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    Accordo sul 14esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, l’Ue prende di mira le importazioni di gas da Mosca

    Bruxelles – L’Ue spezza il tabù sul gas russo. Dopo settimane di trattative, gli ambasciatori dei Paesi membri hanno raggiunto oggi (20 giugno) l’accordo sul 14esimo pacchetto di sanzioni alla Russia dall’inizio della guerra di aggressione in Ucraina. Un pacchetto “potente e sostanziale”, lo definisce la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue nel dare l’annuncio. Per la prima volta, Bruxelles prende di mira le importazioni di Gnl da Mosca, che nel 2023 hanno generato circa 8 miliardi di euro di profitti per il Cremlino.Per l’approvazione ufficiale e la pubblicazione del pacchetto bisognerà aspettare il Consiglio Ue Affari Esteri di lunedì 24 giugno. Ma fonti Ue rivelano già che le sanzioni colpiranno “più di 100 nuove persone ed entità, per un totale di oltre 2200″ e che includono misure per dare un taglio alle “importazioni, investimenti e trasbordi di Gnl”.Perché, anche se dall’inizio del conflitto in Ucraina l’Ue ha ridotto di circa due terzi la sua dipendenza dal gas russo, ha continuato a importarlo e rivenderlo. E così, nonostante il Gnl da Mosca rappresenti solo il 5 per cento del consumo di gas dell’Ue nel 2023, i 20 miliardi di metri cubi di Gnl russo acquistati dai 27 – Belgio, Francia e Spagna i punti di ingresso principali – hanno portato nelle casse del Cremlino profitti per circa 8 miliardi di euro.L’accordo raggiunto oggi dagli ambasciatori Ue non prevede un divieto assoluto di importazione: le aziende europee potranno ancora acquistare il Gnl russo, ma sarà vietata la sua riesportazione (o trasbordo) in altri Paesi. Secondo l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), circa il 21 per cento del Gnl che arriva da Mosca viene poi trasbordato a livello globale. Oltre 4 miliardi di metri cubi.“Questo pacchetto incisivo negherà ulteriormente alla Russia l’accesso alle tecnologie chiave” e “spoglierà la Russia di ulteriori entrate energetiche”, ha esultato con un post su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. L’accordo è stato sbloccato dopo la strenua opposizione di Germania e Ungheria: Budapest non voleva ulteriori sanzioni nel settore energetico, Berlino aveva espresso riserve sugli oneri previsti per le aziende europee per evitare che le misure restrittive in essere vengano aggirate.Come spiegano fonti Ue, il 14esimo pacchetto di sanzioni fornisce anche “ulteriori strumenti per evitare l’elusione, soprattutto nel caso di filiali di Paesi terzi di società madri dell’Ue”. A quanto si apprende, a tutela delle imprese Ue sono stati previsti due tipi di rimedi, “in modo che possano agire dinanzi alle corti nazionali per chiedere di essere risarcite”. Da un lato potranno ottenere il risarcimento di danni subiti “a fronte di cause avviate in Paesi terzi da soggetti russi o controllati da russi per contratti o transazioni la cui esecuzione è stata colpita dalle sanzioni europee”. Dall’altro, le imprese europee “saranno tutelate per i danni causati da soggetti russi che hanno beneficiato dei provvedimenti russi di assegnazione in amministrazione temporanea”.

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    Tra Grecia e Albania scoppia il caso di immunità parlamentare dopo l’elezione di Beleri al Parlamento Ue

    Bruxelles – Se il caso della neo-eletta eurodeputata italiana Ilaria Salis si è chiuso in modo meno traumatico del previsto, tra Grecia e Albania è appena iniziata la partita giudiziaria sull’immunità parlamentare di un nuovo membro greco del Parlamento Europeo, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023. Il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, è risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia e ora sarà una Corte d’appello speciale a Tirana a prendere la decisione definitiva sulla sua scarcerazione.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Con oltre 238 mila preferenze Beleri si è assicurato un posto tra i 7 eurodeputati conservatori eletti (su 21 totali per la Grecia) e subito dopo la comunicazione dei risultati definitivi ha rivendicato il suo successo in una “lotta per la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà e la dignità dei cittadini”. Quella che da mesi è diventata una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra Albania e Grecia ha denunciato Tirana sulle “condizioni inimmaginabili per un Paese che vuole entrare a far parte della famiglia europea” e ha ringraziato il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, per “l’opportunità di essere candidato, cosa di cui sarò sempre grato”. A questo punto però sarà una Corte d’appello speciale albanese a prendere martedì prossimo (25 giugno) la decisione definitiva, con lo scenario non improbabile di uno scontro giudiziario con Atene, al punto che Beleri ha anticipato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea: “So che il sistema giudiziario in Albania è controllato da Edi Rama“.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    Il 21 giugno i Ventisette voteranno per aprire il processo formale di adesione Ue di Ucraina e Moldova

    Bruxelles – Ucraina e Moldova ora contano i giorni per l’avvio formale del processo di adesione Ue, con il via libera “di principio” sui negoziati di adesione che a breve si trasformerà in realtà per i due Paesi candidati all’adesione Ue da esattamente due anni. Come fanno sapere fonti Ue a Eunews, il voto per l’approvazione dei quadri negoziali con Kiev e Chișinău si terrà al Consiglio Affari Economici e Finanziari (Ecofin) di venerdì (21 giugno), come punto in agenda senza discussione. Dopo l’ok dei 27 governi Ue – che dovrebbe arrivare senza sorprese, anche considerata la modalità di voto – la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue convocherà per martedì prossimo (25 giugno) le prime conferenze intergovernative “nel primo pomeriggio” a margine del Consiglio Affari Generali, precisano le stesse fonti.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (7 febbraio 2023)Da settimane a Bruxelles è caldo il dossier sull’avvio dei negoziati di adesione Ue per Ucraina e Moldova, con la data del 25 giugno nei radar della presidenza belga (e di 12 governi più aperturisti), in quanto ultima data utile prima dell’inizio del passaggio di consegne all’Ungheria per il semestre alla guida dell’istituzione Ue. Dopo la prima fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) del 29 maggio, a causa delle obiezioni ungheresi sull’Ucraina, i negoziatori belgi hanno lavorato senza sosta per appianare le resistenze di Budapest (mai insormontabili, a dire il vero) e permettere di arrivare a un’intesa generale per il voto formale. Il tema è tornato sul tavolo degli ambasciatori venerdì sera scorso (14 giugno), con il nuovo testo di compromesso che ha trovato l’accordo “di principio” di tutti i Ventisette. Come reso noto già al termine della riunione del Coreper, “la presidenza belga convocherà le prime conferenze intergovernative il 25 giugno”, anche se  i Paesi Bassi dovranno prima sciogliere la propria riserva parlamentare (ovvero servirà il voto dei 150 deputati per autorizzare il governo ad approvare la proposta di quadri negoziali).Dopo la concessione dello status di Paese candidato nel giugno 2022 e nonostante i progressi costanti registrati dalla Commissione Europea nel corso del successivo anno e mezzo, il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva scelto la via dell’ostruzionismo per provare a impedire il via libera ai negoziati di adesione con Kiev. Solo attraverso una costante pressione delle istituzioni Ue – e lo sblocco da parte della Commissione di circa 10 miliardi di euro congelati a Budapest – Orbán ha compiuto un gesto abbastanza inconsueto ed eclatante al Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato la sala al momento del voto, così che gli altri 26 leader Ue potessero approvare la più attesa tra le conclusioni del vertice. Con le conclusioni del Consiglio Europeo del 21 marzo, i capi di Stato e di governo hanno poi invitato i 27 ministri degli Affari europei ad “adottare rapidamente” i progetti di quadri di negoziazione e “a portare avanti i lavori senza indugio”.Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (7 febbraio 2023)Lo stesso presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva confessato in quell’occasione che la speranza era quella di “arrivare alla prima conferenza intergovernativa sotto presidenza belga“, prima del passaggio del testimone all’Ungheria per la definizione di calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio. Come da previsioni delle ultime settimane, il governo ungherese ha fatto cadere le proprie riserve – senza risparmiare suspense nelle istituzioni Ue – su diritti delle minoranze in Ucraina, commercio, lotta alla corruzione, agricoltura, funzionamento del Mercato unico e relazioni di buon vicinato, anche grazie al forte impegno di Kiev con la risposta all’elenco di 11 punti stilato da Budapest. Se arriveranno il tanto atteso via libera ai negoziati di adesione il 21 giugno e le prime conferenze intergovernative quattro giorni più tardi, il governo Orbán non dovrà preoccuparsi di costanti polemiche sulla questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina durante il proprio semestre di presidenza. Senza dimenticare che questa non è certo l’ultima occasione per l’Ungheria di utilizzare il potere di veto per bloccare l’adesione Ue di Kiev.Come funziona il processo di adesione UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.A che punto è l’allargamento UeLo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre e ora si attende solo l’avvio formale dei negoziati e l’adozione dei quadri negoziali per le prime due.Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Trovi ulteriori approfondimenti sull’allargamento Ue nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’Unione europea mantiene le sanzioni contro la Crimea, illegalmente annessa dalla Russia

