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    L’UE respinge i tentativi della Russia di ricostituire sfere d’influenza in Europa: “Non si può tornare indietro nel tempo”

    Bruxelles – Si alza la tensione tra Russia e Occidente sulla crisi in Ucraina e l’UE cerca di sfruttare il momento per definirsi come un attore credibile sulla scena globale. “Rigettiamo i tentativi russi di ricostituire sfere di influenza in Europa, non possiamo tornare indietro nel tempo“, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine della due-giorni di vertici dei ministri della Difesa e degli Affari esteri a Brest (Francia).
    Già ieri (giovedì 13 gennaio) l’alto rappresentante aveva spiegato ai giornalisti che era in corso “una discussione sull’architettura della sicurezza europea”, dal momento in cui la Russia rappresenta per l’UE “una minaccia su diversi fronti”, a partire dal confine orientale dell’Ucraina. “Siamo in un momento critico, in cui dobbiamo agire come un attore geopolitico e rispondere direttamente a ogni aggressione”, è stato il monito di Borrell, anche se “il nostro approccio è sempre il dialogo e i negoziati“. Come confermato anche dal ministro francese per gli Affari esteri e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Jean-Yves Le Drian, “da tutti i Paesi membri è stata accolta con determinazione e unità la necessità di una ferma dissuasione contro la minaccia più grave nella regione“.
    L’UE rimane al fianco dell’Ucraina e dei Paesi dell’Europa orientale “minacciati dalla Russia” e continua a chiedere a Mosca una de-escalation lungo i suoi confini occidentali. In caso contrario “ci prepareremo a nuove sanzioni economiche in coordinazione con i partner”, ha ribadito l’alto rappresentante Borrell nel corso della conferenza stampa. La realtà dei fatti è che, nonostante i tentativi di dialogo portati avanti durante questa settimana, la Russia non sembra intenzionata a impegnarsi in un confronto diplomatico con l’Occidente e con tutta probabilità è dietro all’attacco informatico avvenuto stanotte ai danni di diversi siti di ministeri e agenzie governative ucraini. Borrell ha messo in chiaro che “queste azioni cercano di destabilizzare il Paese e di aumentare la tensione”: Kiev ha comunque reagito “velocemente” e ha “parzialmente ristabilito il funzionamento” dei siti governativi. Da Bruxelles è stata offerta assistenza tecnica “se richiesta”.
    Un ultimo punto toccato dall’alto rappresentante UE è stato il coordinamento “eccellente” con la NATO e gli Stati Uniti nella risposta alla Russia: “Sono estremamente sodisfatto del rapporto che si è rafforzato, nonostante i tentativi di Mosca di dividerci“. Ora l’obiettivo è “mettere in chiaro le priorità del prossimo decennio”, gli ha fatto eco il ministro francese, a partire dalla Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, da approvare entro marzo: “È il nostro libro bianco per la sovranità e la sicurezza europea”, ha concluso Le Drian.

    Nel corso del vertice informale dei ministri UE degli Affari esteri a Brest è stata ribadita la necessità di una “ferma dissuasione” di Mosca contro gli attacchi all’Ucraina e alla sicurezza del continente

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    Attacco informatico ai siti ufficiali del governo dell’Ucraina. Borrell: “L’UE offrirà assistenza tecnica”

    Bruxelles – La crisi in Ucraina si allarga allo spazio digitale. Nella notte tra giovedì e venerdì (13-14 gennaio) diversi siti di ministeri e agenzie governative ucraini (tra cui quello degli Affari esteri, dell’Istruzione e della Scienza e del Servizio per le situazioni di emergenza) sono stati colpiti da un attacco informatico ancora non rivendicato, ma in concomitanza con un’escalation di tensione nelle ultime settimane al confine occidentale con la Russia.
    Dopo l’attacco informatico, il sito ufficiale del governo dell’Ucraina è stato ripristinato, mentre appaiono ancora irraggiungibili tutte le altre pagine web colpite. Questa mattina il sito del ministero degli Esteri mostrava un messaggio in lingua ucraina, russa e polacca: “Ucraini! Tutti i vostri dati personali sono stati cancellati e sono impossibili da ripristinare. Tutte le informazioni su di voi sono diventate pubbliche, abbiate paura e aspettatevi il peggio”.
    Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa AFP, il servizio di sicurezza del governo ucraino ha fatto sapere che non si è verificata nessuna fuga di dati personali. La polizia informatica è già sul caso e i primi sospettati sono i gruppi di hacker russi, che negli ultimi anni sono già stati responsabili di diversi attacchi informatici in Ucraina (e anche in Germania, poche settimane prima delle elezioni federali del 26 settembre 2021).
    In risposta all’attacco informatico “l’Unione Europea sta mobilitando tutte le sue risorse per offrire supporto all’Ucraina“, ha commentato l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine della chiusura del vertice informale dei ministri UE per gli Affari esteri a Brest (Francia). “Abbiamo convocato una riunione d’emergenza degli ambasciatori del comitato politico e di sicurezza dell’UE per capire quale assistenza tecnica si può fornire all’Ucraina”, ha aggiunto Borrell, che ha sottolineato che “l’attacco informatico merita una condanna dell’Unione Europea”.
    Ieri (giovedì 13 gennaio) il Consiglio dell’UE ha deciso di prorogare per altri sei mesi le sanzioni contro alcuni settori economici della Russia per la crisi in Ucraina, fino al 31 luglio 2022. Proprio da Mosca ieri invece è arrivata una parziale chiusura ai colloqui con la NATO ripresi questa settimana, che sarà definitiva nel caso in cui anche gli Stati Uniti adotteranno misure restrittive contro la Russia: “Non vediamo altri motivi per portare avanti il dialogo con l’Occidente”, ha tagliato corto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.

    Un cyberattacco ancora non rivendicato ha colpito i siti web di ministeri e agenzie governative ucraini. L’alto rappresentante UE Borrell comunica che “è stato convocata una riunione d’emergenza degli ambasciatori”

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    Prorogate fino a luglio le sanzioni economiche contro Mosca per la crisi in Ucraina

    Bruxelles – Il Consiglio dell’UE ha deciso oggi (13 gennaio) di prorogare per altri sei mesi, fino al 31 luglio 2022, le sanzioni contro alcuni settori economici della Russia per la crisi in Ucraina. La decisione assunta oggi segue la valutazione che i capi di Stato e governo hanno fatto all’ultimo Consiglio Europeo del 16 dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca per la pace in Ucraina orientale.
    Il Consiglio dell’UE ricorda in una nota che le sanzioni sono state introdotte la prima volta a luglio 2014, “in risposta alle azioni della Russia di destabilizzazione della situazione in Ucraina”, con l’annessione della penisola di Crimea. Limitano l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE per alcune banche e società russe e vietano forme di assistenza finanziaria e di intermediazione nei confronti delle istituzioni finanziarie russe. Stop anche all’importazione, l’esportazione o il trasferimento diretto o indiretto di tutto il materiale che riguarda il comparto della difesa. Le misure restrittive limitano inoltre l’accesso russo ad alcune tecnologie sensibili che possono essere utilizzate nel settore energetico, ad esempio, nella produzione e nell’esplorazione del petrolio.

    La decisione del Consiglio dell’UE fa seguito all’ultima valutazione dei capi di Stato e governo al Vertice europeo di dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca

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    È scontro tra Parlamento e Commissione UE sul ruolo del commissario Várhelyi nella crisi in Bosnia

    Bruxelles – Come se non bastassero la quasi assoluta mancanza di progressi sulla strada delle riforme interne, le dichiarazioni incendiarie del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, e le celebrazioni divisive dell’anniversario dalla nascita della Republika Srpska, ora anche le istituzioni UE stanno contribuendo a ingarbugliare una situazione in Bosnia ed Erzegovina già particolarmente tesa.
    Al centro dello scontro tra Parlamento e Commissione UE c’è la figura e il ruolo nella crisi in atto in Bosnia-Erzegovina del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi. Il 10 dicembre dello scorso anno l’assemblea nazionale della Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina) ha adottato una tabella di marcia per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, seguendo la strada secessionista indicata da Dodik a fine ottobre. L’assemblea di Banja Luka ha stabilito che i progetti di legge che dovranno regolare questa parziale secessione dei serbi di Bosnia saranno redatti entro metà giugno 2022.
    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (Banja Luka, Bosnia ed Erzegovina, 24 novembre 2021)
    Ma quello che a Bruxelles ha davvero accesso la miccia sono alcuni documenti interni della Commissione firmati da Johann Sattler, capo della delegazione UE in Bosnia, che sono trapelati sui media bosniaci e riportati da Euractiv. I leak mostrerebbero che il commissario Várhelyi fosse già a conoscenza di queste decisioni dei legislatori della Republika Srpska e che avrebbe avvertito gli ambasciatori UE in Bosnia sull’annuncio da parte dell’assemblea nazionale di una moratoria per approvare la legislazione sul ritiro unilaterale dalle istituzioni statali per un periodo di sei mesi. Insomma, i piani di secessione sarebbero stati in qualche modo “concordati” con il commissario ungherese nel corso della sua visita a Banja Luka a fine novembre, con un accordo (non rispettato) per una moratoria di sei mesi.
    Fin qui potrebbero sembrare le solite polemiche destinate a spegnersi in poco tempo, come quella dello scorso anno sui presunti piani del premier sloveno (e di lì a qualche mese presidente di turno del Consiglio dell’UE), Janez Janša, di “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” con il definitivo smembramento della Bosnia ed Erzegovina. Tutto questo fino a ieri (mercoledì 12 gennaio), quando un gruppo di 30 eurodeputati ha inviato una lettera all’esecutivo UE proprio per chiarire il ruolo del commissario Várhelyi in questa escalation secessionista.
    “Come parte neutrale con una notevole influenza, la Commissione ha un ruolo-chiave nel garantire che le conclusioni dell’accordo di Dayton [firmato nel 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia, ndr] siano rispettate da entrambe le parti”, si legge nella lettera pubblicata sul profilo Twitter dell’eurodeputata ungherese e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Katalin Cseh. Viene definito “inquietante” il fatto che il commissario Várhelyi abbia “apertamente colluso con Dodik nella potenziale rottura della Bosnia ed Erzegovina”. Secondo gli eurodeputati, “se l’imparzialità e la neutralità della Commissione è messa in discussione, il fragile equilibrio geopolitico è minacciato” nei Balcani Occidentali. Per questo motivo i membri dell’Eurocamera hanno chiesto “se il comportamento del commissario è in linea con la politica ufficiale dell’Unione” e se l’esecutivo UE aprirà “un’ispezione interna approfondita per determinare se le sue azioni sono compatibili con il suo ruolo di commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento”, sottolinea la lettera.
    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina: Šefik Džaferović, Milorad Dodik e Željko Komšić (
    Insinuazioni respinte al mittente oggi (giovedì 13 dicembre), nel corso del punto quotidiano con la stampa da parte del portavoce della Commissione, Eric Mamer. “Risponderemo direttamente alla lettera”, ha messo in chiaro Mamer, “ma il commissario Várhelyi è stato estremamente chiaro in occasione della sua visita in Bosnia sugli sforzi da compiere da parte delle autorità bosniache per proseguire nel cammino europeo”. Dichiarazioni che “rispecchiano ovviamente e completamente la posizione dell’UE e della Commissione sul tema”, ha aggiunto Mamer. Il portavoce per il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, ha poi precisato che “non c’è spazio per la negazione dei genocidi e la glorificazione dei criminali di guerra” e che “la nostra posizione è chiara: ci aspettiamo che la Bosnia prosegua il cammino UE, abbandonando qualsiasi provocazione divisiva”.
    La lettera dei 30 europarlamentari solleva però un’altra questione specifica, che a Bruxelles è ben conosciuta. “È ampiamente risaputo che l’attuale governo ungherese sta sostenendo attivamente la campagna di Dodik per perseguire la sua strategia politica”, come avrebbe evidenziato il “recente sostegno da 100 milioni di euro” offerto dall’Ungheria alla Republika Srpska, a pochi mesi dalle elezioni nel Paese. Várhelyi, prima di essere nominato commissario nel 2019, è stato ambasciatore a Bruxelles per l’Ungheria di Viktor Orbán. Nonostante il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell’esecutivo UE rispetto agli interessi nazionali, il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento si trova sotto il fuoco incrociato dei sospetti di aver avallato le posizioni di Dodik e dell’opposizione del suo Paese alle sanzioni economiche contro i responsabili delle tensioni in Bosnia. Il premier Orbán ha portato avanti una politica di strette relazioni diplomatiche non solo con il serbo-bosniaco Dodik, ma anche con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska.

    Un gruppo di 30 eurodeputati ha inviato una lettera all’esecutivo UE per chiedere conto delle rivelazioni trapelate da documenti interni sull’appoggio del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento ai piani secessionisti della Republika Srpska

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    L’UE cerca di ritagliarsi un ruolo credibile nel rispondere alle minacce della Russia “in Ucraina e nel mondo”

    Bruxelles – La crisi in Ucraina va oltre l’Ucraina. “Stiamo discutendo intensamente dell’architettura della sicurezza europea, perché la Russia rappresenta una minaccia ormai su diversi fronti“, ha spiegato così l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la posizione dei ministri UE della Difesa durante il vertice informale in corso a Brest (Francia).
    La ministra francese delle Forze armate e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Florence Parly (13 gennaio 2022)
    C’è il fronte dello spazio e della sicurezza informatica, della stabilità del continente e della presenza di mercenari russi in Mali e nella Repubblica Centroafricana (dell’entità militare privata Wagner, sanzionata dall’UE a dicembre). “Sono tutte facce diverse dello stesso problema, che dimostrano cosa succede se non siamo in grado di coordinare azioni concrete e decise a livello europeo“, ha aggiunto con forza la ministra francese delle Forze armate e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Florence Parly.
    Quello che certo è che in questo momento la situazione al confine orientale dell’Ucraina è al centro delle preoccupazioni dell’Unione. L’alto rappresentante Borrell ha riferito alla stampa di aver aggiornato i ministri sulla sua visita della settimana scorsa, “la prima fatta sulla linea di contatto nel Donbass da quando è scoppiato il conflitto nel 2014”, durante la quale ha ribadito al governo di Kiev il “completo e inequivocabile supporto dell’UE alla sovranità e all’integrità territoriale del Paese”. Nonostante sia iniziato ieri (mercoledì 12 gennaio) un “incoraggiante dialogo” tra NATO e Russia, la posizione di Bruxelles rimane sempre la stessa dall’ultimo Consiglio UE di metà dicembre: “Siamo pronti a prenderci ogni responsabilità di risposte severe, se Mosca si azzarda a far seguito alle minacce potenziali con azioni concrete”, ha tagliato corto la ministra Parly.
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 gennaio 2022)
    L’UE cerca di ritagliarsi un ruolo credibile a partire da questo scenario, sia con “una proposta sul tavolo dei ministri per rafforzare la capacità logistica e la formazione dei quadri dell’esercito ucraino”, sia rimanendo in “costante contatto con gli Stati Uniti“, ha messo in chiaro Borrell: “Non siamo stati lasciati da parte, anche il segretario di Stato, Anthony Blinken, mi ha confermato che con la Russia non sarà trovato nessun accordo sulla sicurezza del continente senza la presenza europea ai negoziati”.
    Ma la crisi in Ucraina ha permesso ai ministri UE di allargare la discussione ad altri scenari in cui dovrà essere rafforzata la presenza dell’Unione contro le minacce portate dalla Russia. Come per esempio nello spazio, dove i “comportamenti irresponsabili in uno scenario di competizione quasi deregolamentato” impone una discussione sulla Strategia per la sicurezza e la difesa dello spazio. “Grazie all’impegno della presidenza francese oggi abbiamo avuto il primo confronto, ma dovrà essere ultimata entro l’anno prossimo“, ha fissato l’obiettivo l’alto rappresentante Borrell.
    Un ultimo punto sul tavolo dei ministri UE della Difesa è l’adozione della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, con la data per l’approvazione fissata da tempo a marzo di quest’anno: “È stata una discussione proficua su una proposta ambiziosa e concreta“, ha sottolineato la titolare della Difesa francese. “Dobbiamo solo aggiustare insieme i dettagli sugli orientamenti pratici per affrontare tutte le minacce che abbiamo di fronte a noi”, ha concluso.

    Al vertice informale dei ministri UE della Difesa a Brest è stato discusso il ruolo dell’Unione nel dialogo internazionale con Mosca per la de-escalation sul confine ucraino. Ma anche come rafforzare la sicurezza europea con “azioni coordinate”

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    NATO e Russia su posizioni “significativamente diverse” su crisi in Ucraina e sicurezza europea. Avanti con il confronto

    Bruxelles – Il conflitto armato può aspettare. Quello andato in scena oggi (mercoledì 12 gennaio) al Consiglio NATO-Russia è stato “uno scambio di battute molto serio, una discussione difficile, in cui sono emerse posizioni significativamente diverse” sia sulla crisi in Ucraina sia sulla sicurezza dell’Europa. Durante la conferenza stampa post-Consiglio il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), Jens Stoltenberg, ha messo subito in chiaro che “le differenze non saranno facili da colmare, ma proprio per questo è ancora più importante proseguire con il dialogo“.
    L’appuntamento di oggi a Bruxelles era stato presentato come cruciale dallo stesso segretario Stoltenberg al vertice straordinario dei ministri degli Esteri della NATO di venerdì scorso (7 gennaio), in quanto avrebbe dovuto dimostrare se la Russia è disposta a impegnarsi nella de-escalation militare al confine con l’Ucraina e a impegnarsi in un confronto diplomatico. Dall’altra parte del tavolo si sono seduti i viceministri russi per gli Affari esteri, Alexander Grushko, e per la Difesa, Alexander Fomin, che hanno avanzato le richieste del Cremlino: garanzie legali per la fine dall’allargamento della NATO a nuovi membri e del rinforzamento militare del fianco orientale dell’Alleanza.
    Da sinistra: i viceministri russi per la Difesa, Alexander Fomin, e per gli Affari esteri, Alexander Grushko, e il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg (12 gennaio 2022)
    Richieste irricevibili per gli alleati, che hanno riaffermato “con forza e con unità” la volontà di non compromettere alcuni principi-chiave, come il “diritto di ogni Paese a scegliere la propria strada verso la sicurezza e quello dei membri dell’Alleanza alla difesa reciproca”, ha riportato Stoltenberg. “La nostra è un’alleanza di tipo difensivo e l’allargamento si basa esclusivamente su processi democratici interni che portano alla richiesta di adesione”, ha aggiunto. Paesi che non sono parte della NATO, come Svezia e Finlandia, “hanno capito che Mosca vuole rintrodurre il concetto di sfere d’influenza in Europa“, ha sottolineato il segretario Stoltenberg: “Se si inserisce l’ipotesi di un veto esterno alla libera scelta delle alleanze nazionali, si creeranno di nuovo Paesi di serie A e di serie B”.
    Il punto di arrivo del Consiglio NATO-Russia è comunque un impegno reciproco a “riprendere il dialogo, programmare i prossimi incontri e mettere sul tavolo proposte concrete, dettagliate e costruttive”. Si può partire da un’intesa sul controllo degli armamenti, le limitazioni missilistiche e delle minacce nucleari, la trasparenza sulle esercitazioni militari e la sicurezza informatica. Inoltre, per la NATO “non ci sono precondizioni sulla riapertura delle relazioni diplomatiche con la Russia“. Il riferimento è alla chiusura degli uffici dell’Alleanza a Mosca nell’ottobre dello scorso anno, che ha seguito la revoca dell’accreditamento di otto funzionari della missione russa presso la NATO. “Il dialogo sarebbe più facile se avessimo una presenza diplomatica reciproca”, ha confessato Stoltenberg, “ma comunque lo si potrà portare avanti lo stesso”.
    L’importanza della riunione di oggi è legata al fatto che “c’è ancora un rischio reale di conflitto in Europa, a partire dal confine ucraino” e per gli alleati rimane prioritario prevenire un confronto armato. Tuttavia, ribandendo ai due viceministri russi quanto già detto venerdì scorso (“Se Mosca userà la forza, ci saranno severe conseguenze e un supporto difensivo all’Ucraina”), tutti i membri della NATO hanno chiesto una de-escalation militare “immediata” sul confine occidentale russo e di “rispettare la sovranità dei Paesi della regione“. Non solo l’Ucraina – “inclusa la Crimea occupata” – ma anche la Georgia e la Moldavia.

    Dopo il Consiglio NATO-Russia, il segretario generale Stoltenberg ha spiegato che Mosca vuole che non entrino più nuovi membri nell’Alleanza, mentre per la NATO “ogni Paese deve essere libero di scegliere la propria strada per la sicurezza”

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    L’UE condanna la retorica “divisiva e incendiaria” della Repubblica Serba di Bosnia. Si inizia a discutere di sanzioni

    Bruxelles – Durissime parole, ma ancora non sono state prese misure altrettanto forti. L’UE ha condannato la “retorica divisiva e incendiaria” usata dai leader della Republika Srpska, l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina, durante le celebrazioni di domenica (9 gennaio) in occasione del 30esimo anniversario dalla nascita dell’istituzione. Ma sanzioni UE contro i responsabili di queste tensioni in Bosnia ancora non se ne vedono.
    A 30 anni dall’inizio dei quasi quattro anni di guerra etnica in Bosnia, “tale retorica e le conseguenti azioni hanno ulteriormente aumentato le tensioni tra le comunità in tutto il Paese e stanno ulteriormente aggravando la crisi politica in corso“, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Celebrazioni nazionaliste/secessioniste che “mettono in pericolo la stabilità e la prosperità del Paese”, che sono in “completa contraddizione” con la prospettiva UE (“che può essere basata solo su una Bosnia ed Erzegovina unica, unita e sovrana”) e che non rispettano nemmeno la Costituzione nazionale.
    Il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik
    È da fine novembre che il Parlamento UE invoca sanzioni economiche contro i responsabili di questa “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza” in Bosnia, compresa la glorificazione dei criminali di guerra o la negazione dei loro crimini. Una decisione che è già stata presa dagli Stati Uniti una settimana fa (mercoledì 5 gennaio), ma che a Bruxelles ancora si cerca di lasciare come ultima sponda.
    “Se la situazione in Bosnia dovesse peggiorare ulteriormente e solo se tutti gli sforzi diplomatici falliranno, allora si procederà con l’ampia gamma di strumenti di cui l’UE dispone, compreso il quadro delle sanzioni già esistente“, ha spiegato ieri (martedì 11 gennaio) durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce del SEAE, Peter Stano.
    L’auspicio della Commissione è che si possa ancora risolvere la situazione attraverso il dialogo facilitato dall’UE: “Abbiamo ripetutamente esortato la leadership della Republika Srpska [tra cui il membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, ndr] a porre fine a inaccettabili passi divisivi e a tornare pienamente al lavoro delle istituzioni statali”.
    Tra le preoccupazioni maggiori dell’esecutivo comunitario c’è l’instabilità politica e i ritardi nel raggiungimento delle riforme, che “stanno rallentando il cammino verso l’UE della Bosnia e peggiorando le condizioni di vita per il popolo bosniaco”.
    È altrettanto vero che, come ricordato dal portavoce Stano, “gli Stati membri hanno già iniziato a discutere della possibilità di imporre misure restrittive” e questo tema sarà uno dei punti in agenda del prossimo Consiglio Affari Esteri (24 gennaio). “Saranno i ministri europei a dover stabilire quando sarà il giusto momento per portare l’azione a un nuovo livello”, ha ribadito con forza Stano. In ogni caso, eventuali sanzioni economiche “saranno dirette solo contro attori interni alla Bosnia“.
    La precisazione è arrivata a seguito di alcune domande dei giornalisti sul riferimento al “deplorevole sostegno portato da altri partner [tra cui Russia e Serbia] a tali manifestazioni, che minacciano la stabilità regionale e incidono sulle relazioni di buon vicinato”. Ma l’UE dovrà anche affrontare possibili divisioni interne, dal momento in cui l’Ungheria di Viktor Orbán sembra essere più che restia a introdurre sanzioni contro l’alleato Dodik e potrebbe porre il proprio veto in seno al Consiglio.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    La Commissione UE spera ancora di riportare la leadership dei serbi di Bosnia al tavolo del dialogo, nonostante la “preoccupante tendenza all’odio e all’intolleranza”. Sarà il Consiglio Affari Esteri del 24 gennaio a decidere se è arrivato il tempo di misure restrittive

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    Il sostegno UE alle riforme sullo Stato di diritto nei Balcani Occidentali è stato “largamente insufficiente”

    Bruxelles – La rotta è giusta, ma quanto fatto finora non è abbastanza. Si può riassumere così la valutazione della Corte dei Conti Europea sul sostegno UE alle riforme per lo Stato di diritto nei Balcani Occidentali. Secondo la relazione speciale pubblicato oggi (lunedì 10 gennaio) gli interventi dell’Unione Europea hanno avuto un impatto “largamente insufficiente” su questo aspetto fondamentale del cammino dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) verso l’adesione all’UE.
    La verifica della Corte dei Conti Europea era iniziata nel gennaio dello scorso anno, con l’obiettivo di analizzare se il supporto europeo fosse stato progettato in modo appropriato, se fosse stato utilizzato “coerentemente per affrontare le questioni-chiave” e se avesse portato a miglioramenti “concreti e sostenibili”.
    Nonostante sia stato riconosciuto lo sforzo di Bruxelles nell’accelerare le riforme fondamentali per il rafforzamento dello Stato di diritto nei Balcani (separazione dei poteri, procedure legislative trasparenti e democratiche, certezza giuridica, controllo giurisdizionale efficace, indipendenza e imparzialità dei giudici, uguaglianza davanti alla legge), hanno pesato in questo contesto “l’insufficiente volontà politica e lo scarso impegno” delle istituzioni nazionali nell’affrontare “problemi persistenti” come la concentrazione del potere, le ingerenze politiche e la corruzione.
    Il contributo dell’UE ai Paesi balcanici è prima di tutto finanziario, rappresentando il principale donatore a livello globale per lo sviluppo economico della regione. Oltre al Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro presentato dalla Commissione UE nell’ottobre del 2020, l’assistenza finanziaria dell’UE viene garantita grazie allo strumento di assistenza pre-adesione (IPA). Nel periodo 2014-2020 sono stati stanziati circa 12,8 miliardi di euro attraverso IPA II – di cui 700 milioni per sostenere lo Stato di diritto e i diritti fondamentali nei Balcani Occidentali – mentre a partire dallo scorso anno (fino al 2027) è attivo IPA III con una dotazione di 14,2 miliardi. Tuttavia, tra sovvenzioni, sostegno al bilancio, assistenza tecnica e scambio di informazioni, questo sostegno non è stato considerato sufficiente dalla Corte dei Conti UE e soprattutto “il suo impatto non è stato rigorosamente monitorato“.
    Dotazione finanziaria bilaterale IPA II per lo Stato di diritto e i diritti fondamentali (2014-2020)
    La cartina tornasole è l’aggravamento delle forme di autoritarismo nei sei Paesi balcanici negli ultimi dieci anni, proprio in corrispondenza dell’erogazione dei fondi attraverso gli strumenti IPA e nonostante i “progressi formali compiuti verso l’adesione all’UE” (i negoziati sono stati aperti solo con Serbia e Montenegro, mentre Macedonia del Nord e Albania sono bloccate dal veto della Bulgaria in seno al Consiglio dell’UE). Citando il rapporto 2021 dell’ONG Freedom House, la Corte dei Conti Europea ha sottolineato che “i governi dei Balcani Occidentali sono riusciti a combinare un impegno formale per la democrazia e l’integrazione europea con pratiche autoritarie informali” e che, fatta eccezione per la Macedonia del Nord, sul rispetto dello Stato di diritto “tutti questi Paesi presentano una tendenza stabile o addirittura in regresso”.
    Preoccupano le forme di corruzione che impediscono ai sistemi giudiziari di indagare, perseguire e sanzionare in modo efficace, che creano monopoli in settori strategici e che mettono a repentaglio la libertà di espressione: non a caso quest’ultimo è l’ambito in cui sono stati registrati meno progressi in tutti e sei i Paesi balcanici. Oltre alla mancanza di volontà politica interna, un altro fattore del giudizio della Corte con sede in Lussemburgo è legato al fatto che “l’UE si è avvalsa troppo di rado della possibilità di sospendere l’assistenza nel caso in cui un beneficiario non osservi i princìpi fondamentali della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”. La Corte dei Conti Europea ha avvertito che “se l’azione dell’Unione sembra aver contribuito alle riforme, è perché le comunicazioni a riguardo tendono a concentrarsi sui dati quantitativi relativi alle realizzazioni e non abbastanza su quello che le riforme hanno effettivamente conseguito“.
    “I modesti progressi compiuti negli ultimi 20 anni mettono a rischio la sostenibilità complessiva del sostegno fornito dall’UE nell’ambito del processo di adesione”, ha commentato Juhan Parts, membro della Corte dei Conti Europea e responsabile della relazione speciale. “Le riforme costanti perdono di credibilità se non conducono a risultati tangibili“, ha aggiunto. Per questo motivo è stato raccomandato alla Commissione UE e al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) di rafforzare il meccanismo per promuovere le riforme fondamentali, di intensificare il sostegno alle organizzazioni della società civile e ai media indipendenti nei singoli Paesi dei Balcani Occidentali e, nell’ambito dello strumento IPA III, di rafforzare sia il ricorso alla condizionalità sullo Stato di diritto sia la rendicontazione e il monitoraggio dei progetti finanziati da Bruxelles.

    Lo evidenzia una relazione della Corte dei Conti UE, che sottolinea sia la mancanza di volontà politica dei governi nazionali, sia il fatto che l’UE non abbia quasi mai sospeso l’assistenza finanziaria in caso di palesi violazioni