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    Ucraina, Brexit e Windsor Framework. Le relazioni tra Ue e Regno Unito continuano con l’Assemblea interparlamentare

    Bruxelles – Si riparte dai Parlamenti, per “tenere aperto il dialogo e rafforzare i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito”. È così che la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha descritto il compito dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, riunitasi tra ieri e oggi (3-4 luglio) a Bruxelles per la terza volta dal maggio dello scorso anno: “Ci conosciamo già molto bene tra noi e dobbiamo portare avanti le discussioni per affrontare insieme come amici e come alleati le sfide e le minacce ai nostri valori comuni“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (4 luglio 2023)
    Dall’Ucraina all’attuazione del Framework di Windsor, ritornando alla Brexit e alla necessità di ripristinare rapporti stabili tra le due sponde della Manica. “Grazie per il supporto senza sosta all’Ucraina dall’inizio della tentata invasione illegale di Putin“, ha esordito la numero uno del Parlamento Ue, riferendosi a “milioni di sterline come aiuto, addestramento di soldati e piloti, assistenza umanitaria, militare, politica e logistica”. Ue e Regno Unito si trovano “sulla stessa linea d’onda quando si parla di relazioni con l’Ucraina” e questo si riflette nei rapporti tra Bruxelles e Londra: “La nostra azione e la nostra unità dimostrano che possiamo continuare il nostro percorso comune“. Parole confermate anche dall’incontro di oggi tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il segretario di Stato per gli Affari esteri britannico, James Cleverly: “Abbiamo avuto una discussione produttiva sugli ultimi sviluppi in Ucraina”, ha reso noto lo stesso alto rappresentante Borrell, sottolineando che “Ue e Regno Unito sono ben allineati su una serie di questioni cruciali di politica estera, sicurezza e difesa“.
    A proposito del percorso comune tra i due partner, “questa Assemblea ha un ruolo concreto da giocare, non solo per spianare la strada alla cooperazione, ma soprattutto per monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione“, ha ricordato la presidente Metsola. Si tratta del principale elemento di instabilità dei rapporti tra Ue e Regno Unito da quando Londra è uscita a tutti gli effetti dall’Unione il primo gennaio del 2021 e che – dopo due anni di tensione – può essere superato con l’implementazione del Framework di Windsor siglato poco più di quattro mesi fa: “È un passo in avanti per le nostre relazioni”, ha rivendicato Metsola, chiedendo il “pieno rispetto degli accordi presi”, perché “forniscono una solida base per preservare la nostra lunga amicizia e il nostro impegno costante per la democrazia e i diritti fondamentali“.
    Da sinistra: la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e i co-presidenti dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, Nathalie Loiseau (eurodeputata di Renew Europe) e Oliver Heald (membro del Parlamento britannico)
    Anche per la co-presidente dell’Assemblea interparlamentare, Nathalie Loiseau (Renew Europe), l’unità sull’Ucraina e il Framework di Windsor “hanno creato le condizioni per rafforzare le nostre relazioni”. In attesa dell’implementazione effettiva dell’accordo di febbraio soprattutto in Irlanda del Nord, l’eurodeputata francese ha voluto sottolineare i “progressi del Regno Unito nella partecipazione al programma Horizon Europe, gli scienziati non possono pagare il prezzo della Brexit”, così come non devono farlo i giovani europei: “Dobbiamo lavorare per migliorare la mobilità giovanile”, ha ribadito con forza Loiseau. Da parte britannica il co-presidente Oliver Heald, membro conservatore del Parlamento del Regno Unito, ha voluto sottolineare che “un anno fa non c’era questa atmosfera di unità, dobbiamo portare a termine le discussioni sul Framework”. È innegabile che rimangono “divergenze dopo la Brexit sul piano del level playing field, ma dobbiamo affrontarle insieme”, ha messo in chiaro l’eurodeputata francese, mentre il collega britannico ha voluto rassicurare sul fatto che “il Regno Unito non vuole abbassare gli standard, questa Assemblea può essere un luogo di scambio su quello che stiamo facendo a livello legislativo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi . con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato proprio con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal primo ministro britannico, Rishi Sunak, e che ora attende solo l’implementazione effettiva.

