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    Ucraina, migrazione e Niger. Perché il buco di Chigi sullo ‘scherzo telefonico’ russo a Meloni riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – Il caso dello ‘scherzo telefonico’ alla premier italiana, Giorgia Meloni, da parte di due comici russi – che ha più i contorni di un attacco ibrido rispetto a un’innocente candid camera – arriva anche a Bruxelles, suscitando non poche perplessità per la gestione della sicurezza delle comunicazioni di Palazzo Chigi, oltre che sui contenuti della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani. Non si sbottona la Commissione Ue, ma sono aspre le critiche degli eurodeputati dei partiti di opposizione al governo italiano in carica per un episodio negativo che è stato ripreso dai giornali di tutto il mondo.“Meloni ridicolizza l’Italia agli occhi del mondo, è impressionante la leggerezza che lo scherzo ha messo in luce“, è l’attacco del capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Ue, Brando Benifei: “Gravissima la mancanza di filtri, da chi è circondata la presidente del Consiglio di un Paese del G7?” Su una linea simile l’eurodeputato di Italia Viva e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Nicola Danti: “L’inganno telefonico consumato ai danni di Meloni ha dell’incredibile, aver trasformato la presidente del Consiglio di un Paese del G7 in una ‘macchietta’ non può essere tollerato”. Per questo motivo la richiesta è quella che “i responsabili dell’accaduto si dimettano“. Durissimo il commento della vicepresidente del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera, Elisabetta Gualmini: “Siamo in mano a dei dilettanti per l’ennesima volta”, come dimostrerebbe il fatto che “due comici sono entrati in contatto privato con la premier facendole esprimere pensieri e opinioni gravi sia sulla guerra in Ucraina che sulle strategie future internazionali del Paese”. Anche l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo, parla di “una gravità senza precedenti“, sia per il fatto che “Palazzo Chigi non sia in grado di approntare misure di sicurezza e protocolli di verifica minimi” sia per le “dichiarazioni così pesanti” su Ucraina e migrazione.I contenuti della telefonata di MeloniLa prima ministra italiana, Giorgia MeloniOltre alla questione di come sia stato possibile che il corpo di consiglieri diplomatici di Meloni non abbia intercettato la minaccia, c’è anche da considerare il contenuto di quanto affermato dalla prima ministra italiana nel corso della finta telefonata con il presidente dell’Unione Africana. In primis sulla questione più calda, ovvero l’Ucraina. “Vedo che c’è molta stanchezza, devo dire la verità, da tutti i lati“, è il passaggio più criticato. Si tratta di un tipo di affermazione che certo non stupisce, ma che allo stesso tempo cozza con la narrativa del ‘staremo al fianco di Kiev per tutto il tempo che sarà necessario’ sempre pubblicamente rivendicato anche dalla premier Meloni. A questo si aggiunge il fatto che la telefonata è datata 18 settembre (ma è stata resa pubblica il primo novembre): quel giorno iniziava l’Assemblea Generale dell’Onu, in cui i leader occidentali cercavano di convincere il resto del mondo della necessità di non perdere la spinta a difesa del rispetto del diritto internazionale. Se “la controffensiva dell’Ucraina forse non sta funzionando come ci aspettavamo” è di per sé un dato di fatto, è un altro passaggio a gettare alcune ombre sull’impegno europeo: “Siamo vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita“. Meloni ha parlato di “problema” a trovarne una “che possa essere accettabile per Kiev e Mosca senza distruggere il diritto internazionale” o “aprire altri conflitti”. A questo proposito la premier dice di avere alcune idee, ma di voler aspettare “il momento giusto per metterle sul tavolo”.Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kaïs Saïed, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, alla firma del Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia (17 luglio 2023)C’è poi la questione migrazione, su cui Meloni non ha risparmiato bordate alla Commissione Ue e a Ursula von der Leyen. “La Commissione Europea dice di capirlo [le necessità italiane, ndr], il problema è di quanto tempo ha bisogno per darci risposte concrete”, ha confessato la premier, facendo esplicito riferimento alla numero uno dell’esecutivo Ue: “Nelle parole capisce assolutamente, ma quando chiedi di prendere i soldi e di investire per aiutarci, per discutere con questi Paesi, lì diventa più difficile, devo dire la verità”. Questo riguarda anche la Tunisia, su cui Meloni si è presa i meriti di aver organizzato a luglio il memorandum tra l’Ue e il presidente tunisino, Kaïs Saïed. “Ma lui non ha visto ancora un euro”, ha attaccato la premier, dimenticando però che è stato proprio Saïed ad aver rifiutato la prima tranche da 60 milioni di euro. Ma l’attacco è molto più ampio e coinvolge anche i leader dei Paesi membri Ue: “Il problema è che agli altri non interessa, non hanno risposto al telefono quando li ho chiamati e sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia deve risolvere da sola questo problema“.In particolare si avverte una certa nota di fastidio nel passaggio in cui si parla del presidente francese, Emmanuel Macron, e della situazione in Niger dopo il colpo di Stato di quest’estate. “Vedo che la Francia sta spingendo per una sorta di intervento, ma io sto cercando di capire come possiamo sostenere uno sforzo diplomatico, dobbiamo stare attenti”, è l’avvertimento di Meloni, che ha accusato Parigi di avere “altre priorità, che non sono l’immigrazione in nazioni come il Niger”. Priorità “nazionali”, contro cui la premier italiana starebbe premendo per “non fare cose che ci creano più problemi di quanti già ne abbiamo” e a cui contrappone invece “un piano di investimento per l’energia in Africa”. Il Piano Mattei – che sarebbe dovuto arrivare in una conferenza a Roma a inizio novembre – con l’orizzonte del prossimo anno: “Mi piacerebbe concentrare la nostra presidenza del G7 soprattutto sul tema dell’Africa, andiamo verso un’epoca in cui è già troppo tardi, dobbiamo muoverci”, ha assicurato Meloni. Ignara che dall’altra parte della cornetta non c’era il presidente dell’Unione Africana, ma due comici russi.
    Critiche dagli eurodeputati a Bruxelles per l’attacco ibrido di Mosca concretizzatosi con una chiamata alla premier italiana da due comici, che hanno finto di essere il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani: “Di una gravità senza precedenti, i responsabili si dimettano”

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    Energia e informazione in tempo di guerra. Il Comitato Economico e Sociale getta luce sulla situazione in Ucraina

    Bruxelles – Il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) chiude un anno di impegno eccezionale a sostegno dell’Ucraina, con un focus sull’energia e l’informazione in tempo guerra proprio in occasione dell’ultima sessione plenaria (14-15 dicembre). “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, per la ricostruzione del Paese dobbiamo lavorare con i gruppi della società civile, perché si possa costruire un futuro di pace”, ha esordito la presidente del Cese, Christa Schweng, aprendo oggi (mercoledì 14 dicembre) il seminario per i giornalisti ‘Energy and Media as Weapons in the wartime‘, accompagnato dall’esposizione di fotografie dal titolo ‘Children in war‘: “Spesso dimentichiamo che dietro a tutto questo c’è l’aspetto umano, e questa mostra fotografica è qui a ricordarcelo”, ha aggiunto il vicepresidente Cillian Lohan.
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    A proposito dell’arma dell’informazione, l’intervento della giornalista ucraina di Inter Tv-channel Olena Abramovych si è focalizzato sul fatto che nei primissimi giorni di guerra i media ucraini si sono dovuti anche occupare del contrasto alla propaganda russa: “Eravamo pronti allo scenario di una guerra-lampo, con disinformazione come quella secondo cui il presidente Zelensky era fuggito da Kiev, che puntava a creare caos”. Tra i maggiori problemi registrati ci sono stati i bombardamenti alle stazioni televisive, “per oscurare i media e non permettere di diffondere le informazioni” e anche la fuga di giornalisti dall’est del Paese: “Ma molti altri hanno iniziato dal secondo giorno con le maratone giornalistiche, con una condivisione delle riprese nei diversi canali”, ha ricordato Abramovych.
    A tracciare una panoramica aldilà del confine è il giornalista russo Tikhon Dzyadko, direttore del media indipendente Dozhd Tv che continua a operare in esilio: “Più di 500 colleghi hanno lasciato il Paese, dove c’è una dittatura militare e dove non si parla mai di guerra, ma sempre di operazione militare speciale”. Mentre “tutti i media indipendenti lavorano all’estero”,  in Russia “la propaganda di regime dipinge una realtà parallela, per cui l’86 per cento dei cittadini supporta la guerra“, ha spiegato Dzyadko, che ha messo in guardia da un errore che viene spesso commesso dagli organi di informazione occidentali: “Gli europei riportano questi dati perché non conoscono la realtà sul campo”. La lituana Tatjana Babrauskienė (membro del gruppo Lavoratori del Cese) ha sottolineato che “i media indipendenti, anche in Bielorussia, vanno sostenuti molto più di quanto non si faccia ora e non solo finanziariamente”, mentre il collega polacco Tomasz Wróblewski (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese) si è soffermato sul fatto che “in Ucraina e in Russia l’informazione stessa è parte della guerra e la disinformazione fa parte del processo per destabilizzare l’altra parte”.
    Il Cese sull’arma energetica
    L’esposizione fotografica ‘Children in war’ alla sede del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese)
    “La società civile ha avvisato del problema della dipendenza energetica dalla Russia, ne abbiamo parlato per molto tempo, ma la politica è stata cieca”, ha attaccato la ceca Alena Mastantuono (membro del gruppo Datori di lavoro del Cese), trattando del tema energetico: “Nell’ultimo anno abbiamo visto crescere i prezzi dell’energia, un problema per le imprese e per i consumatori, i rincari stanno spingendo l’inflazione e dobbiamo stare attenti all’evoluzione della situazione“. In particolare il prossimo anno potrebbe rappresentare un rischio: “Abbiamo messo al sicuro questo inverno con il 92 per cento degli stoccaggi pieni, ma il prossimo inverno non sarà possibile”, ha avvertito Mastantuono, ricordando che “la sicurezza delle forniture di energia deve essere la priorità numero uno per l’Europa”.
    La soluzione su cui spinge più il Cese è l’implementazione delle risorse rinnovabili, per “ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia, dal momento in cui può essere usata come un’arma”, ha messo in chiaro il tedesco Lutz Ribbe (membro del gruppo Società civile). “Se importiamo energia, esportiamo soldi, mentre noi possiamo produrre energia meglio in maggiori quantità e a un prezzo più basso”, ha aggiunto Ribbe, chiarendo che i Paesi membri Ue dovrebbero essere “numeri uno al mondo nella produzione di energia rinnovabile”. A proposito di rinnovabili, “se vogliamo evitare di esportare denaro verso altre aree economiche dobbiamo cambiare l’industria”, ha puntualizzato il collega tedesco Thomas Kattnig (membro del gruppo Lavoratori): “Abbiamo un’opportunità sulla produzione di pannelli solari e batterie, negli ultimi 20 anni non ci sono stati abbastanza investimenti a causa dell’austerità”. Anche per Mastantuono è necessario “portare l’industria in Europa per aumentare i posti di lavoro”, senza dimenticare di “guardare anche all’idrogeno”.

    Un seminario per i giornalisti in occasione della sessione plenaria del Cese a Bruxelles, per fare luce sull’utilizzo della disinformazione e il gas come armi. La presidente, Christa Schweng: “Gli ucraini hanno pagato un grande prezzo per la pace, ora dobbiamo lavorare con la società civile”

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    L’Ue reagisce all’escalation in Ucraina con l’ottavo pacchetto di sanzioni: price cap a petrolio e stop a europei nei Cda russi

    Bruxelles – Dal sesto all’ottavo pacchetto di sanzioni, passando dal maintenance and alignement (aggiornamento e allineamento, un sorta di ‘sesto e mezzo’), per colpire il Cremlino immediatamente dopo la nuova escalation in Ucraina, caratterizzata dai referendum farsa di annessione dei territori occupati dalla Russia, l’arruolamento di 300 mila riservisti, le minacce di uso dell’arma nucleare e il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream. “La Russia ha portato l’invasione dell’Ucraina a un nuovo livello, siamo determinati a far pagare al Cremlino questa ulteriore escalation“, ha attaccato senza troppi giri di parole la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Il cuore del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia è un’ulteriore limitazione degli scambi commerciali, che “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro in entrate“. Le proposte dettagliate ancora non sono state rese note, ma dal discorso della numero uno della Commissione e dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si iniziano a intravedere le direttrici dell’intervento. Prima di tutto un isolamento ulteriore dell’economia russa, per privare il complesso militare del Cremlino di tecnologie-chiave: “Si tratta di ulteriori prodotti per l’aviazione, componenti elettronici e sostanze chimiche specifiche”, ha anticipato von der Leyen. Ma soprattutto, nel pacchetto sarà introdotto un “tetto massimo di prezzo del petrolio russo per i Paesi terzi”, per annullare i profitti del Cremlino derivanti dalla vendita di combustibili fossili. “Abbiamo già deciso di vietare il trasporto di greggio russo via mare nell’Unione Europea a partire dal 5 dicembre”, ha ricordato von der Leyen – fornendo per la prima volta una data precisa alla decisione sul sesto pacchetto approvato a giugno. “Stiamo gettando le basi legali per questo tetto al prezzo del petrolio”, è l’annuncio che però ancora rimane molto vago.
    Sarà poi vietato ai cittadini europei di fornire servizi e sedere negli organi direttivi delle imprese statali russe, perché Mosca “non dovrebbe beneficiare delle conoscenze e delle competenze europee”, e saranno anche intensificati gli sforzi per reprimere l’elusione delle misure restrittive: “Stiamo aggiungendo una nuova categoria, con cui saremo in grado di schedare le persone che aggirano le nostre sanzioni“, per esempio chi acquista beni nell’Ue e li porta in Russia passando da Paesi terzi. “Credo che avrà un grande effetto deterrente, rendendo a Putin ancora più difficile sostenere la guerra”, ha concluso la presidente della Commissione.
    “Il Cremlino sta seguendo lo stesso schema che abbiamo già visto in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014“, ha messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell: “Sono sicuro di poter parlare a nome degli Stati membri dell’Unione Europea, che nessuno di loro riconoscerà il risultato falsificato dei referendum farsa” nelle province ucraine occupate di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Ribadendo che “le nostre sanzioni stanno funzionando”, Borrell ha illustrato l’aggiornamento dell’elenco dei sanzionati, che “già ora conta più di 1.300 tra individui ed entità“. Saranno colpiti dalle sanzioni “tutti coloro che sono coinvolti nell’occupazione e nell’annessione illegale di aree dell’Ucraina da parte della Russia”, vale a dire le autorità russe per procura a Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia e i responsabili dell’organizzazione dei referendum farsa. Saranno poi inclusi i funzionari di alto livello del ministero della Difesa russo e “coloro che sostengono le forze armate russe fornendo attrezzature e armi dell’esercito, compresi missili e aerei da combattimento”, o che “partecipano al reclutamento” dei riservisti. Infine sarà prevista una nuova stretta sulla propaganda e la disinformazione di regime e ai donatori nelle aree occupate.
    A completare il quadro sulle sanzioni contro la Russia, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, ha elencato i dati del crollo dell’economia del Cremlino: “Le importazioni dall’Ue sono diminuite di circa il 50 per cento nel periodo marzo-giugno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, la nostra quota di importazioni di gas dalla Russia è diminuita dal 45 per cento prima della guerra al 14 di oggi“. Ancora più impressionante è quanto riporta il commissario italiano sull’industria civile di Mosca: “Le poche auto oggi prodotte sono prive di airbag, Abs e marmitte catalitiche, mentre i dati dell’estate indicavano un calo delle vendite di oltre il 70 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso a causa del crollo della produzione”. Un chiaro segno che “la nostra risposta comune sta funzionando”, come dimostrano anche le recenti mosse di Putin, “dall’interruzione delle consegne di gas attraverso Nord Stream 1, fino alla mobilitazione dei riservisti e ai falsi referendum nei territori occupati”, ha ribadito Gentiloni.

    La Commissione ha annunciato nuove misure restrittive contro “tutti coloro che sono coinvolti nell’aggressione armata e nell’annessione illegale di territori ucraini”. La presidente von der Leyen ha annunciato che la nuova stretta alle importazioni “costerà al Cremlino altri 7 miliardi di euro”

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    Da Belgrado un altro schiaffo a Bruxelles e alle sanzioni Ue. Dopo Sputnik, anche Russia Today aprirà una sede in Serbia

    Bruxelles – Se l’Unione Europea ancora continua ad appellarsi alla Serbia di Aleksandar Vučić per un allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia, la realtà dei fatti rimane ben distante. Non solo da un punto di vista di politica estera ed energetica, ma anche di informazione e disinformazione. L’ultima dimostrazione di questa assenza di volontà da parte di Belgrado nel chiudere la porta a Mosca per stringere i legami con Bruxelles è la notizia che “sono in corso i preparativi” per l’apertura in Serbia di una sede di Russia Today, organo di propaganda del Cremlino entrato nella lista delle sanzioni dell’UE a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić
    A confermarlo in un’intervista per la rete televisiva serba Nova.rs è Ljubinka Milinčić, caporedattrice di Sputnik Serbia, l’altro media statale russo la cui distribuzione sul territorio comunitario è stata sospesa a inizio marzo per arginare la diffusione della disinformazione di Mosca sulla guerra in corso in Ucraina (dal 3 giugno sono state aggiunte altre tre grandi emittenti del Cremlino, Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International). Ad assumere la guida di Russia Today in Serbia potrebbe essere la figlia della stessa caporedattrice di Sputnik Serbia, anche se Milinčić non ha voluto commentare l’indiscrezione di Nova.rs.
    Questa decisione allontana ancora di più le speranze di Bruxelles di una – ormai quasi irrealizzabile – adozione da parte di Belgrado delle sanzioni internazionali contro la Russia, considerato il fatto che la Serbia è un Paese candidato all’adesione Ue e che tra i capitoli negoziali compare anche l’allineamento alla politica estera dell’Unione. Sul piano della disinformazione, per Bruxelles Russia Today e Sputnik sono considerati “essenziali e strumentali” nel sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, specifica una nota del Consiglio sulla sospensione della distribuzione via cavo, satellite, Iptv (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (Seae) contro la disinformazione, i due media statali russi rappresentano una minaccia “significativa e diretta” per la sicurezza dell’Unione Europea e per i partner già stretti – tra cui sarebbe inclusa anche la Serbia – dal momento in cui “fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”.
    La questione del non-allineamento della Serbia alle sanzioni UE non riguarda solo l’ambito della disinformazione, ma anche – e soprattutto – quello energetico. A fine maggio il presidente Vučić ha stretto un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per cento del fabbisogno annuale nazionale) a condizioni economiche particolarmente favorevoli, proprio mentre i Paesi membri dell’Ue si stanno vedendo tagliare le forniture di gas dal colosso energetico russo Gazprom e Bruxelles sta cercando di spingere l’indipendenza energetica dalle fonti fossili di Mosca entro il prossimo autunno. A inizio giugno il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si sarebbe dovuto recare in visita a Belgrado per definire i dettagli dell’accordo informale sull’energia tra i due Paesi. Ma sono state proprio le sanzioni Ue in vigore in Bulgaria (uno dei Ventisette), in Macedonia del Nord e in Montenegro (partner balcanici dell’Unione) a impedire il viaggio di Lavrov in Serbia con la chiusura dei rispettivi spazi aerei, come previsto dalle misure restrittive che includono il divieto di ingresso e transito sul territorio dei Paesi membri e dei partner allineati per gli individui sanzionati.

    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić, ha confermato che anche l’altro organo di propaganda del Cremlino aprirà un ufficio di rappresentanza nella capitale. La distribuzione dei due media statali russi è stata sospesa sul territorio Ue dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina

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    A 30 giorni dalla proposta della Commissione UE, è operativo il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Era il 4 maggio quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presentava davanti alla plenaria del Parlamento UE a Strasburgo la proposta del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ponendo un forte accento sull’embargo totale al petrolio russo. A 30 giorni da quell’annuncio, la nuova tornata di misure restrittive è stata approvata dal Consiglio dell’UE, lasciandosi alle spalle tutta una serie di dure polemiche, errori di valutazione e deroghe inizialmente non previste dalla proposta.
    Al centro del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia e la Bielorussia – spalla operativa per l’invasione dell’Ucraina da nord – c’è proprio l’embargo al petrolio in arrivo da Mosca. Il divieto di acquisto, importazione e trasferimento del greggio e dei derivati prevede una gradualità tra i sei (per il greggio) e gli otto mesi (per prodotti raffinati), ma soprattutto un’eccezione temporanea per le importazioni tramite oleodotto negli Stati membri che “a causa della loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dalle forniture russe e non hanno opzioni alternative valide”. È il caso dell’Ungheria di Viktor Orbán (ma anche di Polonia, Germania e Slovacchi), che fino all’ultimo ha tenuto in stallo l’accordo tra i leader UE al vertice di lunedì e martedì (30-31 maggio), mentre a Bulgaria e Croazia sono garantite deroghe temporanee per l’importazione di greggio via mare e di gasolio sottovuoto. Della durata di queste eccezioni si dovrà discutere nelle prossime riunioni a livello tecnico e politico a Bruxelles.
    Il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill
    Altro punto complesso – anche se la criticità è emersa a sorpresa solo dopo l’accordo al Consiglio UE sul sesto pacchetto di sanzioni – è l’aggiornamento degli elenchi di persone ed entità vicine al regime di Vladimir Putin e di Alexander Lukashenko colpiti dalle misure restrittive. Tra i 58 “responsabili delle atrocità commesse dalle truppe russe a Bucha e Mariupol, le personalità che sostengono la guerra, i principali uomini d’affari e i familiari degli oligarchi e dei funzionari del Cremlino” (oltre ai 1.093 individui e 80 entità già presenti) doveva comparire anche il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill. Tuttavia, il premier ungherese Orbán ha deciso mercoledì (primo giugno) di porre il proprio veto sulla richiesta della Commissione di congelare i suoi beni e rimuoverne il visto, bloccando nuovamente il pacchetto al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). La richiesta di Orbán è stata accolta in meno di ventiquattr’ore dagli altri 26 governi UE, lasciando nella lista militari e ufficiali responsabili di crimini di guerra, oligarchi e società russe del settore della difesa.
    Terza misura che compare nel sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci: Sberbank, una delle più grandi banche russe, la Banca di credito di Mosca e la Banca agricola russa (a cui si aggiunge anche la Banca bielorussa per lo sviluppo e la ricostruzione). Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. Inoltre, dal momento in cui il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, sarà vietata la fornitura di servizi di contabilità, relazioni pubbliche, consulenza, e servizi cloud alla Russia.
    Mentre si ragiona sul rafforzamento del regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive, si approfondiscono le restrizioni all’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso “che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza” di Mosca. Tra questi compaiono anche 80 prodotti che possono essere utilizzati per la produzione di armi chimiche.
    Ultimo punto, la sospensione della radiodiffusione di tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Queste strutture sono state utilizzate dal governo russo come strumenti per manipolare le informazioni e promuovere la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina” con l’obiettivo di “destabilizzare i Paesi vicini alla Russia, l’UE e i suoi Stati membri”, spiegano dal Consiglio. Una precisazione – per rispondere in anticipo alle eventuali polemiche sulla libertà di stampa – riguarda il fatto che “in linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno ai media e al loro personale di svolgere nell’UE attività diverse dalla trasmissione, come ricerche e interviste”.

    Via libera dal Consiglio dell’UE all’embargo graduale al petrolio russo (con deroghe temporanee), allo scollegamento di altre tre banche dal sistema SWIFT, all’oscuramento di tre organi di propaganda e a nuovi nomi nella lista dei sanzionati (ma non il patriarca di Mosca Kirill)

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    Le sanzioni oltre l’embargo al petrolio. Cosa ci sarà nel sesto pacchetto contro Mosca approvato dai leader UE

    Bruxelles – Banche, media di regime, oligarchi e ufficiali delle forze armate. Se l’embargo al petrolio russo è la portata principale sul tavolo del sesto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, il contorno continua a colpire a fondo la cerchia stretta di Vladimir Putin e la propaganda di regime. Con le conclusioni approvate nella notte tra ieri (lunedì 30 maggio) e oggi, i leader UE hanno dato il via libera al nuovo round di misure restrittive contro Mosca, con l’obiettivo di tenere alta la pressione sul regime russo.
    L’esecutivo comunitario ha previsto di inserire nella lista delle sanzioni altri 58 tra militari e responsabili di crimini di guerra a Bucha e nell’assedio “disumano” della città di Mariupol (in aggiunta ai 1.093 individui e 80 entità già inserite), come aveva sottolineato la numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen, al momento della proposta. Il nome più caldo nella lista è quello del capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill, a cui la Commissione vorrebbe estendere il congelamento dei beni e la revoca del visto. Il nome era stato inserito nella proposta per il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma dai palazzi delle istituzioni comunitarie ancora non filtrano certezze: “Anche Kiril dovrebbe esserci, se me lo aveste chiesto una settimana fa avrei risposto sicuramente di sì”, ha lasciata aperta la questione l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, entrando questa mattina al Consiglio Europeo.
    Quello che invece è certo è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci. Ci sarà sicuramente Sberbank, una delle più grandi banche russe, mentre le altre due – secondo quanto riferiscono fonti UE – dovrebbero essere Credit Bank of Moscow and Russian Agricultural Bank. Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. L’obiettivo rimane quello di colpire le banche “critiche” per il sistema finanziario russo, isolandole sul piano finanziario. Inoltre, considerato il fatto che il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, Bruxelles vieterà la fornitura di questi servizi alle società russe e sta puntando a rafforzare il regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive (anche attraverso contabili e consulenti dei Ventisette).
    Infine, il sesto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia colpisce tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Abbiamo identificato questi canali come organi che amplificano la disinformazione e la propaganda di Putin in modo aggressivo, non dobbiamo più dare loro un palcoscenico per diffondere queste bugie”, aveva attaccato von der Leyen a Strasburgo.

    Nel nuovo round di misure restrittive che i 27 leader dell’Unione hanno approvato saranno colpiti anche 58 tra oligarchi e ufficiali militari che si sono macchianti di crimini di guerra in Ucraina. Sberbank scollegata dal sistema di pagamenti SWIFT e banditi altre tre media di regime

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    L’UE introdurrà meccanismo di sanzioni contro propaganda di regime e disinformazione (a partire dalla Russia)

    Bruxelles – Come bombe, mortai e mitragliatrici, “anche la propaganda di Vladimir Putin è uno strumento di guerra che bombarda le menti di russi, ucraini e cerca di colpire anche le nostre”. L’avvertimento è arrivato dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, intervenuto questa mattina (martedì 8 marzo) al dibattito in sessione plenaria del Parlamento UE sulle interferenze straniere nell’Unione Europea. La risposta di Bruxelles è già arrivata la settimana scorsa, con la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik, ma in cantiere è in costruzione una visione più ampia: “Proporrò presto un meccanismo UE per imporre sanzioni alle fonti maligne di informazioni e di propaganda, stiamo mettendo insieme gli strumenti necessari”, ha anticipato Borrell.
    Di fronte a una plenaria quasi all’unanimità compatta dietro alla relazione presentata dall’eurodeputata lettone Sandra Kalniete (PPE), l’alto rappresentante UE ha fornito qualche dettaglio sulla futura proposta di un meccanismo per le sanzioni contro la propaganda di regimi oppressivi: “Lo struttureremo attorno al rafforzamento della resilienza dell’Unione e dei nostri partner, in particolare della società civile, e attorno all’individuazione nel dettaglio di attività di ingerenza”, partendo dal “concetto di contrasto alla disinformazione portato avanti in due anni di pandemia”.
    La guerra in atto in Ucraina “ci mostra come la manipolazione delle informazioni sia uno strumento che si affianca all’assalto militare” e che colpisce indiscriminatamente all’esterno come all’interno del Paese. “Si è arrivati a un completo isolamento della popolazione russa, con una bolla che impedisce di sapere cosa sta accadendo”, ha messo in chiaro l’alto rappresentante UE.
    Borrell ha ricordato che la disinformazione colpisce la popolazione russa sia sulle ragioni dell’invasione, sia sulla situazione attuale in Ucraina: “Nelle settimane prima dell’assalto ha preparato il terreno all’invasione, invertendo causa ed effetto, dipingendo la Russia come vittima di un genocidio e l’Ucraina di Volodymyr Zelensky come un governo nazista da abbattere“. Si tratta non solo di “una distorsione della Storia”, ma anche “un racconto usuale per i russi”, che non possono avere accesso a un’informazione libera. Al contrario “il giro di vite contro i media in Russia ha portato alla criminalizzazione di quella che il Cremlino definisce falsa informazione”. In breve, “parlare di guerra anziché di operazione militare speciale può costare 15 anni detenzione“, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell.
    Parlando di quanto l’UE vorrebbe fare per contrastare la propaganda russa (e non solo) con un regime di sanzioni pari a quelle contro oligarchi ed entità vicine al potere autocratico, Borrell ha precisato che “io non sono il ministro della verità, l’essenza delle nostre azioni è colpire gli attori esterni che cercano di influenzare in modo strutturale l’ambiente mediatico per danneggiarci”. Due esempi su tutti, Russia Today e Sputnik: “Sono asset nelle mani del Cremlino con la capacità di condurre guerre di informazione”, che “andavano bloccate perché sul combustibile dell’informazione si basano le azioni politiche dei cittadini e lo stato della democrazia“. Un pericolo che si avverte anche sul territorio dei Ventisette, Italia inclusa: “Bisogna individuare i casi più pericolosi, anche consultando la task force East StratCom” del Servizio europeo di azione esterna (SEAE).
    Prendendo parola dopo l’alto rappresentante, la vicepresidente della Commissione UE per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová, si è detta “soddisfatta” che piattaforme come Netflix si siano ritirate dalla Russia, così come del fatto che diversi amministratori delegati di Big Tech “vogliano stare dalla parte giusta della Storia”. Jourová ha attaccato con forza il regime di Putin (“il copione non è cambiato dai tempi dell’Unione Sovietica“) e ha avvertito che “la verità è il nemico peggiore dei regimi oppressivi”. Di qui la necessità per Bruxelles di fare tutto il possibile per bloccare la disinformazione orchestrata dall’esterno, Russia di Putin in prima linea.

    La Commissione Europea si prepara a lavorare su misure restrittive che colpiscano i megafoni dei governi repressivi, come dimostrato dalla disinformazione e dalle ingerenze della Russia “come strumento di guerra”

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    Da oggi nell’UE è sospesa la diffusione della propaganda di Russia Today e Sputnik: “In guerra, le parole contano”

    Bruxelles – È anche una guerra di disinformazione e propaganda quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Mosca sta cercando di diffondere immagini e narrazioni dell’invasione in atto da una settimana totalmente manipolate sia in patria sia all’estero. Ed è questo che l’Unione Europea non può più accettare. Dopo l’annuncio della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, di domenica (27 febbraio), sono state adottate oggi le sanzioni contro gli organi di propaganda del regime di Vladimir Putin, attraverso la sospensione della distribuzione dei media statali Russia Today e Sputnik su tutto il territorio dell’Unione.
    La decisione è stata presa dal Consiglio dell’UE all’interno del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia di Putin, che hanno colpito, oltre alla propaganda di regime, anche la Banca centrale russa e l’accesso di sette banche al sistema di pagamenti internazionali Swift. “Russia Today e Sputnik sono essenziali e strumentali nel portare avanti e sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella nota del Consiglio. Per Bruxelles si tratta di “una minaccia significativa e diretta” all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione Europea, dal momento in cui “entrambi fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”, come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (SEAE) contro la disinformazione. Già la settimana scorsa, nel pacchetto di sanzioni contro la cerchia più stretta di Putin, era stata inclusa la caporedattrice della sezione inglese di Russia Today, Margarita Simonyan, per i contenuti di disinformazione che prendevano di mira l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky.
    “Data la gravità della situazione” e “in risposta alle azioni di propaganda della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina”, l’UE ha ritenuto “necessario e coerente con i diritti e le libertà fondamentali” introdurre nuove sanzioni per sospendere le attività di trasmissione dei due organi di disinformazione attraverso tutti i mezzi di distribuzione: cavo, satellite, IPTV (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Licenze, autorizzazioni e accordi di distribuzione sono “immediatamente sospesi” sul territorio di tutti i 27 Stati membri.
    “In questo tempo di guerra, le parole contano“, ha attaccato la presidente von der Leyen. È per questo motivo che “non permetteremo agli apologeti del Cremlino di versare le loro bugie tossiche che giustificano la guerra di Putin o di seminare i semi della divisione nella nostra Unione”, dopo aver preso di mira “in modo oltraggioso un Paese libero e indipendente”. Durissimo anche l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “La manipolazione sistematica dell’informazione è applicata come strumento operativo nell’assalto all’Ucraina”. Borrell ha definito le sanzioni contro la propaganda della Russia come “un passo importante contro l’operazione di manipolazione di Putin, chiudendo il rubinetto dell’UE ai media controllati dallo Stato“.

    In this time of war, words matter.
    The EU adopted sanctions against the Kremlin’s disinformation and information manipulation assets.
    State-owned outlets Russia Today and Sputnik are suspended across the EU, as of today.
    Learn more → https://t.co/EmOYaxmQ9f pic.twitter.com/xsbcr1lmMt
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) March 2, 2022

    Nel nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia è stata inclusa la sospensione della distribuzione dei due media statali su tutti i mezzi, per arginare la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin