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    Stefanchuk all’Eurocamera, l’Ue rinnova il supporto all’Ucraina verso una pace “giusta”

    Dall’inviato a Strasburgo – Ormai al terzo anniversario dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca spinge Kiev verso un negoziato con Mosca. Ma il neo presidente non conosce né il principio del “Niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”, né la formula del supporto incondizionato a Kiev, senza ricevere nulla in cambio. Dal Parlamento europeo l’Ue, che rischia di essere tagliata fuori, prova ad alzare la voce: Roberta Metsola e il suo omologo ucraino, Ruslan Stefanchuk, hanno riaffermato insieme il proprio impegno per una “pace giusta“.Il presidente della Verchovna Rada è intervenuto all’emiciclo di Strasburgo, come già era accaduto nel giugno 2022, poco dopo l’avvio del percorso di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Introducendolo, Metsola ha avvertito l’Europa: “Non dobbiamo lasciar perdere ciò che intendiamo per pace”. Per arrivare a una pace che non sia una resa all’aggressore, “l’Ucraina deve essere in una posizione di forza“. Se Washington mette in dubbio il proprio impegno, “ciò significa che l’Europa deve fare di più”. In termini di sostegno finanziario, militare, umanitario. In termini di pressione diplomatica.Ruslan Stefanchuk, presidente della Verkhovna Rada, al Parlamento europeo di Strasburgo (11/02/25)Il momento è decisivo, “cruciale”, come ha sottolineato lo stesso Stefanchuk. E l’esercito di Volodymir Zelensky ci arriva “stanco ma imbattuto”. Il presidente del Parlamento ucraino ha ringraziato l’Eurocamera per il supporto mai mancato in questi tre anni, ribadito un’ennesima volta un mese dopo le elezioni europee dai nuovi eruodeputati, con una risoluzione del 17 luglio scorso. La stessa Eurocamera, ha chiesto poi a settembre di rimuovere le limitazioni all’utilizzo di armi occidentali in territorio russo. La fermezza del Parlamento europeo è stata determinante per garantire la protezione temporanea nei Paesi europei a oltre 4 milioni di sfollati ucraini, la mobilitazione di 50 miliardi di euro in assistenza militare, l’addestramento da parte dei Paesi membri di oltre 70 mila soldati dell’esercito di Kiev.Ma se Mosca continua a puntare verso Kiev, “significa che intende muoversi anche verso Varsavia, Strasburgo, Bruxelles”, ha avvertito Stefanchuk. E alla luce delle provocazioni e dei ricatti di Trump, che proprio oggi ha affermato che “un giorno l’Ucraina potrebbe essere russa” e ha chiesto a Zelensky che l’impegno americano venga ripagato con “l’equivalente di 500 miliardi di terre rare”, l’Ue è chiamata ad alzare ancora il livello della propria responsabilità nei confronti del popolo ucraino. Accelerando sul percorso di adesione di Kiev ai 27 – i negoziati di adesione potrebbero cominciare già a marzo – e assicurandole le garanzie necessarie per una pace duratura con il Cremlino. “In un contesto internazionale e geopolitico difficile, sottolineiamo l’importanza di mantenere la solidarietà transatlantica e globale con l’Ucraina“, affermano i leader dei gruppi politici del Parlamento europeo in una dichiarazione congiunta.Non si tratta solo di rafforzare la difesa aerea di Kiev e intensificare i rifornimenti di armi e missili a lungo raggio – Stefanchuk ha ringraziato la Francia per la consegna dei caccia Mirage perché “ci serve più difesa aerea per proteggere i nostri cieli perché è dal cielo che la Russia ci attacca” -, ma di insistere per “un percorso chiaro” verso l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, “la migliore garanzia di sicurezza” per il Paese. Secondo Stefanchuk, l’esercito ucraino è “di fatto già un esercito della Nato”. I soldati ucraini combattono con armi dell’Alleanza Atlantica, con le sue tecniche, e “difende il fronte orientale della Nato dal nemico della Nato: la Russia”.La durezza della situazione sul campo impone allo speaker della Verchovna Rada di mantenere quanto meno l’ottimismo. “In questi tre anni abbiamo trasformato dei ‘no’ categorici in dei solidi ‘si’. Si diceva no alle armi, no ai missili a lungo raggio, no agli aerei e ora sono diventati tutti dei sì”, ha sottolineato. Se i sì degli Stati Uniti sono in bilico, quelli di Bruxelles sono più fondamentali che mai.

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    La leader dell’opposizione bielorussa all’Ue: “I dittatori crollano all’improvviso”. Minsk verso elezioni “farsa” a gennaio

    Bruxelles – La Siria insegna: “le dittature sembrano invincibili finché non crollano all’improvviso e nemmeno un potente alleato può salvare un dittatore“. A dirlo, durante una conferenza al Parlamento europeo di Bruxelles, la leader dell’opposizione bielorussa in esilio, Sviatlana Tsikhanouskaya. Mentre la Bielorussia si prepara alle elezioni “farsa” previste per il 26 gennaio 2025, l’Ue consolida il sostegno alle forze democratiche e alla popolazione civile oppressa dal regime di Lukashenko con un nuovo pacchetto di assistenza da 30 milioni di euro.Tsikhanouskaya – figura principale dell’opposizione a Lukashenko da quando, durante la campagna elettorale del 2020, il marito candidato alla presidenza è stato arrestato e imprigionato – ha incontrato ieri nella capitale europea l’Alta rappresentate Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, a margine della quarta riunione del Gruppo consultivo tra l’Unione europea e le forze democratiche e la società civile bielorusse. Ed oggi (12 dicembre) ha partecipato insieme alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e alla commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, ad una conferenza di alto livello all’Eurocamera.Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko (foto: Alexander Kazakov via Afp)Il momento è decisivo: a seguito del voto del 2020, l’ondata di proteste che ha travolto la Bielorussia ha quasi causato la caduta di Lukashenko, al potere dal 1994. Per poi essere spenta dalla brutale risposta del regime, che ha costretto la stessa Tsikhanouskaya a fuggire in Lituania, dove risiede tutt’ora. Quattro anni dopo, “siamo ancora pronti al cambiamento e alla transizione democratica“, ha affermato Tsikhanouskaya al Parlamento europeo. Ma sia l’opposizione bielorussa che Bruxelles sono ben consapevoli che – come si legge in un comunicato del Servizio europeo di Azione esterna (Seae) “attualmente, a causa della repressione in corso, non ci sono le condizioni per elezioni democratiche“. Con ogni probabilità, a trionfare sarà per la settima volta il fantoccio di Mosca, Lukashenko.Dopo i moti di protesta del 2020, le autorità bielorusse hanno arrestato 65 mila persone, chiuso oltre 1.700 organizzazioni della società civile e bandito tutti i partiti politici tranne quattro, tutti pro-Lukashenko. L’Ue ha espresso “profonda preoccupazione per i circa 1.300 prigionieri politici ancora ingiustamente detenuti” e ha condannato “l’intensificarsi delle detenzioni e degli atti di repressione in vista delle cosiddette elezioni di gennaio”. Secondo il centro per i diritti umani Viasna, con sede a Minsk, nel mese di novembre sono state arrestate oltre 100 persone con l’accusa di estremismo in vista dell’appuntamento elettorale.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, alla conferenza di Alto livello sulla Bielorussia, 12/12/24Saranno una “farsa”, ha denunciato Tsikhanouskaya, sottolineando però al contempo che anche se “non sappiamo esattamente come e quando il cambiamento arriverà in Bielorussia, dobbiamo essere preparati“. L’Ue prova a fare la sua parte: intervenendo alla conferenza all’Eurocamera, la commissaria Marta Kos ha annunciato un nuovo pacchetto di assistenza per la popolazione bielorussa del valore di 30 milioni di euro, che “contribuirà a sostenere le voci indipendenti, a proteggere i difensori dei diritti umani e ad aiutare la cultura e l’istruzione in esilio”.Dalla feroce repressione del dittatore filo-russo del 2020, la Commissione europea ha destinato alla causa bielorussa 170 milioni di euro. Una solidarietà che ha permesso ad esempio di “fornire assistenza legale e medica a più di 3 mila vittime della repressione, borse di studio a più di 3 mila studenti e a sostenere migliaia di imprese in esilio”, ha evidenziato Kos. Dal Parlamento europeo, Tsikhanouskaya ha lanciato un disperato appello: “L’Ue è più di un semplice partner per noi, è l’unica alternativa al mondo russo“.

