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    Una data per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali. Michel: “Entrambe le parti devono essere pronte entro il 2030”

    Bruxelles – Ora la data è fissata, anche se la questione davvero complessa sarà convincere gli attuali 27 Paesi membri Ue a navigare tutti nella stessa direzione. “Se vogliamo essere credibili mentre prepariamo la nostra agenda strategica, dobbiamo parlare di tempistiche: credo che dobbiamo essere pronti, da entrambe le parti, ad allargarci entro il 2030“. Parola del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Al Bled Strategic Forum (in Slovenia), la conferenza internazionale annuale che ospita i leader dell’Europa centrale e sudorientale, il numero uno dell’istituzione comunitaria ha messo sul tavolo ciò che fino a due anni fa – prima dello stravolgimento della guerra russa in Ucraina e delle conseguenze geopolitiche che ha scatenato – non si poteva nemmeno nominare, ovvero una data-limite entro cui aver compiuto tutti i passi necessari per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali.
    Al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 – svoltosi allora per pura coincidenza proprio in Slovenia – non era passata la richiesta di Lubiana di inserire nel testo della dichiarazione il 2030 come “data ultima su cui basare il calendario dei negoziati”, mentre oggi (28 agosto) a Bled proprio il presidente del Consiglio Ue ha fornito un’indicazione temporale precisa che coincide con la fine del decennio. “L’Europa deve mantenere le sue promesse“, iniziate ufficialmente al vertice di Salonicco del 2003. Come ricordato la scorsa settimana alla cena informale di Atene, “la lentezza di questo cammino ha deluso molti, sia nella regione sia nell’Ue” e per Michel “è tempo di sbarazzarsi delle ambiguità e affrontare le sfide con chiarezza e onestà”. Perché i Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – sono una regione “nel cuore dell’Europa, circondata dall’Ue” e per i Ventisette è arrivato il momento di un cambio di paradigma: “Ci accontentiamo di un’Unione che si limita a gestire le crisi o vogliamo essere un attore globale che plasma il futuro? Vogliamo essere più influenti per dare forma a un mondo migliore”. E questo riguarda anche la sfida dell’allargamento Ue: “Lo dobbiamo fare sia per noi sia per i futuri Stati membri, sì, è così che dovremmo chiamare così i Paesi che hanno confermato la prospettiva europea“.
    Mantenere le promesse significa spingere un processo di allargamento Ue che “non è più un sogno”, considerato quanto accaduto al Consiglio Europeo di giugno 2022: “Abbiamo conferito lo status di candidati all’Ucraina e alla Moldova, lo stesso attende la Georgia quando avrà completato i passi necessari”. Anche se “c’è ancora molto lavoro da fare” per i Sei balcanici la strada è più tracciata, con obiettivi che possono essere fissati a rialzo: “Il prossimo budget pluriennale Ue dovrà includere obiettivi comuni, servirà per spingere le riforme e generare interesse negli investimenti”. Sarà un tema di confronto tra i Ventisette ai prossimi Consigli di ottobre e dicembre, ma anche in occasione del nuovo vertice Ue-Balcani Occidentali che “si terrà a dicembre a Bruxelles e servirà per affiancare il Consiglio Europeo”. A questo punto però si attendono soprattutto proposte concrete su quello che più di un anno fa lo stesso Michel aveva presentato come “un processo più rapido, graduale e reversibile” all’allargamento Ue e che oggi è stato riproposto: “Un’integrazione dei Paesi candidati all’adesione in campi specifici, con vantaggi tangibili una volta che sono rispettate le condizioni di base“. Per esempio, “partecipare allo specifico Consiglio una volta che sono conclusi i negoziati in quel capitolo negoziale”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    A fare i “compiti a casa” per raggiungere l’obiettivo 2030 sull’allargamento Ue dovranno essere sia i Paesi dei Balcani Occidentali sia l’Unione Europea. Per i primi sarà necessario continuare sulla strada delle riforme e dello Stato di diritto, ma anche ricordando che “non c’è cooperazione senza riconciliazione, non c’è spazio per i conflitti del passato all’interno dell’Ue“. Un avvertimento colto soprattutto da Serbia e Kosovo, anche considerato come Michel ha continuato il suo discorso: “L’ideale sarebbe un ingresso contemporaneo, ma i futuri Stati membri si trovano in fasi diverse” e per evitare stalli da parte dei primi privati “una soluzione potrebbe essere aggiungere la cosiddetta clausola di fiducia nei Trattati di adesione, per garantire che i Paesi che hanno appena aderito non possano bloccare quelli futuri”. Parallelamente anche i Ventisette devono prepararsi all’allargamento Ue e “non riformarci prima sarebbe uno sbaglio enorme”. Perché non sarà indifferente l’impatto su “politiche, programmi e fondi, il budget dovrà aiutare tutti”, ma anche il processo decisionale “ha mostrato alcune falle”. Ed è qui che rientra superamento del voto all’unanimità, su cui Michel si è tolto qualche sassolino dalla scarpa: “Abolirla completamente significherebbe gettare il bambino con l’acqua sporca, perché l’unità è al centro della forza dell’Ue”. E perciò bisognerà piuttosto ragionare su “come e quando utilizzare” sia la maggioranza qualificata sia “l’astensione costruttiva”.
