More stories

  • in

    Uranio e influenza in Africa, il dilemma Ue del Niger tra interessi russi e cinesi

    Bruxelles – Democrazia, diritti, e poi l’uranio. Le instabilità in Niger possono di mettere in difficoltà il mercato dell’energia nucleare dell’Unione europea, che proprio dal Niger acquista uranio grezzo per i propri reattori. Per ora si rassicura, e si escludono impatti negativi dal colpo di Stato nel Paese dell’Africa occidentale. “Non c’è alcun rischio di approvvigionamento”, sostiene il portavoce della Commissione europea, Adalbert Jahnz. “Le imprese hanno sufficienti scorte di uranio naturale per mitigare qualsiasi rischio di approvvigionamento a breve termine e per il medio e lungo termine ci sono abbastanza depositi sul mercato mondiale per coprire il fabbisogno dell’Ue”.
    C’è però una questione geo-politica in ballo, fatta di energia nucleare, risorse, e presenza europea nell’area. Fin qui il Niger è stato il forniture numero uno dell’uranio nella sua forma grezza. La relazione della Commissione europea sul mercato di uranio, con dati aggiornati al 2021, afferma che “analogamente agli anni precedenti, Niger, Kazakistan e Russia sono stati i primi tre paesi a fornire uranio naturale all’Ue nel 2021, fornendo il 66,94% del totale”. Il Niger da solo, è arrivato a rappresentare un quarto dell’import complessivo a dodici stelle (24,26%). Non un fornitore marginalcina e, dunque. Alla luce delle relazioni sempre più delicate e complesse con la Russia quale risultato dell’aggressione all’Ucraina, l’Ue ha bisogno di ridurre le dipendenze con la federazione russa e un deterioramento ulteriore della situazione in Niger potrebbe indurre a rivedere la domanda di uranio.
    La Commissione Ue per ora intendere rimanere presente nel Paese. Evacuazione del personale e chiusura delle sedi di rappresentanza non sono prese in considerazione, perché andare via vorrebbe dire lasciare mano libera ad altri attori, a cominciare da quello cinese. Dopo la Francia la Repubblica popolare è il secondo più grande investitore straniero.
    Pechino è presente in Niger dal 1974, e ha dato nuovi impulsi alle relazioni bilaterali dagli inizi degli anni Duemila. Ha iniziato ad investire in infrastrutture (strade, ospedali, telecomunicazioni), scambi culturali (borse di studio per nigerini in Cina), a garantire sostegni umanitari contro disastri naturali. In cambio ha ottenuto diritto di esplorazione petrolifera e di uranio. Il progetto dell’oleodotto di circa 675 chilometri per la connessione Niger-Benin è possibile grazie a PetroChina, il colosso petrolifero cinese. Mentre Cnnc, la società di Stato attiva nel settore del nucleare, ha già avuto modo di lavorare col governo di Niamey per lo sviluppo del giacimento di Azelik.
    A livello globale il Niger rifornisce appena il 5% circa dell’uranio mondiale, ma è un fornitore leader per l’Ue. Sottrarre quote di mercato agli europei sarebbe per la Cina, già allo stato attuale fornitore principale di tutto ciò che serve all’Ue in termini di materie prime per la transizione sostenibile, un ulteriore colpo alle ambizioni di indipendenza e potenza europea.
    L’instabilità politica rischia però di complicare anche i piani cinesi, e non a caso anche la Cina segue con attenzione gli sviluppi nel Paese africano invitando a una soluzione. Per quanto a Bruxelles si cerchi di minimizzare e si ostenti sicurezza, in gioco c’è molto. Perché l’Ue ha deciso che il nucleare è ‘green’, non inserendolo la tecnologia nella tassonomia, l’insieme dei criteri che servono a determinare la sostenibilità di attività e prodotti. L’Ue ha bisogno dell’uranio per il suo nucleare, e il suo principale fornitore adesso offre meno garanzie.
    C’è anche l’aspetto russo della questione nigerina. L’uranio è certamente una questione ‘calda’ per l’Ue, ancora troppo legato alla Russia per ciò che serve per le centrali attive in Europa, soprattutto nei Paesi membri del quadrante nord-orientale. Alternative al combustibile russo è qualcosa di tutt’altro che semplice, e l’Ue non può permettersi di finire nuovamente nelle braccia del Cremlino. Ma da anni Mosca agisce nel continente africano, attraverso forniture di armi, accordi di cooperazione militare. Il controllo del continente sta diventando sempre più strategico, per via della sue ricchezze naturali in termini di risorse e materie prime. Governi ‘amici’ fanno l’interesse della partita in atto.
    La presenza del gruppo Wagner è stata accertata in almeno cinque Paesi africani (Libia, Mali, Sudan, Repubblica centrafricana, Mozambico). Si teme che il gruppo para-militare possa diventare una presenza forte anche in Niger. Analisti ricordano l’esempio del Mali, dove la Russia ha saputo inserirsi perché più accomodante rispetto alle richieste e alla condizioni poste dagli europei. “Ci sono già segnali che l’Ue potrebbe affrontare un dilemma simile in Niger“, avvertiva un anno fa, a giugno 2022, il think-tank pan-europeo Ecfr.
    C’è dunque la possibilità che il confronto tra Europa e Russia non si consumi solo sul fronte ucraino. La destabilizzazione del Niger gioca a favore di Mosca, più che dell’Europa, che nel Niger contava e conta anche per la gestione dei flussi migratori. All’incrocio di diverse rotte migratorie, il Niger ha rafforzato la sua politica di lotta alla migrazione irregolare con il sostegno dell’Ue, nell’ambito del nuovo partenariato dell’Ue con i Paesi terzi. Ora tutto questo rischia di saltare.
    A Bruxelles c’è già chi fa i conti con le tensioni e le incertezze nel Paese. In Parlamento Ue si inizia a riconoscere che il golpe “rischia di destabilizzare ulteriormente il Paese, oltre a problemi esistenti come l’instabilità regionale, la proliferazione di gruppi jihadisti violenti, un’ondata di rifugiati e sfollati interni”. In questo clima “il colpo di stato, salutato da Yevgeny Prigozhin, il capo di Wagner, potrebbe aumentare l’influenza della Russia sul Paese“.
    Una presa d’atto anche in Commissione, con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che punta il dito contro Mosca. In Niger, scrive sul suo blog, “l‘unica interferenza di cui possiamo parlare oggi è quella dei militari che rovesciano un Presidente eletto e quella di una Russia imperialista che vuole usare questi regimi come pedine nella sua partita a scacchi mondiale” in cui l’Europa ha molto da perdere. Attacca frontalmente anche il leader del Cremlino. “Da diversi anni la Russia di Vladimir Putin alimenta questi colpi di stato con la sua falsa propaganda e approfitta dell’instaurazione di questi regimi militari con le sue milizie private”. Accuse e toni che confermano l’importanza della posta in gioco. L’Ue si vede scalzata dall’Africa, e non solo dal Niger e dalle sue forniture di uranio.

    Per la Commissione ciò che serve al nucleare europeo non è a rischio ma in gioco c’è molto di più, con la presenza di Mosca e Pechino tutt’altro che marginale

  • in

    Contro la propaganda del Cremlino. A Praga un nuovo centro dedicato ai media indipendenti di Russia e Bielorussia

    Bruxelles – Al via una nuova iniziativa per combattere la macchina propagandistica del Cremlino. O meglio, per sostenere i media indipendenti russi e bielorussi che lavorano in Europa e che “mantengono un pubblico significativo in patria”.  Il Centro della società civile di Praga ha lanciato oggi (17 luglio) il Free Media Hub East, polo dedicato a fornire assistenza, supporto psicologico e soluzioni tecnologiche per eludere la censura ai media in esilio nell’Ue.
    Cofinanziato dalla Commissione europea con oltre 2,2 milioni di euro, rafforzerà inoltre la cooperazione tra i centri che ospitano giornalisti e professionisti dell’informazione da Minsk e da Mosca. People in Need in Repubblica Ceca, Baltic Centre for Media Excellence e Sustainability Foundation in Lettonia, Helsinki Foundation for Human Rights in Polonia e Media in Cooperation and Transition in Germania. Il Free Media Hub East metterà a disposizione circa mille slot per aiutare con i visti e la registrazione dei giornalisti in esilio.
    “Per combattere la propaganda di guerra del Cremlino, abbiamo bisogno di media indipendenti che raccontino la verità sulla Russia. E noi dobbiamo sostenerli. È un nostro dovere morale e un nostro interesse strategico” ha dichiarato la vice presidente della Commissione europea, Vera Jourová. Il nuovo progetto, ha aggiunto, “fa parte di questi sforzi. Riunisce organizzazioni della società civile con una grande esperienza nel sostenere coloro che lottano per la libertà di espressione e la democrazia”.
    Gli sforzi a sostegno dei media indipendenti in Russia e Bielorussia completano quelli per “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti” diffusa dai regimi di Putin e Lukashenko. Anche nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, adottato il 23 giugno, figuravano cinque emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa”: RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, che sono state aggiunte alla lista che già comprendeva Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal.

    Cofinanziato dall’Ue, ha inaugurato il 17 luglio il Free Media Hub East, che fornirà assistenza, supporto psicologico e soluzioni tecnologiche ai media in esilio nei Paesi europei. Jourová: “Dovere morale e interesse strategico sostenere chi racconta la verità sulla Russia”

  • in

    Michel: “Summit Ue-Celac ogni due anni”

    Bruxelles – Imprimere un cambiamento nelle relazioni tra Unione europea e Paesi dell’America latina e dei caraiibi. Il forum Ue-Celac deve tenersi con cadenza regolare, perché “le sfide che siamo chiamati ad affrontare sono urgenti e complesse”, sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dunque, “non possiamo permetterci di aspettare altri otto anni per un vertice” tra i leader delle due aree del mondo. Servono, e Michel lo propone ai capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles, “vertici più regolari, ogni due anni, e un meccanismo di coordinamento permanente garantiranno progressi coerenti”.
    A dettare un nuovo corso non è solo l’insieme degli interessi di un’Europa desiderosa di vedere la propria politica di sostenibilità accettata e promossa ovunque, nuove relazioni commerciali, nuove collaborazioni in materia di energia. E’ un ordine internazionale diverso. C’è un mondo cambiato, rispetto all’ultimo summit Ue-Celac. C’è stata una crisi pandemica, e “tra oggi e il 2015 c‘è un’altra grande differenza”, non può fare a meno di sottolineare Michel in riferimento al conflitto russo-ucraino.
    “Mentre parliamo, un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta attaccando un paese vicino”, ricorda non a caso, visto che tra i Paesi del centro-sudamerica non tutti hanno sottoscritto le risoluzioni Onu di condanna nei confronti di Mosca (Brasile e Messico si astennero). “La guerra illegale della Russia contro l’Ucraina è una tragedia per l’Ucraina e per il mondo, con conseguenze devastanti per la sicurezza alimentare, i prezzi dell’energia e l’economia globale”.
    A proposito di economia, Michel ricorda che “i leader qui oggi rappresentano un miliardo di persone e oltre il 20 per cento del Prodotto interno lordo mondiale“. Cifre che danno la dimensione della forza che i due blocchi (27 Stati Ue e 33 Paesi centro-sudamericani) possono avere se dovessero di marciare compatti, come richiesto dal presidente del Consiglio europeo.