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    Due anni fa in Iran l’uccisione di Mahsa Amini, il ricordo dell’Ue: “Un giorno che resterà sempre nell’infamia”

    Bruxelles – Due anni fa, il brutale omicidio di una giovane donna da parte delle forze di polizia scatenò il più grande movimento di proteste da quando, nel 1979, l’ayatollah Khomeini trasformò la monarchia iraniana in un regime teocratico. Il 16 settembre 2022, “una data che rimarrà per sempre nell’infamia”, ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che ha voluto aprire la sessione plenaria del Parlamento europeo omaggiando Mahsa Amini.“Vorrei ribadire ora che il Parlamento europeo è orgoglioso di stare al fianco di quelle donne e uomini coraggiosi e ribelli che continuano a lottare per l’uguaglianza, la dignità e la libertà in Iran”, ha proseguito la leader Ue. La ventiduenne venne arrestata dalla polizia morale a Teheran per non aver indossato correttamente l’hijab e morì durante la custodia delle forze dell’ordine. Solo nei primi 200 giorni di proteste scatenate dopo la sua morte, secondo Iran Human Rights per mano delle forze di polizia sono rimasti uccisi almeno 537 manifestanti. Nel dicembre 2023, Il Parlamento europeo ha simbolicamente insignito Mahsa Amini con il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.Roberta Metsola apre la sessione plenaria dell’Eurocamera con l’omaggio a Mahsa Amini“Oggi onoriamo l’eredità di Mahsa Amini, la nostra vincitrice del Premio Sakharov 2023, e di tutti coloro che hanno pagato il prezzo della libertà. Il Parlamento europeo ricorda qui oggi e sempre”, ha concluso il suo intervento Metsola. La repressione del movimento ‘Donne, vita, libertà’ da parte del regime del ‘macellaio di Teheran’ Ebrahim Raisi, il presidente iraniano rimasto vittima di un incidente in elicottero lo scorso maggio, “ha causato centinaia di morti, migliaia di detenzioni ingiuste e di danni, nonché gravi limitazioni alla libertà di opinione e di espressione e ad altre libertà civili”, ha ricordato in una nota l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.Il capo della diplomazia Ue ha puntato il dito contro le “sentenze sproporzionatamente dure, compresa la pena capitale, contro i manifestanti”. I responsabili della repressione sono stati mano a mano colpiti da dieci pacchetti di sanzioni europee, che – come ammesso dallo stesso Borrell lo scorso anno – non hanno sortito alcun effetto. Anzi, in Iran sono aumentate vertiginosamente le esecuzioni capitali e si è irrigidito il controllo sulla vita della popolazione civile, soprattutto sulle donne. “L’Ue coglie l’occasione per ribadire la sua forte e inequivocabile opposizione alla pena di morte in ogni momento, in ogni luogo e in ogni circostanza” e ricorda che, “secondo il diritto internazionale, il divieto di tortura è assoluto”, si legge nella nota.Borrell ha chiesto al nuovo presidente iraniano, il riformista Masoud Pezeshkian, di “eliminare, nella legge e nella pratica, tutte le forme di discriminazione sistemica nei confronti di tutte le donne e le ragazze nella vita pubblica e privata e di adottare misure che rispondano alle esigenze di genere per prevenire e garantire la protezione di donne e ragazze contro la violenza sessuale e di genere in tutte le sue forme”.Dal carcere di Teheran, è giunto in Occidente l’appello del premio Nobel per la pace, Narges Mohammadi, che in una lettera resa pubblica oggi ha supplicato l’Onu di accorrere in aiuto del popolo iraniano perché “due anni dopo Mahsa Amini nulla è più come prima”. Secondo l’attivista per i diritti umani “il popolo avverte il più grande cambiamento nelle sue convinzioni, nelle sue vite e nella sua società. Un cambiamento che, pur non avendo ancora rovesciato il regime della Repubblica Islamica, ha scosso le fondamenta della tirannia religiosa“. Ecco perché per le istituzioni internazionali non è più il momento di “osservare, ma di agire attivamente”.

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    L’onda laburista travolge il Regno Unito. A picco conservatori e nazionalisti scozzesi, Farage eletto

    Bruxelles – Le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit sono state storiche sotto molti punti di vista. Per la valanga di seggi conquistati dal Partito Laburista, per il tracollo senza precedenti nella storia del Partito Conservatore e per il ritorno nell’ombra del Partito Nazionale Scozzese. Per la prova elettorale più convincente dei Liberal Democratici in poco più di 30 anni di esistenza politica e per la comparsa sulla scena dei sovranisti di Reform Uk di Nigel Farage (eletto all’ottavo tentativo). Ma anche per altri dati che offrono significativi spunti di riflessione: quella appena eletta sarà la Camera dei Comuni con la maggiore rappresentanza femminile di sempre – 242 deputate – ma a fronte a un’affluenza al voto tra le più basse dal 1885, ferma al 59,8 per cento.Il leader del Partito Laburista e prossimo primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer (credits: Justin Tallis / Afp)“Ce l’abbiamo fatta! Il cambiamento inizia ora“, sono state le prime parole del leader laburista, Keir Starmer, dopo l’annuncio dei risultati parziali delle elezioni di ieri (4 luglio): “Serve un partito laburista cambiato, pronto a servire il nostro Paese, pronto a riportare la Gran Bretagna al servizio dei lavoratori”. Con 412 seggi conquistati alla Camera dei Comuni – la migliore performance elettorale dopo quelle di Tony Blair nel 1999 e nel 2001 – i Labour hanno ora un’ampissima maggioranza per governare (la soglia minima è di 326) e per questa mattina (5 luglio) sono attese a Buckingham Palace le dimissioni del premier conservatore uscente, Rishi Sunak, prima della nomina di Starmer da parte di re Carlo III. Dopodiché il leader laburista si recherà a Downing Street 10 verso ora di pranzo e terrà il primo discorso come nuovo capo del governo britannico.Immediate le congratulazioni a Starmer dai vertici delle istituzioni dell’Unione Europea, che hanno osservato le elezioni nel Regno Unito post-Brexit dall’esterno (per la prima volta dal 1973, quando Londra faceva ingresso nella Comunità Economica Europea): “Non vedo l’ora di lavorare in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, che parla di “nuovo ciclo” a Londra e dà appuntamento al prossimo inquilino di Downing Street 10 “alla riunione della Comunità Politica Europea il 18 luglio nel Regno Unito, dove discuteremo delle sfide comuni, tra cui stabilità, sicurezza, energia e migrazione”. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è congratulata con Starmer, ricordando che “le relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito sono radicate nei nostri valori condivisi e nella nostra amicizia di lunga data” e “come alleati e partner, è nel nostro interesse comune continuare a lavorare a stretto contatto“.Il leader del Partito Conservatore e primo ministro uscente, Rishi Sunak (credits: Temilade Adelaja / Pool / Afp)Il contraltare della valanga di seggi laburisti è una cocente sconfitta per i Tories del premier uscente Sunak, crollati a 121 seggi alla Camera dei Comuni (-244). Si tratta del peggior risultato nella storia dei conservatori britannici dalla fondazione del partito nel 1834, che arriva dopo 14 anni di governo e 5 diversi gabinetti, da David Cameron tra il 2010 e il 2016 fino agli ultimi due anni di Sunak, passando da Theresa May e Boris Johnson a cavallo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e i fallimentari 45 giorni di Liz Truss (non rieletta ieri) nell’autunno 2022. Il risultato ai limiti del catastrofico dei conservatori (più di 7 milioni di voti persi dal trionfo del 2019) può essere considerato la parabola del suicidio politico di Sunak, che a fine maggio aveva indetto elezioni anticipate, anche se i Tories rimarranno ancora il principale partito di opposizione ai Labour. La vera incognita sarà ora la direzione che prenderanno i conservatori, in particolare di fronte alla cavalcata dei sovranisti e populisti di Reform Uk, che hanno conquistato solo 4 seggi – tra cui quello del loro leader e architetto della Brexit Farage – ma si sono piazzati al terzo posto in termini di preferenze: con 4,1 milioni di voti sono saliti al terzo posto tra i partiti nel Regno Unito.Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Nonostante tendenzialmente garantisca una maggiore governabilità, allo stesso tempo questo sistema può nascondere alcuni elementi critici del risultato delle urne. Per esempio alle elezioni del 4 luglio 2024 – con la seconda affluenza più bassa in 150 di storia democratica britannica (solo nel 2001 si è toccato il 59,4 per cento) – si rischia di non notare che i laburisti di Starmer hanno perso circa 600 mila preferenze rispetto a cinque anni fa, quando sotto Jeremy Corbyn crollavano al risultato peggiore dal 1935 in termini di seggi alla Camera dei Comuni (202): ma con l’affluenza al 67,3 per cento nel 2019, si attestavano al 40 per cento e 10,3 milioni di voti. O ancora, che i sovranisti di Farage sono staccati di soli 9 punti percentuali dai conservatori (14,3 contro 23,7) e 2,8 milioni di preferenze – nonostante i seggi dicano 120 a 4 – mentre i laburisti sono al 33,8 per cento con 9,6 milioni di voti. Tutto ciò considerato, i prossimi mesi e anni diranno se la nuova leadership dei Tories andrà verso un tentativo di riconquistare gli elettori persi a favore di Reform Uk – con un inasprimento delle posizioni nazionaliste, euroscettiche e anti-migrazione – o se tenteranno una virata al centro per riprendersi l’enorme quantità di circoscrizioni passate di mano ai Labour soprattutto in Inghilterra.ll leader di Reform Uk, Nigel Farage (credits: Henry Nicholls / Afp)Anche perché si deve tenere in considerazione la prova elettorale significativa dei Liberal Democratici, che sono riusciti a eleggere 71 deputati (a fronte di 3,5 milioni di preferenze, circa 600 mila in meno di Reform Uk). Si tratta della migliore performance del partito dalla sua fondazione nel 1988 e la nuova scalata al terzo posto alla Camera dei Comuni, considerato il parallelo tracollo del Partito Nazionale Scozzese a 9 seggi (-39 rispetto al 2019) e il ritorno nell’ombra dopo i nove anni di forte leadership di Nicola Sturgeon tra il 2014 e il 2023. Dopo lo scandalo sui finanziamenti del partito all’inizio del 2023, le dimissioni di Sturgeon non hanno cambiato la priorità su un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito nell’agenda dei successori Humza Yousaf e John Swinney, con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. Eppure le sconfitte nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni alle elezioni 2024 a favore di laburisti e liberaldemocratici possono essere interpretate come la fine del sogno indipendentista e la consapevolezza degli elettori scozzesi che una migliore rappresentanza nel partito al governo può fornire una prospettiva migliore rispetto a quanto realizzato dal 2015 dalla formazione nazionalista.A completare il quadro della Camera dei Comuni sono i 7 deputati repubblicani nordirlandesi di Sinn Féin, i 5 protestanti nordirlandesi del Partito Unionista Democratico, i 4 gallesi di Plaid Cymru e i 4 del Partito Verde (con un exploit elettorale da 800 mila a 1,9 milioni di preferenze guadagnate dal 2019 a oggi), oltre ad altri 5 eletti di partiti minori e 6 indipendenti, tra cui l’ex-leader laburista Corbyn. Un ultimo dato da considerare è il calo della quota complessiva di deputati laburisti e conservatori complessivi (533) – la più bassa dal 1931 (522) – che per la prima volta nella storia moderna del Regno Unito potrebbe portare a delle riflessioni profonde sullo stesso sistema maggioritario secco in vigore e a richieste più pressanti per un sistema elettorale più proporzionale da parte dei partiti che hanno fatto un balzo in avanti, Reform Uk e il suo leader eletto in Parlamento sopra tutti.

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    L’Ue critica Israele: “Spaventoso l’attacco su operatori umanitari”

    Bruxelles – Niente scuse, Israele deve rispettare il diritto internazionale ed evitare incidenti come quelli avvenuti a danno dei sette operatori dell’ong americana World Central Kitchen, rimasti uccisi da raid israeliani mentre stavano distribuendo beni di prima necessità. L’Unione europea non ci sta, e la reazione di condanna e di presa di distanza arriva da più parti. Per la Commissione Ue a parlare sono l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per le Crisi, Janez Lenarcic. Quanto avvenuto “è spaventoso”, sostengono in una nota congiunta. Qui richiamano lo Stato ebraico all’ordine, che è giuridico e internazionale.La risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha richiesto “un cessate il fuoco immediato che porti a un cessate il fuoco sostenibile e duraturo”, ricordano i due membri del Collegio dei commissari. “Anche la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha ordinato misure provvisorie vincolanti per le parti. L’Ue si aspetta la loro piena, immediata ed efficace attuazione“. Quindi il pro-memoria, che suona da accusa implicita di violazione di regole valide per tutti. “Ricordiamo l’obbligo israeliano, ai sensi del diritto internazionale umanitario, di proteggere gli operatori umanitari in ogni momento“. Cosa che non sta avvenendo, visto che, accusano Borrell e Lenarcic, “un elevato numero di operatori umanitari ha perso la vita dall’inizio della guerra a Gaza“.Non diversa nei toni e nelle esortazioni la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Siamo inorriditi per la morte degli operatori umanitari” a Gaza, riconosce pubblicamente. E, sempre pubblicamente, “a nome del Parlamento ho chiesto un’indagine imparziale sulla morte degli operatori umanitari”. Una richiesta che fa il paio con quella avanzata dall’esecutivo comunitario, che l’indagine la pretende “approfondita” così da fare piena luce sull’accaduto.

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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    Alla plenaria dell’Eurocamera il premier armeno spinge per un accordo di pace con l’Azerbaigian “entro la fine dell’anno”

    Bruxelles – Il tappeto rosso era stato steso all’ultima sessione plenaria di due settimane fa con una risoluzione del Parlamento Ue durissima sull’invasione azera del Nagorno-Karabakh. Oggi (17 ottobre) il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha avuto l’occasione di rivolgersi direttamente agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per rivendicare il ruolo di Yerevan nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi nel Caucaso meridionale – passata in secondo piano dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele – e per ribadire che il suo Paese è pronto a stringere con più forza i legami con l’Unione Europea, dopo la delusione determinata dall’atteggiamento dello storico alleato russo.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (17 ottobre 2023)“Conosciamo il Parlamento Europeo come un alleato al nostro fianco, avete fatto sentire la vostra voce per diffondere la verità sul Nagorno-Karabakh e voglio ringraziarvi per aver chiamato con il proprio nome quello che sta succedendo”, ha esordito nel suo intervento il premier armeno, facendo riferimento alla risoluzione adottata a largissima maggioranza lo scorso 5 ottobre che condanna la “pulizia etnica” operata dall’Azerbaigian nell’enclave separatista. Accogliendo il leader dell’Armenia, la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha ricordato che “l’Unione Europea continuerà a sostenere i vostri sforzi nell’accogliere i rifugiati” dal Nagorno-Karabakh – 100 mila profughi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti – “gli Stati membri hanno donato attrezzature, forniture mediche e cibo con il Meccanismo di protezione civile Ue”. Dopo la resa delle forze separatiste dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh all’esercito azero lo scorso 20 settembre, Yerevan ha dovuto fare fronte a una situazione critica, ma “li abbiamo accolti tutti senza ricorrere a campi rifugiati o tendopoli”, ha voluto sottolineare con forza Pashinyan, senza dimenticare di ricordare gli aiuti umanitari inviati a stretto giro da Bruxelles: 5 milioni di euro di sostegno d’emergenza per assistere sia gli sfollati in Armenia, sia le persone vulnerabili all’interno del Nagorno-Karabakh.Il premier armeno non ha risparmiato critiche alla comunità internazionale per “non essere stata in grado di impedire la pulizia etnica”, con un riferimento implicito a Mosca, i cui soldati avrebbero dovuto vigilare sul rispetto degli accordi nelle aree più instabili: “Non solo non ci hanno aiutati, ma hanno anche chiesto di cambiare il nostro regime democratico”. Eppure l’Azerbaigian “aveva già dimostrato di voler rendere impossibile la vita degli armeni del Nagorno-Karabakh” dalla fine dello scorso anno con il blocco del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con la regione separatista): “Sono stati presi di mira i civili e abbiamo alzato l’allarme sul piano azero che voleva ridurre gli armeni alla fame”, prima che iniziasse la vera e propria operazione armata da parte dell’esercito di Baku il 19 settembre. Tutto questo considerato, il premier Pashinyan ha portato agli eurodeputati un messaggio: “Il Caucaso ha bisogno di pace e stabilità, con confini aperti, legami economici, politici e culturali e la possibilità di risolvere le difficoltà attraverso il dialogo e la diplomazia“. In altre parole, “la nostra visione di stabilità non è in contrapposizione con gli interessi della regione, se il Caucaso è in pace, noi siamo in pace”.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (17 ottobre 2023)È qui che si inserisce la questione degli sforzi per la normalizzazione delle relazioni con il Paese confinante. “Entro quest’anno si potrebbe arrivare a un accordo di pace, ma Baku si rifiuta, come dimostrato a Granada“, ha attaccato il leader armeno, ricordando l’assenza pesante del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, al terzo vertice della Comunità Politica Europea lo scorso 5 ottobre in Spagna, quando si sarebbe dovuto ripresentare il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron, per tentare di portare avanti una soluzione diplomatica in linea con i colloqui di luglio. “Se i principi illustrati saranno riconfermati in una riunione questo mese a Bruxelles, allora un accordo tra Armenia e Azerbaigian entro la fine dell’anno sarebbe realistico”, ha ribadito Pashinyan. Il riferimento è ai principi sanciti lo scorso anno all’inaugurazione della Comunità Politica Europea a Praga: sovranità territoriale, inviolabilità del confini, ritiro delle truppe dalle rispettive enclave. Ma anche ripresa dei collegamenti regionali, come il progetto presentato dal premier armeno a Strasburgo: “Una crocevia della pace per il movimento di merci, persone, condutture elettriche e gasdotti”. La garanzia è rappresentata proprio dall’Unione Europea e dal suo Parlamento – “Yerevan è un partner vitale nel vicinato dell’Ue“, ha sottolineato Metsola – con il leader armeno che per la prima volta si è sbilanciato sulla partnership con i Ventisette: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario“.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armenoPashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert.
    Nel suo intervento davanti agli eurodeputati a Strasburgo, Nikol Pashinyan ha rivendicato l’impegno diplomatico di Yerevan anche di fronte alla pulizia etnica in Nagorno-Karabakh: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario”

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine