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    Dalla Bosnia un’onorificenza a Putin. La Republika Srpska di Milorad Dodik irrita l’Ue per il rapporto con la Russia

    Bruxelles – Un’onorificenza a Vladimir Putin nel cuore dell’Europa. Il membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, ha conferito all’autocrate russo l’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico), come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nel confronti delle istanze di Banja Luka. “Questa decisione isola la Republika Srpska in Europa, non c’è spazio per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”, ha attaccato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, durante il punto quotidiano con la stampa europea: “È deplorevole, tutto il mondo sa chi è Putin e Dodik è consapevole di cosa ci aspettiamo dalla Bosnia nel suo cammino europeo”.
    Il membro serbo sella presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Nel corso della cerimonia svoltasi ieri (8 gennaio) proprio Dodik ha dichiarato che “Putin è responsabile dello sviluppo e del rafforzamento della cooperazione e delle relazioni politiche e amichevoli tra la Republika Srpska e la Russia”. Un ringraziamento è arrivato anche sul fatto che “con la posizione di Vladimir Putin e la forza della Federazione Russa la voce e la posizione della Repubblica Srpska sono state ascoltate e rispettate“, di fronte all’ambasciatore russo in Bosnia ed Erzegovina, Igor Kalbukhov. Per Mosca “questo premio è un’affermazione della determinazione strategica delle nostre relazioni volte a rafforzare l’amicizia tra i nostri popoli fratelli”, ha aggiunto l’ambasciatore russo. La medaglia dovrebbe essere consegnata direttamente Putin nel corso di un prossimo incontro con Dodik, verosimilmente a Mosca.
    L’evento di premiazione dell’autocrate russo si è svolto per commemorare la Giornata nazionale della Republika Srpska (la cui parata si terrà nella giornata di oggi con oltre duemila poliziotti serbo-bosniaci e una delegazione in arrivo anche dalla Serbia), nonostante la Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina abbia da tempo dichiarato incostituzionale la festività. A Banja Luka il 9 gennaio si celebra il giorno in cui i serbo-bosniaci istituirono la propria Assemblea separatista nel 1992, considerato il momento decisivo per lo scoppio del conflitto etnico in Bosnia ed Erzegovina (durato fino al 1995) e della campagna di pulizia etnica contro le altre componenti non-serbe, in particolare i bosniaci musulmani. “La leadership politica deve rispettare le decisioni della Corte Costituzionale ed è ancora più importante dopo la concessione dello status di candidato” all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, ha precisato Stano.
    La Republika Srpska tra secessionismo e sanzioni
    Dall’ottobre del 2021 proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione ha iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno dello scorso anno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (24 novembre 2021)
    La provocazioni secessioniste mai sopite nella Republika Srpska si accompagnano alla questione della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive dell’Ue, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Anche considerata la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, per Bruxelles non è ipotizzabile un mancato allineamento ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come messo in chiaro dal vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre scorso a Tirana.
    Ma Dodik – e le autorità della Republika Srpska in generale – non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, era stata la provocazione di fine settembre dello scorso anno dopo i referendum illegali in Ucraina. Un incontro concretizzatosi lo scorso 20 settembre, a cui dovrebbe seguirne ora quello per la consegna della medaglia all’autocrate russo. Un altro nodo che si stringe sull’asse Banja Luka-Mosca e che allontana l’entità a maggioranza serba in Bosnia dall’Ue.

    L’entità a maggioranza serba ha premiato l’autocrate russo per “la preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti di Banja Luka. È un passo ulteriore di rottura con le richieste Ue: “Non c’è spazio in Europa per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”

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    Von der Leyen spinge la Bosnia ed Erzegovina verso l’Ue: “Siate uniti e sfruttate l’opportunità, è il sogno dei giovani”

    Bruxelles – “Nel cuore di Bruxelles c’è un pezzo di Bosnia ed Erzegovina, è un grande edificio dipinto da un giovane artista di Sarajevo, Rikardo Druškić, che manda un messaggio chiaro: siete parte dell’Europa, appartenente all’Unione Europea”. Nella quarta tappa del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha aperto oggi (venerdì 28 ottobre) il suo discorso a Sarajevo con la storia di un giovane bosniaco, simbolo delle aspirazioni del Paese e degli sforzi del gabinetto von der Leyen per spingere la stabilità istituzionale e il processo di adesione nell’Ue. “È toccante vedere la bandiera europea proiettata sui monumenti simbolo a Sarajevo, Banja Luka e Mostar, per celebrare la nostra proposta” di garantire alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione: “La nostra bandiera sarà anche la vostra bandiera“, è la prima promessa di von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a colloquio con i membri della presidenza tripartita, Željko Komšić, Denis Bećirović e Milorad Dodik (Sarajevo, 28 ottobre 2022)
    Il punto di partenza è proprio la “fede nell’Europa, così grande nei giovani” in Bosnia ed Erzegovina: “Significa prosperità economica, libertà di movimento, un futuro nel Paese”. Una generazione “nata dopo la guerra” del 1992-1995, che “rispetta il passato, ma non vuole più essere divisa” e che non a caso traina l’alto supporto nazionale all’adesione all’Unione Europea: “Più di tre quarti della popolazione, una maggioranza solida in tutto il Paese“, ha puntualizzato la numero uno dell’esecutivo comunitario.
    L’adesione Ue “è parte di questo obiettivo” e ora è compito dei rappresentanti politici neo-eletti “rendere questo sogno realtà, con il vostro lavoro e con una grande responsabilità”. L’impegno si dovrà concentrare sulle riforme “cruciali” da adottare in un ampio spettro di settori – come evidenziato dal report specifico dell’ultima relazione sull’allargamento – che “non sono facili da approvare”, ha confessato von der Leyen: “Ma guardate cosa c’è alla fine di questa strada, la Bosnia potrà essere un Paese in cui tutti sono uguale davanti alla legge, che offrirà opportunità, che attrarrà investimenti, dove ognuno si sentirà rappresentato” a prescindere dall’etnia.
    Il sostegno della Commissione alla Bosnia ed Erzegovina non è mai stato così forte, come ha dimostrato la raccomandazione al Consiglio di concedere lo status di Paese candidato al vertice dei leader Ue di dicembre. “Abbiamo voluto premiare il lavoro degli ultimi quattro anni, in mezzo alle difficoltà del Covid, della guerra in Ucraina e delle divisioni politiche”, ha spiegato la presidente von der Leyen, parlando dei “progressi per quanto riguarda gli appalti pubblici, il Meccanismo di protezione civile Ue e la cooperazione con Europol”. Da tutto questo ne emerge una lezione: “Se c’è volontà politica, si trova un modo per farlo“, anche l’ingresso nell’Unione. Ecco perché la capa del gabinetto Ue ha chiesto “per favore” di sfruttare l’opportunità: “La porta è aperta, è il vostro momento”. Da parte “mia personale e di tutta la Commissione” arriva la promessa che “vi difenderemo in Consiglio” per la candidatura all’adesione: “La nostra proposta è una chiara dichiarazione politica”.

    #Sarajevo, #BanjaLuka & #Mostar tonight 👇 🇧🇦🇪🇺🙏🙏🙏 pic.twitter.com/F7W21ij6Db
    — Johann Sattler (@josattler) October 12, 2022

    La Bosnia tra crisi energetica e guerra in Ucraina
    L’adesione all’Ue è solo un punto di partenza per la Bosnia ed Erzegovina: l’orizzonte è quello di una condivisione di progetti e investimenti economici nella stessa casa europea, che parte già dal presente. “Un anno fa, durante la mia ultima visita, ho attraversato un ponte finanziato dall’Ue che collega Croazia e Bosnia ed Erzegovina”, il ponte sul fiume Sava, al valico di Svilaj, ha ricordato von der Leyen, anticipando l’inaugurazione nel pomeriggio del tunnel Ivan “che collegherà Mostar a Sarajevo e, più a nord, a Budapest”. Un segno tangibile che il Paese “è nel cuore dell’Europa e dovrebbe essere anche al centro dei nostri scambi commerciali ed economici”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Sarajevo, 28 ottobre 2022)
    Tutto ciò non può non tenere in considerazione le conseguenze della guerra russa in Ucraina, che è diventata anche una “guerra energetica di Putin” contro “famiglie e imprese di tutto il nostro continente”. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania e i 75 milioni per il Kosovo, la numero uno della Commissione ha annunciato che il pacchetto di sostegno Ue per i Balcani Occidentali contro la crisi energetica “comprenderà 70 milioni di euro per la Bosnia ed Erzegovina, per affrontare sul breve termine le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia”. Le sovvenzioni saranno sbloccate entro la fine dell’anno e saranno disponibili da gennaio, con una seconda parte di sostegno all’orizzonte: “Con altri 500 milioni di euro per la regione accelereremo la costruzione di interconnettori con i Paesi vicini e la transizione verso le energie rinnovabili”, in particolare centrali solari, eoliche e a biomassa, “che possono essere costruite in meno di un anno”.
    La guerra russa in Ucraina ha un impatto e conseguenze particolari in Bosnia ed Erzegovina, che la presidente della Commissione non ha voluto nascondere: “So che molti cittadini si sentono in ansia, perché Putin ha lanciato un assalto alle regole internazionali che qui hanno garantito la pace dal 1995“, approfondendo il solco tra le due entità che compongono il Paese, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska (a maggioranza serba). Ma “la soluzione migliore è una cooperazione ancora più stretta con l’Unione Europea” e seguire l’esempio di un’altra giovane bosniaca, la nuotatrice 16enne Lana Pudar, vincitrice dell’oro europeo nei 200 metri farfalla femminili: “Non è stato facile per lei allenarsi, in una città che non ha una piscina olimpionica, ma Lana ce l’ha fatta contro ogni previsione e oggi grazie al suo successo a Mostar verrà costruita una nuova piscina olimpionica”. La giovane sportiva bosniaca “è diventata un simbolo in tutto il Paese, è stata celebrata in tutte le entità e aldilà dei confini” e l’intervento di von der Leyen si è chiuso proprio là dove si era aperto: “Questo è il sogno dei vostri giovani, un Paese unito nella diversità e con i suoi vicini in un’unica famiglia europea, lavoriamo per farlo insieme”.

    The EU stands with Bosnia and Herzegovina in the energy crisis. We have prepared an energy support package for our Western Balkan partners. 
    For 🇧🇦 it means €70 million in short-term support. And investments in more reliable sources of energy – like solar, wind or biomass. pic.twitter.com/JOyuuULPCT
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    Prosegue il viaggio della presidente della Commissione nei Balcani Occidentali, con la promessa concreta a Sarajevo di sostegno alla candidatura del Paese all’Unione e 70 milioni di euro come aiuto immediato contro la crisi energetica. Rimangono centrali gli sforzi per la stabilità del Paese

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    Tra separatismo, rinnovamento e polemiche in Bosnia ed Erzegovina. Chi ha vinto le elezioni più complicate del mondo

    Bruxelles – Si sono svolte ieri (domenica 2 ottobre) in Bosnia ed Erzegovina quelle che sono considerate dall’opinione pubblica internazionale le elezioni più complicate tra i sistemi politici di tutto il mondo. In linea generale ha vinto il rinnovamento tra le etnie croata e musulmana, ma allo stesso tempo non si è nemmeno arrestato il separatismo della componente serba, rendendo ancora più intricata l’analisi del voto politico nel Paese balcanico, che si è appesantita con la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt, di usare i cosiddetti ‘poteri di Bonn’ per imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione proprio nel giorno del voto.
    Per capire l’esito delle elezioni, bisogna analizzare il sistema di governo in vigore in Bosnia ed Erzegovina. Il Paese è diviso in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska: ciascuna ha un Parlamento bicamerale e, a seconda dell’entità in cui vivono, i cittadini eleggono anche un presidente (Republika Srpska) o la rappresentanza politica cantonale (Federazione di Bosnia ed Erzegovina, divisa in 10 cantoni). A livello statale, c’è una presidenza tripartita (composta dai rappresentanti delle etnie croata, musulmana e serba) un Consiglio dei ministri e un Parlamento bicamerale statale: di quest’ultimo è importante la Camera dei popoli – di 15 membri, cinque per ciascuna etnia – che ha il compito di tutelare i rispettivi interessi etnici con un potere di veto sulle leggi approvate dalla Camera dei rappresentanti. Nella pratica, nel giorno delle elezioni in Bosnia ed Erzegovina si vota per cose diverse a seconda della propria entità politica di riferimento e della propria etnia (chi non si identifica in nessuna delle tre maggiori è escluso da alcune votazioni). Chi risiede nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina vota per i membri bosgnacco – cioè bosniaco musulmano – e croato della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il Parlamento della Federazione e per l’Assemblea cantonale. Chi risiede nella Republika Srpska vota per il membro serbo della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il presidente e per il Parlamento dell’entità serba.
    Su una popolazione di 3,8 milioni di persone, sono stati oltre 7 mila i cittadini che si sono candidati a una qualche carica di rappresentanza nel Paese il 2 ottobre 2022. In palio c’erano tre seggi per la presidenza tripartita, 42 per il Parlamento statale, 98 per l’Assemblea della Federazione, 83 per l’Assemblea e tre per il presidente e i vicepresidenti della Republika Srpska, oltre a tutti quelli delle 10 Assemblee cantonali. Secondo quanto riporta la Commissione elettorale centrale, solo il 50 per cento dei bosniaci ha votato nei 5.904 seggi aperti, confermando il clima di generale sfiducia nel sistema politico nazionale e di estrema complessità di quello elettorale, che è alla base dell’astensionismo cronico dalle prime elezioni dopo la fine della guerra in Bosnia nel 1996.
    Con l’85 per cento delle schede spogliate, per quanto riguarda la presidenza tripartita va segnalato il doppio risultato della socialdemocrazia nella Federazione. Il membro croato uscente, Željko Komšić (Fronte Democratico), si è imposto sulla candidata nazionalista dell’Unione Democratica Croata (Hdz), Borjana Krišto, spingendo verso la visione di uno Stato che si smarchi dalle divisioni etniche, come sostenuto anche dal futuro membro bosgnacco, Denis Bećirović (Partito Socialdemocratico), che ha sconfitto il Partito d’Azione Democratica (Sda), guidato dall’uscente Bakir Izetbegović (in carica dal 2010 a oggi e figlio del primo presidente bosniaco, Alija Izetbegović). L’asse di centro-sinistra moderato che proverà a spingere Sarajevo su una strada meno etno-centrica a riformista è frenato però dall’elezione della serbo-bosniaca Željka Cvijanović (la prima rappresentante donna di sempre in questo ruolo): presidente uscente della Republika Srpska, anche lei sarebbe una socialdemocratica, ma nell’entità a maggioranza serba questo significa che continuerà con ancora più forza il progetto secessionista iniziato dal predecessore, Milorad Dodik.

    This is the new BiH Presidency.
    Bećirović and Komšić are social democrats who will continue advocating for a civic BiH.
    Cvijanović, a Serb nationalist, will keep pushing for the secession of the RS.
    The people of BiH have sent a clear message: We want to live in a civic state. pic.twitter.com/0397EUsRdZ
    — Samir Beharić 🇺🇦 (@SamBeharic) October 3, 2022

    A proposito di Dodik, in Republika Srpska c’è un giallo sulle elezioni del nuovo presidente dell’entità. Dopo la chiusura delle urne, la candidata del Partito del Progresso Democratico (Pdp), Jelena Trivić, ha rivendicato la vittoria, sostenendo di essere sopra di oltre 11 mila voti rispetto al candidato dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti. La Commissione elettorale centrale, invece, ha confermato che è Dodik il più vicino a essere eletto per la terza volta (dopo il doppio mandato tra il 2010 e il 2018) a presidente della Republika Sprska, con uno scarto di circa 30 mila preferenze: gli avversari stanno denunciando brogli elettorali per cui dovrebbe essere invalidato il risultato delle urne. In ogni caso, entrambi i leader serbo-bosniaci spingono sulla strada del secessionismo dell’entità, e nessuno dei due scenari sembra essere più rassicurante per la stabilità del Paese e il rispetto degli impegni sulle riforme istituzionali previsti dal cammino di adesione all’Unione Europea.
    L’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt (2 ottobre 2022)
    In attesa dell’esito del voto per la composizione delle 13 Assemblee parlamentari – locali, statali e delle entità – che potrebbe confermare queste le tendenze generali verso il riformismo nella Federazione e il separatismo nella Republika Srpska, è arrivata con un tempismo alquanto discutibile la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina di imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione, nel pieno del processo di voto. Questa possibilità deriva dai ‘poteri di Bonn’ – previsti dagli Accordi di Dayton del 1995, che misero fine alla guerra in Bosnia iniziata tre anni prima – che consentono all’alto rappresentante di imporre misure legislative o licenziare funzionari che si oppongono all’attuazione degli stessi accordi di pace sulle modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale.
    Le misure contenute nel ‘Pacchetto di funzionalità‘ dovrebbero snellire il processo legislativo con l’obbligo di cooperazione per le due Camere del Parlamento statale, aumentare il numero di rappresentanti nella Camera dei popoli e modificare le modalità con cui vengono eletti, oltre a definire scadenze più strette per la formazione del governo dopo le elezioni. Nonostante le dure critiche da parte dei maggiori esperti e analisti della politica bosniaca e di alcuni eurodeputati, la misura è stata sostenuta sia dall’ambasciata statunitense in Bosnia, sia da quella britannica. Più attendista è invece la Commissione Europea, che attraverso la portavoce per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, ha fatto sapere che “è una decisione dell’alto rappresentante” e ha ricordato che “i poteri di Bonn devono essere usati solo come ultimo mezzo disponibile”, esortando allo stesso tempo i leader bosniaci a “rafforzare gli impegni sanciti a giugno a Bruxelles“. Nella nota della delegazione Ue in Bosnia ed Erzegovina si legge invece che Bruxelles “prende atto” di quanto deciso da Schmidt, senza dare alcun indizio se si respiri ottimismo o irritazione per le modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale del Paese nel giorno stesso delle elezioni.

    These results were however overshadowed by the use of the Bonn Powers by the @OHR_BiH to impose a new election law that caters the interests of the ethno-nationalistic HDZ party and its sister party in Zagreb. By doing so, Mr. Schmidt has severely complicated the reform process.
    — Tineke Strik (@Tineke_Strik) October 3, 2022

    “Con questa missione elettorale si rende ancor più evidente l’interesse e l’attenzione dell’Unione Europea, che resta convintamente al fianco del Paese nel suo cammino verso una piena integrazione europea”, scrive in una nota l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e unico italiano tra gli osservatori elettorali del Parlamento, Fabio Massimo Castaldo, che sottolinea anche “lo speciale legame culturale, storico e commerciale dell’Italia con la Bosnia e con l’intera regione dei Balcani Occidentali”. L’auspicio dell’eurodeputato italiano è che “il nuovo Parlamento possa superare i veti e le tensioni degli ultimi anni e proseguire nel cammino delle riforme” verso l’adesione all’Unione.
    Anche i Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera esortano i nuovi leader “a superare le divisioni etniche e a concentrarsi sulle riforme necessarie verso un futuro prospero, democratico ed europeo”. Il nuovo governo, afferma una nota, “deve attuare tutti gli impegni e le riforme, comprese le sentenze dei tribunali nazionali e internazionali, per trasformare la Bosnia ed Erzegovina in uno Stato pienamente funzionante”. Il gruppo S&D è deluso dal fatto che “le campagne elettorali siano state oscurate dalla retorica etnica divisiva dei partiti politici invece di concentrarsi su argomenti riguardanti il benessere dei cittadini come la disoccupazione, la disuguaglianza sociale, la corruzione, l’elevata inflazione e la crisi energetica”.

    Le urne hanno rinnovato la presidenza tripartita, il Parlamento statale, quelli delle due entità e il presidente della Republika Srpska. Si delineano la linea moderata di croati e bosgnacchi e quella separatista serba, mentre l’alto rappresentante impone modifiche alla legge elettorale

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    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche

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    L’UE contro il tentativo della Republika Srpska di separarsi dalla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Con le sanzioni UE che ancora latitano, la Republika Srpska tira dritto nel suo progetto secessionista dalle istituzioni centrali della Bosnia ed Erzegovina. Ieri (giovedì 10 febbraio) l’Assemblea nazionale dell’entità serba di Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato rispetto a quello del resto del Paese, un evidente tentativo di assumere unilateralmente le responsabilità costituzionali dello Stato.
    La tabella di marcia – che prevede di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario – era stata approvata il 10 dicembre dello scorso anno, dopo due mesi di grandi polemiche internazionali sul secessionismo voluto dal membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, e sponsorizzato dalla Russia di Vladimir Putin. Nonostante il boicottaggio dei partiti dell’opposizione, la maggioranza di governo ha votato compatta sia per una legge sulle proprietà statali (revocando una decisione del 2005 dell’alto rappresentante per la Bosnia), sia sul progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo, sottraendoli a quello della Bosnia ed Erzegovina che dal 2004 è l’unico organo autorizzato a nominare giudici e procuratori in tutto il Paese.
    Dura la condanna dell’UE sul voto dell’Assemblea nazionale della Republika Srpska: “Costituisce una violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico“, si legge in una nota del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. A Bruxelles si continua a spingere sul tentativo di convincere Dodik e gli altri leader “a porre fine all’escalation e assicurare la ripresa di un dialogo serio all’interno delle istituzioni statali”. Ancora non arrivano indicazioni per sanzioni economiche contro i responsabili del secessionismo serbo in Bosnia, ma l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha messo all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Affari Esteri (21 febbraio) la situazione in Bosnia ed Erzegovina e le azioni che ne minano l’unità. “L’UE è pronta a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per aiutare il Paese” sia a superare l’attuale crisi, ma anche a riprendere il percorso di adesione all’Unione, “minato seriamente da questa incertezza giuridica e dall’instabilità del sistema giudiziario“.
    La stessa condanna è stata condivisa dal Consiglio per l’attuazione della pace (PIC, l’organismo internazionale incaricato di attuare l’accordo di Dayton del 1995). La decisione di istituire un Consiglio superiore della magistratura separato nella Republika Srpska “rappresenterebbe una violazione della costituzione e dell’ordine giuridico della Bosnia ed Erzegovina“, riporta un comunicato del PIC non sostenuto dalla Russia. L’istituzione nel 2004 di un unico Consiglio superiore a livello statale è stata “una riforma fondamentale per modernizzare il sistema giudiziario in conformità con gli standard europei e internazionali”, per promuovere “un’amministrazione imparziale, indipendente ed efficace della giustizia in tutto il Paese”, conclude la nota.

    L’Assemblea nazionale dell’entità serba della Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato: “Violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico”

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    L’UE condanna la retorica “divisiva e incendiaria” della Repubblica Serba di Bosnia. Si inizia a discutere di sanzioni

    Bruxelles – Durissime parole, ma ancora non sono state prese misure altrettanto forti. L’UE ha condannato la “retorica divisiva e incendiaria” usata dai leader della Republika Srpska, l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina, durante le celebrazioni di domenica (9 gennaio) in occasione del 30esimo anniversario dalla nascita dell’istituzione. Ma sanzioni UE contro i responsabili di queste tensioni in Bosnia ancora non se ne vedono.
    A 30 anni dall’inizio dei quasi quattro anni di guerra etnica in Bosnia, “tale retorica e le conseguenti azioni hanno ulteriormente aumentato le tensioni tra le comunità in tutto il Paese e stanno ulteriormente aggravando la crisi politica in corso“, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Celebrazioni nazionaliste/secessioniste che “mettono in pericolo la stabilità e la prosperità del Paese”, che sono in “completa contraddizione” con la prospettiva UE (“che può essere basata solo su una Bosnia ed Erzegovina unica, unita e sovrana”) e che non rispettano nemmeno la Costituzione nazionale.
    Il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik
    È da fine novembre che il Parlamento UE invoca sanzioni economiche contro i responsabili di questa “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza” in Bosnia, compresa la glorificazione dei criminali di guerra o la negazione dei loro crimini. Una decisione che è già stata presa dagli Stati Uniti una settimana fa (mercoledì 5 gennaio), ma che a Bruxelles ancora si cerca di lasciare come ultima sponda.
    “Se la situazione in Bosnia dovesse peggiorare ulteriormente e solo se tutti gli sforzi diplomatici falliranno, allora si procederà con l’ampia gamma di strumenti di cui l’UE dispone, compreso il quadro delle sanzioni già esistente“, ha spiegato ieri (martedì 11 gennaio) durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce del SEAE, Peter Stano.
    L’auspicio della Commissione è che si possa ancora risolvere la situazione attraverso il dialogo facilitato dall’UE: “Abbiamo ripetutamente esortato la leadership della Republika Srpska [tra cui il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, ndr] a porre fine a inaccettabili passi divisivi e a tornare pienamente al lavoro delle istituzioni statali”.
    Tra le preoccupazioni maggiori dell’esecutivo comunitario c’è l’instabilità politica e i ritardi nel raggiungimento delle riforme, che “stanno rallentando il cammino verso l’UE della Bosnia e peggiorando le condizioni di vita per il popolo bosniaco”.
    È altrettanto vero che, come ricordato dal portavoce Stano, “gli Stati membri hanno già iniziato a discutere della possibilità di imporre misure restrittive” e questo tema sarà uno dei punti in agenda del prossimo Consiglio Affari Esteri (24 gennaio). “Saranno i ministri europei a dover stabilire quando sarà il giusto momento per portare l’azione a un nuovo livello”, ha ribadito con forza Stano. In ogni caso, eventuali sanzioni economiche “saranno dirette solo contro attori interni alla Bosnia“.
    La precisazione è arrivata a seguito di alcune domande dei giornalisti sul riferimento al “deplorevole sostegno portato da altri partner [tra cui Russia e Serbia] a tali manifestazioni, che minacciano la stabilità regionale e incidono sulle relazioni di buon vicinato”. Ma l’UE dovrà anche affrontare possibili divisioni interne, dal momento in cui l’Ungheria di Viktor Orbán sembra essere più che restia a introdurre sanzioni contro l’alleato Dodik e potrebbe porre il proprio veto in seno al Consiglio.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    La Commissione UE spera ancora di riportare la leadership dei serbi di Bosnia al tavolo del dialogo, nonostante la “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza”. Sarà il Consiglio Affari Esteri del 24 gennaio a decidere se è arrivato il tempo di misure restrittive