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    La strada dell’allargamento UE all’Ucraina e l’impossibile obiettivo dell’adesione entro il 2030

    Bruxelles – Quasi come reazione uguale e contraria (ma senza la violenza delle armi) all’invasione dell’Ucraina da parte delle forze militari russe, sul tavolo dei leader UE si pone un nuovo tema in agenda: la possibilità di allargare l’Unione Europea e accogliere Kiev come 28esimo Paese membro. Siamo ai limiti della fantapolitica, ma due dei Ventisette (Slovenia e Polonia) hanno proposto al Consiglio UE l’adesione dell’Ucraina e hanno indicato anche una data precisa entro cui questo processo dovrebbe completarsi: “Non parliamo di decenni, ma entro il 2030“, ha dichiarato il primo ministro sloveno, Janez Janša, entrando al Consiglio Europeo straordinario di questa sera (giovedì 24 febbraio) a Bruxelles.
    La richiesta è stata presentata al presidente del Consiglio UE, Charles Michel, attraverso una lettera inviata ieri sera (mercoledì 23 febbraio), che faceva riferimento alla necessità di “valutare strategicamente la questione e prendere decisioni politiche coraggiose”. Questa sera, però, il premier sloveno ha offerto più dettagli: “Dobbiamo dare all’Ucraina una reale prospettiva di adesione UE e lo stesso approccio deve essere utilizzato con Moldavia, Georgia e Balcani Occidentali“. La motivazione è legata al futuro sviluppo di queste regioni e della sicurezza dell’Unione stessa, dal momento in cui “la storia recente ci dimostra che se lo spazio di libertà, democrazia e Stato diritto non si allarga, qualcuno lo occupa”. Lo stesso approccio “è condiviso da molti colleghi, nei Paesi baltici e in quelli dell’Est”, ha assicurato Janša. In altre parole, soprattutto tra chi teme le minacce russe alle proprie frontiere.
    Nelle conclusioni dei Ventisette alla fine è comparso solo un generico “sostegno alla scelta e alle aspirazioni europee di Kiev”, ma può essere utile fare un punto sui margini di fattibilità della proposta. Il primo passo per l’inizio di un ipotetico processo di adesione UE di Kiev deve passare da una proposta formale del Paese extra-UE che aspira alla candidatura (l’Ucraina, in questo caso). Si articolano poi una serie di passaggi. Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno), si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A quel punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Ventisette si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine, si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Il processo è particolarmente lungo e impegnativo, a prescindere dal Paese che presenta la proposta di adesione. Giusto per capire di quali tempistiche si parla, basta solo ricordare a che punto sono le trattative dei sei Paesi che sono attualmente in lizza per aderire all’UE: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Tutti hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione: l’ultimo è stato il Kosovo sei anni fa (2016), ma si va indietro fino al 2001 per la Macedonia del Nord, passando da Serbia e Bosnia (2008), Montenegro (2007) e Albania (2006). Anche se si considera solo la situazione una volta ottenuto lo status di Paese candidato, non va molto meglio: Tirana è bloccata dal 2014, Skopje dal 2005, mentre Serbia e Montenegro stanno portando avanti i successivi negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni. Insomma, la prospettiva del 2030 per l’Ucraina – un Paese che non ha nemmeno avanzato una proposta formale all’UE – sembra quantomeno improbabile.
    Aldilà delle tempistiche, c’è anche una questione di contesto. Per scelte politiche di Bruxelles, l’Ucraina finora non è mai entrata nel novero dei Paesi potenzialmente candidati all’adesione UE. È vero che i legami tra Kiev e Bruxelles sono stretti: insieme a Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione), l’Ucraina è inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra Bruxelles e i Paesi di quest’area geopolitica, e dal 2018 è in vigore un Accordo di associazione politica ed economica con l’Unione Europea. Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione dell’Ucraina all’UE.
    C’è comunque da riconoscere che uno dei fattori che ha scatenato la crisi quasi decennale tra Russia e Ucraina è proprio la prospettiva UE di Kiev. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di proteste violente a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di associazione. Quelle proteste portarono alla sollevazione di Piazza Maidan l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’ex-presidente Viktor Janukovyč. A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a poco sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che, dopo otto anni, vive il suo momento più acuto. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco di una potenza straniera e la strada dell’adesione all’UE è tutta in salita.

    Slovenia e Polonia hanno proposto al Consiglio Europeo di offrire a Kiev la prospettiva di adesione all’Unione entro la fine del decennio, insieme a Moldavia, Georgia e Balcani Occidentali. Ma tempistiche e contesto frenano le ambizioni

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    Stoltenberg: “La guerra è in Europa”. I baltici spaventati attivano il processo per le Consultazioni d’emergenza NATO

    Bruxelles – Dall’Ucraina i timori per le azioni aggressive di Mosca si espandono a macchia d’olio. Con l’invasione da parte della Russia del territorio ucraino, Lituania, Lettonia ed Estonia, le tre ex-Repubbliche sovietiche affacciate sul Mar Baltico, a più di 30 anni dalla conquista dell’indipendenza tornano a temere la politica di espansionismo del Cremlino e mettono in allerta gli alleati dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) sulla minaccia russa nei confronti di tutti i vicini dell’Ucraina.
    Dopo l’inizio delle operazioni di invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin nelle prime ore di giovedì 24 febbraio, i tre Paesi baltici hanno annunciato la volontà di attivare “quanto prima” di un confronto NATO ai sensi dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico. Si tratta del processo da attivare per consultazioni di emergenza se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna: “C’è una minaccia per l’intero mondo libero”, ha commentato la premier dell’Estonia, Kaja Kallas, per spiegare la decisione in cooperazione con Lettonia e Lituania. Proprio da Vilnius, il presidente lituano, Gitanas Nausėda, ha annunciato che “oggi firmerò un decreto che impone lo stato di emergenza” nel Paese, in parallelo con la richiesta di consultazioni per la minaccia di una potenziale aggressione.
    Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg
    La richiesta di consultazioni secondo l’articolo 4 è arrivata al Consiglio NATO e lo ha confermato il segretario generale, Jens Stoltenberg, nella conferenza stampa post-riunione straordinaria: “In linea con la nostra pianificazione difensiva per proteggere tutti gli alleati, abbiamo deciso di prendere ulteriori misure per rafforzare la deterrenza e la difesa in tutta l’Alleanza“, ha dichiarato. È sul tavolo la richiesta dei tre Paesi baltici, Polonia, Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca, nella logica di “difendere gli alleati da aggressioni da parte di un regime autoritario che usa la forza per imporsi su altri Paesi”, ha attaccato Stoltenberg. “La guerra è in Europa“, è stato lapidario il segretario generale della NATO, definendo l’invasione dell’Ucraina “un brutale atto bellico, arrivato dopo una lunga serie di menzogne e disinformazione della Russia negli ultimi mesi”.
    Dopo che Mosca “ha chiuso la porta alla soluzione diplomatica che abbiamo cercato di raggiungere in ogni modo”, il piano di difesa della NATO in risposta a Mosca è già elaborato nei dettagli e attivato. “Nei prossimi giorni invieremo ulteriori forze sul fianco orientale dell’Alleanza, dove già ci sono migliaia di truppe”, ha spiegato Stoltenberg. Il piano offre “più autorità ai comandanti sul campo e più velocità di spostamento delle forze”, anche se prevale la linea difensiva e la non-volontà di scatenare un conflitto con la Russia. Questo è dimostrato dal fatto che “non ci sono truppe NATO in Ucraina, né abbiamo piani di dispiegarle“, ha aggiunto il segretario generale Stoltenberg, precisando che “le nostre intenzioni sono di rafforzare il fianco orientale dell’Alleanza e incrementare il numero di truppe. Al momento, “gli alleati nordamericani ed europei hanno mobilitato migliaia di soldati, abbiamo oltre un centinaio di jet in allerta nel nostro spazio aereo e più di 120 navi dal Mare del Nord al Mediterraneo”.
    Nonostante sia “chiaro che le minacce russe impongono una nuova normalità per la sicurezza europea” (come già avvertiva lo stesso Stoltenberg una settimana fa), il segretario generale ha voluto rassicurare gli europei, affermando che “la Russia non ci attaccherà perché siamo la più forte alleanza della storia e siamo tutti allineati“. Questo “dovrebbe precludere qualsiasi espansione della tragedia che stiamo vedendo in Ucraina”, ma, in ogni caso, “qualsiasi attacco a un Paese alleato farà scattare la reazione immediata della NATO. Dopo l’articolo 4, c’è l’articolo 5: quello che afferma che “un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza“, con la possibilità di far scattare una reazione di autodifesa. In altre parole, una guerra.

    Lituania, Lettonia e Lituania chiedono l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico: “Con l’invasione russa dell’Ucraina c’è una minaccia per l’intero mondo libero”

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    La Polonia chiede un rafforzamento della NATO su tutto il fronte orientale per rispondere alle minacce russe

    Bruxelles – Ora la parola d’ordine è rafforzamento, di tutto il fronte orientale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). La richiesta è arrivata oggi (lunedì 7 febbraio) dal presidente della Polonia, Andrzej Duda, e si sposa perfettamente con l’impostazione del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nella risposta da dare alla crescente presenza di forze militari russe sul confine con l’Ucraina. “Dovrebbe essere presa una scelta collettiva da parte dell’Alleanza per rafforzare tutto il fronte orientale“, ha sottolineato in conferenza stampa a Bruxelles il presidente polacco, al termine dell’incontro con Stoltenberg.
    A preoccupare non sono solo le “oltre 100 mila truppe lungo il confine con l’Ucraina, ma anche le circa 30 mila in Bielorussia, il più grande dispiegamento in quel Paese dai tempi della guerra fredda”, ha spiegato il segretario generale della NATO. “Questi schieramenti non sono giustificati, non sono trasparenti e sono molto vicini ai confini” dell’Alleanza. È in quest’ottica che si giustifica il rafforzamento della capacità di risposta degli alleati e la possibilità di dispiegare “nuovi gruppi tattici”sul fronte sud-orientale (Romania): “La NATO farà tutto il necessario per proteggere e difendere tutti gli alleati e l’invio di più truppe statunitensi in Polonia, Germania e Romania è una potente dimostrazione di impegno per uno schieramento difensivo e proporzionato”. Il presidente Duda si è detto preoccupato soprattutto per la presenza delle truppe russe in Bielorussia per esercitazioni: “Se non dovessero lasciare immediatamente il Paese, dovremo agire di conseguenza, perché si tratterebbe di un nuovo distretto militare ai suoi confini”.
    Sul piano del dialogo con Mosca, è stata ribadita la necessità di trovare “una soluzione politica a livello di Consiglio NATO-Russia”, ha ricordato Stoltenberg. Tuttavia, in linea con quanto definito nella lettera del 26 gennaio, “non scenderemo a compromessi sui principi fondamentali“, tra cui la difesa degli alleati e la possibilità per ogni Paese di scegliere le proprie alleanze per la sicurezza nazionale. A rendere necessaria questa precisazione è stata la dichiarazione congiunta di venerdì scorso (4 febbraio) di Russia e Cina, in cui entrambi i Paesi hanno chiesto alla NATO di smettere di ammettere nuovi membri nell’Alleanza: “Si tratta di un tentativo di negare alle nazioni sovrane il diritto di fare le proprie scelte e di ritornare a un’epoca di sfere d’influenza”, ha accusato con forza Stoltenberg.

    Met #Poland’s President @AndrzejDuda at a critical time for our security. We addressed #Russia’s build-up, and the Russia–#China statement, which calls on #NATO to bar new members. We must not return to spheres of influence where big powers tell others what they can & cannot do. pic.twitter.com/HN6TuU7Ua1
    — Jens Stoltenberg (@jensstoltenberg) February 7, 2022

    Il presidente Duda a Bruxelles
    Nel corso della sua visita a Bruxelles, il presidente polacco ha incontrato anche i presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio UE, Charles Michel. Al centro delle discussioni la questione della sicurezza delle frontiere dell’Unione e del rafforzamento militare della Russia, compresa la necessità di un “coordinamento sulle sanzioni per rispondere a qualsiasi ulteriore escalation e anche sull’approvvigionamento energetico“, ha commentato von der Leyen.
    Punti ricordati da Michel, che si è anche soffermato sulla situazione al confine polacco – compreso il nuovo muro in costruzione lungo il confine con la Bielorussia – e la necessità di un “maggiore impegno sul rispetto dello Stato di diritto” nel Paese, in particolare sull’indipendenza della magistratura. Proprio il presidente Duda ha presentato la settimana scorsa un disegno di legge per abolire la sezione disciplinare della Corte Suprema, per tentare di risolvere lo scontro tra Varsavia e Bruxelles sul primato del diritto comunitario, scatenatosi nel luglio dello scorso anno.

    Good exchange with President @AndrzejDuda on the security situation and Russia’s military build-up.
    We are coordinating deeply our preparedness, including on energy supply, and on sanctions to respond to any further escalation. pic.twitter.com/OW8tohxKGa
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 7, 2022

    La richiesta del presidente della Polonia, Andrzej Duda, si sposa con la visione del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, per rispondere alle minacce di Mosca: “Faremo tutto il necessario per difendere gli alleati”

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    Il Parlamento UE diviso tra chi vuole rafforzare le frontiere con la Bielorussia e chi condanna le violazioni dei diritti umani

    Bruxelles – Nel giorno dell’annuncio della nuova proposta di sanzioni contro il regime di Alexander Lukashenko, con l’inclusione di una lista nera di operatori di trasporto che facilitano la tratta di persone verso l’Unione Europea, gli eurodeputati si sono confrontati con la Commissione e il Consiglio UE sulla gestione della frontiera orientale, scontrandosi e dividendosi sull’analisi della crisi migratoria in atto tra Polonia e Bielorussia.
    Nel suo intervento in Aula il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas, ha definito le azioni del presidente della Bielorussia “una minaccia alla sicurezza dell’UE”, dal momento in cui “non sono solo le frontiere polacche, lituane e lettoni in pericolo, ma anche quelle di tutta l’Unione”. Di contro, “la nostra risposta non ha conosciuto pause, ma ora è tempo di azioni, non di diagnosi“, ha esortato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario. Di qui le varie direttrici di intervento di Bruxelles per cercare di limitare i danni e provare a coordinare un approccio che fin a oggi sembra tutto fuorché armonizzato.
    Il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas (23 novembre 2021)
    Prima di tutto c’è stato il sostegno per affrontare la crisi umanitaria “drammatica”, attraverso la mobilitazione di 700 mila euro del bilancio dell’Unione per le organizzazioni internazionali partner. “Dobbiamo dare una protezione adeguata alle persone bloccate alla frontiera”, ha ricordato Schinas. Altri 3,5 milioni di euro saranno stanziati dall’UE per sostenere i rimpatri volontari dalla Bielorussia ai Paesi di origine, “una priorità fondamentale, come mi è stato chiesto nel mio viaggio nei Paesi partner in Medio Oriente“, ha aggiunto il vicepresidente della Commissione UE. E poi oltre 200 milioni di fondi “ai Paesi più colpiti”, ovvero Polonia, Lituania e Lettonia, e il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime bielorusso: “Ma siamo pronti a fare di più se e quando necessario“.
    Come già rivelato nel corso della sessione plenaria di due settimane fa, il Parlamento UE è diviso tra gruppi politici che sostengono il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione e altri che definiscono “inaccettabile per i valori europei” ciò che sta accadendo sul confine tra Polonia e Bielorussia.
    Il primo approccio è quello delle destre, compresi i popolari. “Qualcuno ancora si chiede se ci troviamo in una guerra ibrida sulle frontiere orientali”, ha attaccato Esteban González Pons (PPE). “Non possiamo permetterci tentennamenti mentre la Russia continua la sua politica di invasioni e usa Lukashenko per provare a destabilizzare l’Unione Europea”. Sulla stessa linea d’onda Ryszard Antoni Legutko (ECR), che ha definito quella in corso una “minaccia diretta alla frontiera della Polonia” attraverso l’invio in massa di civili per “far scricchiolare l’UE”. Riportando le parole del primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, l’eurodeputato conservatore ha definito “la nostra passività, la sua forza”. Ancora più duro Nicolas Bay (ID), che ha accusato le istituzioni UE di “incitare i migranti a venire in Europa, promettendo anche loro di accoglierli con 700 mila euro”.
    Dall’altra parte dell’emiciclo, Birgit Sippel (S&D) ha parlato di “catastrofe umanitaria, in cui le persone vengono maltrattate e respinte con la violenza“. L’indice è puntato proprio contro il governo di Varsavia, che “non rispetta i vincoli internazionali e i diritti umani che valgono anche alle frontiere esterne dell’Unione”. L’eurodeputata socialdemocratica ha inoltre esortato la Polonia a “dare accesso alle ONG e ai giornalisti nella zona rossa”. Più radicale l’accusa di Miguel Urbán Crespo (La Sinistra): “Alla frontiera dell’UE con la Bielorussia si stanno usando donne, uomini e bambini come rifiuti, noi ci opponiamo alla visione di una guerra ibrida che giustifica il sostegno a queste politiche violente”.
    Liberali e Verdi hanno invece insistito sul fatto che l’UE non stia parlando con una sola voce contro la Bielorussia di Lukashenko, con la conseguenza di non saper coordinare una risposta “efficace e dignitosa” alle frontiere esterne. “Le telefonate della cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Lukashenko hanno come unico risultato quello di far alzare il tiro delle sue pretese nei confronti dell’Unione”, ha attaccato Petras Auštrevičius (Renew Europe). “Dobbiamo continuare con misure dure contro il regime e contro la compagnia aerea Belavia, perché ancora dopo quattro pacchetti di sanzioni le violazioni dei diritti umani in Bielorussia non si fermano”, ha aggiunto l’eurodeputato lituano.
    Viola Von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) ha sottolineato che “il fatto che Belavia chieda un sacco di soldi per dare alle persone migranti una speranza vana è l’esempio di cosa sia una tratta di esseri umani”. Anche se “alcuni pensano che si possa telefonare e mediare”, il presidente bielorusso Lukashenko e la sua cerchia “possono essere fermati solo con misure dure e sostenendo l’opposizione democratica bielorussa”, ha aggiunto l’europarlamentare tedesca, anticipando l’intervento di domani (mercoledì 24 novembre) della leader Sviatlana Tsikhanouskaya.

    La frattura tra i gruppi delle destre e del fronte sinistre-Verdi-liberali si è aperta durante la discussione sulla gestione della crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia

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    Nella lista nera delle sanzioni UE contro la Bielorussia anche gli operatori di trasporto complici della tratta di migranti

    Bruxelles – Una lista nera di compagnie aeree e operatori di trasporto che facilitano la tratta di persone verso l’Unione Europea. La Commissione Ue alza l’asticella della sua battaglia diplomatica contro il regime del presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, e oggi (martedì 23 novembre) propone un nuovo strumento per cercare di fermare alla radice il flusso migratorio che sta provocando una crisi al confine con la Polonia.
    Secondo la proposta di sanzioni presentata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dal vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas, e dalla commissaria per i trasporti, Adina Vălean, nel momento in cui un operatore di trasporto “mette a rischio la vita di persone vulnerabili e la sicurezza delle frontiere esterne dell’Unione”, l’esecutivo comunitario può prendere una serie di misure che vanno dal congelamento delle operazioni nel Mercato dell’UE alla sospensione delle licenze e del diritto di operare verso, da e dentro l’Unione Europea, fino al divieto di transitare, sorvolare o fare scalo nei porti dei Paesi membri. “La cooperazione forte e immediata a cui abbiamo assistito dalla comunità globale dell’aviazione nelle ultime settimane dimostra che è essenziale coinvolgere da vicino gli operatori dei trasporti nella prevenzione e nella lotta contro questa nuova forma di minaccia ibrida”, ha spiegato la commissaria Vălean.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (23 novembre 2021)
    Analizzando gli eventi lungo il confine tra Polonia e Bielorussia, la Commissione UE ha sottolineato che “i recenti eventi alla frontiera non si sarebbero potuti verificare senza il contributo degli operatori di volo, consapevole o involontario”. L’alto rappresentante Borrell ha indicato nella proposta di nuovo quadro giuridico “uno strumento adeguato per combattere la strumentalizzazione delle persone per scopi politici“, che sia “proporzionato e determinato caso per caso”. Una prima misura che potrebbe essere adottata a stretto giro riguarda la sospensione del noleggio di aerei della compagnia di bandiera bielorussa Belavia da parte delle aziende europee: “È una decisione imminente”, ha sottolineato il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, nel corso del suo intervento alla plenaria del Parlamento Europeo. Dal 24 maggio scorso a Belavia è stato chiuso lo spazio aereo dell’UE come risposta al dirottamento del volo Ryanair su Minsk per arrestare il giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich.
    Anche la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha aggiornato gli eurodeputati sulla nuova proposta del suo gabinetto per contrastare la Bielorussia di Lukashenko: “Non accetteremo mai lo sfruttamento di esseri umani per scopi politici”, ha ribadito con forza. “I tentativi di destabilizzarci strumentalizzando le persone non funzioneranno, perché siamo uniti”, ha aggiunto von der Leyen, che ha ricordato l’impegno della Commissione a “risolvere la situazione alle frontiere esterne dell’UE con diverse azioni“.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (23 novembre 2021)
    Tra queste azioni c’è anche la proposta di misure provvisorie di emergenza ad hoc in materia di asilo e rimpatrio. “L’obiettivo è sostenere gli Stati membri e definire le procedure adeguate per gestire gli arrivi irregolari in maniera ordinata nel rispetto dei diritti fondamentali”, ha anticipato la presidente della Commissione UE. Sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), la proposta prevede che, nel caso in cui uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, “il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione con il Parlamento, può adottare misure provvisorie a favore degli Stati membri interessati“.
    C’è poi il capitolo del sostegno per la gestione delle frontiere e del flusso migratorio dalla Bielorussia, il tema più spinoso per le istituzioni UE. La presidente della Commissione ha ribadito la posizione dell’esecutivo comunitario (“Non saranno finanziate barriere fisiche con fondi UE”), ma sono stati messi a disposizione di Polonia, Lituania e Lettonia 200 milioni di euro “per la gestione delle frontiere e per sostenere l’attuazione delle procedure di asilo e le condizioni di accoglienza”, ha specificato il vicepresidente Schinas. Un ulteriore sostegno potrebbe includere l’intervento rapido alle frontiere e le operazioni di rimpatrio da parte dell’Agenzia europea della guardia di frontiera (Frontex) e l’assistenza dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) nella gestione della crisi migratoria e nell’accoglienza delle persone.
    Sul piano dei fondi da stanziare, la Commissione fornirà “fino a 3,5 milioni di euro” per sostenere i rimpatri volontari dalla Bielorussia ai Paesi di origine, sostenendo iniziative come quelle messe in piedi dal governo dell’Iraq da giovedì scorso (18 novembre). E infine l’assistenza umanitaria verso le persone migranti bloccate alla frontiera dell’UE con la Bielorussia: un pacchetto da 700 mila euro messo a disposizione delle organizzazioni internazionali partner, così come annunciato mercoledì scorso (17 novembre) dall’esecutivo comunitario. “Qualora l’accesso delle organizzazioni umanitarie partner in Bielorussia dovesse migliorare ulteriormente, la Commissione è pronta a fornire ulteriori finanziamenti“, ha specificato la presidente von der Leyen davanti alla plenaria del Parlamento UE.
    A margine del Consiglio Affari Generali, il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, ha dichiarato alla stampa che l’Italia ha chiesto che “al Consiglio Europeo di dicembre si continui a discutere di immigrazione“. Nei confronti della “dittatura bielorussa” c’è “la massima attenzione e unità tra Paesi membri sia nel difendere la vita delle persone migranti, sia nel condannare l’operato del regime di Lukashenko”, ha specificato il ministro.

    È la proposta della Commissione Europea per contrastare la tratta di esseri umani verso le frontiere esterne dell’UE. Previste anche misure provvisorie di emergenza ad hoc in materia di asilo e rimpatrio

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    Lukashenko minaccia l’UE: “Niente sanzioni oppure stop al gas”

    Bruxelles – “Noi riscaldiamo l’Europa e ora loro ci minacciano con la chiusura del confine. Cosa accadrebbe se bloccassimo il transito di gas naturale?”.  Aljaksandr Lukashneko torna ad attaccare l’UE in merito alla crisi dei migranti che in questi giorni ha scaldato la frontiera tra Polonia e Bielorussia.
    La minaccia del presidente bielorusso segue le notizie sul quinto pacchetto di sanzioni – ora confermate da fonti della Commissione europea – che i Paesi UE stanno discutendo. La Commissione ha ribadito che “le sanzioni sono solo uno degli strumenti che l’Unione ha a disposizione” e che una decisione in merito da parte degli Stati membri arriverà a breve.
    Non si conoscono con certezza i settori che potrebbero essere colpiti da eventuali sanzioni. Per il momento è possibile che ad essere interessate saranno quelle compagnie aeree colpevoli di trasportare illegalmente migranti dal Medio Oriente alla Bielorussia, dove vengono utilizzati per mettere sotto pressione le frontiere polacche e lituane. Anche in questo caso la Commissione non si è ancora espressa ma ha confermato di essere in contatto con le principali compagnie aeree per portare avanti delle indagini.
    Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha risposto che “non dovremmo sentirci intimiditi dalle minacce della Bielorussia”. Posizione ribadita dalla Commissione, che giudica il taglio alla fornitura di gas come “uno scenario estremamente ipotetico”, che “danneggerebbe in primis la Bielorussia”.
    Lukashenko minaccia l’UE, ma gli serve il permesso di Putin
    Il gas che attraversa il Paese per arrivare in Polonia, e da lì arriva in Europa, scorre attraverso il gasdotto Yamal che nel suo tratto bielorusso è di esclusiva competenza di Gazprom – la controllata statale russa. Anche la materia prima proviene esclusivamente dalla Federazione, che lo estrae principalmente nel mare di Kara.
    Interrompere le forniture significherebbe, come riferito dalla Commissione, “danneggiare i fornitori” e dunque la Russia, unico alleato di Lukashenko e partner insostituibile per preservare la stabilità del regime bielorusso.
    Per tagliare l’approvvigionamento di gas, Minsk dovrebbe innanzitutto avere il via libera da Mosca. Il consenso del Cremlino, tuttavia, trascinerebbe la Russia in una vicenda a cui vorrebbe rimanere estranea (almeno a livello ufficiale) – posizione che il presidente Vladimir Putin ha fatto intendere anche durante una recente telefonata con Angela Merkel.

    Il Presidente della Bielorussia risponde all’Unione europea, che in questi giorni pensa all’emissione di un quinto pacchetto di sanzioni contro il governo di Minsk per l’utilizzo come arma dei migranti. Adesso Lukashenko minaccia di interrompere il flusso dei gasdotti russi che, passando attraverso il Paese, riscaldano gli Stati europei

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    Merkel chiama Putin: “Intervieni sul comportamento disumano della Bielorussia”

    Bruxelles – “La Cancelliera ha telefonato al presidente Putin per discutere della situazione al confine tra Bielorussia e Polonia“. Lo annuncia su Twitter il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert. Il Cremlino ha precisato che che si è trattato di “un’iniziativa della Germania”.
    Secondo Seibert, Merkel “ha sottolineato che la strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è disumana e inaccettabile e ha pregato il presidente Putin di intervenire”. Di seguito la cancelliera avrebbe chiesto al presidente russo di utilizzare la propria influenza per dissuadere il governo di Minsk dal proseguire quello che per l’UE è un “attacco asimmetrico”.
    Da Mosca è arrivata una risposta tiepida. Se infatti Putin ha acconsentito “a continuare i colloqui su questo tema”, non sono stati presi impegni di sorta per porre un freno alla crisi. Quanto emerge dalle dichiarazioni è che per l’inquilino del Cremlino si tratta di un problema tra l’Unione europea e la Bielorussia, che non tocca direttamente la Russia.
    Nel corso della telefonata con Angela Merkel, Putin ha suggerito di risolvere la questione “attraverso un colloquio diretto tra gli Stati membri dell’UE e Minsk”, affermando che la Russia avrebbe fatto il possibile per mettere in contatto le due parti in causa – ma senza intervenire in prima persona.
    Merkel ha poi ringraziato pubblicamente i Paesi “che sono preoccupati per la protezione delle frontiere esterne dell’Unione europea, Lituania, Lettonia e Polonia”, lasciando intendere un supporto tedesco alle istanze degli Stati che stanno gestendo direttamente i flussi migratori orchestrati dal regime bielorusso.

    Per la Cancelliera la “strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è un comportamento disumano e inaccettabile”, ma Vladimir Putin invita gli Europei a parlare direttamente con Minsk

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    Il ricatto dei migranti

    Dopo Erdogan in Turchia, che da tempo usa i migranti ammassati al suo confine per ricattare l’Europa, e la Libia che si serve dei disperati che arrivano li dopo una estenuante traversata del  deserto per cercare la fuga dai loro paesi di origini, ora ci si mette anche Alexander Lukashenko che dalla Bielorussia forza centinaia di migranti ad ammassarsi ai confini con la Polonia, scatenando una dura reazione del governo di Varsavia.
    Dall’inizio dell’anno, secondo fonti Ue, circa 8 mila migranti sono arrivati in Europa dalla sua Repubblica assolutista, molto  vicina alla Russia di Putin, che sarebbe secondo alcuni uno dei veri  manovratori di questa ardita mossa della Bielorussia, da tempo in aperta polemica con l’Unione europea, che non perde occasione per accusarlo per i suoi comportamenti non proprio democratici.
    In Bielorussia il flusso migratorio è stato creato ad arte, con un ponte aereo. Quella del leader bielorusso sembra una strategia studiata a tavolino, proprio per utilizzare la leva dei migranti come arma di ricatto contro l’Europa. Da mesi in Turchia, Siria, Emirati Arabi, Azerbaigian e forse anche qualche Paese dell’Africa, le ambasciate bielorusse offrono visti turistici a chi è disposto a pagare una fortuna per una finta vacanza nelle steppe: 10/12mila euro. Il governo ha anche ridotto il numero di agenzie turistiche autorizzate, in sostanza Lukashenko starebbe lucrando sui viaggi come un qualsiasi trafficante di uomini. La promessa è di un facile passaggio verso la tanto agognata Europa.
    L’Unione sta pensando a prendere dure contromisure, come quella di impedire  ai voli delle compagnie aeree che trasportano i migranti dai Paesi africani e dal Medio Oriente verso Minsk, capitale bielorussa. E si stanno valutando anche possibili sanzioni economiche che potrebbero persino arrivare al divieto di sorvolare lo spazio aereo europeo per una ventina di compagnie.
    La situazione è resa ancora più delicata dal rapporto conflittuale, del quale anche i migranti rischiano di diventare vittime, instauratosi fra la Commissione europea e il governo polacco, che vorrebbe che la Ue finanziasse la costruzione di un muro ai suoi confini. Il premier Morawiecki ieri è andato a visitare le truppe al confine ed ha ribadito senza messi termini la assoluta urgenza  di prendere adeguate contromisure contro questo rischio: “Chiudere il confine polacco è nostro interesse nazionale. Ma oggi è in gioco la stabilità e la sicurezza di tutta l’UE”.
    Questo episodio mette ancora una volta l’Europa di fronte alle sue responsabilità verso una questione come quella degli immigrati, a cui non è riuscita ancora a a dare risposte adeguate e risolutive, se non quella di farsi ricattare dal dittatore di turno, oppure lasciare i Paesi di primo approdo come Italia, Grecia e Spagna da soli ad affrontare l’emergenza. E alle porte si affaccia l’ennesima emergenza dei profughi afghani, che Erdogan, Lukashenko e Putin stesso sfruttare per mettere in difficoltà un’Unione europea sempre più debole e disunita di fronte ad un problema che la riguarderà  sempre più da vicino.
    Continuando a mantenere questo atteggiamento ondivago da parte delle autorità europee, non si potrà non riconoscere che rispetto allo status quo e al cedere ai ricatti, sia forse meglio quello di prendere iniziative autonome da parte dei singoli Stati, magari non ortodosse come quelle di Polonia ed Ungheria che propongono la costruzione di muri alle frontiere o quelle di chi come Giorgia Meloni in Italia è per il blocco navale al largo delle coste libiche. Perché anche su questo tema a prevalere sembrano essere più gli interessi di parte che quelli della intera comunità.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
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    In Bielorussia il flusso migratorio è stato creato ad arte, con un ponte aereo. Quella del leader bielorusso sembra una strategia studiata a tavolino, proprio per utilizzare la leva dei migranti come arma contro l’Europa