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    Le università Ue offrono “asilo scientifico” ai ricercatori americani colpiti dai tagli di Trump

    Bruxelles – Da quando l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è insediata a Washington a fine gennaio, la università e i ricercatori americani hanno incontrato sempre maggiori ostacoli. In nome del contrasto alla cultura woke che propugna l’abbattimento delle disuguaglianze sociali ed economiche e all’interno di una tanto vasta quanto controversa campagna di efficientamento dei fondi federali, il governo federale Usa ha sospeso e persino interrotto il sostegno a centinaia di programmi di ricerca scientifica, specialmente negli ambiti della diversità, dello sviluppo di alcuni tipi di vaccini e di qualsiasi progetto collegato alla crisi climatica. E’ proprio in un periodo tanto ostile che le università dell’Unione europea stanno attivamente offrendo ai talenti a stelle e strisce un rifugio sicuro.“Vediamo come un nostro compito il venire in aiuto dei nostri colleghi americani. Le università americane e i loro ricercatori sono le più grandi vittime di questa interferenza politica e ideologica” ha dichiarato Jan Danckaert, rettore della Vrije Universiteit Brussel (Vub). L’ateneo belga ha infatti aperto 12 posizioni post-dottorato per studiosi internazionali, con un’attenzione particolare a quelli statunitensi, ed in questo non è affatto solo: diverse istituzioni nel vecchio continente hanno avviato campagne di reclutamento, offrendosi come la soluzione per tutti coloro che fuggono dallo smantellamento del sistema accademico americano.Fonte: amUIn prima linea in questa iniziativa si sono schierate le università francesi a partire dal lancio, da parte dell’Università Aix-Marseille, del programma ‘Safe place for science’, che ha messo a disposizione fondi per oltre due dozzine di ricercatori d’oltreoceano per tre anni. In sole due settimane, l’ateneo ha ricevuto più di cento domande di ammissione, con studiosi provenienti dalla Nasa, Yale e Standford. “Speravamo di non doverlo fare” ha detto Éric Berton, il presidente dell’università: “Ma siamo indignati da quello che sta accadendo e sentiamo che i nostri colleghi negli Usa stanno attraversando una catastrofe. Volevamo offrire una sorta di asilo scientifico a coloro la cui ricerca sta venendo ostacolata”.La direttrice dell’Istituto Pasteur di Parigi, Yasmine Belkaid, ha annunciato di essere già al lavoro per reclutare esperti americani nel campo delle malattie infettive e dello studio dell’origine delle malattie. “Potreste chiamarla un’opportunità triste” ha dichiarato la professoressa al giornale La Tribune, parlando delle richieste di ammissione dei colleghi a stelle e strisce, preoccupati per la propria libertà: “Ma è pur sempre un’opportunità”. Nella stessa direzione si è mosso anche Philippe Baptiste, ministro francese per l’Istruzione superiore e la ricerca, che ha esortato le istituzioni scientifiche del Paese ad inviare proposte per attrarre più efficacemente i talenti d’oltre oceano.I Paesi Bassi non hanno fatto mancare il loro interesse a rimanere al passo coi tempi e sfruttare quest’opportunità, annunciando di voler aprire un fondo per il reclutamento di menti di altre nazionalità. Nonostante il programma non sia orientato specificatamente agli americani, il ministro olandese dell’Istruzione, Eppo Bruins, nell’annunciarlo, ha alluso alle tensioni createsi nel mondo accademico dall’altre parte dell’Atlantico: “Il clima geopolitico sta cambiando, il che sta aumentando la mobilità internazionale degli scienziati. Diversi Paesi europei stanno rispondendo a questo con sforzi volti ad attrarre talento internazionale, voglio che i Paesi Bassi rimangano all’avanguardia in questi sforzi”.Con già decine di università americane con sedi stanziate sul territorio dell’Ue e la comparsa di sempre più progetti di ricerca nel settore energetico, industriale e della difesa, la fuga dei cervelli statunitensi potrebbe aiutare il rilancio qualitativo del nostro continente, se questo riuscirà a cogliere al volo l’opportunità.

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    Salute, blue economy e materie prime: UE e Canada danno nuove impulso alle loro relazioni

    Bruxelles – Salute, materie prime e commercio, sicurezza, clima. Unione europea e Canada rinsaldano il loro legame con un nuovo processo di cooperazione che le vede inaugurare nuove fasi su più fronti. Il summit bilaterale di Bruxelles vede la decisione di creare un nuovo dialogo per la salute, l’attivazione di un forum per sull’economia marittima per la protezione degli oceani e la promozione della blue economy, l’avvio di un partenariato strategico UE-Canada sulle materie prime al fine di diversificare le fonti di importanti input dell’economia verde e digitale lontano.
    “Dobbiamo essere uniti”, dice l’ospite d’onore, il primo ministro canadese Justin Trudeau, che lascia la capitale dell’UE tenendo fede a premesse e promesse. Prima di lasciare Bruxelles il leader canadese riafferma l’importanza dei “valori” che legano le due sponde dell’Atlantico, che si traduce nell’impegno a “lavorare stretto contatto per affrontare le preoccupazioni e le sfide comuni che affrontiamo nelle relazioni con Cina e Russia“, come messo nero su bianco nelle conclusioni di fine lavori.
    E’ un summit UE-Canada ricco di sostanza quello andato in scena a Bruxelles. C’è la voglia di “coordinare sforzi” di riforma dell’OMS, e non è poco. “Dobbiamo migliorare il sistema di allerta, perché abbiamo perso del tempo prezioso all’inizio” della pandemia, rileva la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Un lavoro necessario ma non scontato, poiché si intreccia col più delicato capitolo di riforma del WTO, l’Organizzazione mondiale per il commercio. Ma le due cose, quando si parla di salute, vanno di pari passo. UE e Canada intendono “lavorare insieme per facilitare il commercio di beni medici essenziali”, nell’ottica dell’alleanza per la salute.
    Trudeau propone un trattato internazionale sulle pandemie, nell’ambito di una nuova OMS. L’Unione europea trova il sostegno a lavorare per la creazione di un’Agenzia africana del farmaco e investimenti nel continente: è questa la strategia per superare le crisi. “La liberalizzazione dei brevetti dei vaccini non sono una bacchetta magica”, scandisce il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. “Preferiamo progetti concreti per l’aumento della capacità produttiva”. Avanti così, dunque.
    Si difende il CETA, il trattato di libero scambio UE-Canada. Da quando è stato introdotto in via provvisoria il commercio di beni è cresciuto del 25%, quello di servizi del 39%. Si intende lavorare per arrivare alla piena ratifica e applicazione dell’accordo, a cui si aggiunge l’alleanza sulle materia prime e non solo quella. “Condividiamo gli stessi valori, siamo per il multilateralismo”, ripetono i tre leader, e nel complesso, tiene a sottolineare Trudeau, “la partnership UE-Canada è più forte che mai”.
    Lo dimostra anche il nuovo impulso dato alla sicurezza cibernetica. UE e Canada approfondiranno la cooperazione digitale attraverso il dialogo digitale Canada-UE e il partenariato globale sull’intelligenza artificiale. Un esercizio che implica la collaborazione in materia di ricerca e sviluppo. Qui, sottolinea Michel, “continueremo a rafforzare la nostra cooperazione attraverso il programma Orizzonte Europa”, il programma quadro UE per la ricerca.
    Capitolo difesa. Per cortesia istituzionale Trudeau non risponde a chi chiede pareri su una maggiore integrazione europea in materia, ma il Canada è stato invitato a partecipare al progetto Mobilità Militare della PESCO, ed è von der Leyen a ricordare che la Cooperazione strutturata permanente in materia di sicurezza e difesa (PESCO) “è stata creata per garantire maggiore interoperabilità, e che la PESCO permette una maggiore complementarità con la Nato” e quindi è un bene anche per il Canada.

    Il summit bilaterale ospitato a Bruxelles rilancia un rapporto “più forte che mai”. Impegni per riformare l’Oms, proteggere gli oceani e rispondere alle minacce russo-cinesi