    Bruxelles – L’Unione europea conferma la sua visione di un’Ucraina unita e libera. Oggi (17 giugno) il Consiglio dell’Unione europea ha deciso per il prolungamento di un anno delle sanzioni contro la Crimea, territorio ucraino illegalmente annesso dalla Russia dal 2014. Le misure, che si sommano a quelle in atto contro la Russia per l’invasione su larga scala dell’Ucraina, colpiscono settori chiave: dalle infrastrutture agli investimenti alla tecnologia.Dopo la conferma del sostegno all’Ucraina emersa nel vertice di pace in Svizzera, arriva il prolungamento delle sanzioni economiche contro la Crimea. I provvedimenti sono in vigore dal 2014 quando le truppe russe invasero la penisola ucraina per poi indire un referendum illegittimo che segnò l’ingresso della Crimea come parte della Federazione russa. Le sanzioni europee colpiscono tutte le merci prodotte nella regione, inoltre l’Ue mantiene anche il divieto all’export di tecnologie verso la penisola. L’Ue con la decisione odierna conferma la sua linea politica di non riconoscere l’annessione illegale compiuta da Mosca.

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    Peace Summit in Svizzera, 80 Paesi firmano per l’integrità territoriale dell’Ucraina. Von der Leyen: “Da Putin condizioni oltraggiose”

    Bruxelles – Più che una conferenza di pace, il tentativo di verificare la tenuta del supporto all’Ucraina da parte della comunità internazionale. Alla fine, il summit in Svizzera si chiude con una dichiarazione congiunta, firmata da 80 Paesi sui 92 presenti – tra cui i 27 Paesi Ue-, in cui si riafferma l’integrità territoriale dell’Ucraina e si sottolinea che “il dialogo tra tutte le parti è necessario per porre fine” al conflitto. “Un successo”, anche se “solo un primo passo”, è la valutazione di Volodymyr Zelensky, promotore della kermesse di Lucerna.La Russia non era stata invitata a Lucerna, la Cina è tra i 68 Paesi che hanno declinato – in tutto il governo svizzero ne ha invitati 160 -. E Armenia, Brasile, Colombia, Vaticano, India, Indonesia, Libia, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti non hanno approvato il comunicato finale. Paesi di quella zona grigia di equidistanza dalle parti in conflitto, ma soprattutto Paesi, Vaticano escluso, che storicamente hanno forti relazioni politiche ed economiche con Mosca. Discorso a parte per Riyad, che dovrebbe ospitare il prossimo summit per la pace in Ucraina e che – nella speranza di una partecipazione almeno di Pechino – ha preferito mostrarsi come un credibile mediatore e non ha sottoscritto la forte presa di posizione degli alleati di Zelensky.Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky a Lucerna, Svizzera (Photo by MICHAEL BUHOLZER / POOL / AFP)Oltre ai 92 governi, nella lista dei firmatari anche la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio Europeo.  Durissima la presidente uscente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa ha dichiarato che la proposta di pace di Vladimir Putin “non è seria” e che nessun Paese “accetterebbe mai i termini oltraggiosi” messi sul tavolo dal Cremlino. Sul mancato invito a Mosca, la leader Ue ha proseguito: “Quando la Russia sarà pronta” per una pace basata “sulla Carta delle Nazioni Unite, arriverà il momento di partecipare ai nostri sforzi”. Von der Leyen, così come i capi di Stato e di governo dei Paesi del G7, sono arrivati a Lucerna freschi dell’accordo raggiunto al vertice di Borgo Egnazia per un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina, sostenuto dai rendimenti derivanti dagli asset russi congelati.Ribaditi i principi “dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati” come base per raggiungere una pace “globale, giusta e duratura” in Ucraina, il comunicato finale individua tre aree di comune interesse su cui lavorare per mettere fine alle conseguenze devastanti dell’aggressione russa. La prima è la sicurezza nucleare: da un lato “qualsiasi utilizzo dell’energia nucleare e degli impianti nucleari deve essere sicuro, protetto, tutelato e rispettoso dell’ambiente, dall’altro “qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso contro l’Ucraina è inammissibile”, recita il documento.Gli 80 firmatari denunciano poi “la militarizzazione della sicurezza alimentare”, che sta minacciando in particolare i Paesi del sud del mondo, e infine sollecitano lo scambio di prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini ucraini deportati dalla Russia. Zelensky ha dichiarato di essere pronto ad “avviare negoziati anche domani” se la Russia “si ritirerà dal nostro territorio”. Nel frattempo, l’obiettivo è lavorare al prossimo vertice “per porre fine a questa guerra, per una pace giusta e duratura”. La metà dei governi invitati a Lucerna – 80 su 160 –  stanno con Zelensky, che ha chiesto il sostegno di quei Paesi che hanno un’influenza politica forte nei confronti di Mosca e che “dovrebbero aiutarci”. La Cina, che si spera che non snobberà anche il prossimo summit per la pace.

