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    La prima indagine sul coinvolgimento dell’Unrwa nell’attacco di Hamas smentisce Israele: “Non ci sono ancora prove”

    Bruxelles – Il rapporto della commissione indipendente incaricata dall’Onu di rivedere i meccanismi e le procedure interne all’Unrwa è una boccata d’aria fresca per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. E un colpo alla credibilità delle accuse di complicità con Hamas portate avanti da Israele. Non solo Tel Aviv “deve ancora fornire prove a sostegno di ciò”, ma secondo gli esperti guidati dall’ex ministra francese Catherine Colonna “l’insieme di regole in atto all’Unrwa sono le più elaborate all’interno del sistema delle Nazioni Unite”.Il team, composto dal Raoul Wallenberg Institute in Svezia, il Chr. Michelsen Institute in Norvegia e l’Istituto danese per i diritti umani, ha rilevato che l’Agenzia dispone di ampi strumenti per garantire l’imparzialità nel suo lavoro e per fornire regolarmente a Israele elenchi dei propri dipendenti. Secondo Colonna “il governo israeliano non ha informato l’Unrwa di alcuna preoccupazione relativa a qualsiasi membro del personale sulla base di questi elenchi dal 2011”.France’s Minister of Foreign Affairs Catherine Colonna (Photo by ANWAR AMRO / AFP)Nelle 54 pagine del documento finale presentato ad Antonio Guterres, risultato di nove settimane di lavoro in cui il gruppo ha condotto più di 200 interviste, incontrato le autorità israeliane e palestinesi e contattato direttamente 47 paesi e organizzazioni. La commissione indipendente ha partorito una serie di 50 raccomandazioni per l’Agenzia, raggruppate in 8 aree di possibili miglioramenti. Che vanno dalla gestione e il controllo interno a nuovi processi di valutazione per il reclutamento del personale, dall’istruzione alla neutralità degli edifici.Il presupposto rimane in ogni caso che l’Unrwa, dal 2017 a oggi, ha “stabilito e aggiornato un numero significativo di politiche, meccanismi e procedure” per assicurare l’osservanza del principio di neutralità, compresa la fornitura di informazioni e formazione per il personale per prevenire le violazioni, garantire risposte “rapide e adeguate” alle accuse o agli indizi di violazione, compresi i sistemi e le routine di segnalazione e di indagine, e applicare sanzioni disciplinari sul personale che risulta aver violato i principi di neutralità. “Ciò che deve essere migliorato sarà migliorato. Sono fiduciosa che l’attuazione di queste misure aiuterà l’UNRWA a portare a termine il suo mandato”, ha dichiarato Colonna presso la sede dell’Onu a New York dopo la presentazione del rapporto.L’ex ministra degli Esteri francese ha “incoraggiato la comunità internazionale a lavorare fianco a fianco con l’agenzia affinché possa svolgere la sua missione e superare le sfide che si presentano sul posto”. Il nodo è che – come sottolineato dal rapporto – le accuse di Israele contro 12 membri dell’Unrwa hanno provocato  la sospensione di finanziamenti all’Agenzia per un ammontare di circa 450 milioni di dollari. Già nel mese di gennaio alcuni tra i principali donors, tra cui Austria, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Svezia, Usa, Canada, Islanda, Regno Unito, Giappone e Australia, avevano deciso preventivamente di congelare i fondi. La Commissione europea ha invece scelto di mantenere i propri impegni in attesa dell’esito delle indagini – quella di Colonna e quella condotta dal massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (l’Oios).Nei mesi successivi, Canada, Svezia e Giappone hanno seguito l’esempio di Bruxelles, e addirittura la Spagna ha deciso di incrementare il proprio supporto per l’Unrwa. “L’impatto diretto delle accuse di Israele ha rapidamente ostacolato la capacità dell’Unrwa di continuare il suo lavoro”, ha evidenziato ancora il rapporto. Lavoro che consiste nel fornire assistenza non solo nella Striscia di Gaza, ma a circa 6 milioni di profughi palestinesi in tutta la regione. Per rafforzare il rapporto di fiducia con i finanziatori, la commissione indipendente ha raccomandato all’Agenzia Onu di “aumentare la frequenza e di rafforzare la trasparenza della comunicazione con i donatori sulla sua situazione finanziaria e sulle accuse e violazioni della neutralità”. Il gruppo di revisione ha inoltre suggerito aggiornamenti regolari e “briefing sull’integrità” per i donatori interessati a sostenere l’Unrwa.L’appello a sbloccare i fondi congelati alla luce delle accuse israeliane è stato immediatamente rilanciato dal commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič che, sottolineando “il numero significativo di sistemi di conformità in atto presso l’Agenzia” rilevati dal rapporto di Colonna, ha invitato tutti i donatori a “sostenere l’Unrwa, l’ancora di salvezza dei rifugiati palestinesi”.Le parole di Josep Borrell al dibattito sulle responsabilità di IsraeleL’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, al dibattito in plenaria sulle uccisioni di operatori umanitari e giornalisti a Gaza da parte di IsraeleAnche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, durante il dibattito all’Eurocamera sulle centinaia di uccisioni di operatori umanitari a Gaza per mano delle forze di difesa israeliane, ha accolto con favore i risultati dell’indagine indipendente. “Credo sia importante leggere le parole di questo gruppo di persone molto indipendenti e professionali – ha dichiarato in aula -, non sono state trovate prove delle accuse mosse ai lavoratori dell’Unrwa”. Un esito che trova una “forte convergenza” con ciò che Borrell predica da mesi, e cioè che “il lavoro dell’Unrwa va sostenuto”. Durante il dibattito, il cui input è stato dato dalla recente vicenda della morte di 7 operatori dell’ong americana World Central Kitchen, Borrell si è chiesto “quante altre volte Israele ha commesso errori” in questi 200 giorni di bombardamenti a tappeto, dal momento che sono circa 200 gli operatori umanitari uccisi e 100 i giornalisti. Oltre alle 33 mila vittime civili. In merito è stata durissima l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle, Laura Ferrara, che ha chiesto “sanzioni mirate e la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, come invocato dalla relatrice delle Nazioni Unite sulla Palestina, ma anche lo stop immediato all’export di ogni tipo di arma o munizione europea, che mai dovrebbe essere fornita a chi si sta macchiando di crimini di guerra”.

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    Ucraina, dopo lo sblocco dei fondi Usa tocca all’Ue accontentare Zelensky. Borrell: “Sui Patriot decidono gli Stati membri”

    Bruxelles – Il momento è di quelli cruciali, per dirla con le parole di Josep Borrell si percepisce “un chiaro senso di urgenza”. Il via libera del Congresso americano a 60,8 miliardi per l’Ucraina può risollevare le sorti del conflitto con Mosca. A patto che anche l’Ue alzi l’asticella del proprio supporto militare a Kiev. Il nodo più importante gira intorno ai sistemi di difesa antiaerea chiesti a più riprese dal presidente Zelensky. Ma “a Bruxelles non ci sono Patriot, sono nelle capitali – ha sintetizzato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri -, spetta a loro prendere la decisione”.Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, interviene al Consiglio Affari EsteriPer rispondere alla chiamata del presidente ucraino, Borrell ha convocato il Consiglio Ue Affari Esteri nel formato ‘Jumbo’, ovvero con la partecipazione dei ministri della Difesa dei 27. E con gli omologhi di Kiev, che hanno aggiornato il Consiglio sulla situazione sul campo. “Le cifre sono spaventose”, ha commentato Borrell. La Russia ha intensificato gli attacchi con missili, droni e bombe teleguidate. Di queste ultime, l’Ucraina ne ha contate “7 mila in quattro mesi, che significa 60 al giorno”.Per respingere l’aggressione russa, Zelensky ha insistito sulla necessità di ricevere altri 25 sistemi Patriot, oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi da Washington e Berlino. Con lo sblocco dei finanziamenti per Kiev, il Pentagono ha già fatto sapere di essere pronto a mandare la prima fornitura bellica nel giro di pochi giorni: nuovi pezzi di artiglieria, comprese le munizioni da 155 mm, e appunto sistemi di difesa aerea. Il 13 aprile anche il cancelliere tedesco Olof Scholz ha annunciato che fornirà una nuova batteria di Patriot a Kiev. “Sono lieto che alcuni Stati membri abbiano manifestato la volontà di contribuire o sostenere le iniziative già in corso”, ha dichiarato a margine della riunione Borrell, riferendosi appunto all’iniziativa tedesca sui Patriot e di quella della Repubblica Ceca sull’acquisto di munizioni per l’Ucraina.Il capo della diplomazia europea ha messo in chiaro che Bruxelles non può fare altro che “porre la questione molto in alto”, perché le decisioni spettano ai singoli Stati membri. I ministri “sono tornati nelle capitali con una chiara comprensione delle esigenze e sono sicuro che prenderanno delle decisioni“, ha assicurato. L’Italia, che insieme alla Francia aveva inviato a Kiev il sistema di difesa antiaerea Samp-T (di produzione italo-francese), “farà tutto il possibile per aiutare l’Ucraina e per dare le risposte anche attraverso gli strumenti che abbiamo”, ha garantito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.Ma così come Roma non vuole lasciare sguarnito il proprio territorio nazionale e soprattutto non può privarsi dei sistemi posti a protezione del G7, anche altre capitali tentennano: secondo quanto riportato dal Financial Times, Madrid e Atene dispongono di oltre una dozzina di sistemi Patriot, ma il portavoce del governo greco ha messo in chiaro che “non verrà intrapresa alcuna azione che possa anche solo lontanamente mettere in pericolo le capacità di deterrenza o di difesa aerea della nostra nazione”.

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    Partenariato Ue-Giappone: il Consiglio Ue approva la conclusione dell’accordo

    Bruxelles – Un primo passo per rafforzare la cooperazione tra l’Ue e il Giappone. Il Consiglio Ue ha adottato oggi (22 aprile) la conclusione relativa all’accordo di partenariato strategico (Aps) tra l’Unione europea e il Giappone. La decisione odierna apre la strada all’entrata in vigore dell’accordo, non appena le parti avranno completato le procedure interne e informato le loro controparti.L’accordo prevede una cooperazione tra Ue e Giappone sui temi di politica ed economia legati a questioni bilaterali, regionali e multilaterali. Attraverso l’Aps, i contraenti si impegnano a rafforzare l’ordine globale basato su regole, a implementare la governance e a difendere valori e principi comuni quali lo Stato di diritto, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, i mercati aperti e il commercio libero ed equo. Per quanto riguarda la dimensione bilaterale, l’accordo consentirà a Giappone e Ue di portare avanti la cooperazione in materia di sicurezza, contrastare il terrorismo e i gravi crimini internazionali e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa.Si tratta del primo accordo quadro bilaterale tra l’UE e il Giappone. Questo, pone le basi per aumentare la consultazione e il coordinamento nei consessi multilaterali. Le parti si impegnano a lavorare insieme per difendere un sistema commerciale multilaterale basato su regole che abbiano al centro l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), promuovere l’attuazione dell’accordo di Parigi sull’azione per il clima e il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.Al riguardo della cooperazione tra Unione europea e Giappone il percorso è iniziato nel 2018, con la firma dell’accordo a Tokyo. Il Parlamento europeo ha dato la sua approvazione il 12 dicembre 2018 e il 5 aprile 2024 si sono concluse le procedure di ratifica dell’accordo da parte degli Stati membri.

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    Armenia e Azerbaigian verso un accordo di pace auspicato dall’Ue: “I confini sono un passo essenziale”

    Bruxelles – È ancora difficile dire se il conflitto più che trentennale tra Armenia e Azerbaigian stia per indirizzarsi verso una fine, ma gli ultimi sviluppi sul piano diplomatico sono i più positivi da quando a fine maggio 2022 l’Unione Europea ha intensificato gli sforzi per riavvicinare il premier armeno, Nikol Pashinyan, e il presidente azero, Ilham Aliyev, per una risoluzione definitiva delle tensioni sul terreno (sfociate nell’autunno 2023 nella conquista della regione del Nagorno-Karabakh da parte dell’esercito di Baku). “Accolgo con grande favore l’accordo tra Armenia e Azerbaigian sulla Dichiarazione di Alma Ata del 1991 come base per la delimitazione dei confini tra i due Paesi“, è il commento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, all’annuncio della restituzione da parte di Yerevan di alcuni paesi all’Azerbaigian.Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol PashinyanL’accordo di sabato (20 aprile) tra i due Paesi ex-sovietici potrebbe costituire uno dei passi più concreti per raggiungere quell’accordo di pace generale che il premier armeno Pashinyan dall’Aula del Parlamento Europeo aveva prospettato per fine 2023. “La Repubblica di Armenia riceve una riduzione dei rischi associati alla delimitazione del confine e alla sicurezza”, ha commentato l’ufficio del primo ministro per spiegare la decisione di cedere alcuni villaggi – deserti, ma in posizione strategica per il transito del gas russo – che il portavoce del ministero degli Affari esteri azero, Aykhan Hajizada, ha definito “sotto occupazione dai primi anni Novanta” in un post su X (con allegata mappa dei confini). La delimitazione dei confini “basata sul riconoscimento inequivocabile dell’integrità territoriale” di ciascun Paese è stata “un elemento chiave anche delle discussioni a Bruxelles” degli ultimi due anni, ha voluto sottolineare Michel a proposito dell’intesa siglata dalle commissioni di confine: “Servirà come passo essenziale verso la normalizzazione e l’apertura pacifica dell’intera regione“.Mentre per oggi (22 aprile) è atteso al Cremlino un incontro tra il presidente azero Aliyev e l’autocrate russo, Vladimir Putin, sul partenariato strategico e sulle questioni regionali – a seguito del ritiro completo delle forze di pace russe dal Nagorno-Karabakh – l’Armenia sta inevitabilmente considerando un ri-orientamento delle alleanze. La tradizionale sponda russa si sta sostituendo con quella dell’Unione Europea, l’unico attore internazionale che davvero si è speso negli ultimi mesi per sostenere Yerevan di fronte all’esodo della popolazione di etnia armena dall’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) a seguito della conquista da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Oltre all’erogazione di oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati, a inizio aprile la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, hanno annunciato al premier Pashinyan di aver iniziato i preparativi per un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Yerevan e Baku a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku e l’inizio dell’esodo verso Yerevan.

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    Il Regno Unito dice no alla proposta dell’Ue per garantire la mobilità giovanile

    Bruxelles – Offerta rifiutata ancor prima di essere presentata. Il Regno Unito ha fatto sapere alla Commissione europea che non intende siglare con l’Unione alcun trattato riguardante la libertà di circolazione dei giovani. La situazione rimane quindi com’è attualmente con l’obbligo del visto per i ragazzi che vogliono andare in Gran Bretagna a studiare, lavorare ma anche fare volontariato.Nei giorni scorsi, la Commissione europea aveva proposto al Consiglio Ue di aprire dei negoziati con il Regno Unito con lo scopo di garantire la mobilità ai giovanile. Al riguardo, il governo di sua Maestà ha però fatto sapere, prima ancora che la proposta venisse presentata, di non essere interessato ad un accordo con l’Unione. La Brexit (votata nel 2016) ha portato con sé nel 2021 la fine delle libertà di movimento tra le due sponde della Manica. Una delle ragioni che hanno spinto il Regno Unito a lasciare l’Ue è stata la volontà di controllare l’immigrazione, motivo per cui, secondo il governo britannico, un accordo sulla mobilità giovanile metterebbe a rischio questo prerequisito.Londra ha fatto sapere che piuttosto di siglare un trattato che regoli lo spostamento dei giovani con tutta l’Unione, sarebbe disposta a trovare degli accordi con i singoli Stati, valutando caso per caso. Una soluzione che però non può andare bene a Bruxelles, essendoci il rischio di creare differenze tra i giovani in base alla nazionalità del passaporto. Attraverso le parole di un portavoce, il governo di Rishi Sunak ha tenuto a precisare che: “Non stiamo introducendo un programma di mobilità giovanile a livello europeo: la libera circolazione è stata interrotta e non ci sono piani per introdurla”.Il Regno Unito ha già degli accordi con 10 Paesi (tra cui Australia, Nuova Zelanda e Canada) per garantire gli scambi tra i giovani e sarebbe interessato ad allargare la lista ma a determinate condizioni. La prima è la necessità d’avere delle quote fisse: dunque non tutti i ragazzi che vogliono entrare nel Regno Unito possono farlo ma solo un determinato numero. La seconda invece è di natura economica: Londra chiede a chi entra di contribuire alla spesa per la sanità nazionale, e nel caso degli studenti anche all’università, indipendentemente dal fatto di aver già pagato le tasse nel Paese di provenienza.La decisione presa dal numero 10 di Downing street trova concorde anche il partito laburista che si trova all’opposizione ma dato nettamente avanti nei sondaggi. Secondo quanto riportato dalla Bbc, un portavoce del ‘Labour’ avrebbe confermato che anche in caso di vittoria alle prossime elezioni (in programma entro gennaio 2025), il partito non supporterebbe nessun ritorno al mercato unico, all’unione doganale o alla libera circolazione.

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    L’Unione europea ha trovato il coraggio (e l’accordo) per imporre sanzioni ai coloni israeliani violenti

    Bruxelles – A più di quattro mesi dalla proposta dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, di imporre misure restrittive contro i coloni israeliani colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani contro le comunità palestinesi nei territori occupati, l’Unione europea rompe gli indugi e inserisce quattro persone e due entità nell’elenco del regime di sanzioni Ue in materia di diritti umani.Colpevoli di “tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti e la violazione del diritto alla proprietà e alla vita privata e familiare dei palestinesi in Cisgiordania”. Sono il gruppo radicale di destra suprematista ebraico Lehava – molto vicino al ministro per la Sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir -, l’organizzazione giovanile Hilltop Youth e due dei suoi leader, Meir Ettinger ed Elisha Yered, ma anche Neria Ben Pazi – accusata dal 2021 di aver ripetutamente attaccato i palestinesi a Wadi Seeq e a Deir Jarir – e Yinon Levi, che ha preso parte a molteplici atti di violenza contro i villaggi vicini alla sua residenza nell’avamposto illegale della fattoria Mitarim.Questi ultimi due erano già stati presi di mira dalle sanzioni imposte a febbraio e a marzo dagli Stati Uniti. Per loro e per tutte le persone ed entità elencate nel regime di sanzioni – che si applicano ora a 108 persone fisiche e giuridiche e a 28 entità di diversi Paesi – viene disposto il congelamento dei beni detenuti sul territorio Ue e il divieto di fornire fondi o risorse economiche, direttamente o indirettamente, a loro o a loro beneficio. Inoltre, alle persone fisiche sarà impedito l’ingresso sul suolo dell’Unione europea.Esulta la Missione della Palestina presso l’Unione Europea: l’ambasciatore Adel Atieh ha dichiarato che “le organizzazioni terroristiche Lehava, Hilltop Youth e i coloni Meir Ettinger ed Elisha Yered, Neria Ben Pazi e Yinon Levi sono i principali individui ed entità terroristiche responsabili dell’assassinio di centinaia di palestinesi“. Per l’Autorità Nazionale Palestinese “si tratta di un passo fondamentale per sostenere il diritto internazionale e promuovere la causa della giustizia”. L’ambasciatore ha tuttavia sottolineato “l’urgente necessità di passi più tangibili per affrontare le cause alla radice delle continue violazioni dei diritti dei palestinesi”, perché “l’occupazione israeliana continua a operare impunemente, perpetuando l’ingiustizia e la sofferenza di milioni di palestinesi”.La decisione del Consiglio dell’Ue fa seguito a quanto messo nero su bianco dai capi di stato e di governo dei 27 nel Consiglio europeo del 21-22 marzo, quando i leader hanno chiesto di “porre immediatamente fine alla violenza in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e di garantire un accesso sicuro ai luoghi sacri” e affermato che “i responsabili di violazioni dei diritti umani devono essere chiamati a risponderne”. Esortando il Consiglio ad “accelerare i lavori per l’adozione di misure restrittive mirate”.Di fronte alla noncuranza con cui, nonostante la situazione già disastrosa a Gaza e una serie di risoluzioni delle Nazioni Unite le ritengano illegali ai sensi del diritto internazionale, il 6 marzo il governo israeliano aveva annunciato il via libera alla costruzione di 3.400 nuove abitazioni all’interno di diverse colonie nei territori occupati, i leader Ue avevano espresso una ferma condanna e esortato Israele a revocare tali decisioni.L’aumento della violenza dei coloni in Cisgiordania dal 7 ottobreMa – come dichiarato da Borrell già l’11 dicembre scorso – era ora di “passare dalle parole ai fatti”. E il segnale politico lanciato oggi dai 27, seppur non potrà certo essere risolutivo, è forte. Soltanto nell’ultimo anno Israele ha approvato la costruzione di oltre 18 mila abitazioni nei territori palestinesi occupati e – secondo una recente inchiesta del The Guardian – solo a Gerusalemme est sono più di 20 i progetti approvati o avanzati dal 7 ottobre scorso.Dall’attacco terroristico di Hamas che ha scatenato la feroce operazione militare israeliana a Gaza, sono aumentati vertiginosamente gli episodi di violenza contro la popolazione palestinese nella West Bank e a Gerusalemme Est. Un rapporto della ong Human Rights Watch, pubblicato il 17 aprile, accusa i coloni, spesso spalleggiate dall’esercito, di aver espulso «almeno sette comunità» dai propri villaggi dal 7 ottobre a oggi.Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari nei territori palestinesi occupati (Ocha-Opt), gli attacchi di coloni israeliani contro i palestinesi dal 7 ottobre sono stati 774. Da quel giorno sono stati uccisi 451 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, tra cui 112 minori. Di questi, 435 dall’esercito e gli altri 16 nei raid dei coloni. I palestinesi rimasti feriti in vari incidenti che hanno coinvolto le forze israeliane o i coloni sono 4.890. Nello stesso periodo, nove israeliani, di cui cinque membri delle forze israeliane, sono stati uccisi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e 91 sono stati feriti, di cui 59 membri delle forze israeliane.