    Il panel dei leader dei Balcani Occidentali al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    Fiduciosi ma cauti i sei leader dei Paesi balcanici, intervenuti in un panel dedicato al Bled Strategic Forum. “Non credo che saremo dentro l’Ue nel 2030, ma se ci saranno passi in avanti sarà ottimo“, è l’augurio del primo ministro dell’Albania, Edi Rama. Per l’omologo montenegrino, Dritan Abazović, “il 2030 è troppo distante, noi sappiamo bene cosa vogliamo”. Il premier macedone, Dimitar Kovačevski, ha invece fatto notare che “c’è frustrazione per i blocchi che arrivano uno dopo l’altro per questioni domestiche” degli Stati membri. La presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto mettere in chiaro che “nonostante siamo uno Stato complesso a livello di eticità ed entità, speriamo di iniziare quanto prima i negoziati” per l’adesione. Duro scambio di battute tra i premier di Kosovo, Albin Kurti, e Serbia, Ana Brnabić, sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, anche se il focus singolarmente rimane sull’accesso all’Unione. “Ci sono piccoli passi concreti perché si uniscano alla maggioranza dei Paesi membri”, è il commento del primo sul non-riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da parte di Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia. “C’è molto euroscetticismo in Serbia, perché ormai sono passati 10 anni dall’avvio dei negoziati”, ha commentato la premier Brnabić, sottolineando un elemento spesso poco considerato quando si parla dei Balcani Occidentali: “Noi siamo Paesi europei e siamo al centro del continente, questo non è un allargamento ma un’inclusione“.
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Al Bled Economic Forum il presidente del Consiglio Europeo ha anticipato i temi di confronto sull’assorbimento dei “futuri Paesi membri” al prossimo vertice con i Sei balcanici in programma a Bruxelles a dicembre: date-limite, ‘clausola di fiducia’ e riforme dell’Unione (unanimità inclusa)

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    La Bosnia ed Erzegovina è pronta a diventare un nuovo Paese candidato all’adesione Ue. L’ufficialità al prossimo Consiglio

    Bruxelles – Ora la strada per la Bosnia ed Erzegovina è tutta in discesa, facendo attenzione a – improbabili, ma mai da escludere – ostacoli sulla linea del traguardo. Il Consiglio Affari Generali riunitosi oggi (martedì 13 dicembre) a Bruxelles ha dato il proprio parere positivo alla possibilità di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, con la raccomandazione ai leader dei 27 Stati membri di confermare la decisione al prossimo Consiglio Europeo di giovedì (15 dicembre).
    Approvando le conclusioni sull’allargamento e sul processo di stabilizzazione e associazione – che valutano la situazione in ciascuno dei Paesi candidati all’adesione e dei partner dell’Unione – i 27 ministri Ue hanno tenuto in particolare considerazione le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, dello sviluppo economico e della competitività, ma anche il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, con attenzione agli sviluppi post-voto in Bosnia ed Erzegovina dopo la complessa tornata elettorale dello scorso 2 ottobre. La valutazione parte dalle conclusioni del vertice del 23 giugno, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue si erano detti “pronti” a riconoscere lo status a Sarajevo, ma a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave per il Paese balcanico: l’obiettivo dichiarato era quello di permettere ai leader Ue di “tornare a decidere nel merito” quanto prima.
    Scenario che si è reso concreto nel corso dei mesi successivi e culminato con la decisione dell’esecutivo comunitario di raccomandare al Consiglio la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina: “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, aveva sottolineato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. A due mesi da quel momento-chiave per le prospettive di Sarajevo è arrivato il primo semaforo verde anche dal Consiglio dell’Ue, in attesa di quello definitivo di giovedì, che comunque non sarà privo di condizioni: “Dovranno essere adottate le misure specificate nella raccomandazione della Commissione, al fine di rafforzare lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la gestione della migrazione e i diritti fondamentali”, è l’appunto dei 27 ministri.
    “La politica di allargamento dell’Ue è una forte ancora per la pace, la democrazia, la prosperità, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente”, ha sottolineato il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek, mettendo in chiaro che quello di oggi è “un forte messaggio di impegno nei confronti dell’allargamento”. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito “una buona notizia” la raccomandazione del Consiglio Affari Generali sullo status di candidato per la Bosnia ed Erzegovina: “È un messaggio per tutti i cittadini, il loro futuro è nell’Unione Europea“. Anche il gabinetto von der Leyen rimane ora in attesa dell’approvazione finale del Consiglio Europeo, con l’alto rappresentante Borrell che ricorda la necessità di un “costante progresso sulle riforme per portare avanti questa prospettiva” europea di Sarajevo.
    Il supporto alla Bosnia ed Erzegovina da Strasburgo
    Proprio nel giorno del Consiglio Affari Generali che ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue (in attesa della conferma dei 27 leader), dall’emiciclo del Parlamento Europeo a Strasburgo sono arrivati due endorsement di peso al cammino di Sarajevo verso l’ingresso nell’Unione. “Con Ucraina e Moldova abbiamo visto quale messaggio potente può dare l’Unione Europea concedendo lo status di Paese candidato all’adesione”, ha sottolineato con forza la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, che si è esposta senza esitazioni: “Vogliamo infondere questo coraggio anche ai nostri amici in Bosnia ed Erzegovina“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il primo ministro della Slovenia, Robert Golob (Strasburgo, 13 dicembre 2022)
    Un messaggio rafforzato anche dall’intervento del primo ministro sloveno, Robert Golob, arrivato a Strasburgo per partecipare al consueto appuntamento ‘This is Europe’ tra gli eurodeputati e un leader Ue a rotazione in sessione plenaria: “La Slovenia sostiene il processo di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina, siamo uno Stato membro giovane, ma ricordiamo bene la speranza che nutrivamo in questo percorso”, ha ricordato il premier del Paese entrato nell’Unione 18 anni fa. “È per questo che sappiamo quanto sia importante la prospettiva di adesione” non solo per la Bosnia ed Erzegovina, “ma per tutti i Balcani Occidentali” che “sono in sala d’attesa da ormai vent’anni”, ha ammonito Golob.
    Come già ricordato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita a fine ottobre a Sarajevo, anche il primo ministro sloveno ha puntualizzato il fatto che – come l’Ucraina – anche “la Bosnia è uno dei Paesi europei che ha subito aggressioni armate nel recente passato e noi dobbiamo rendere chiaro che non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci, mentre guardavamo a Kiev“. Di qui la necessità di “accelerare il processo di allargamento, anche se non è sempre semplice, perché è uno strumento essenziale per l’Unione Europea”, ha concluso il suo intervento il premier della sinistra verde e liberale slovena, eletto lo scorso 24 aprile.
    Il punto sull’allargamento dell’Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016 e dopo sei anni è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato. Il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione, ma entro la prossima settimana è attesa la richiesta di adesione all’Unione, come reso noto dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre).
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il Consiglio Affari Generali ha raccomandato ai leader dei 27 Stati Ue di riconoscere a Sarajevo lo status di candidato, a sei anni dalla richiesta. Sostegno dalla Commissione, dal Parlamento Ue e dal premier sloveno, Robert Golob, a Strasburgo: “Non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci”