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    La Russia tagliata dal programma di ricerca UE nello stesso giorno dell’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia

    Bruxelles – L’isolamento internazionale della Russia si intensifica e taglia fuori Mosca ormai su tutti i fronti, dallo sport all’industria, dall’economia alla finanza, fino alla ricerca e l’innovazione. Nello stesso giorno dell’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia (nel sud-est dell’Ucraina) che ha scatenato un incendio negli edifici secondari della struttura, l’UE ha deciso di sospendere la cooperazione con entità della Russia nell’ambito della ricerca e dell’innovazione sia del programma Horizon Europe sia del precedente Horizon 2020.
    “Ho chiesto ai miei servizi di sospendere qualsiasi pagamento agli enti russi nell’ambito dei contratti esistenti“, ha annunciato la commissaria europea per l’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel. Inoltre, è stata decisa la “sospensione della preparazione dell’accordo di sovvenzione per quattro progetti del programma Horizon Europe che coinvolgono cinque organizzazioni di ricerca russe”, ha aggiunto la commissaria, specificando che “la firma di qualsiasi nuovo contratto sarà sospesa fino a nuovo avviso“. Durissimo il commento della vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager: “La cooperazione nella ricerca dell’UE si basa sul rispetto delle libertà e dei diritti che sono alla base dell’eccellenza e dell’innovazione” e “l’atroce aggressione militare della Russia contro l’Ucraina è un attacco contro questi stessi valori”.
    In quest’ottica è stato però rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini “che hanno dimostrato eccellenza e leadership nell’innovazione in molti campi”. La commissaria Gabriel ha spiegato che “siamo fortemente impegnati a garantire una continua e proficua partecipazione dell’Ucraina e delle entità ucraine”, da quando Kiev ha firmato l’accordo associazione per il programma UE sulla ricerca e l’innovazione Horizon Europe e per la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) nell’ottobre 2021. L’accordo di associazione entrerà in vigore quando l’Ucraina notificherà alla Commissione Europea il completamento del processo di ratifica. “Nel frattempo abbiamo adottato misure amministrative per garantire che i beneficiari ucraini possano ricevere finanziamenti dai programmi dell’UE”, ha ricordato la commissaria Gabriel: “Questa cooperazione nella scienza, nella ricerca e nell’innovazione rafforza l’alleanza tra l’UE e l’Ucraina per realizzare le priorità comuni”.
    Nel frattempo, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha tenuto una conversazione telefonica con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sull’attacco alla centrale di Zaporizhzhia: “L’ho informata sul terrorismo nucleare dell’aggressore russo”, si legge in un tweet del presidente ucraino. “Prevenire è il nostro compito comune”, ha sottolineato Zelensky, aggiungendo che “all’ordine del giorno c’è stata anche la questione dell’adesione dell’Ucraina all’UE“.

    Talked to President of the European Commission @vonderleyen. Informed about the aggressor’s nuclear terrorism. Preventing it is our common task. Discussed strengthening sanctions against Russia. The issue of 🇺🇦’s membership in the #EU was also on the agenda. #StopRussia
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) March 4, 2022

    Bruxelles ha sospeso qualsiasi pagamento a enti di ricerca russi nell’ambito dei contratti esistenti e la firma di nuovi contratti “fino a nuovo avviso”. Parallelamente è stato rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini

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    Anche la Repubblica di Moldova ha richiesto di ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE

    Bruxelles – Era nell’aria da tempo e l’occupazione militare russa dell’Ucraina ha reso il processo irreversibile. Anche la Repubblica di Moldova ha presentato formalmente richiesta per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE, dopo le due domande nella stessa settimana di Ucraina (lunedì 28 febbraio) e Georgia (giovedì 3 marzo). “Il momento è arrivato: i cittadini moldavi sono pronti a lavorare sodo per un futuro stabile e prospero nell’Unione Europea e nella famiglia degli Stati europei”, ha rivendicato la presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu, firmando la lettera di adesione all’UE ieri sera.
    “Vogliamo vivere in pace, prosperità, essere parte del mondo libero”, ha sottolineato la presidente Sandu, spiegando le tempistiche della richiesta: “Mentre alcune decisioni richiedono tempo, altre devono essere prese rapidamente e con decisione, approfittando delle opportunità che arrivano in un mondo che cambia”. È chiaro il riferimento all’aggressione russa dell’Ucraina e al disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto, con il rischio che possa cancellare anche l’indipendenza di Chișinău. Come nel caso di Ucraina e Georgia, si tratta di una netta reazione che vede i tre Paesi sempre più distanti da Mosca e sempre più legati a Bruxelles.

    The time is now: #Moldova officially signs the application for membership to join the #European Union. 🇲🇩 citizens are prepared to work hard towards a stable and prosperous future in the 🇪🇺 & the family of European states. pic.twitter.com/35a2q9WCaW
    — Maia Sandu (@sandumaiamd) March 3, 2022

    Si attende nelle prossime ore l’invio della lettera a Bruxelles. “La Repubblica di Moldova ha il diritto di scegliere il suo corso di politica estera“, ha dichiarato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel corso della sua visita di ieri a Chișinău. “Crediamo fortemente che appartenga alla famiglia europea e continueremo a cooperare intensamente sulla base del nostro Accordo di associazione”, ha aggiunto Borrell, facendo riferimento all’accordo politico ed economico UE-Moldova firmato nel 2014 ed entrato pienamente in vigore nel 2016.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    Per diventare un Paese membro dell’UE, il primo passo è la proposta formale di candidatura all’adesione (Georgia e Ucraina, in questo caso). Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen – le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche – si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Dopo le richieste di Ucraina e Georgia, anche da Chișinău è arrivata la domanda di diventare membro dell’Unione Europea. La presidente, Maia Sandu, ha firmato la lettera e nelle prossime ore sarà inviata a Bruxelles

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    La tragedia dell’Ucraina e le responsabilità dell’Occidente e dell’Europa

    Conosco abbastanza bene l’Ucraina per aver avuto per anni rapporti di lavoro e di collaborazione con gruppi siderurgici locali, e per essere stato nominato dal Governo Berlusconi, nel 2005, presidente del Comitato di collaborazione economica Italia-Ucraina.
    Conosco bene il Donbass, la parte più orientale del Paese, dove si concentra la maggior parte dell’industria dell’acciaio. Mi sono recato più volte in quella zona, in fabbriche del gruppo industriale con il quale intrattenevamo i rapporti più stretti, tanto da stabilire con esso una vera e propria joint venture, l’Industrial Union of Donbass. Tale gruppo industriale, ormai da tempo passato totalmente in mani russe, aveva e ha stabilimenti a Alchevsk e Dniprovskyi.
    Sono stato più volte a Mariupol e a Odessa, i porti più importanti, da dove caricavamo navi di prodotti di acciaio destinati all’esportazione.
    Ho molto amato Kiev, città dove avevamo uffici e in cui mi sono recato più volte per incontri e riunioni, e che mi è sempre apparsa una bellissima e storica capitale.
    Ho smesso di frequentare l’Ucraina dal 2014 e cioè da quando le milizie filorusse, appoggiate dagli “uomini verdi senza mostrine”, mercenari al soldo di Mosca, hanno iniziato una guerra separatista durata fino ad oggi, distruggendo quasi completamente Donetsk, la capitale del Donbass, e provocando decine di migliaia di morti.
    Quei viaggi e quelle frequentazioni mi avevano fatto capire la complessità e per certi versi la tragicità del contesto ucraino, diviso tra una parte del Paese, quella più grande centrale e occidentale, decisamente a favore di legami sempre più stretti con l’Unione Europea, e la parte orientale russofona tradizionalmente legata alla Russia e alla sua influenza.
    La tragicità stava e sta nel fatto che la maggior parte della popolazione e la maggior parte dei governi che si sono succeduti a Kiev dopo la caduta dell’Unione Sovietica hanno rimproverato gli europei di scarsa empatia e di disinteresse nei confronti della giovane nazione ucraina, alle prese con le pressioni e l’influenza russa e desiderosa di affrancarsi da queste grazie al legame sempre più forte con l’Occidente. Ma contemporaneamente vi è una minoranza della popolazione (che nell’est del paese è una maggioranza) che parla russo, che non ne vuol sapere dell’Occidente, che ha ottenuto di farsi stampare sul passaporto ucraino la dizione ‘Russian Citizen’.
    L’Europa ha balbettato dinanzi a questa situazione. Preoccupata di non disturbare più di tanto l’orso russo, fornitore principale di gas di molte nazioni europee come Austria, Germania, Olanda e Italia, e forse impegnata da promesse fatte ai russi dopo la caduta del muro di Berlino, ma mai ufficializzate, di non espansione della Nato a Est, non ha mai affrontato con chiarezza la questione ucraina, riempiendo di buone parole e forse anche qui di qualche promessa non ufficiale la giovane nazione, ma alla fine lasciandola sempre nel limbo tra Occidente e Oriente.
    L’ambiguità ha riguardato anche il rapporto con la Russia, grande partner economico, ma anche ingombrante attore sulla scena internazionale, specie negli ultimi anni in cui Mosca ha provato a rilanciare un suo ruolo e un suo espansionismo.
    Tale ambiguità europea ha favorito la convinzione a Mosca che si potessero fare dei colpi di mano senza colpo ferire e senza gravi conseguenze, come la conquista della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass.
    Il delirio solitario di Putin, avvolto nella narrazione di una grande madre Russia ossessionata da problemi di sicurezza e bisognosa di confermare protezioni all’intorno mediante stati cuscinetto atti ad allontanare il più possibile i missili nucleari della Nato da Mosca, ha generato mostri; in particolare ha generato l’aggressione premeditata all’Ucraina, alla sua integrità territoriale, alla sua capacità/libertà di avere delle forze armate e di autodeterminarsi, e la minaccia, rivolta all’Occidente, di usare l’arma nucleare per ritorsione alle sanzioni economiche.
    La tragedia è sotto gli occhi di tutti: una guerra che nelle intenzioni dell’aggressore doveva durare due giorni e che invece si protrae da più di una settimana, vittime civili che ormai hanno raggiunto numeri importanti anche per l’inizio dei bombardamenti sulle città, Kiev circondata dalle truppe russe, che però incontrano una feroce resistenza da parte delle forze armate ucraine, che sembrano discretamente armate e ben preparate a contenere un’invasione, e di una popolazione civile che non vuole arrendersi.
    Una guerra nel cuore dell’Europa con il rischio di un’escalation drammatica dagli esiti imprevedibili.
    L’Europa sembra finalmente aver ritrovato una sua unità di intenti: sanzioni mai così dure nei confronti della Russia, aiuti militari probabilmente tardivi, un crescendo di prese di posizione al fianco dell’Ucraina che probabilmente non serviranno a salvare il Paese.
    Una giovane nazione diventata tale a pieno titolo proprio in questa guerra, dove giovani e anziani non arretrano e vogliono combattere per la libertà della Patria fino alla fine; dove un presidente su cui si è sempre ironizzato per il suo mestiere precedente, il comico, all’offerta americana di una sua evacuazione protetta e finalizzata a creare un governo in esilio, magari in Polonia, ha risposto ‘no grazie il mio posto è qui, è qui che si fa la storia dell’Ucraina libera, fino in fondo fino alla fine’.
    Truppe speciali russe lo stanno cercando e braccando per farlo fuori ma lui, in maglietta militare e tuta mimetica, riesce ancora a parlare con il mondo chiedendo aiuto e incitando il popolo ucraino alla resistenza.
    Putin nel suo delirio ha affermato pubblicamente, come spesso fanno molti russi in colloqui privati, che l’Ucraina è un paese che non esiste e che non ha diritto di esistere. La risposta è venuta dal popolo ucraino e dalla sua resistenza sul terreno. Il solco di odio verso i russi da parte della popolazione ucraina generato da questa follia resterà indelebile per secoli, a prescindere da come vada a finire la guerra.
    Una tragedia immane, un cambio epocale della storia del mondo i cui effetti ancora non comprendiamo completamente, la necessità di una riflessione radicale sul nostro futuro di europei.
    Comodo vivere come abbiamo fatto per decenni sotto la protezione dell’ombrello Usa; comodo non avere giovani e figli impegnati in azioni e interventi militari dove si rischia la vita; comodo, e anche un po’ stupido, pensare che la libertà e la democrazia di cui godiamo siano per sempre.
    La tragedia ucraina ci dice che quel mondo è finito e che non basta fare manifestazioni con le bandiere della pace per scongiurare la guerra.
    I dittatori alla Putin valutano continuamente i rapporti di forza e spingono la baionetta fino a dove questa può affondare in un terreno morbido e senza contrasti.
    In questi ultimi trent’anni non siamo riusciti come occidentali a declinare il vecchio motto: o l’avversario lo abbracci e lo porti dalla tua parte o lo contrasti duramente con tutte le tue forze. Ambiguità, debolezze, mezze misure non servono a niente e le conseguenze purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

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    La Georgia ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE

    Bruxelles – Se c’è un processo che la Russia, scatenando la guerra in Ucraina, ha suo malgrado stimolato è quello dell’allargamento dell’Unione Europea. Intendiamoci, non è un “allargamento a Est” o una provocazione contro Vladimir Putin, come in tanti sarebbero già pronti a bollare. Si tratta piuttosto di una chiara risposta dei Paesi vicini alla Russia rispetto al futuro assetto geopolitico che vedono per il proprio Paese: sempre più distante da Mosca e sempre più legato a Bruxelles. La dimostrazione è arrivata da due richieste formali di adesione all’UE nel giro di quattro giorni: lunedì (28 febbraio) quella dell’Ucraina sotto l’assedio russo, oggi (giovedì 3 marzo) quella di una Georgia che teme che il disegno del “nuovo mondo” di Putin cancelli anche la sua indipendenza. Per la stessa ragione ci si aspetta che anche la Moldavia possa seguire presto l’esempio.
    Il primo ministro della Georgia, Irakli Garibashvili, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Un giorno storico per la Georgia”, così lo ha definito il primo ministro, Irakli Garibashvili, firmando la domanda di adesione all’UE. “Siamo uno Stato europeo, siamo sempre appartenuti alla cultura e allo spazio civile europeo e la nostra storia di lotte e battaglie per la libertà è una prova che questi valori sono racchiusi nella nostra identità”, ha spiegato il premier georgiano, indicando i motivi che racchiudono la scelta di diventare uno Stato membro dell’UE. Democrazia, Stato di diritto, diritti umani e buon governo “sono già diventati l’essenza della nostra esistenza quotidiana”, in particolare da quando nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica UE-Georgia: “Da allora ci siamo assunti l’enorme responsabilità di iniziare con successo il nostro viaggio di integrazione europea”, ha sottolineato Garibashvili. Con questa “nuova pietra miliare” sulla strada verso l’UE, “stiamo introducendo norme e standard europei in ogni campo della nostra vita politica, economica e sociale“, ha concluso il premier georgiano. Anche se non passa inosservato il riferimento ai “compatrioti abkhazi e osseti”, ovvero gli abitanti delle due regioni rivendicate da Tbilisi, Abkhazia e Ossezia del Sud.
    Per i Ventisette ora si apre un nuovo file da considerare nel vasto capitolo dell’allargamento dell’Unione, all’interno di una dinamica che però si è completamente rivoluzionata rispetto a solo una settimana fa. “La richiesta di adesione dell’Ucraina e della Georgia, e quella eventuale della Moldavia, mostrano che c’è un desiderio genuino e un successo dell’UE come progetto di pace e prosperità“, ha rivendicato il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, durante il punto quotidiano con la stampa di Bruxelles. La collega Ana Pisonero, responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, ha precisato che “le richieste di unirsi sono sempre ben accette, ma prevedono comunque un lungo processo”. Per quanto riguarda la richiesta di Kiev, dopo le vibranti parole del presidente Volodymyr Zelensky e il supporto del Parlamento Europeo, “si è messo in moto il processo con le discussioni del Consiglio“, ha aggiunto la portavoce dell’esecutivo UE.
    A una domanda sul futuro dell’allargamento UE ai Paesi che già hanno iniziato il processo (e la possibile fiducia tradita), Mamer ha voluto precisare che “la richiesta dell’Ucraina e della Georgia è legittima e non è legata alle prospettive del Balcani Occidentali“. Tuttavia, “alla luce di quanto accaduto questa settimana, mi sembra ancora più evidente che il discorso dovrà riprendere in modo deciso e superando le attuali divisioni tra Stati membri”, ha aperto il portavoce della Commissione, sottolineando comunque che l’esecutivo comunitario ha sempre spinto con forza questo processo. Stiamo parlando di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia (più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan). Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    Per diventare un Paese membro dell’UE, il primo passo è la proposta formale di candidatura all’adesione (Georgia e Ucraina, in questo caso). Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen – le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche – si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Sull’onda dell’invasione russa dell’Ucraina, il premier del Paese caucasico, Irakli Garibashvili, ha firmato la lettera per chiedere a Bruxelles di diventare membro dell’Unione Europea. La stessa richiesta è arrivata da Kiev il 28 febbraio

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    L’UE allestisce un hub umanitario in Romania per coordinare l’aiuto all’Ucraina, mentre continua l’avanzata russa

    Bruxelles – Arrivati all’ottavo giorno di invasione russa dell’Ucraina, la situazione nel Paese continua a peggiorare. Nella notte tra mercoledì (2 marzo) e giovedì (3 marzo) l’esercito di Mosca ha conquistato nel sud la città di Kherson, il primo grosso centro abitato dall’inizio dell’attacco, ma soprattutto in posizione strategica per l’avanzata verso i porti di Odessa e Mariupol, dove ora si aspettano le offensive da terra e da mare. I bombardamenti delle principali città ucraine, capitale Kiev compresa, continuano senza sosta, con un aggravamento della situazione sul fronte umanitario in Ucraina e alle frontiere dell’UE: secondo quanto riportato da Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero di profughi ha raggiunto il milione.
    È proprio questa una delle preoccupazioni più urgenti per l’Unione Europea – in parallelo con il sostegno totale all’Ucraina e le sanzioni alla Russia – e lo sta dimostrando con una serie di misure degli ultimi giorni. Oggi il Consiglio Affari Interni dovrebbe prendere con tutta probabilità la decisione di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, accogliendo la proposta della Commissione UE per garantire a tutte le persone in fuga dall’Ucraina lo status di rifugiati con una modalità accelerata (c’è solo il nodo, imbarazzante, dell’accoglienza ai cittadini di Paesi terzi). A questo si aggiunge la decisione di “allestire un hub di protezione umanitaria in Romania, in collaborazione con il governo”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa con il presidente rumeno, Klaus Iohannis. “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin non è solo un atto di compassione in tempo di guerra, ma è un dovere morale”, ha sottolineato con forza la leader dell’esecutivo UE, ringraziando la Romania per aver finora dato accoglienza a più di 150 mila rifugiati dall’Ucraina.

    Mentre si inaspriscono in tutto il mondo le sanzioni contro Mosca a partire dal coordinamento tra UE, Stati Uniti e Gran Bretagna – il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha accolto la richiesta di 39 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra nei confronti dell’establishment russo per l’occupazione dell’Ucraina. Il focus principale saranno le violenze sui civili e coprirà gli otto anni che vanno dall’occupazione della Crimea alla guerra civile nel Donbass, fino all’invasione del territorio ucraino.
    Nel pomeriggio si attende il secondo round dei negoziati di pace tra le delegazioni ucraina e russa (su cui le aspettative sono quasi nulle), ma il mondo ha già preso una netta posizione contro la Russia. Ieri sera è stata votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la risoluzione che condanna l’aggressione dell’Ucraina con una maggioranza schiacciante: 141 voti a favore – tra cui anche la Serbia, tradizionale alleato di Mosca – 35 astenuti e solo 4 contrari (oltre alla Russia, anche Bielorussia, Eritra, Siria e Corea del Nord). Tra gli astenuti anche Cina e India, un segnale che, a differenza di quanto previsto dal Cremlino, gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente.

    Il numero di profughi dall’Ucraina ha raggiunto il milioni e l’Unione si prepara a dare assistenza a tutti quelli che stanno arrivando alle sue frontiere: “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin è un dovere morale”

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    La cyber guerra

    Da anni ormai i conflitti conoscono un nuovo campo di battaglia, quello informatico: fra i confini, da attaccare o difendere, sempre più spesso, rientra anche quello della cyber sfera e il recente attacco della Russia all’Ucraina non fa eccezione.
    Ma cosa si intende per cyberguerra e in che modo agisce? Il termine si riferisce all’utilizzo di attacchi elettronici per compromettere l’infrastruttura informatica di un avversario, danneggiandone l’economia e diffondendo un senso di insicurezza e vulnerabilità tra la popolazione. Non è un mistero che la Russia, più di altri Stati, abbia sempre usato la minaccia informatica per determinare e difendere il suo potere, e sicuramente, meglio di altri paesi, è riuscita a integrare il cyberspazio nella sua dottrina della “guerra ibrida”. Questo ovviamente è stato possibile anche grazie a una legislazione ambigua in materia e all’assenza di organi di controllo specifici riconosciuti.
    Quello che sorprende nell’analizzare il conflitto in atto, sotto la lente della cybersicurezza,  è il numero di gruppi che si stanno posizionando su una o sull’altra fazione. Secondo alcuni media che in queste ore stanno osservando la situazione, nel conflitto russo-ucraino ci sono due fazioni compatte: hacker russi di varia natura e affiliazione (con un ruolo predominante dell’intelligence militare), hacker bielorussi di regime, gruppi cybercriminali di matrice russa da un lato e  hacker ucraini e patriottici, cyberpartigiani bielorussi anti-Lukashenko, pezzi di hacktivism come Anonymous e GhostSec, dall’altro. In particolare, le cronache si sono concentrate sugli hacker russi del gruppo di Sandworm, a favore del Governo di Putin, e su quelli internazionali di Anonymous, apertamente a sostegno dell’Ucraina.
    La minaccia informatica è così importante per leggere questo conflitto nella sua complessità che l’inizio delle ostilità è stato preceduto da un azzeramento delle telecomunicazioni all’interno dell’Ucraina, mentre la presa di posizione di Anonymous con il conseguente blocco di siti strategici essenziali per la Russia – dal Cremlino alla Difesa, dall’agenzia spaziale agli organi di stampa – è la dimostrazione del potere che questi “cyber eserciti” possono esercitare all’interno delle politiche nazionali e sociali.
    Insomma, che il conflitto si combatta anche in rete è un’evidenza, non a caso dopo circa 24 ore dall’inizio della guerra il governo ucraino ha iniziato a reclutare volontari della comunità tech e hacker del Paese, ma anche dall’estero. La richiesta è stata non solo quella di contribuire a proteggere i sistemi nazionali, ma anche quella di condurre azioni contro i russi.
    Ma quali sono gli  attacchi informatici che vengono usati per combattere questa guerra digitale?  Uno di questi è il Distributed Denial of Service (DDos), una minaccia informatica tanto semplice da realizzare quanto efficace, poiché è in grado di mettere al tappeto un sito, un’azienda o intere infrastrutture critiche. Il DDos consiste nell’aumentare artificialmente il traffico verso un determinato sito, sovraccaricando il server e rendendolo così non accessibile agli utenti. Si è consumato così l’attacco del 23 febbraio scorso, diretto contro i siti del ministero ucraino degli Esteri, della Presidenza del consiglio dei ministri e del Parlamento. Simile a questo esiste anche il Telephone Denial Of service (TDos) un attacco informatico che, usando la medesima tecnica di mettere sotto pressione le linee telefoniche, è capace di interrompere le comunicazioni di una determinata area. Non mancano all’appello l’utilizzo di ransomware e phishing. I primi sono virus che possono bloccare l’accesso a un dispositivo o a un server richiedendo alle vittime di pagare un riscatto, mentre i secondi sono attacchi hacker in grado di sottrarre informazioni riservate. Interessante in questo senso l’annuncio di sostegno alla Russia lanciato via web dal team Conti – che usando l’omonimo ransomware ha fatto non pochi danni a enti pubblici, aziende sanitarie e imprese, anche in Italia. L’adesione non è certo stata una sorpresa visto che alcuni dei suoi componenti sarebbero basati in Russia e sembrerebbero collegati all’apparato di intelligence del Cremlino.
    Ma la domanda che ora tutti si pongono è se questo aspetto del conflitto potrà coinvolgere gli stati vicini. Italia compresa.
    Nicola Mugnato è co-founder di Gyala, startup che produce prodotti di cyber sicurezza

    Da anni ormai i conflitti conoscono un nuovo campo di battaglia, quello informatico: fra i confini, da attaccare o difendere, sempre più spesso, rientra anche questo e il recente attacco della Russia all’Ucraina non fa eccezione

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    Stretta su potassio, acciaio e combustibili: nuove sanzioni UE contro la Bielorussia per la guerra russa in Ucraina

    Bruxelles – Di fronte a una Bielorussia sempre più ostile e allineata alla Russia di Vladimir Putin, l’UE appesantisce le sanzioni economiche contro il regime di Alexander Lukashenko. La nuova stretta è stata approvata dal Consiglio dell’UE all’interno del terzo pacchetto di misure restrittive, che comprende il blocco della propaganda e della disinformazione russa e la disconessione di sette banche dal circuito di pagamenti internazionale Swift.
    A scatenare le sanzioni UE sono state le azioni di supporto, favoreggiamento e poi di partecipazione militare della Bielorussia di Lukashenko nell’invasione russa dell’Ucraina, a scapito anche del tradizionale status di Paese non-nucleare. Il sostegno bielorusso permette al Cremlino di sparare missili balistici sul territorio ucraino dal fronte nord, oltre al trasporto di soldati, armi pesanti, carri armati e convogli militari, e a fornire punti di rifornimento e di equipaggiamento per l’areonautica russa. “Il coinvolgimento della Bielorussia avrà un prezzo elevato“, ha tuonato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Con queste misure stiamo prendendo di mira coloro che collaborano in questi attacchi contro l’Ucraina, limitando il commercio in una serie di settori-chiave”.
    La base di partenza delle sanzioni UE è il pacchetto approvato nel maggio dello scorso anno – per motivi diversi, ma in qualche modo ancora attuali, cioè la violazione del diritto internazionale – che avevano già colpito il settore dei prodotti petroliferi, del cloruro di potassio, del tabacco e delle tecnologie civili e militari. Oltre a questi, a cui è stata data un’ulteriore stretta, il Consiglio dell’UE ha messo nel mirino anche il commercio di beni utilizzati per la produzione di sostanze bituminose e prodotti di idrocarburi gassosi, di legno, di cemento, di ferro e acciaio e di gomma. La nota del Consiglio precisa che “sono state inoltre imposte ulteriori restrizioni alle esportazioni di tecnologie avanzate che potrebbero contribuire allo sviluppo militare, tecnologico, della difesa e della sicurezza della Bielorussia”.
    A 22 membri “di alto rango del personale militare bielorusso” sono state imposte misure restrittive, “in considerazione del loro ruolo nei processi decisionali e di pianificazione strategica”. Questo significa che saranno congelati i loro beni nell’UE, sarà vietato mettere a loro disposizione fondi e subiranno un divieto di viaggio e di transito sul territorio comunitario. Tra Russia e Bielorussia, la lista dei sanzionati per l’aggressione dell’Ucraina conta ora 702 individui e 53 entità, Putin e Lukashenko compresi.
    Non bisogna però dimenticare che “Lukashenko non è la Bielorussia”, come Putin non è la Russia. Lo scrive in un appello indirizzato ai giornalisti italiani la presidente legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya. “I bielorussi sono contrari alla guerra, non dovrebbero assumersi la responsabilità dei crimini di Lukashenko”, si legge nella lettera, che chiede ai suoi cittadini di protestare e ai soldati di “non andare in Ucraina”. In un momento “drammatico”, l’Italia è invece invitata a mostrarsi solidale con il popolo bielorusso, oltre a quello ucraino: “So che alcuni potrebbero provare pregiudizi, ma per favore non fatevi ingannare“. Giornalisti, difensori dei diritti umani, medici e atleti che vivono nel nostro Paese “stanno con l’Ucraina” e anche questo va ricordato quando si condannano i regimi dittatoriali.

    Il Consiglio dell’UE ha incluso nel pacchetto di misure restrittive 22 responsabili del supporto bielorusso all’esercito russo e del coinvolgimento militare: colpiti nuovamente i settori-chiave dell’economia nazionale

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    Cosa ci mostra della strategia di Putin l’articolo (pubblicato per errore?) sulla vittoria russa in Ucraina

    Bruxelles – La risoluzione della questione Ucraina. È questo il titolo di un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa russa RIA Novosti che ha fatto scalpore per due ragioni. La prima, la più immediata: l’articolo che celebra la vittoria russa nella guerra in Ucraina è datato 26 febbraio, giorno nel quale è uscito, cioè due giorni dopo l’inizio dell’invasione del Paese da parte dell’esercito di Vladimir Putin. Si è trattato (apparentemente) di un errore di pubblicazione, da cui si può dedurre quanto la disinformazione e la propaganda di regime pervadano i media statali russi, visto che con l’invasione ancora in atto venivano tratteggiati a tavolino la strategia vincente del Cremlino e il nuovo ordine dell’Est Europa. Ma è il secondo aspetto quello più rilevante: il contenuto, ancora consultabile nell’archivio online dell’agenzia, che offre una panoramica abbastanza netta della strategia di Putin. O di quello che vuole far sapere (e non sapere) al mondo l’uomo forte di Mosca.
    Come evidenziato da Thomas de Waal, analista del think tank Carnagie Europe, quello che si sviluppa nell’articolo sulla vittoria russa (anticipata) in Ucraina è a tutti gli effetti un pensiero neo-imperialista. L’operazione russa viene identificata come “una sconfitta per il progetto dell’Occidente di sottomettere la Russia”, che fa partire “una nuova era” nel portare l’unità dei popoli slavi dell’Est, cioè Russia, Ucraina e Bielorussia. Il passaggio in cui si chiarisce al meglio questo concetto afferma che “la tragedia del 1991, quella terribile catastrofe della nostra storia, quell’aberrazione innaturale, è stata superata”.
    Anche se tra il 2014 e il 2022 si è verificata – con diverse intensità – una guerra civile, “ora non ci sarà più un’Ucraina anti-Russia“. Questo tipo di analisi era stata rifiutata dalla fine dell’URSS nel 1991, ma è tornato in auge sotto governi e presidenze Putin, in particolare dopo l’invasione della Crimea otto anni fa. L’uomo forte di Mosca si sarebbe preso “una responsabilità storica, decidendo di non lasciare la risoluzione della questione ucraina alle generazioni future“. Una maniera edulcorata per sostenere l’inammissibilità dell’autodeterminazione degli ucraini e il rispetto di ogni principio di sovranità statale secondo il diritto internazionale. Si fa esplicito riferimento a un “complesso di umiliazione nazionale“, la cui unica soluzione risiede nel “liquidare, ristrutturare, ristabilire e restituire la statualità ucraina al mondo russo”.
    Spostando poi l’attenzione sull’Occidente, l’articolo sulla vittoria russa denuncia l’intenzione delle potenze europee – Francia e Germania in particolare – di “scommettere sul crollo” di Mosca per “mantenere l’Ucraina nella sfera d’influenza dell’Europa”. Con toni quasi apocalittici (“in un grande scontro geopolitico”), il destino di Mosca sarebbe senza dubbio apparente la sopravvivenza, “non importa la quantità di pressione occidentale”. Uno scenario quantomeno ottimistico, considerate le successive – ma non previste dall’autore dell’articolo – evoluzioni nella risposta occidentale e nel quasi totale isolamento internazionale della Russia. Ma risulta completamente infondata l’analisi stessa sulle divisioni interne al mondo occidentale: “Francia e Germania sono fondamentalmente diverse dagli anglosassoni, Regno Unito e Stati Uniti, che stanno cercando di affermare l’egemonia anche su di loro”. A dire il vero, con la guerra in Ucraina, tutto l’Occidente, dentro e fuori l’Europa, si è riscoperto unito come forse mai prima d’ora.
    Per non parlare del “completo disinteresse degli europei a costruire una nuova cortina di ferro sui loro confini orientali”. Se c’è una cosa che si è capita in questa settimana di invasione russa dell’Ucraina, è proprio che l’Unione Europea si è praticamente rivoluzionata per sostenere in tutti i modi la resistenza di Kiev. Si conclude con un’analisi geopolitica di ampio respiro, che inquadra questo conflitto in “una risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, un recupero del nostro spazio storico e nel mondo”. In nessun modo una violazione del diritto internazionale. Tutto il resto del mondo – dalla Cina all’India, dall’America Latina all’Africa, fino al mondo islamico e il sud-est asiatico – “non crede che l’Occidente guidi l’ordine mondiale”, con la Russia che “ha dimostrato che l’era del dominio globale occidentale può essere considerata pienamente e definitivamente finita“. Se Cina e India rimangono ancora ambigue nella condanna, per tornaconti geostrategici (e forse in pochi sperano davvero che isolino la Russia), non si vedono nemmeno segni di appoggio esterno all’invasione dell’Ucraina.
    Non c’è nulla da salvare in questo articolo propagandistico sulla vittoria russa in Ucraina, pubblicato prima del tempo e con molti dubbi sull’accidentalità del gesto. Ma si può avere un primo sguardo parziale sul pensiero dell’uomo che dal Cremlino sta guidando un’aggressione militare senza pretesti contro un Paese indipendente e sovrano. “Non lo farà mai, non si addice a Vladimir Putin”, ha scritto in un tweet il corrispondente della BBC da Mosca, Steve Rosenberg. Ora sappiamo però cosa avrebbe voluto fare e cosa con tutta probabilità farà se la resistenza ucraina dovesse soccombere.

    A due giorni dall’inizio dell’invasione e dei bombardamenti di Kiev, un articolo dell’agenzia russa RIA Novosti già celebrava la conquista del Paese e il nuovo ordine nell’Est Europa. È ancora consultabile e offre un’analisi del conflitto in atto