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    Israele ha attaccato una base militare in Iran, fonti Ue: “Impatto molto limitato, è un’azione minore”

    Bruxelles – L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ribadisce l’invito alla “massima moderazione per tutti gli attori” in seguito alle notizie dell’attacco compiuto questa mattina (19 aprile) da Israele contro una base militare a Isfahan, provincia nel centro dell’Iran. La reazione di Tel Aviv alle centinaia di missili e droni lanciati da Teheran il 13 aprile arriva nonostante l’appello del Consiglio europeo a prendere ogni precauzione per scongiurare una pericolosa escalation.Ma da Bruxelles chiudono un occhio e buttano acqua sul fuoco: “Abbiamo visto un impatto molto limitato“, ha commentato un alto funzionario Ue: “È vero che abbiamo chiesto di non fare nulla, ma è un’azione minore”. Insomma, la linea è che se fosse questa la temuta ritorsione all’attacco iraniano, allora si può tirare un sospiro di sollievo. Perché le esplosioni a Isfahan non avrebbero causato nessun danno significativo, fanno sapere le autorità iraniane, e soprattutto perché Teheran non avrebbe per ora l’intenzione di rispondere nuovamente alla provocazione.L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, a Capri per il G7 Esteri, 19/4/24L’offensiva iraniana del 13 aprile, che il regime ha dovuto lanciare in risposta al bombardamento israeliano sull’ambasciata di Teheran a Damasco, è “stato un errore strategico enorme”, ha dichiarato un alto funzionario a Bruxelles. Perché “è ovvio che Israele ora trae dall’attacco dell’Iran un vantaggio politico a Gaza”. Ha spostato l’attenzione sulla scala regionale del conflitto – mettendo in ombra la catastrofe umanitaria di Gaza – e ha inevitabilmente riavvicinato l’Occidente a Israele. Tant’è che anche a livello dei 27, mentre la distruzione dell’ambasciata iraniana in Siria da parte delle forze di difesa israeliane non è stata condannata perché “gli Stati membri la vedono in modo diverso“, gli stessi Paesi Ue hanno messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice europeo che “prenderanno ulteriori misure restrittive contro l’Iran” in risposta alla sua pericolosa aggressività militare.L’accordo politico potrebbe arrivare già lunedì 22 aprile, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri Ue a Lussemburgo. “Ne stiamo discutendo già da tempo. L’attacco iraniano contro Israele non ha fatto altro che rafforzare la discussione”, spiegano fonti Ue. Oltre al regime di sanzioni per le violazioni dei diritti umani, la repubblica islamica soggetta anche ad un quadro di misure restrittive per il trasferimento di droni militari verso la Russia. L’idea del Servizio di Azione Esterna dell’Ue (Seae) è quella di ampliare quest’ultimo regime inserendo anche i missili, e di estenderlo geograficamente, sanzionando cioè non solo gli apparecchi diretti a Mosca, ma anche il trasferimento di droni e missili a gruppi e organizzazioni non statali vicine a Teheran nella regione.Il Seae starebbe cercando inoltre gli appigli legali per colpire con le sanzioni non solo il trasferimento di missili e droni, ma anche la loro produzione. In ogni caso, il semaforo verde che può accendersi lunedì riguarda solo il quadro di riferimento: “Finora non ci sono nomi ed entità”, ha precisato la fonte.

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    In Georgia continuano da giorni le proteste organizzate e spontanee contro la legge sugli agenti stranieri

    Bruxelles – È infuocata la strada che porterà al voto del Parlamento della Georgia sul controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, come ultimo atto del partito al potere Sogno Georgiano prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. Da quattro giorni si stanno svolgendo ininterrottamente enormi proteste nella capitale Tbilisi – più precisamente su viale Rustaveli, su cui si affaccia la sede del Parlamento – animate da decine di migliaia di manifestanti che si oppongono a una legge molto simile a quella in vigore nella vicina e temuta Russia. E da Bruxelles tutte le istituzioni Ue si sono schierate nuovamente dalla parte dei cittadini georgiani e delle loro aspirazioni di fare ingresso un giorno nell’Unione, esattamente come successo un anno fa.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)Dopo il primo ritorno nelle piazze all’inizio della scorsa settimana, la protesta si è allargata a oltre diecimila manifestanti lunedì (15 aprile) per diventare la più grande di sempre in Georgia solo due giorni più tardi, quando i deputati georgiani hanno adottato in prima lettura il progetto di legge leggermente emendato rispetto a quello proposto – e poi ritirato a causa delle manifestazioni popolari oceaniche – nel marzo del 2023. Secondo il controverso progetto di legge tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non più come ‘agente di influenza straniera’ (così è in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese la sostanza non cambia rispetto a un anno fa e per questo, in corrispondenza dell’appuntamento in Parlamento di questa settimana, hanno deciso di convocare la popolazione in piazza. Dopo tre giorni di proteste organizzate, ieri sera (18 aprile) migliaia di cittadini georgiani sono tornati spontaneamente in viale Rustaveli per dimostrare quanto sia sentita la questione del percorso verso l’adesione all’Unione Europea e nonostante episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.“Siamo preoccupati per le notizie che riportano l’uso della forza da parte della polizia antisommossa per disperdere i manifestanti che dimostrano contro il controverso progetto di legge“, è la denuncia comune dei principali eurodeputati competenti sulla Georgia (il presidente della commissione Affari esteri, David McAllister, la presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, Marina Kaljurand, e il relatore permanente per la Georgia, Sven Mikser). I tre membri del Parlamento Ue hanno messo in chiaro che “il diritto alle proteste pacifiche è un diritto fondamentale e deve essere rigorosamente rispettato, soprattutto in un Paese che aspira all’adesione all’Ue”. Proprio a questo proposito la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ viene definita “un attacco ai media indipendenti e alle organizzazioni della società civile”, che non solo “è incompatibile con i valori e i principi democratici dell’Ue” ma mette anche “a rischio l’integrazione euro-atlantica del Paese”. Lo stesso era stato evidenziato pochi giorni fa con un duro monito anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Porterà la Georgia più lontana dall’Ue e non più vicina”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 9 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Parole simili sono state utilizzate dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in una nota congiunta: “Si tratta di uno sviluppo molto preoccupante e l’adozione definitiva avrebbe un impatto negativo sui progressi della Georgia nel suo percorso verso l’Ue“. Questa legge “non è in linea con le norme e i valori fondamentali” dell’Unione a cui Tbilisi aspira a fare ingresso, in particolare dopo aver ricevuto lo status di Paese candidato all’adesione Ue il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo (condizionato anche dai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Ue sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione). In vista del voto definitivo in Parlamento previsto per il 17 maggio, le istituzioni Ue continuano a esortare il partito al governo ad “astenersi dall’adottare” una legislazione che minerebbe le basi del percorso di avvicinamento Ue “sostenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini georgiani”. In altre parole rischierebbe di portare a uno stop del processo di adesione all’Unione Europea per il Paese.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.