    A Bruxelles la terza riunione dell’Assemblea di eurodeputati e membri del Parlamento britannico. La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sottolinea il “ruolo importante da giocare nel monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione”

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    Per la prima volta nella storia una leader del Kosovo è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo

    Bruxelles – Un lungo discorso appassionato, che ha toccato molti punti di contatto tra l’Unione Europea e il Paese balcanico che più sostiene l’adesione all’Ue, nonostante le recenti tensioni che mettono Pristina di fronte al rischio concreto di sanzioni internazionali. La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, la prima leader nella storia del giovane Stato europeo a rivolgersi agli eurodeputati nell’emiciclo a Strasburgo. “Oggi il Kosovo è libero, è indipendente, è un faro di democrazia“, ha aperto il suo discorso Osmani, prendendo parola dopo l’incoraggiamento da parte della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola: “Conosco i suoi sforzi per la de-escalation e la stabilità nella regione”.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (14 giugno 2023)
    Un intervento iniziato con il ricordo del Premio Sakharov 1998 consegnato dal Parlamento Ue al primo presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova (prima che il Paese dichiarasse l’indipendenza nel 2008): “Voglio ringraziarvi dell’incommensurabile e continuo contributo che questa istituzione ha dato alla nostra libertà, democrazia e indipendenza”, ha affermato Osmani, chiedendo agli eurodeputati di “rimanere saldamente al fianco” del Paese più favorevole all’Ue, con “oltre il 90 per cento della nostra popolazione esprime il desiderio intransigente di entrare a far parte di queste istituzioni“. Esattamente sei mesi fa Pristina ha fatto richiesta di diventare Paese candidato e “il nostro avanzamento verso l’adesione fungerebbe da catalizzatore per la pace e la riconciliazione in una regione in cui le forze maligne hanno storicamente e continuano a seminare divisioni”. Così come dimostrato dall’ingresso di Slovenia e Croazia nell’Ue, o da Albania, Macedonia del Nord e Montenegro nella Nato, “l’integrazione della nostra regione non è solo di primaria importanza, ma ha anche un significato strategico“. Per la presidente Osmani, “è tempo di decisioni coraggiose, non di passi a metà, il Kosovo e i Paesi democratici dei Balcani Occidentali meritano di meglio”. D’altra parte “non ci allontaneremo mai dal nostro percorso euro-atlantico”, è la promessa della leader kosovara.
    A proposito di integrazione europea, la numero uno del Kosovo si è voluta soffermare sul fatto che il Parlamento Europeo “ha lottato insieme a noi per la causa della liberalizzazione dei visti“, fino al voto decisivo dello scorso 18 aprile: “Ha dato ai giovani brillanti e ambiziosi del mio Paese la possibilità di prosperare proprio come i loro coetanei in tutta l’Unione”. Come ricordato dalla presidente dell’Eurocamera Metsola, “è stato un percorso irto di ostacoli, ma insieme possiamo essere orgogliosi che dal primo gennaio 2024 ci sarà questa libertà di movimento”. E poi, proprio come i Ventisette, il Kosovo è particolarmente vicino all’Ucraina nella sua lotta di resistenza contro l’esercito russo: “Il 24 febbraio 2022 è stato un giorno buio per l’Europa e per noi è stato un ricordo rivissuto, a cui speravamo di non assistere mai più”, ha puntualizzato la presidente Osmani. Ecco perché “siamo stati il primo Paese della nostra regione a imporre sanzioni alla Russia” e sono state portate avanti diverse iniziative a sostegno di Kiev: “Dall’addestramento degli ucraini allo sminamento, dal lavoro per sostenere i sopravvissuti alle violenze sessuali, fino a un programma dedicato per sostenere i giornalisti ucraini per continuare a raccontare la verità”.
    Tornando alla situazione interna del Paese balcanico, Osmani si è soffermata a lungo sui miglioramenti democratici nei 15 anni di indipendenza del Kosovo e soprattutto sulla spinta verso l’uguaglianza di genere. Non solo in termini astratti. Diverse donne kosovare hanno accompagnato la presidente a Strasburgo, tra cui Vasfije Krasniqi Goodman, sopravvissuta e testimone delle violenze sessuali durante la guerra in Kosovo (1998-1999), Fahrije Hoti, vedova di guerra e proprietaria della Kooperativa Krusha – “un’azienda che ha dato il via allo sviluppo economico e all’emancipazione delle donne attraverso il loro impegno attivo nella forza lavoro” – Blerta Basholli, regista che ha trasformato la storia di Hoti in un film che ha vinto premi al Sundance Festival 2021, e Hana Qerimi, co-fondatrice delle start-up Digital School e StarLabs che “stanno facendo del Kosovo un leader nella regione come hub tecnologico”. Esempi concreti di cosa sta diventando il Paese balcanico ancora non riconosciuto da tutti i membri Ue, che dà un significato al “percorso di trasformazione, crescita e crescente prosperità” e allo “Stato di diritto come fondamento di una democrazia funzionante”.
    L’ultimo punto trattato da Osmani è legato a quanto sta accadendo nel nord del Kosovo. “Siamo assolutamente determinati nei nostri sforzi per garantire che tutti gli individui, indipendentemente dalla loro posizione o influenza, siano ritenuti responsabili delle loro azioni“, è il riferimento alle violenze dell’ultimo mese nei comuni di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Ma allo stesso tempo “costruire una società sempre più diversificata rimane il nostro impegno quotidiano” e “in questo spirito di inclusione, invito tutti i serbi che vivono in Kosovo ad avvalersi dei diritti avanzati previsti dalla Costituzione, questa Repubblica è la vostra casa e noi faremo tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che vi sentiate protetti, inclusi, uguali e ascoltati”, ha concluso la presidente kosovara il suo intervento davanti agli eurodeputati.
    La situazione in Kosovo
    È proprio la situazione in corso nel nord del Kosovo a preoccupare particolarmente le istituzioni comunitarie e la comunità internazionale. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 truppe aggiuntive della forza militare internazionale Kfor, sono state ripetute le richieste al primo ministro kosovaro, Albin Kurti, di non aumentare la tensioni nelle regioni di confine con la Serbia e di sospendere le operazioni di polizia, per spingere sulla strada del dialogo e di nuove elezioni amministrative. Tuttavia, per la comunità internazionale queste esortazioni non sembrano aver avuto sufficiente effetto, al punto che proprio oggi (14 giugno) il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, ha confermato esplicitamente alla stampa di Bruxelles che “mentre il lavoro diplomatico continua, l’Ue ha preparato delle proposte di misure con effetto immediato“. L’esortazione è sempre quella di rispettare le “richieste contenute nella lettera” inviata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che rimane la chiave per ritornare al tavolo del dialogo non solo con la Serbia, ma a questo punto anche con Bruxelles, Washington e Tirana (il premier albanese, Edi Rama, ha annullato una riunione con il governo kosovaro prevista per oggi, nonostante sia il primo sponsor della causa kosovara).
    Tutto è iniziato con lo scoppio dele proteste delle frange violente della minoranza serba nel nord del Kosovo lo scorso 26 maggio, a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica, trasformatesi tre giorni più tardi in violente proteste che hanno coinvolto anche i soldati Kfor (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). A far deflagrare la tensione è stata la decisione del governo di Pristina di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci, nonostante le perplessità internazionali per l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento. Secondo il governo Kurti la decisione è stata determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić. Dopo una settimana di apparente stallo, le proteste sono scoppiate nuovamente negli ultimi giorni per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra gli organizzatori delle proteste violente di fine maggio.

    Mentre Pristina rischia sanzioni internazionali per le tensioni nel nord, la presidente Vjosa Osmani si è soffermata sul percorso di adesione all’Unione, sul sostegno alla resistenza ucraina, sul rispetto dello Stato di diritto e sulle garanzie di inclusione della minoranza serba nel Paese

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    L’appello della presidente della Georgia alla plenaria del Parlamento Ue: “Status di candidato entro fine 2023”

    Bruxelles – C’è un solo Paese che è sulla strada dell’Unione Europea, ma non ha ancora ottenuto lo status di candidato all’adesione. È la Georgia, uno dei partner più europeisti nelle aspirazioni della popolazione, ma allo stesso tempo più complicato nella gestione dei rapporti con il governo in carica. “Aldilà delle passioni politiche tutti i georgiani condividono la speranza di ritrovare la famiglia europea, è una scelta legittima e che non prevede alternative, perché si basa su valori, storia, lotte e determinazione per il futuro comuni”, è stato il messaggio della presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, dal cuore dell’Unione Europea, intervenendo alla sessione plenaria del Parlamento Europeo nell’emiciclo di Bruxelles. Con un chiaro messaggio per il prossimo futuro: “C’è un’unica strada da percorrere, garantire alla Georgia entro la fine dell’anno lo status di Paese candidato all’adesione Ue“.
    La presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (31 maggio 2023)
    Era da 13 anni che un leader georgiano non interveniva al Parlamento Europeo – l’ultima volta era stato Mikheil Saakashvili il 22 novembre 2010, le cui condizioni di salute in carcere oggi preoccupano gli eurodeputati – e il ritorno non poteva essere più d’impatto. “Sarebbe il riconoscimento delle lotte del nostro popolo, dell’identità e dell’importanza dell’Ue, è una richiesta come membri della stessa famiglia“, ha ricordato Zourabichvili, riconoscendo “le nostre lacune” sulla strada verso l’adesione: “Tanto deve essere ancora fatto, è il compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo stavolta non ci perdonerebbe“. Anche la numero uno dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha ribadito la necessità di “spingere di più per dare lo status di candidato” alla Georgia, per non rischiare di perdere un popolo fortemente europeista: “Vi sosterremo nel viaggio per diventare parte dell’Ue, ma serve più decisione sulle riforme-chiave“.
    La Georgia ha fatto richiesta di adesione all’Ue il 3 marzo dello scorso anno. Tuttavia, in linea con il parere della Commissione, al vertice dei leader del 23 giugno è stato deciso di garantire non lo status di Paese candidato ma la ‘prospettiva europea” con 12 riforme-chiave sullo Stato di diritto e le libertà fondamentali da implementare prima della concessione dello status. Proprio ai “12 passi richiesti” ha fatto riferimento nel suo intervento la presidente Zourabichvili, che non li considera un vincolo ma “raccomandazioni di essere fedeli alla nostra identità e riconciliarci con essa“. L’obiettivo è quello di “vedere una Georgia libera in un’Europa libera, l’unica strada per farlo è far parte nell’Ue”, è stata l’esortazione della leader georgiana.
    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A questo si ricollega la questione delle minacce della Russia, Paese con cui confina a nord. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. “Quando invoco il futuro europeo della Georgia, lo faccio anche per gli abitanti delle regioni di Abkhazia e Tskhinvali [capitale dell’Ossezia del Sud, ndr], non sono in vendita”, ha attaccato Zourabichvili da Bruxelles. La presidente della Georgia ha fatto anche riferimento alla guerra russa in Ucraina e alla politica di espansionismo intrinseca di Mosca: “Le politiche di appeasement non hanno mai funzionato, è la sua natura imperialistica che le fa portare avanti attacchi contro i vicini“, perché “il Paese più grande al mondo non accetta di avere dei confini”.
    La complessa strada della Georgia nell’Ue
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). Tra le ultime notizie che hanno sollevato più preoccupazioni va ricordato il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest). Ma anche la ripresa dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore.
    A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo georgiano ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo per aver fallito l’obiettivo sulla candidatura all’adesione. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia (quello ufficiale dell’Unione Europea).
    Quasi tre mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.

    La leader georgiana Salomé Zourabichvili si è rivolta alle istituzioni comunitarie direttamente dall’emiciclo di Bruxelles: “Tanto deve essere ancora fatto, è il nostro compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo non ci perdonerebbe”

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    La condanna a 15 anni di carcere per la leader bielorussa Tsikhanouskaya. L’Ue: “Il regime Lukashenko ne risponderà”

    Bruxelles – Il Paese delle condanne già scritte. A soli tre giorni dalla sentenza a 10 anni di carcere per il Premio Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski, anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha ricevuto la sua condanna – in contumacia – dal regime di Alexander Lukashenko. Quindici anni in prigione, se mai ritornerà nel Paese. O, sarebbe meglio dire, se lo farà mentre l’autoproclamato presidente bielorusso ancora sarà a capo della macchina di repressione dell’opposizione e della libertà di pensiero.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, con la foto del marito Siarhei Tsikhanouski (credits: John Thys / Afp)
    “Quindici anni di carcere, è così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia“, è quanto rende noto la stessa Tsikhanouskaya da Vilnius (Lituania), città in cui vive da esule da quando è stata costretta a fuggire per non fare la fine dei quasi 1.500 oppositori in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e la richiesta di democrazia nel Paese. “Oggi non penso alla mia condanna, penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali”, ha incalzato la leader dell’opposizione, promettendo di non fermarsi “finché ognuno di loro non sarà rilasciato”. Il processo in contumacia a carico di Tsikhanouskaya era iniziato lo scorso 17 gennaio, con accuse di matrice politica – dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista. La pena massima prevista dal Codice penale bielorusso era di 15 anni di reclusione, che nel pomeriggio di ieri (6 marzo) è stata effettivamente inflitta alla leader che aveva corso per le elezioni presidenziali del 2020.
    “È una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia“, era stato l’avvertimento di Tsikhanouskaya durante la sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) dello scorso 22 febbraio. A Minsk è stata modificata la legislazione sulla cittadinanza del 2002 con la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. A questo si aggiunge il fatto che il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo lunedì scorso (27 febbraio): “Vogliono spezzarlo e fare pressione su di me, ma non ce la faranno”.

    15 years of prison.
    This is how the regime “rewarded” my work for democratic changes in Belarus.
    But today I don’t think about my own sentence. I think about thousands of innocents, detained & sentenced to real prison terms.
    I won’t stop until each of them is released. pic.twitter.com/9kQREV0sgl
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 6, 2023

    Le istituzioni Ue contro la Bielorussia di Lukashenko
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (26 maggio 2022)
    “Prima hanno imprigionato il marito, poi hanno arrestato lei, ora la condannano a 15 anni di carcere in contumacia”, è l’attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, al regime di Lukashenko, che “sarà chiamato a risponderne”. Tsihanouskaya “sta pagando le conseguenze della sua lotta per la libertà e la democrazia“, ha incalzato Metsola, che ha promesso di portare avanti “la nostra spinta per una Bielorussia libera”. Da parte della Commissione Ue è stato il titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a condannare l’ennesimo “deplorevole segno di come funziona il regime di Lukashenko”, mentre “il popolo bielorusso sa che la libertà prevarrà”.
    Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle sanzioni dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – sia per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, sia per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata della Russia all’Ucraina. Da mesi gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario di inasprire il regime di misure restrittive contro Lukashenko e la sua cerchia, adeguandolo a quello applicato al regime di Putin. Al momento non ci sono novità dal Berlaymont rispetto alle anticipazioni di metà gennaio della presidente Ursula von der Leyen: “Presenteremo presto una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia”.

    Comminata la pena massima alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue per capi d’imputazione che vanno dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista: “È così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia”

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    Le istituzioni Ue contro Minsk per la condanna a 10 anni di carcere per Bialiatski, Premio Nobel bielorusso per la Pace

    Bruxelles – Una condanna già scritta, ma che comunque fa un rumore assordante. Il Premio Nobel per la Pace 2022, vincitore del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, attivista e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, è stato condannato oggi (3 marzo) a 10 anni di carcere dal regime dell’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento di “attività che violano gravemente l’ordine pubblico”. Insieme a Bialiatski sono stati condannati anche il vicepresidente di Viasna Valiantsin Stefanovic, l’attivista Zmitser Salauyou e l’avvocato Uladzimir Labkovich, rispettivamente a nove, otto e sette anni di carcere
    Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, al Parlamento Europeo (16 aprile 2015)
    Un “insulto alla giustizia”, è il durissimo attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, leader dell’istituzione comunitaria da sempre più vicina e a supporto dell’opposizione a Lukashenko. L’ennesima sentenza politicamente motivata, contro uno degli esponenti più rilevanti della società civile in Bielorussia che si oppone all’elezione truccata del 9 agosto 2020. Parole di condanna anche da parte dai presidenti delle altre due istituzioni comunitarie. “La loro lotta per i diritti umani e la giustizia in Bielorussia continuerà”, ha messo in chiaro la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “i tentativi di metterli a tacere falliranno, saremo portatori delle loro voci”. Per il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, le sentenze di Minsk “sono una vergogna, le accuse sono inventate e montante” e per questo motivo il diktat di Bruxelles al regime di Lukashenko è di “rilasciare tutti gli altri attivisti democratici ingiustamente imprigionati”.
    “L’Unione Europea condanna con la massima fermezza questi processi farsa, che rappresentano un altro terribile esempio del tentativo del regime di Lukashenko di mettere a tacere coloro che si battono in difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso”, è l’altrettanto netta presa di posizione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, anticipando una “reazione alla brutale repressione” di coloro che “hanno osato opporsi alle violazioni dei diritti umani nel Paese e che hanno rifiutato il ruolo della Bielorussia nella guerra della Russia contro l’Ucraina”.
    Ales Bialiatski alla cerimonia di conferimento del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (16 dicembre 2020)
    Nel dicembre del 2020 Bialiatski era tra i leader dell’opposizione in Bielorussia a cui il Parlamento Ue aveva conferito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, mentre lo scorso anno alla sua organizzazione Viasna è stato assegnato il Nobel per la Pace insieme all’ong russa per la difesa dei diritti umani Memorial e all’organizzazione ucraina Centro per le Libertà Civili. Ma dal luglio 2021 si trova in carcere a Minsk e il processo a suo carico era iniziato lo scorso gennaio: da subito si sapeva che avrebbe rischiato tra i 7 e i 12 anni di carcere. In tutti questi mesi è rimasta alta l’attenzione dell’Eurocamera e delle altre istituzioni comunitarie sulla situazione di Bialiatski, grazie anche ai numerosi inviti alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya. “Invito la comunità internazionale a unirsi alla campagna di solidarietà con il difensore dei diritti umani Ales Bialiatski”, ha twittato la leader bielorussa, lanciando l’hashtag #freeales: “Sosteneteci organizzando eventi e rilasciando dichiarazioni, se il regime vuole mettere a tacere Ales, dobbiamo fare in modo che il suo nome si senta ancora più forte“.

    I call on the international community to join the campaign of solidarity with human rights defender Ales Bialiatski — #freeales. Please support us by organizing events & making statements. The regime wants to silence Ales, so we have to make sure his name is heard even louder! pic.twitter.com/bBbHMWQM8D
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 3, 2023

    Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia
    Il numero dei prigionieri politici continua a crescere di giorno in giorno, e ora ha toccato quota 1461, come riportano i corrispondenti della BBC. Lo scorso 27 febbraio il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo. Da tre mesi non si hanno invece notizie da Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni di salute.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya (credits: John Thys / Afp)
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente Lukashenko hanno approvato gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio: l’ennesima “farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, è stato l’attacco della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue nel corso della sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) della scorsa settimana.

    “È un insulto alla giustizia”, è l’attacco della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna accusato di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste dal regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko

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    Inizia a Londra il primo viaggio continentale di Zelensky. Domani è atteso a Bruxelles da Parlamento e Consiglio Ue

    Bruxelles – Ora è ufficiale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lasciato il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 per il suo primo viaggio sul continente europeo. A renderlo noto è il governo britannico, annunciando che il leader dell’Ucraina è in viaggio per il Regno Unito, prima tappa della trasferta europea che domani (9 febbraio) lo vedrà a Bruxelles per partecipare alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo e al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue. Per questa sera è invece prevista una seconda tappa a Parigi, dove all’Eliseo si svolgerà un colloquio a tre tra il presidente ucraino, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz.
    Da sinistra: il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Londra l’8 febbraio 2023 (credits: Justin Tallis / Afp)
    “La visita del presidente Zelensky nel Regno Unito è una testimonianza del coraggio, della determinazione e della lotta del suo Paese, e una testimonianza dell’amicizia indissolubile tra i nostri due Paesi”, è il saluto del primo ministro britannico, Rishi Sunak, a poche ore dall’arrivo del numero uno di Kiev a Londra. Nel confronto tra Sunak e Zelensky sarà discussa l’ulteriore fornitura militare a sostegno della difesa del Paese, l’addestramento di piloti di aerei da combattimento e nuove sanzioni contro la Russia, si apprende dalla nota diffusa da Downing Street 10. Il presidente ucraino si rivolgerà poi al Parlamento britannico a Westminster, dove esporrà il piano per una pace “giusta e sostenibile”, e ci si aspetta un incontro anche con re Carlo II.
    Ma a Bruxelles si aspetta solo lo scoccare della mezzanotte di giovedì 9 febbraio, quando avrà inizio la lunga giornata del presidente Zelensky presso le istituzioni comunitarie, per la prima volta di persona da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni ancora non sono arrivate conferme ufficiali – per questioni di sicurezza – dai portavoce del Consiglio e del Parlamento Ue, ma ormai nella capitale dell’Unione si stanno facendo tutti i preparativi per accogliere il leader ucraino sia nell’emiciclo dell’Eurocamera sia al Consiglio Europeo straordinario (che dopo migrazione e aiuti di Stato ora avrà un terzo dossier di peso sul tavolo). Non solo è stata spostata la riunione del Comitato delle Regioni, organizzata inizialmente nell’emiciclo del Parlamento Ue, ma anche la conferenza dei presidenti dei gruppi all’Eurocamera, prevista per domani, è slitatta di un giorno.
    Un camion dei pompieri distrutto da una mina a Kiev e un’ambulanza colpita dall’esercito russo a Kharkiv, davanti alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (8 febbraio 2023)
    Come anticipano fonti europee, Zelensky domattina comparirà tra le 10 e le 11 davanti a tutti gli eurodeputati all’emiciclo di Bruxelles, presieduto dalla sua leader Roberta Metsola. Considerati gli stretti orari degli appuntamenti delle due istituzioni, è possibile che Zelensky si recherà prima a Palazzo Europa e poi si sposterà in rue Wiertz 60: altre fonti Ue prevedono che l’inizio dei lavori del vertice dei leader dei Ventisette sarà verso le ore 9.30/10, appena prima della visita di Zelensky all’Eurocamera. Il discorso del presidente ucraino al Consiglio Ue dovrebbe anticipare le discussioni previste su migrazione e risposta Ue all’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, che al momento si puntano a chiudere entrambe in una sola giornata.

    Tappa nel Regno Unito per il leader del Paese invaso dall’esercito russo da quasi un anno. Dopo il confronto con il premier Sunak e re Carlo III si dirigerà verso la capitale dell’Unione per partecipare alla sessione plenaria dell’Eurocamera e al vertice dei leader dei Ventisette

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    Edi Rama sbeffeggia l’Ue sul Qatargate. Ma dovrebbe prima preoccuparsi per il livello di corruzione in Albania

    Bruxelles – Con un sorriso sornione e la classica loquela tra lo scherzoso e il cinico, il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, si toglie un sassolino dalla scarpa con la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos: “Quando lo scandalo di corruzione [Qatargate, ndr] è emerso, ho pensato subito che karma is a bitch“. Un’espressione piuttosto colorita – almeno per un forum internazionale come Davos – per sottolineare che il destino talvolta sa essere beffardo e che, dopo anni a chiedere all’Albania e agli altri Paesi dei Balcani Occidentali maggiori sforzi sullo Stato di diritto, è proprio Unione Europea a dover fare i conti con le falle nel sistema di integrità e trasparenza delle sue stesse istituzioni.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (a sinistra), e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Nel suo intervento di ieri pomeriggio (19 gennaio) al panel ‘Widening Europe’s Horizons‘ organizzato da Politico al World Economic Forum, il premier albanese Rama ha lanciato più di una provocazione a Bruxelles, senza però strappare con il partner “a cui apparteniamo” e che dopo anni di attesa ha aperto le porte dei negoziati per l’adesione. “Dall’Ue ci è stato chiesto  di fare passi avanti contro la corruzione nel sistema giudiziario”, ha voluto ricordare l’uomo forte di Tirana: “Noi siamo stati radicali e abbiamo imposto le dimissioni di 9 giudici della Corte Costituzionale su 11 perché non potevano giustificare la propria ricchezza, ma poi ci è stato rinfacciato di non avere più una Corte Costituzionale”. Allo stesso tempo Rama ha voluto porre l’accento sul fatto che “il processo di allargamento è diventato nevrotico e ingiusto” e, se oggi Bruxelles trattasse nello stesso modo i suoi stessi Stati membri, “molti non sarebbero più in grado di entrare” nell’Unione: “E non parlo solo dei Paesi ex-comunisti, ma anche dei fondatori”.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Annuisce e si lascia sfuggire un “è vero” la presidente Metsola, incassando la provocazione di Rama e probabilmente pensando a Paesi come Ungheria e Polonia e alle accuse arrivate proprio ieri dagli avvocati dell’ex-vicepresidente dell’Eurocamera, Eva Kaili, sullo stato di detenzione dell’eurodeputata nella capitale del Belgio (uno dei Paesi fondatori dell’Unione, appunto). Parlando dello scandalo QatarGate, la numero uno del Parlamento Ue l’ha definito “un pugno nello stomaco” e ha assicurato che “è mia responsabilità fare in modo che i campanelli di allarme suonino prima e le contromisure vengano prese immediatamente”. Il piano in 14 punti approvato dalla Conferenza dei presidenti la settimana scorsa rappresenta “una serie di misure immediate per garantire l’integrità, la responsabilità e l’indipendenza” dell’istituzione comunitaria, che dovranno essere accompagnate da “riforme già necessarie prima”, come confermato anche dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    Dietro le parole di Rama: lo Stato di diritto in Albania
    Ma rinfacciare all’Unione Europea lo scoppio di uno scandalo all’interno di una delle sue istituzioni è una coperta molto corta per il premier Rama. Come emerge dal rapporto 2022 dell’organizzazione internazionale World Justice Project, l’Albania è all’87esimo posto su 140 Paesi per il livello di rispetto dello Stato di diritto, ultima in Europa a pari merito con la Serbia (se non si tengono in considerazione le paria internazionali di Russia e Bielorussia). I Paesi membri dell’Ue peggiori sono Bulgaria e Ungheria, ma comunque rispettivamente al 30esimo e 31esimo posto in classifica nel 2022. Il trend in Albania è di leggero ma costante declino della situazione negli ultimi anni, con le criticità maggiori registrate proprio nell’ambito della corruzione, della giustizia criminale e dell’applicazione delle normative.
    Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    A questo si aggiunge quanto messo nero su bianco dalla Commissione Europea nel dossier Albania del Pacchetto Allargamento 2022, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno. “Nonostante alcuni progressi, l’aumento degli sforzi e l’impegno politico nella lotta alla corruzione, questa rimane un’area di grave preoccupazione“, si legge nel documento. La questione si pone “in molti settori della vita pubblica e imprenditoriale”, come dimostrato da alcune “condanne definitive di funzionari statali di alto livello”. Secondo l’esecutivo comunitario “i settori più vulnerabili alla corruzione richiedono valutazioni del rischio mirate e azioni specifiche”, in particolare sul fatto che i procedimenti penali siano avviati “in modo coerente e sistematico” contro gli accusati di condotta criminale: “Bisogna garantire che la Struttura specializzata per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata si occupi ulteriormente della corruzione ad alto livello”.
    Per quanto riguarda specificamente il sistema giudiziario – citato da Rama – l’analisi della Commissione Ue evidenzia che “l’Albania è moderatamente preparata”, grazie ai “buoni progressi sul proseguimento dell’attuazione della riforma della giustizia” e le “nuove nomine di giudici dell’Alta Corte, che ha raggiunto il quorum per effettuare le nomine di giudici alla Corte Costituzionale, procedendo a una di queste”. Tuttavia, l’efficienza del sistema giudiziario “è influenzata negativamente dalla lunghezza dei procedimenti, dal basso tasso di liquidazione e dall’ampio arretrato di cause”. Senza cercare scuse nel QatarGate per abbassare gli standard anti-corruzione durante i negoziati di adesione all’Ue, la raccomandazione per il 2023 a Tirana rimane il “consolidamento degli sforzi per migliorare l’efficienza e la trasparenza di tutti i tribunali e le procure”.

    Al World Economic Forum di Davos il premier albanese ha punzecchiato la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “Karma is a bitch”. La lotta alla corruzione rimane però di “grave preoccupazione” per Bruxelles sul piano dello Stato di diritto nel Paese in via di adesione

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    L’Ue si stringe attorno all’Ucraina per la “tragedia” dello schianto dell’elicottero in cui è morto il ministro dell’Interno

    Bruxelles – Le istituzioni dell’Unione Europea esprimono la propria vicinanza all’Ucraina dopo la morte di 16 persone – tra cui il ministro degli Interni, Denys Monastyrskyi – nello schianto di questa mattina (18 gennaio) dell’elicottero a Brovary, alla periferia di Kiev. “La tragedia colpisce il cuore dell’Ucraina devastata dalla guerra, siamo in lutto con voi”, ha commentato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, esprimendo le condoglianze al presidente del Paese, Volodymyr Zelensky, e al popolo ucraino.
    Le operazioni antincendio a Brovary (Kiev) dopo lo schianto dell’elicottero del ministro degli Interni, Denys Monastyrskyi (18 gennaio 2023)
    Secondo quanto riportano le autorità ucraine, poco dopo le 8 di mattina l’elicottero su cui viaggiava il ministro Monastyrskyi con il suo vice, Yevhen Yenin, e il segretario di Stato del ministero, Yuriy Lubkovich, avrebbe impattato il tetto di un asilo, prima di schiantarsi su un altro edificio. Ancora non sono chiare le cause dello schianto, né se si sia trattato di un incidente o di un sabotaggio. Secondo alcuni testimoni oculari il velivolo sarebbe stato già in fiamme prima dell’impatto con gli edifici e il primo ministro, Denys Shmyhal, ha annunciato che saranno aperte indagini per chiarire se c’è stato un sabotaggio, un malfunzionamento o una qualche violazione delle regole di sicurezza del volo. Oltre alle tre figure di spicco del ministero degli Interni hanno perso la vita anche i tre membri dell’equipaggio e tre bambini, mentre a terra altre 30 persone sono rimaste ferite (tra cui 12 minori).
    “Ho il cuore spezzato dalla notizia devastante dell’incidente dell’elicottero vicino all’asilo di Brovary, vicino a Kiev”, ha scritto su Twitter la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, che pochi minuti prima di fronte all’emiciclo di Strasburgo si era rivolta direttamente ai colleghi, riportando la notizia: “Penso di parlare a nome di tutti in quest’Aula sul fatto che i nostri pensieri vanno al coraggioso popolo ucraino e alle famiglie del ministro e del vice-ministro”. Anche il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, si è unito al “dolore dell’Ucraina per il tragico incidente dell’elicottero a Brovary”, definendo il ministro Monastyrsky “un grande amico dell’Ue”. Si dice “profondamente scossa” la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, che avrebbe dovuto incontrare la controparte ucraina a inizio febbraio per l’incontro tra i membri del Collegio dei commissari e quelli del governo Shmyhal. “Denys è un vero eroe ucraino, che nell’ultimo anno ha guidato [l’Ucraina, ndr] con coraggio e stoicismo“, ha aggiunto Johansson: “Lavorare con lui quest’anno è stato un onore”.

    Heartbroken with devastating news of helicopter crash next to kindergarten in Brovary near Kyiv.
    My thoughts are with families & loved ones of Ukraine’s Internal Affairs Minister Denys Monastyrskyi and those killed in this terrible tragedy, including children.#StandWithUkraine pic.twitter.com/abr4Cnj9yV
    — Roberta Metsola (@EP_President) January 18, 2023

    Il supporto all’Ucraina da Strasburgo
    Intanto dalla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo arrivano esortazioni esplicite per un’azione ancora più decisa a sostegno del Paese invaso dalla Russia dal 24 febbraio dello scorso anno. “Continueremo a supportare militarmente Kiev finché necessario, anche con un aumento del fondo dell’European Peace Facility”, ha assicurato il presidente Michel, intervenendo davanti agli eurodeputati: “Personalmente sono a favore dell’invio di carri armati“, ha aggiunto il numero uno del Consiglio, atteso fra due settimane a Kiev per il vertice Ue-Ucraina insieme a von der Leyen e Zelensky.
    A proposito delle consegne di armi al partner sotto attacco, gli eurodeputati hanno messo nero su bianco nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune – adottato oggi con 407 voti a favore, 92 contrari e 142 astenuti – che i Paesi membri devono “immediatamente dispiegare armi moderne e un sistema di difesa aerea di nuova generazione”, con un’esortazione esplicita al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, di consegnare a Kiev i carri armati Leopard 2 “senza ulteriori ritardi”. La motivazione alla base riguarda il fatto che “l’Ucraina sta difendendo la sua integrità territoriale all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale” e ha “urgentemente bisogno di aiuti militari e di armi pesanti per vincere la guerra”, sottolineano gli eurodeputati.

    Il velivolo ha impattato il tetto di un asilo a Brovary (alla periferia di Kiev), causando il decesso del ministro Monastyrskyi e altre 15 persone, tra cui 3 bambini. Ancora non è chiaro se si è trattato di un incidente o di un sabotaggio: “Colpisce il cuore dell’Ucraina devastata dalla guerra”