More stories

  • in

    L’Unione sempre più determinata contro Mosca: “Intensificheremo la fornitura di armi a Kiev”

    Bruxelles – In attesa di una soluzione sulla non semplice questione energetica, avanti con il sostegno militare dell’UE all’Ucraina. Su questo i Ventisette sembrano avere non solo idee chiare, ma pure unità di intenti. “Insieme come UE, come amici dell’Ucraina, in futuro intensificheremo la fornitura di armi” a Kiev per rispondere all’aggressione russa. La linea viene espressa da Annalena Baerbock, ministra degli Esteri della Germania che sul tema ‘brucia’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.
    La tedesca non attende la conferenza stampa di fine lavori di Borrell, parla lasciando Lussemburgo e anticipa i contenuti della riunione. Un modo di fare che riaccende anche il dibattito su una politica estera comune ancora tutta da costruire e getta ombre sul ruolo oggi ricoperto da Borrell. Che conferma lo slancio dell’UE in questo senso. “Sono stati messi a disposizione 1,5 miliardi di euro solo attraverso fondi europei” per rifornire l’Ucraina di ciò che serve per contrastare le operazioni militari dell’armata russa. “A questo si aggiungono i contributi nazionali a titolo personale, e quindi la cifra è molto più grossa”, anche se ammette di non averla sotto mano. “Se quanto messo sul piatto non dovesse essere sufficiente, ne riparleremo” con l’obiettivo di incrementare gli aiuti. “Per non entrare in guerra la sola cosa da fare è rifornire l’Ucraina di ciò di cui ha bisogno“, sottolinea poi.
    L’Alto rappresentante riassume quello che è il sentimento e la presa d’atto comune. “Si tratta di una guerra”. Quello che sta avvenendo in Ucraina “ha più dimensioni, inclusa quella militare”, con cui occorre fare i conti e l’Europa ritiene che la intensificare la fornitura di armi sia la via obbligata.

    🇮🇹🇪🇺| Intervista della Vice Ministra @MarinaSereni a @RaiNews a margine dei lavori del Consiglio affari esteri #CAE odierno a #Lussemburgo pic.twitter.com/tcwhTtt0Lm
    — Italy 🇮🇹 in EU (@ItalyinEU) April 11, 2022

    La rotta è tracciata, e anche l’Italia la sposa. “Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina, anche militarmente“, chiarisce la vice-ministra degli Esteri italiana, Marina Sereni. L’obiettivo di questo rinnovato sostegno militare intende costringere Mosca a cessare le ostilità e sedersi al tavolo negoziale “con una atteggiamento genuino e costruttivo”.

    L’accordo raggiunto dai ministri degli Esteri nella riunione di Lussemburgo. L’annuncio della Germania, che anticipa l’Alto rappresentante Borrell. Anche l’Italia favorevole

  • in

    L’UE studia il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, sul tavolo l’embargo sul petrolio russo

    Bruxelles – C’è l’ipotesi embargo sul petrolio russo nelle discussioni in corso sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina a cui lavora la Commissione Europea. “Stiamo guardando il settore del petrolio per capire come includere anche quello nel prossimo pacchetto di sanzioni”, ha confermato la portavoce della Commissione UE, Dana Spinant, lunedì 11 aprile nel briefing quotidiano con la stampa, richiamando le parole della presidente Ursula von der Leyen pronunciate in conferenza stampa venerdì al termine dell’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che hanno fatto cenno al fatto che un sesto pacchetto di sanzioni è in cantiere, “se la Russia non dovesse porre fine alle ostilità”.
    Bruxelles conferma la necessità di un approccio graduale alle nuove misure restrittive contro Mosca. Venerdì l’UE ha varato il quinto pacchetto di sanzioni andando a colpire per la prima volta le entrate della Russia sul carbone, per un valore di circa 8 miliardi di euro l’anno (con i dati del 2021). La strategia con cui l’UE lavora su nuove sanzioni è quella di individuare in che modo andare a colpire l’economia russa, senza danneggiare troppo la propria. Il 27% circa del petrolio europeo è importato dalla Russia.