    Il presidente del Consiglio europeo suggerisce di rendere più strutturato e più regolare il rapporto con i 33 Paesi dell’America centrale e dei Caraibi. “Non possiamo permetterci di attendere otto anni”

  • in

    Baerbock: la guerra della Russia in Ucraina ha fatto ripensare la Germania sul suo ruolo nel Mondo

    Bruxelles – L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato il modo in cui la Germania considera la sicurezza e ha fatto capire a Berlino di aver sbagliato a non ascoltare gli alleati dell’Europa orientale, che avevano messo in guardia dalle minacce di Mosca, ha scritto Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca, oggi sul Guardian.
    Ammettendo i difetti della politica estera tedesca del dopoguerra, l’esponente dei Verdi afferma che i Paesi dell’Europa orientale hanno avuto ragione ad avvertire la Germania che sperare nel meglio per affrontare le minacce di una Russia autocratica non era una risposta adeguata. Per troppo tempo, scrive, la Germania ha fatto ricorso alla “diplomazia del libretto degli assegni”, ovvero alla convinzione che l’interazione politica ed economica avrebbe condotto la Russia verso un percorso democratico, ora invece “sappiamo che nel prossimo futuro la Russia del Presidente Putin rimarrà una minaccia per la pace e la sicurezza nel nostro continente e che dobbiamo organizzare la nostra sicurezza contro la Russia di Putin, non con essa”.
    Scrivendo prima del vertice della Nato a Vilnius e subito dopo la pubblicazione di una nuova strategia di sicurezza nazionale tedesca, Baerbock afferma che “noi tedeschi non dimenticheremo mai che dobbiamo la nostra libertà in un Paese riunificato anche ai nostri alleati e ai nostri vicini orientali. Così come loro ci sono stati per noi, noi ci saremo per loro ora, perché la sicurezza dell’Europa orientale è la sicurezza della Germania”.
    Ci sono stati dubbi sul fatto che la Germania potesse assumere un ruolo di leadership militare in Europa data la sua storia, ma Baerbock ha detto che la guerra in Ucraina ha costretto la Germania, a volte con sua stessa sorpresa, a rivalutare il suo ruolo e le sue responsabilità: “Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, scatenati dai tedeschi, la politica estera del nostro Paese era guidata dalla premessa che la guerra non avrebbe mai più dovuto provenire dal suolo tedesco”.
    Ma è chiaro che le cose sono cambiate: “Solo due anni fa, l’idea che la Germania consegnasse carri armati, sistemi di difesa aerea e obici in una zona di guerra sarebbe sembrata a dir poco inverosimile. Oggi la Germania è uno dei principali fornitori di armi per l’autodifesa dell’Ucraina”. Secondo Baerbock “la guerra di aggressione della Russia ha segnato una frattura nel mondo. Per il mio Paese ha aperto un nuovo capitolo, ridefinendo il modo in cui cerchiamo di promuovere la pace, la libertà e la sostenibilità in questo mondo: come partner che abbraccia la sua leadership”.

    L’intervento della ministra degli Esteri tedesca sul Guardian: “Per troppo tempo abbiamo ricorso alla diplomazia del libretto degli assegni”

  • in

    “Il mostro creato da Putin gli si è rivoltato contro”. L’Ue studia le conseguenze della crisi tra il Cremlino e la Wagner

    Bruxelles – Nessuno si sbilancia, nonostante ormai siano passati due giorni dalla fine del possibile colpo di Stato in Russia. Perché per le istituzioni comunitarie l’azione dell’entità militare privata Wagner e del suo leader Yevgeny Prigozhin e la risposta del Cremlino rimangono sempre “un affare interno della Russia”, in cui nessuno vuole entrare. Lo hanno dichiarato tutti oggi (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, a partire dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Stiamo seguendo da vicino quello che succede, il mostro creato da Vladimir Putin con la guerra in Ucraina sta agendo contro il suo creatore“.
    Da sinistra: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin (credits: Alexey Druxhinin / Sputnik / Afp)
    Questo è quanto dalle istituzioni comunitarie, per trovare altre reazioni di rilievo dalle capitali dell’Unione bisogna scavare nei dettagli delle dichiarazioni rilasciate a margine del Consiglio Affari Esteri. “Abbiamo notato un cambiamento e che sono apparse crepe nel sistema russo“, è stato il massimo dell’apertura da parte del ministro degli Affari esteri italiano, Antonio Tajani, che per il resto si è mantenuto cauto dietro a un ripetuto “non tocca a noi interferire nella situazione interna alla Russia“. Oppure il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Tobias Billström, che – barricandosi dietro a uno sterile “dobbiamo guardare la vicenda come un affare interno russo” – si è lasciato sfuggire quanto i Paesi vicini alla Russia e all’Ucraina avvertono da venerdì sera (23 giugno): “Quello che succede a Mosca ha un impatto sull’ambiente di sicurezza circostante“. Lo stesso ministro ha messo in chiaro che “non siamo in posizione per fare profonde analisi, serve ancora più lavoro”, ma che in ogni caso “tutti dobbiamo preoccuparci quando si parla della Wagner” e che “evidentemente Putin sta perdendo la guerra, non sta andando nella direzione che vorrebbe”. Parole simili a quelle dell’omologo italiano: “Certamente l’assenza di Wagner non rafforza l’armata russa“, ha aggiunto Tajani.
    Il quartier generale del gruppo Wagner a San Pietroburgo, Russia (credits: Olga Maltseva / Afp)
    A parlare in maniera più esplicita è però l’alto rappresentante Ue Borrell, in particolare al termine del confronto con i 27 ministri. “Insurrezione armata abortita, questo è il modo migliore per riferirsi agli eventi di questo fine settimana caratterizzati dalle azioni del gruppo Wagner”, in una situazione che ora “rimane complessa e difficilmente prevedibile”. Ciò che è chiaro è che il tentativo di colpo di Stato tra venerdì e sabato scorso ha mostrato la “fragilità anche del potere militare russo, l’Ucraina lo sta spezzando” e che “la credibilità di Putin è indebolita”. Il vero problema è che se “prima la Russia era una minaccia perché era forte, ora lo è perché potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica“. Instabilità interna e fragilità che preoccupano non poco l’Unione, dal momento in cui la Russia rimane “una grande potenza nucleare”. In ogni caso non è ancora possibile fornire analisi e previsioni degli scenari in caso la situazione a Mosca dovesse sfuggire dal controllo di Putin e della sua cerchia di oligarchi: “Non abbiamo dato scuse all’opinione pubblica russa per dire che siamo coinvolti, a dire la verità siamo sorpresi e gli scenari non si tratteggiano in sole 24 ore”, ha aggiunto Borrell. Per quanto riguarda la presenza di Prigozhin in Bielorussia e l’eventualità che il gruppo armato Wagner si sposti a Minsk, l’Alto rappresentante ha spiegato che “non abbiamo ancora preso in considerazione questo aspetto”.
    Il gruppo Wagner in Russia
    La Wagner è un gruppo paramilitare strettamente legato all’establishment politico e militare russo, soprattutto a livello personale tra l’autocrate Putin e il fondatore della milizia privata Prigozhin. Il nucleo originario – le cui origini risalgono al 2011 – è di circa 10 mila mercenari (tra ex-militari e agenti di sicurezza russi e di altri Paesi come la Serbia), ma nel corso del 2022 il numero complessivo è aumentato a diverse decine di migliaia, dopo la vasta campagna di reclutamento consentita dal Cremlino anche nelle carceri russe. Teoricamente in Russia gli eserciti di mercenari sarebbero illegali, ma proprio lo scorso anno il gruppo Wagner si è registrato come società con sede a San Pietroburgo. Le prime azioni militari sono state registrate in Crimea nel 2014, quando la Wagner affiancò l’esercito russo per conquistare il controllo della penisola. I mercenari si spostarono poi a Luhansk insieme ai separatisti filo-russi, fino all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022: quest’anno si sono ritagliati un ruolo cruciale nella battaglia di Bakhmut (nell’Ucraina orientale), mantenendo quasi da soli la potenza di fuoco russa opposta a quella ucraina.
    Tuttavia proprio la battaglia di Bakhmut – con la strategia di logoramento messa in piedi appositamente da Kiev – ha fatto emergere Prigozhin come soggetto problematico per la presunta unità delle fila russe. Prima ha annunciato a maggio l’intenzione di voler ritirare le proprie truppe dalla città, poi ha accusato il governo russo (e in particolare il ministero della Difesa) di non fare abbastanza per sostenere le forze paramilitari. Dopo un’escalation di accuse, venerdì scorso ha attaccato senza mezzi termini tutta la macchina di propaganda della Russia e ha iniziato l’insurrezione nella notte tra venerdì e sabato. Dopo aver preso la città di Rostov e aver iniziato a marciare su Mosca, nel pomeriggio di sabato è arrivato l’annuncio dello stop alla “marcia della giustizia” per “non versare inutilmente sangue russo”. Lo stesso Prigozhin ha confermato di aver accettato il compromesso avanzato dall’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, secondo cui tutti gli insorti riceveranno l’amnistia, i mercenari che non hanno partecipato alla sollevazione potranno integrarsi nell’esercito regolare e lo stesso leader del gruppo Wagner si sarebbe recato a Minsk.
    I mercenari della Wagner sono stati impegnati in Siria a partire dal 2017 nella guerra civile al fianco di Bashar al Assad, ed è nota la presenza in diversi Paesi africani (si sospetta anche nel Sudan recentemente travolto dalla guerra civile). Dall’ottobre 2020 Prigozhin è colpito dalle sanzioni dell’Unione Europea per l’avvelenamento di Alexei Navalny (uno dei principali oppositori di Putin), mentre le misure restrittive contro il gruppo Wagner sono state imposte pochi mesi prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Gli individui colpiti sono coinvolti in “gravi abusi dei diritti umani, tra cui tortura, esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, o in attività destabilizzanti” fuori dalla Russia: “Wagner ha reclutato, addestrato e inviato operatori militari privati in zone di conflitto in tutto il mondo“, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina alla Repubblica Centrafricana, “per alimentare la violenza, saccheggiare risorse naturali e intimidire i civili in violazione del diritto internazionale”.

    Al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha aggiornato i 27 ministri sul tentato colpo di Stato da parte della milizia privata di Yevgeny Prigozhin e il ruolo della Bielorussia: “Mosca potrebbe essere entrata in un’era di instabilità politica”

  • in

    L’Occidente e la Russia, Balfour (Carnegie): Essere uniti sta dando i suoi frutti

    Bruxelles – Gli occidentali hanno mostrato unità anche di fronte alla crisi che si è scatenata sabato in Russia con la “marcia su Mosca” dei 25mila mercenari guidati da Yevgeny Prigozhin. Poche dichiarazioni, osservazione degli eventi, solo qualche giudizio sul caos che a quanto sembra si è creato nel gruppo dirigente russo.
    “L’esperienza di essere uniti sta dando i suoi frutti”, ha dichiarato Rosa Balfour, direttrice del think tank Carnegie Europe al Wall Street Journal. Secondo l’analista fino all’inizio dell’invasione russa in Ucraina i governi occidentali avevano opinioni diverse sulla Russia e sui suoi approcci, alcuni favorevoli all’impegno e altri più conflittuali. Adesso la strategia, anche attraverso il ruolo della Nato, sembra sostanzialmente condivisa.
    Se la rivolta fosse avvenuta un anno fa, “sarebbe stata estremamente problematica per l’Occidente”, ha detto Balfour, secondo la quale “alcuni leader avrebbero rifiutato la leadership di Putin, mentre altri lo avrebbero difeso come una forza di stabilità che doveva rimanere”. Oggi, ha detto Balfour al WSJ, “non mi sembra che questo accada”.
    Secondo l’analista “i commenti del presidente francese Emmanuel Macron il mese scorso a Bratislava hanno segnato un punto di svolta”. In quella occasione, Macron affermò che i Paesi dell’Europa occidentale non avevano ascoltato gli avvertimenti dei loro vicini orientali sull’aggressione della Russia e chiese maggiori sforzi per la sicurezza dell’Ucraina.
    “Gli europei hanno raggiunto un nuovo livello di comprensione e di valutazione strategica” sulla Russia, conclude Balfour.

    La direttrice del centro europeo della Fondazione statunitense al Wall Street Journal

  • in

    Dumoulin (Ecfr): Le concessioni di Putin a Prigozhin aprono a sfide ancor più radicali

    Bruxelles – Cosa è successo nel fine settimana in Russia? Al di là della cronaca, oramai nota (almeno per grandi linee) cosa ha significato la “ribellione” (se questa è stata) di Yevgeny Prigozhin? Ne parla Marie Dumoulin, direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr).
    “L’ammutinamento del fine settimana segna la fine del fenomeno Prigozhin così come lo conoscevamo. Aveva fatto molto affidamento sulle risorse governative, che probabilmente non saranno più a sua disposizione. Prima del febbraio 2022, l’attività principale di Wagner – ricorda Dumoulin – era quella di offrire protezione ai governi stranieri, come nella Repubblica Centrafricana o in Mali, contro i gruppi armati rivali che minacciavano il loro potere. Dopo la marcia su Mosca, Wagner probabilmente non rimarrà un fornitore di sicurezza credibile per i leader stranieri. Il modello subirà quindi cambiamenti fondamentali”.
    Secondo l’analista “la capacità di Prigozhin di mantenere le attività di Wagner all’estero sarà cruciale per comprendere il suo rapporto con la leadership russa. Le compagnie militari private non dovrebbero esistere in Russia, poiché non esiste uno status giuridico applicabile. Si presume generalmente che la Wagner sia stata fondata in stretta collaborazione con l’agenzia militare estera russa (Gru), fornendo un accordo utile per condurre azioni al di fuori dei confini russi con un certo grado di negabilità (da parte delle autorità russe, ndr) plausibile”.
    Dumoulin ritiene che con l’azione di sabato “formalmente, il potere di Vladimir Putin non è stato minacciato, ma la sua autorità è stata esplicitamente e radicalmente messa in discussione. Non è la prima volta: Anche il ritorno di Navalny in Russia all’inizio del 2021, dopo il tentativo di avvelenamento, ha rappresentato una sfida all’autorità di Putin, poiché Navalny ha affermato la sua capacità di stabilire l’agenda. Ma questa era una sfida politica. La marcia di Prigozhin su Mosca è stata molto più radicale e violenta. Il fatto che Putin sia disposto a fare concessioni di fronte alla violenza potrebbe preannunciare ulteriori sfide di natura ancora più radicale“.
    “La sfida – sottolinea la studiosa – è arrivata da una persona percepita come vicina a Putin, anche se Prigozhin non è mai stato un vero insider. Per questo motivo il suo tentativo di marciare su Mosca è stato definito da Putin ‘tradimento’. Tuttavia, è probabile che abbia chiarito a molti all’interno del sistema russo che il ‘divide et impera’ di Putin stava diventando pericoloso per il sistema stesso”.
    Gli eventi di questo fine settimana “hanno anche messo in discussione uno degli elementi centrali della narrativa di Putin da quando è al potere: ha costruito il suo governo sull’idea di portare stabilità e ordine nel Paese dopo il caos degli anni Novanta. Finché la guerra è rimasta lontana per la maggior parte dei russi, questa narrazione ha potuto reggere. Tuttavia ritiene Dumoulin -, una ribellione da parte di un gruppo paramilitare non si allinea bene con questa narrazione”.
    “Non mi aspetto che questi eventi abbiano un impatto diretto sulle operazioni in Ucraina – conclude l’analista di Ecfr -, ma probabilmente influenzeranno il morale dell’esercito russo e potrebbero persino portare a mettere in discussione la loro fedeltà alla leadership politica. Prigozhin ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi della ‘operazione militare speciale’ e alla condotta delle operazioni. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo“.