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    La Francia si prepara alle elezioni legislative: a sinistra il Nuovo fronte popolare è realtà, mentre un giudice decide per reintegrare Éric Ciotti come presidente dei repubblicani

    Bruxelles – A due giorni dalla scadenza per la chiusura delle liste (termine ultimo domenica 16 alle 18) per le prossime elezioni dell’Assemblea nazionale (30 giugno e 7 luglio) gli schieramenti politici iniziano a prendere forma. La sinistra ha presentato oggi (14 giugno) la propria lista comune: il Nuovo fronte popolare. Hanno aderito diverse formazioni politiche: La France insoumise, il Partito comunista, gli Ecologisti, il Partito socialista e Place Publique.A destra il Partito repubblicano (Lr) ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn) per presentare 70 candidati comuni. Nonostante l’ufficio politico avesse espulso dal partito il proprio presidente, Éric Ciotti, accusato per aver aperto le porte al Rn, un giudice parigino s’è espresso dichiarando l’esclusione del presidente illegittima. I repubblicani però rimangono in subbuglio con molti esponenti che si sono schierati contro l’alleanza con l’estrema destra.Oltre ai due schieramenti ci sarà il partito del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, Renaissance, guidato dall’attuale primo ministro Gabriel Attal e Reconquête, il partito d’estrema destra di Éric Zemmour che non ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn).La sinistra francese ha scelto l’unione contro l’estremismo di destraIl Nuovo fronte popolare è realtà. Tutti i partiti della sinistra hanno deciso di accordarsi per presentarsi alle prossime elezioni legislative con candidati comuni su tutto il territorio nazionale. La possibilità che l’estrema destra del Rassemblement national possa governare il Paese ha spinto la sinistra a superare le differenze e proporsi agli elettori con un programma di governo comune. I partiti hanno raggiunto un accordo su 150 misure da intraprendere nel caso in cui ottengano la maggioranza. Tra queste ci sono: riconoscimento dello Stato di Palestina, l’aumento del salario minimo (Smic) a 1.600 euro netti, la riforma del sistema di disoccupazione e una lotta contro l’inflazione e l’aumento dei costi energetici.Manuel Bompard sul podio per la presentazione del Nuovo fronte popolare. Nato nel 1986 è deputato e coordinatore per La France Insoumise.Al Nuovo fronte popolare oltre ai partiti hanno aderito anche diverse sigle della società civile, personaggi del mondo della cultura, intellettuali e associazioni come Greenpeace. Nella conferenza stampa di presentazione hanno presa la parola tutti i rappresentanti dei partiti politici che hanno sottolineato come la decisione di unirsi contro l’estrema destra rappresenta un momento storico. Visibilmente emozionata sul palco Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, che ha dichiarato: “Abbiamo riacceso la fiamma, non quella di Rn (ndr presente nel simbolo del Rassemblement national), ma quella della speranza e ora dobbiamo mantenerla viva”.“Saremo all’altezza delle sfide che ci attendono, abbiamo scelto le migliori candidature possibili per vincere in tutti i collegi” ha sostenuto Manuel Bompard, coordinatore della France insoumise. Il Nuovo fronte popolare s’ispira alla coalizione guidata da Léon Blum, che nel 1936 permise al blocco delle sinistre di sconfiggere la destra fascista. Il concetto proposto da tutti i partiti durante la conferenza stampa è che bisogna unirsi per battere il Rassemblement national e gli unici veramente in grado di poterlo fare sono i membri del Nuovo fronte popolare.Nouveau Front populaire: “Emmanuel Macron n’aura pas de majorité”, assure Marine Tondelier (secrétaire nationale EELV) pic.twitter.com/VjSgGdaAhs— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024Anche Place publique sceglie di aderire al Nuovo fronte popolareSciolte anche le riserve sulla partecipazione di Place publique (partito di centrosinistra) che, con il rieletto europarlamentare Raphaël Glucksmann, annuncia l’adesione al Fronte popolare. Una scelta non semplice, come ha spiegato lo stesso Glucksmann questa mattina ai microfoni di France Inter. Il leader di Place pubblique ha rotto il silenzio dopo giorni di intense trattative con gli altri partiti della sinistra per annunciare il sostegno del suo movimento ai candidati unitari. “Non è stato facile accordarci su dei punti comuni, ma il pericolo di consegnare il Paese all’estrema destra è stato più forte”, ha confessato Glucksmann, aggiungendo: “Ho insistito e ottenuto che la lista si schieri su posizioni europeiste, che il sostegno all’Ucraina non venga messo in discussione e che non ci siano ambiguità nel chiamare terroristi i responsabili del 7 ottobre”.Nella foto Raphaël Glucksmann, leader di Place publique, ha guidato alle europee la lista comune tra il suo partito e quello socialista ottenendo poco meno del 14 per cento.Il leader di Place pubblique ha risposto agli ascoltatori che sono intervenuti durante la trasmissione per porgli delle domane, ribadendo la necessità di unirsi, nonostante le differenze, per superare il grande pericolo d’avere l’estrema destra al potere in Francia: “Oggi ci ricordiamo del Fronte popolare di Léon Blum come un successo, ma la sua creazione non è stata semplice, al suo interno c’erano dai comunisti ai radicali: persone con posizione assai diverse ma con un obbiettivo comune”. Raphaël Glucksmann ha affermato che il leader del Nuovo fronte popolare non può essere Jean-Luc Mélenchon (capo dell’estrema sinistra di La France insoumise) perché troppo radicale e dividerebbe invece che unire. Pur non presentando alcun nome ufficiale per la carica di Primo ministro in caso di vittoria Glucksmann ha fatto i nomi di “alcune persone di valore che sarebbero adatte”: François Ruffin e Valérie Rabault, deputati uscenti eletti da una colazione di sinistra, e soprattutto Laurent Berger, ex segretario generale del sindacato Confédération française démocratique du travail.Per Glucksmann presentarsi agli elettori sostenendo anche i candidati della France insoumise è stata una decisione sofferta ma necessaria. La situazione attuale per l’eurodeputato è grave e la responsabilità è del presidente Emmanuel Macron che ha sciolto l’Assemblea nazionale e convocato elezioni senza concedere il tempo necessario per la campagna elettorale (nella storia della quinta repubblica francese è la chiamata alle urne con meno preavviso). “Questo presidente si comporta con le istituzioni come un giocatore di poker”, ha dichiarato Glucksmann ribadendo che se l’estrema destra andasse per la prima volta al governo la responsabilità sarebbe delle decisioni “scellerate” di Macron.L’unione della destra sancita in tribunaleIl caos all’interno del Partito repubblicano ha trovato una soluzione, almeno giudiziaria: Éric Ciotti è ancora il presidente del partito. Il tribunale di Parigi ha preso la sua decisione, dopo che Ciotti era stato espulso dall’ufficio politico per aver deciso di presentare candidati comuni con il Rassemblement national. Il presidente aveva deciso di ricorre per vie legali contro questa scelta considerata illegittima.Éric Ciotti, classe 1965 è presidente del Partito repubblicano dal 2022 quando ha battuto Bruno Retailleau con il 53 per cento delle preferenzeNonostante la decisione del giudice il Partito repubblicano rimane nella confusione e in alcune zone della Francia, come nell’Hauts-de-Seine (ovest di Parigi) i candidati repubblicani e dei macronisti hanno deciso di non presentarsi l’uno contro l’altro. Più in generale però, nel caso in cui al secondo turno si dovessero affrontano un candidato di Rn e uno del Nuovo fronte popolare i repubblicani sosterranno i primi, perché come ha dichiarato François-Xavier Bellamy, capolista alle Europee e esponente della fazione contro Ciotti: “La France insoumise è il male per il Paese”.Durante un pranzo tra Jordan Bardella, leader di Rn, e Ciotti i due hanno trovato un accordo per presentare agli elettori 70 nomi in altrettanti collegi. Una vicinanza tra Ciotti e Rn, che va oltre alla politica, come dimostrata la scelta dell’avvocato che ha portato le istanze del presidente dei repubblicani davanti al giudice: Philippe Torre, un ex candidato del Rassemblement national.Il pronunciamento del giudice quindi, sancisce la chiusura definitiva dell’accordo tra Rn e Lr. Il partito resta nelle mani di Ciotti che è convinto della bontà della sua scelta per sconfiggere il presidente Macron e il Nuovo fronte popolare.Législatives: Jordan Bardella (RN) évoque l’investiture de 70 candidats en commun avec LR pic.twitter.com/7ppw92jQxo— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024

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    Le industrie della Spagna di Sanchez arricchiscono Putin: acquisti massicci di Gnl russo

    Bruxelles – Anche la Spagna di Pedro Sanchez finanzia il presidente russo Vladimir Putin e la sua macchina da guerra. Strano, eppur vero. Le aziende iberiche stanno acquistando il gas naturale liquefatto (Gnl) russo, e in modo massiccio. Accordi commerciali e politiche di approvvigionamento energetico che fanno storcere il naso Juan Ignacio Zoido Álvarez, europarlamentare spagnolo del Ppe che chiede conto alla Commissione europea e domanda anche eventuali provvedimenti. Provvedimenti però che non ci saranno. Perché, ricorda, la commissaria per l’Energia Kadri Simson, nella risposta fornita all’interrogazione parlamentare, “finora il Gnl russo non è stato soggetto a sanzioni, il che significa che alle società non è vietato acquistarlo“.Le imprese spagnole dunque non stanno violando alcuna norma Ue né aggirando le sanzioni decretate dall’Unione europea nei confronti della Russia e del suo presidente. Il governo di Madrid, a sua volta, non può impedire alle imprese spagnole di fare affari con i russi. E’ vero, ricorda Simson, che l’ultima proposta della Commissione per il 14esimo pacchetto di sanzioni comprende, tra le altre cose, restrizioni al trasbordo di Gnl russo nei porti europei”. Tuttavia il pacchetto proposto “richiede ancora l’adozione all’unanimità del Consiglio”.L’unica cosa che l’esecutivo può fare, e Simson assicura che il team von der Leyen “continuerà” a farlo, è  “invitare gli Stati membri e le imprese” a smettere di acquistare gas naturale liquefatto russo e a non firmare nuovi contratti per Gnl con società russe una volta scaduti quelli esistenti. La Commissione può fare pressione sul governo Sanchez affinché faccia pressione sulle imprese spagnole, ma in assenza di divieti e sanzioni è tutto rimesso alla singola compagnia.Con l’Unione europea impegnata a indebolire l’economia russa e minare le capacità di finanziare l’esercito russo per la guerra in Ucraina, il risultato, denuncia l’europarlamentare spagnolo, è che la Spagna “ora importa più gas naturale liquefatto dalla Russia di qualsiasi altro paese europeo”. Fornisce anche i dati, che sono quelli dell’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (Ieefa). Emerge che la quantità di gas russo in arrivo nei porti spagnoli “ha registrato nuovi massimi, aumentando del 30 per cento nel 2023 ed è aumentata per due anni consecutivi”.Zoido Álvarez critica e accusa il governo del proprio Paese di “chiudere un occhio”, ma esaminando il rapporto citato dall’europarlamentare emerge che fin qui non c’è solo la Spagna ad aver continuato a fare affari con il regime di Putin. L’Ieefa certifica sì che tra gennaio e settembre 2023 la Spagna risulta il principale importatore di Gnl russo tra i paesi dell’UE, con 5,21 miliardi di metri cubi importati. Ma ci sono anche altri che stanno continuando ad alimentare la macchina da guerra russa: la Francia di Emmanuel Macron (3,19 miliardi di metri cubi acquistati) e il Belgio (commesse per 3,14 miliardi di metri cubi).Sulla Spagna pesa anche la rivendita all’interno dell’Ue. L’Ieefa rileva nero su bianco come la Spagna acquisti il Gnl russo per poi rivenderlo a un terzo degli Stati membri dell’Ue, nello specifico a Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.

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    Marion Maréchal, capolista alle europee per Reconquête, è stata espulsa dal partito

    Bruxelles – Prima il Partito repubblicano e ora Reconquête, la destra francese è in subbuglio: la ricerca di nuove alleanze in vista delle prossime elezioni legislative (30 giugno e 7 luglio), ha causato la defenestrazione di diversi esponenti chiave. Dopo la contestata espulsione dal suo stesso partito di Éric Ciotti, presidente dei repubblicani, è toccato a Marion Maréchal, esclusa da Reconquête dopo aver corso come capolista alle elezioni europee. La mela della discordia, in tutti e due i casi è la ricerca di un alleanza con il Rassemblement national (Rn) di Jordan Bardella.Durante un’intervista alla televisione francese BFMTV, il leader e fondatore della formazione d’estrema destra Reconquête, Éric Zemmour ha annunciato l’espulsione di Marion Maréchal e dalle persone a lei vicine nel partito. Alle elezioni europee il partito d’estrema destra (che correva con il nome La France Fière) è riuscito ad ottenere il 5,5 per cento dei consensi, eleggendo 5 eurodeputati, che sono andati ad accrescere il gruppo dei conservatori e riformisti (Ecr).Zemmour si è sempre speso per unificare la destra francese e farla correre con un’unica lista e, vedendo l’approssimarsi delle elezioni, aveva dato il compito a Marion Maréchal di negoziare con il Rassemblement National. La neo-eurodeputata però non è riuscita a trovare un intesa, accusando Zemmour di avere troppe pretese e annunciando di voler sostenere i candidati unitari del Rassemblement national e del Partito repubblicano. La dichiarazione di Maréchal ha scatenato l’ira di Zemmour che si è detto “ferito e disgustato” decidendo per espellerla dal partito.Una questione di famigliaMarion Maréchal sosterrà quindi il Rassemblement national alle prossime elezioni legislative. Un ritorno all’ovile per lei che è nipote, attraverso la madre, di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front national (Fn) e padre di Marie. Marion Maréchal. Era iscritta a Fn (nome del Rassemblement national fino al 2018) con cui nel 2012 era stata eletta al parlamento, diventando a soli 22 anni la più giovane rappresentante della storia della Francia repubblicana. Progressivamente però si è allontana dalla politica, fino a uscirne completamente nel 2017. Due anni dopo assieme a Éric Zemmour lancia la creazione di un soggetto politico con lo scopo di avvicinare e unire la destra gollista al Front national. Inizialmente Maréchal dice di non volersi impegnare nuovamente in politica, salvo poi diventare vicepresidente di Reconquête nel 2022.“È il record del mondo del tradimento” così Zemmour ha commentato la scelta di Maréchal, aggiungendo “Sono stato io a designarla come capolista alle europee, lei ha ricevuto molte donazioni dai militanti di Reconquête che con la sua scelta ha tradito”. Dal canto suo la nuova eurodeputata ha dichiarato di non aderire a Fn ma di aver espresso il suo sostegno alla lista unica della destra, inoltre Maréchal ha espresso la sua volontà di non candidarsi alle legislative ma di voler portare le ragioni dei cittadini francesi che l’hanno eletta a Strasburgo.Il “ritorno all’ovile”, com’è stato definito da Zemmour, di Maréchal  rischia di complicare la campagna elettorale di Reconquête. Il partito per riuscire ad eleggere i propri candidati all’Assemblea nazionale deve vincere nei collegi uninominali, ottenendo o la maggioranza assoluta al primo turno o quella relativa al secondo. Una missione difficile, dato che nel 2022 alle ultime legislative Reconquête aveva ottenuto il 4 per cento al primo turno e, oltre a non aver eletto nessun deputato non era riuscito nemmeno a partecipare alla seconda votazione. L’abbandono di Maréchal dunque, rischia di togliere dei voti che potrebbero risultare decisivi in un sistema maggioritario dove chi prende un voto in più elegge il proprio candidato e chi perde rimane a bocca asciutta.“C’est le record du monde de la trahison”: la réaction d’Éric Zemmour après l’appel de Marion Maréchal à une “union des droites” pic.twitter.com/k3Iws2H5DP— BFMTV (@BFMTV) June 12, 2024