    Anche se non formalmente in agenda, il tema embargo sul petrolio russo è sul tavolo anche al Consiglio Affari Esteri in corso lunedì a Lussemburgo, come hanno confermato diversi ministri europei all’arrivo alla riunione. Per ora non c’è ancora un accordo a livello europeo per vietare le importazioni di petrolio greggio da Mosca, ma buona parte dei governi è favorevole a incrementare le sanzioni. “L’Unione europea sta spendendo centinaia di milioni di euro per importare petrolio dalla Russia, il che sta sicuramente contribuendo a finanziare questa guerra”, ha detto il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney, confermando che si sta lavorando per garantire che il petrolio faccia parte del prossimo pacchetto di sanzioni.
    Favorevoli a questa ipotesi anche gli omologhi olandese, ceco e lituano che si sono detti aperti a incrementare il regime di sanzioni per mettere pressione sulla Russia. In arrivo al Consiglio questa mattina l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha confermato la posizione della Commissione UE secondo cui un embargo sul petrolio dell’UE dovrà arrivare “prima o poi”, sostenendo la posizione già assunta dalla presidente von der Leyen di fronte all’Eurocamera riunita in plenaria la scorsa settimana. Gli eurodeputati, in una risoluzione non vincolante, hanno chiesto ai leader dell’UE di alzare il tiro sulle sanzioni, proponendo un embargo totale e immediato su tutte le importazioni energetiche, gas, nucleare, petrolio, non solo il carbone.
    Ago della bilancia sarà la posizione che assumerà la Germania, tra i Paesi europei che frenano di più sull’embargo energetico totale da Mosca perché fortemente dipendente. La dipendenza energetica da Mosca varia molto da Paese a Paese in UE, anche l’Ungheria – che già aveva mostrato una certa resistenza sull’embargo sul carbone – ha fatto sapere di essere molto cauta sull’embargo sul petrolio russo, e di non poterlo sostenere. La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock in arrivo Lussemburgo ha espresso la necessità di un “piano coordinato per eliminare completamente i combustibili fossili” dalla Russia, anche se Berlino sta cercando di mantenere un approccio più possibile graduale sulle sanzioni. E così anche l’UE.

    L’Esecutivo europeo lavora sul nuovo regime di sanzioni contro Putin per l’aggressione all’Ucraina, mentre i governi europei al Consiglio Esteri di Lussemburgo cercano un consenso sul bando delle importazioni sul greggio russo

  • in

    La Corte penale internazionale dell’Aia annuncia un portale per denunciare i crimini in Ucraina

    Bruxelles – La Corte penale internazionale (CPI) ha annunciato l’apertura di un portale ad hoc, dedicato a chiunque possa avere informazioni rilevanti sui crimini di guerra perpetrati in Ucraina. Lo ha reso noto il procuratore capo Kharim Khan, in seguito all’apertura (il 2 marzo) dell’indagine (IC-01/22) sui crimini commessi nel Paese dal 21 novembre 2013.
    “Sono soprattutto i testimoni, i sopravvissuti e le comunità colpite a dover essere messi nelle condizioni di contribuire attivamente alle nostre indagini”, sostiene Khan nel comunicato stampa. Aggiunge: “Non possono esserci spettatori negli nostri sforzi per stabilire la verità e perseguire i responsabili dei crimini internazionali”. Le prove che sta raccogliendo dalla Corte dell’Aia coprono un lasso di tempo che va dalle violenze avvenute durante le manifestazioni pro-europee osteggiate con violenza dall’allora amministrazione filo-russa chiamate Euromaidan (21 novembre 2013) agli ultimi eventi dopo l’aggressione russa.
    Il nuovo canale si pone l’obiettivo di creare un contatto diretto con gli investigatori della CPI. Si procede compilando un modulo identificativo, per poi essere (eventualmente) ricontattati per fornire delle prove o fare un breve colloquio. È possibile mantenere l’anonimato, per quanto, in questo caso, le informazioni diventano “più difficili da usare nei procedimenti giudiziari”, come riporta il portale.
    La Missione consultiva dell’Unione Europea (EUAM), che era in Ucraina prima della guerra, verrà ora utilizzata per cooperare e “per garantire l’indagine (della Corte, ndr) e la raccolta delle prove sul campo”, come ha affermato l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, nella conferenza stampa dopo il Consiglio degli affari esteri di oggi (11 aprile). La Missione è nel Paese dalla fine del 2014, con l’obiettivo di sostenere l’Ucraina nello sviluppo di servizi di sicurezza che rafforzino lo stato di diritto. “Sosterremo i procuratori sia finanziariamente che con il nostro team”, ha sottolineato Borrell.
    Già negli scorsi giorni le autorità ucraine avevano istituito un archivio online proprio allo scopo di documentare i crimini di guerra russi. Il sito, in inglese, riporta materiale fotografico e singole storie, riferibili a violazioni delle Convenzioni di Ginevra, una serie di trattati internazionali nati per tutelare le associazioni umanitarie e i civili in caso di guerra. Uno dei “capitoli” dell’archivio cita l’articolo 3, della IV Convenzione: “Le persone che non prendono parte attiva alle ostilità dovranno, in ogni circostanza, essere trattate umanamente”. Un altro, il divieto di torturare o prendere ostaggi (articoli 32 e 34 della IV Convenzione), un altro ancora, quello di deportare individui o gruppi di persone (art. 49).
    “Le prove raccolte delle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia”, aveva dichiarato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nel tweet che annunciava la nascita dell’archivio.

    We have created an online archive to document Russia’s war crimes.
    The evidence gathered of atrocities committed by the Russian army in Ukraine will ensure that these war criminals cannot escape justice.
    Visit the archive here and share it far and wide: https://t.co/jTqLXYGO5U pic.twitter.com/76e6TEssK5
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 9, 2022

    Negli scorsi giorni le autorità di Kiev avevano istituito un archivio online proprio per documentare le violazioni russe dei trattati internazionali

  • in

    Non solo l’Ucraina. La Commissione ha consegnato i questionari per l’adesione UE anche a Georgia e Moldova

    Bruxelles – Seguendo lo stesso ritmo trainante dell’Ucraina, continua senza sosta anche per altri due Paesi il processo di adesione all’UE: Georgia e Repubblica di Moldova hanno ricevuto oggi (lunedì 11 aprile) i rispettivi questionari di adesione che serviranno alla Commissione Europea per formulare il proprio parere formale sulle rispettive domande. Nessuna bandiera stampata sopra le buste – come era successo venerdì (8 aprile) durante l’incontro a Kiev tra la presidente Ursula von der Leyen e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky – ma la sostanza non cambia: il questionario fa parte della procedura avviata lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare l’esecutivo comunitario a trasmettere la propria posizione ai leader UE.
    “Questo è il primo passo del vostro cammino europeo, siamo pronti a lavorare con voi molto velocemente per consegnare il parere al Consiglio Europeo come richiesto”, ha precisato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, consegnando le due buste ai ministri degli Esteri moldavo, Nicu Popescu, e georgiano, Ilia Darchiashvili, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo. “Eccolo: una serie di 369 domande a cui la Moldova deve rispondere sulla sua disponibilità a entrare nell’UE”, ha commentato su Twitter il ministro moldavo, ribadendo la volontà del Paese di “lavorare più velocemente e più duramente” sulla strada verso l’adesione all’UE. Un impegno condiviso anche dal titolare degli Esteri georgiano, che ha confermato che “non risparmieremo sforzi per compilare tempestivamente il documento e procedere alle fasi successive”.

    By receiving the questionnaire, we have made another major step forward on the path of our people’s national choice – 🇪🇺 integration! Many thanks, Commissioner @OliverVarhelyi.🇬🇪 will spare no efforts to timely fill in the document and proceed to the next stages! pic.twitter.com/XL7Kpy4YEL
    — Ilia Darchiashvili (@iliadarch) April 11, 2022

    Le richieste di adesione all’UE da parte di Georgia e Moldova erano arrivate entrambe il 3 marzo, a una settimana dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. La decisione è stata una netta reazione di Tbilisi e Chișinău contro il disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto ai danni non solo della sovranità di Kiev, ma anche dei due Paesi vicini: Ucraina, Georgia e Moldova si vedono ormai proiettati in un’ottica UE, contro la minaccia russa e per l’integrazione in un’Unione che si sta dimostrando aperta almeno a iniziare con decisione un nuovo processo di allargamento.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare Paesi membri dell’UE Ucraina, Moldova e Georgia dovranno superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Si arriva così alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.

    Come successo durante la visita della presidente von der Leyen a Kiev, è stato intrapreso un nuovo passo nel processo di elaborazione del parere formale della Commissione UE sulla domanda dei due Paesi. Il commissario Várhelyi: “Siamo pronti a lavorare molto velocemente”

  • in

    Via Crucis del Papa, nella stazione della morte di Cristo la croce portata da famiglie russa e ucraina

    Città del Vaticano – La pace tra Russia e Ucraina, simbolicamente, si fa all’ombra del Colosseo. Si fa venerdì notte, nella via Crucis di Papa Francesco, che ha scelto di far portare la Croce nella tredicesima stazione della Passione, la morte di Cristo, a una famiglia russa e a una ucraina. Un gesto che spiega meglio le parole pronunciate ieri dal Pontefice: “Nella follia della guerra, si torna a crocifiggere Cristo. Ancora una volta inchiodato alla Croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli”.
    “La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi”, si legge nelle meditazioni della stazione. I testi, affidati a diverse famiglie, descrivono in questo tratto i frutti della guerra: “L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno. Tutto perde improvvisamente valore”. Chiedono a Dio, mentre le lacrime finiscono e la rabbia cresce “Dove ti sei nascosto?”, lo invocano perché parli “nel silenzio della morte e della divisione”, insegnando “a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
    Ieri mattina, nel giorno della Domenica delle Palme, per la terza volta il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha raggiunto Kiev, dove Giovedì Santo, a nome del Papa, consegnerà una seconda ambulanza, a ricordare il gesto della Lavanda dei Piedi compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena. “Papa Francesco desidera chinarsi davanti agli uomini e alle donne dell’Ucraina ferita dalla guerra e testimoniare la sua vicinanza”, ha spiegato il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Quando una persona ferita, ammalata o in difficoltà, verrà portata sull’ambulanza, potrà sentire l’abbraccio e la consolazione del Papa, che vuole lavare e baciare i piedi di quei fratelli e di quelle sorelle che subiscono l’ingiusta violenza della guerra”, ha scandito.
    Solo qualche giorno fa, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, è tornato a ripetere che è necessario “fare di tutto per evitare una escalation” di violenze e non ha escluso l’ipotesi di un viaggio del Papa a Kiev, ipotesi che lo stesso Francesco ha detto essere sul tavolo. “Non è proibitivo un viaggio, si può fare. Si tratta di vedere quali conseguenze avrebbe questo viaggio, valutare se davvero può contribuire alla fine della guerra”, ha aggiunto. Il punto è dunque capire come verrebbe interpretata in Russia la presenza del Pontefice in Ucraina, soprattutto dal patriarcato di Mosca. Parolin ha confermato che “era stata già avviata una certa programmazione” per realizzare un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill, dopo quello del 12 febbraio 2016 a Cuba. “Da quanto ho capito, si continua in questa preparazione”, ha detto a Vatican News, spiegando che la ricerca al momento “è di un terreno neutro”. 

    L’elemosiniere del Papa a Kiev per portare una seconda ambulanza nel Paese martoriato dalla guerra

  • in

    A Kiev von der Leyen indica la strada UE all’Ucraina: “Vi consegno il questionario per l’adesione, lavoriamoci insieme”

    Bruxelles – Procede a gonfie vele il processo di adesione dell’Ucraina all’UE. Con un gesto più che mai simbolico, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, una busta con stampate le due bandiere gialle e blu dell’UE (il cerchio di 12 stelle) e dell’Ucraina (a bande orizzontali) con dentro un plico di documenti: “È il questionario per l’adesione all’Unione, andrà compilato e poi si dovrà fare la raccomandazione al Consiglio”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario.
    Dopo la visita ai luoghi del massacro di Bucha, la presidente von der Leyen è arrivata a Kiev insieme all’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Slovacchia, Eduard Heger (a proposito di leader, domani si recherà nella capitale ucraina il cancelliere austriaco, Karl Nehammer). A Kiev ha incontrato il presidente Zelensky, a cui ha spiegato che “siamo qui per darvi una prima risposta positiva, in questa busta c’è l’inizio del vostro percorso verso l’UE”. L’esecutivo comunitario è pronto a “lavorare con voi 24 ore su 24, sette giorni su sette”, ha assicurato von der Leyen: “Se lavoreremo insieme, non sarà come al solito questione di anni, ma di settimane“. Entusiasta il leader ucraino: “Lo compileremo in una settimana”.

    Президент України Володимир Зеленський розпочав зустріч із Президентом Європейської комісії @vonderleyen та Високим представником Європейського Союзу із закордонних справ та політики безпеки @JosepBorrellF, які прибули з візитом до нашої країни. pic.twitter.com/uYuqYuIzP6
    — Офіс Президента (@APUkraine) April 8, 2022

    Come specificano fonti europee, il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione di un Paese extra-UE – l’Ucraina in questo caso – e sembra comunque difficile che questa fase possa davvero concludersi nel giro di qualche settimana. È più verosimile fare riferimento alla promessa fatta a metà marzo dalla stessa presidente von der Leyen a Zelensky, che aveva parlato di “pochi mesi” per la valutazione e la trasmissione del parere formale al Consiglio. Quanto affermato oggi a Kiev dalla numero uno dell’esecutivo comunitario si inserisce nel tentativo di veicolare un forte messaggio di speranza e di solidarietà a un popolo bombardato dall’esercito russo da più di sei settimane.
    Il processo di adesione UE dell’Ucraina si è messo in moto lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare la Commissione Europea a presentare il proprio parere. La domanda formale di Kiev era stata inoltrata a Bruxelles il 28 febbraio, a soli quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa del Paese, con la richiesta di una “procedura speciale accelerata“. La prospettiva europea dell’Ucraina ha ricevuto l’endorsement prima del Parlamento Europeo il primo marzo e poi del vertice dei leader UE dell’11 marzo a Versailles.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare un Paese membro dell’UE l’Ucraina deve superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Dopodiché si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione del Paese. A riceverla, il presidente ucraino Zelensky: “La compileremo in una settimana”

  • in

    Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo

    Bruxelles – Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo ai principali prodotti energetici di cui l’Unione europea è fortemente dipendente. In occasione della riunione dei 27 ministri degli Esteri di lunedì (11 aprile) il tema “non sarà sul tavolo”, fanno sapere fonti UE, nonostante il voto dell’Europarlamento che solleva il tema e nonostante la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, abbia espressamente detto proprio in Aula che dopo le misure contro il carbone al centro del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina è ora tempo di iniziare a ragionare sul petrolio.
    Eppure l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, nell’agenda dei lavori che pure prevede la questione ucraina tra i temi di confronto, ha deciso di non inserire la discussione di una stretta sugli acquisti di gas e petrolio. Una scelta per certi versi a sorpresa, che però non sorprende del tutto. Tra i Ventisette c’è chi dipende in maniera molto più forte di altri dalle risorse fornite da Mosca e dalle sue controllate. E’ soprattutto il quadrante orientale – Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria – ad essere più esposto, e quindi colpita, da un eventuale stop agli acquisti. “Su gas e petrolio servirà comunque l’unanimità, tra Paesi che hanno dipendenze energetiche diverse“, riconoscono le stesse fonti, che non nascondono la complessità delle decisioni da prendere e la delicatezza del tema. “Ci sono difficoltà tecniche e politiche” sull’argomento. Dunque, meglio non parlarne, per evitare spaccature e tensioni che possano offrire l’immagine di un’Europa fin qui unita e decisa nella risposta all’invasione della Russia.
    Si gioca la carta delle tempistiche per giustificare la scelta di tenere fuori sul tavolo le questioni di gas e petrolio. “E’ stato appena approvato un quinto pacchetto di sanzioni, molto sostanzioso”. Troppo presto, in sostanza, per iniziare a ragionare su un sesto set di misure restrittive”. Però il senso di necessità di intervento è avvertito, come l’irritazione per chi ancora punta i piedi. “E’ un fatto che i Paesi che pagano per petrolio e gas russo danno forza economica a Putin“, si ragiona a denti stretti tra gli addetti ai lavori.
    Sarebbe nell’interesse di Borrell e dell’Unione un’accelerazione sull’argomento, ma certo è che bisogna tenere conto della fattibilità della cosa. Le ripercussioni economiche potrebbero essere di forte entità, specie tra i membri del club a dodici stelle che maggiormente hanno bisogno dell’energia russa per il proprio sistema produttivo. Ad ogni modo “trattandosi di un dibattito politico, non escludiamo che qualcuno possa sollevare il tema” durante i lavori di lunedì.
    Se il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo al petrolio e al gas di Russia, emerge l’eventualità che il punto sarà discusso in via informale. A ben vedere questa potrebbe essere la soluzione migliore per evitare imbarazzi in caso di divergenze di vedute, su un tema ufficialmente non all’ordine del giorno e per cui, proprio per questo, non sono attese conclusioni. La parola ai ministri. A Bruxelles comunque ribadiscono: “Non se ne parlerà”. Non ufficialmente, almeno.