    Secondo la direttrice del programma per l’Europa allargata dell’European Council on Foreign Relations il capo della Wagner “ha espresso preoccupazioni riguardo agli obiettivi e alla gestione della ‘operazione militare speciale’. Queste preoccupazioni sono probabilmente condivise da una parte dell’esercito russo”

  • in

    Von der Leyen e Michel in trasferta in Islanda al Consiglio d’Europa. L’Ue sostiene il ‘Registro danni’ per la guerra a Kiev

    Bruxelles – Portare in giudizio la Russia e renderla ‘responsabile’ legalmente dei crimini di guerra in Ucraina, iniziando a raccogliere prove in un registro dei danni. Sono mesi ormai che l’Unione europea porta avanti il lavoro per istituire un tribunale speciale ad hoc per far pagare alla Russia i crimini di aggressione e di guerra contro l’Ucraina, una volta che l’invasione sarà finita. E questa volta è tempo di portare il tema in un consesso internazionale.
    “Sosterrò con forza la creazione di un tribunale dedicato per portare in giudizio il crimine di aggressione della Russia. Decideremo anche di istituire un registro dei danni all’Aia. Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, in una conferenza stampa che questa mattina ha visto la presidente della Commissione europea al fianco del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per presentare le priorità dell’Unione europea alla vigilia di tre importanti appuntamenti di diplomazia internazionale. Domani e mercoledì si terrà nella capitale islandese Reykjavik il vertice del Consiglio d’Europa, principale organismo che lavora come osservatorio dei diritti umani del continente (che non fa parte delle istituzioni comunitarie), che sarà seguito da un incontro dei leader del G7  dei Paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti)del mondo a Hiroshima, in Giappone, da venerdì 19 a domenica 21 maggio. All’inizio della prossima settimana i leader dell’Ue saranno poi a Seul per il Vertice Corea-Ue.

    An important sequence of summits starts tomorrow – @coe in Reykjavik, @G7 in Hiroshima and 🇪🇺🇰🇷 in Seoul.
    Many themes will connect them.
    And first, our united response to the Russian invasion of Ukraine and our support to this brave nation ↓https://t.co/brwgW9c5Xg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 15, 2023

    Tre le priorità più urgenti su cui l’Unione europea porrà l’accento durante i tre appuntamenti internazionali, sintetizzati da von der Leyen in conferenza stampa: Ucraina (con particolare riferimento all’ultimo pacchetto di sanzioni), i rapporti internazionali con la Cina e la corsa alle tecnologie pulite. “Continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha ribadito von der Leyen, spiegando che le dichiarazioni “devono tradursi in un sostegno finanziario stabile anche oltre il 2023 e in un sostegno militare accelerato”. La presidente ha aggiunto di aspettarsi che i leader siano uniti di fronte a due questioni fondamentali: il “primo principio è che continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario” e poi che “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. A significare che il processo di pace dovrà garantire che Kiev abbia un ruolo di primo piano da protagonista.
    Nella conferenza stampa von der Leyen ha anche sostenuto la creazione di un tribunale speciale per tenere conto dei crimini di guerra della Russia e ha affermato di voler sostenere la creazione di un “Registro dei danni” all’Aia per iniziare a tenerne traccia a livello internazionale per quando sarà il momento di usarli. “Sarà un primo passo, ma un ottimo passo, verso la compensazione russa”, ha assicurato. Dei tre appuntamenti internazionali sarà il Vertice di domani e mercoledì nella capitale islandese quello più importante per iniziare a discuterne. “I responsabili devono essere chiamati a rispondere della violazione del diritto internazionale e dell’ordine multilaterale basato sulle regole. Per questo sosteniamo con forza l’istituzione del Registro dei danni, che è il primo passo verso un meccanismo internazionale per la riparazione di danni, perdite o lesioni in Ucraina”, le ha fatto eco anche il presidente del Consiglio europeo Michel. Alla due giorni di Vertice parteciperanno i Capi di Stato e di governo dei 46 Stati membri (tutti i Ventisette) che fanno parte del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che promuove democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Alla cerimonia di apertura interverrà anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

    Il primo dei tre appuntamenti internazionali che questa settimana vedrà la presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo impegnati in un tour di diplomazia internazionale. I leader sosterranno la creazione di un registro dei danni come prima tappa per istituire un tribunale speciale ad hoc. Da venerdì a domenica leader impegnati al G7 di Hiroshima