattato sulla messa al bando dei test nucleari non è mai entrato in vigore a livello globale a causa del non raggiungimento del numero minimo di firme: Paesi che dispongono già di testate nucleari come Pakistan, India e Corea del Nord non lo hanno mai firmato, mentre Stati Uniti, Iran, Cina, Egitto non hanno mai autorizzato la sua ratifica.Ma rimane “uno strumento di cruciale importanza per il disarmo nucleare e la non proliferazione”, ha sottolineato Borrell. E in effetti dal 1996 a oggi solo India, Pakistan e Corea del Nord hanno condotto esperimenti nucleari. Nel vecchio continente tutti gli Stati membri dell’Ue hanno ratificato il Ctbt e “lavorano da molti anni per il suo rafforzamento e la sua entrata in vigore”. Oggi sono 178 i Paesi che aderiscono al trattato, ma la sua entrata in vigore è vincolata alla ratifica da parte dei 44 Paesi che parteciparono formalmente alla Conferenza sul Disarmo nel 1996 e che possedevano a quella data tecnologia nucleare. In quella lista di Paesi, “l’ingiustificabile intenzione della Russia di revocare la ratifica del Ctbt costituisce una grave battuta d’arresto nell’impegno della Russia nei confronti dell’architettura di sicurezza internazionale”
    Vladimir Putin ha firmato la legge che sospende gli impegni previsti dal Ctbt, mai ratificato nemmeno da Cina e Stati Uniti. Per l’Alto rappresentante Josep Borrell “un grave passo indietro, aggravato dallo status della Russia come membro permanente del Consiglio di sicurezza Onu”

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    In Nagorno-Karabakh “pulizia etnica”, Parlamento Ue per la linea dura contro Azerbaijan

    Bruxelles – Con l’Azerbaijan, ma non con questo Azerbaijan. Il Parlamento europeo censura l’operato di Baku nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, lo accusa di “pulizia etnica” e invia un forte segnale politico di rottura. Nella risoluzione che l’Aula approva a larghissima maggioranza (491 voti favorevoli, 9 contrari e 36 astensioni) si chiede a Commissione e Stati membri di rivedere completamente le relazioni bilaterali con il Paese del Caucaso. Stop alla concessione agevolata dei visti, sanzioni ai funzionati azeri, stop agli acquisti di gas. Una risposta ‘stile Russia’, dura, come quella adottata dall’Ue per rispondere alle manovre militare del Cremlino in Ucraina.Il voto di Strasburgo si inserisce sia nel conflitto russo-ucraino, sia ancora di più con la riunione della Comunità politica europea in corso a Granada, in Spagna, a cui né la Turchia né l’Azerbaijan hanno deciso di partecipare. La questione del conflitto del Nagorno-Karabakh doveva essere uno dei temi oggetto di confronto politico e diplomatico, ma l’Azerbaijan e il suo alleato storico turco hanno deciso di lasciare l’Armenia da sola a un tavolo privo di partecipanti.La censura per l’Azerbaijan e il suo presidente Ilham Aliyev è però di quelle difficili da digerire, visto che la risoluzione dell’Aula del Parlamento europeo, di fronte a “oltre 100 mila armeni che sono stati costretti a fuggire dall’enclave in seguito all’ultima offensiva”, decreta che “l’attuale situazione equivale a una pulizia etnica“.Per questa ragione il Parlamento invita l’Ue ad adottare “sanzioni mirate” contro i funzionari governativi di Baku, poiché “responsabili di molteplici violazioni del cessate il fuoco oltre a violazioni dei diritti umani nel Nagorno-Karabakh“. Ma soprattutto si invita ad una “una revisione globale delle relazioni” con il Paese del Caucaso. Perché, denunciano gli europarlamentari, sviluppare un partenariato strategico con l’Azerbaigian, “che viola gravemente” il diritto internazionale, gli impegni internazionali e “che ha una situazione allarmante in materia di diritti umani, è incompatibile con gli obiettivi della politica estera dell’Ue“. Per cui l’invito è quello di “sospendere qualsiasi negoziato sul rinnovo del partenariato con Baku e, se la situazione non dovesse migliorare, prendere in considerazione la possibilità di sospendere l’applicazione dell’accordo di facilitazione per l’ottenimento dei visti europei con l’Azerbaigian”.L’Eurocamera prende una posizione molto netta e dura. Non si mette in discussione la territorialità dell’area contesa, visto che nessuno Stato membro dell’Ue l’ha mai riconosciuto come extraclave armena. Si condannano l’attacco e l’uso sproporzionato della forza, anche dopo le operazioni militari vere e proprie. Per questo il Parlamento invita l’Ue anche a “ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di gas azero” e considerare l’ipotesi di sganciarsi completamente dal fornitore azero. “In caso di aggressione militare o di attacchi ibridi significativi contro l’Armenia”, i deputati si dichiarano “a favore di una sospensione completa delle importazioni da parte dell’Ue di petrolio e gas azeri“.C’è una parte di Unione europea che dunque mostra i muscoli, ma non è chiaro quanto la risoluzione, non legislativa e dunque non vincolante, troverà seguito. Perché da una parte sconfessa l’operato della Commissione per sottrarre il club dei Ventisette dalla morsa di Gazprom e raddoppiare l’import di gas azero al 2027. In secondo luogo rischia di esporre l’Ue a nuovi shock energetici. Senza più gas russo e, eventualmente, in prospettiva, senza gas azero, risulta difficile capire come potrebbe l’Unione europea a soddisfare il proprio fabbisogno.E’ qui che lo strappo tra Ue e Azerbaijan si collega alla guerra in Ucraina. Baku era vista come elemento centrale o quantomeno portante di una strategia volta a indebolire la Russia. Lo scontro diplomatico non gioca a favore degli europei. Anche perché Ilham Aliyev fin qui non ha mai smesso di sostenere Vladimir Putin. L’Azerbaijan vende il suo gas agli europei e poi, con i soldi degli europei, acquista gas russo per rispondere ai fabbisogni interni e sopperire all’aumento delle vendite.fonte foto: https://agsc.az/Il voto di oggi serve come incentivo a chiudere ogni residuo legame con la Russia. Perché a dire il vero, il gas azero arricchisce comunque la Russia. Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale dell’Azerbaijan, è gestito da Azerbaijan Gas Supply Company Limited (AGSC), consorzio di cui fa parte Lukoil.Il voto del Parlamento apre però un altro fronte, quello dei mai semplici rapporti con Ankara. Si vorrebbe operare sulla Turchia un convincimento a non incoraggiare ulteriormente l’Azerbaijan. Ma come sempre in questi casi i turchi potrebbero chiedere una contropartita. Il Parlamento dell’Ue, con un voto sia pur comprensibile, si espone a rischio geo-politici non indifferenti.
    L’Aula approva una risoluzione che va allo scontro con Baku. Si chiedono stop a visti agevolati e acquisti di gas, e sanzioni ai funzionati azeri. Una prova di forza che apre un nuova sfida geopolitica