    Nell’agenda dei lavori non risulta il punto. “Non sarà sul tavolo”, confermano fonti. Possibile un dibattito su richiesta, a questo punto informale, su un argomento divisivo

  • in

    Come un assenso fatto di silenzio ha reso possibile Bucha

    Pubblichiamo, tradotto da noi, questo intervento di Andrei Kolesnikov uscito sul sito di Carnegie in inglese. 
    La conoscenza di ciò che era accaduto ad Auschwitz fu un campanello d’allarme per il pubblico tedesco del dopoguerra, che non aveva voluto saperne nulla mentre la guerra era in corso. Dal 24 febbraio anche il pubblico russo si è rifiutato di sapere qualcosa, barricandosi dal mondo dietro la lettera Z – che in Russia è diventata un simbolo della guerra – come un crocifisso che potrebbe scongiurare il male.
    Non c’è certezza che la conoscenza di ciò che sta accadendo nelle città ucraine di Mariupol e Bucha sarà un campanello d’allarme per i russi che li costringerà a pensare alla pace in termini di pentimento. Nonostante l’affermazione di Theodor Adorno secondo cui dopo Auschwitz scrivere poesie era diventato impossibile, dopo Auschwitz e i massacri di ebrei di Babi Yar da parte dei nazisti in Ucraina, è stata scritta molta buona poesia. Dopo il bombardamento di Guernica da parte della Legione Condor della Germania nazista nel 1937, Picasso ha prodotto il suo dipinto iconico con lo stesso nome. Dopo Mariupol, i talk show sui canali della TV di stato russa continuano a vomitare odio in tutto il resto del mondo.
    ANDREI KOLESNIKOV
    La tragedia di una nazione che ha rivendicato a priori l’ideologia del putinismo è che in Russia non ci sarà nessuno a pentirsi per Mariupol. Lo storicismo del putinismo, il suo focus ideologico sul passato e sull’imbiancare le pagine più oscure della storia del Paese, conosce solo eroi, non vittime. Di conseguenza, il culto della vittoria della Russia nella seconda guerra mondiale non si è trasformato in una lezione su come evitare la guerra, ma in un culto della guerra stessa. Le lezioni della storia sono state distorte, capovolte, degradate e trasformate in agitprop.
    L’ideologia putinista è del tutto priva di qualsiasi contenuto positivo. Non ha obiettivi positivi o un’immagine del futuro desiderato. L’intera identità dei putinisti si basa su qualcosa di negativo, e il militarismo ne è una parte importante. Sotto questo tipo di ideologia, un eroe non è Yury Gagarin, il primo uomo nello spazio, ma un delinquente senza nome chiamato “Motorola”, il combattente russo del Donbas. Qualcuno che, invece di aprire la strada a un futuro umanistico, ci ha riportato in un passato arcaico, completo di trincee, sangue, pidocchi e omicidi.
    Uccisioni e violenze vengono eroicizzate. Le principali istituzioni ch normalmente richiamano la fiducia stanno diventando istituzioni di violenza: l’esercito e la polizia segreta dell’FSB. E tutto questo è benedetto dalla Chiesa ortodossa russa ufficiale. Se in epoca sovietica la distruzione per il bene di obiettivi elevati era sanzionata dal dipartimento della propaganda del comitato centrale del Partito Comunista, ora lo fa la Chiesa.
    Un’ideologia che coinvolge l’idea di una nazione russa unificata che includa anche gli ucraini ha ucciso quell’idea, avendo creato un’identità negativa per gli ucraini. Dopo Bucha e Mariupol, non ci potrà mai più essere una nazione unificata. E i russi porteranno lo stigma di coloro che hanno permesso al putinismo di realizzarsi e che lo hanno sostenuto.
    IL SILENZIO COME COMPLICITÀ
    Ora si pone la questione della colpa e della responsabilità, inclusa la colpa collettiva e la responsabilità per quanto accaduto tra Ucraina e Russia. Per il fatto che la Russia è stata ricacciata nello stesso stato morale degli anni più repressivi e paranoici del terrore stalinista, quando denunciare un’altra persona era considerata una virtù e un dovere, quando il nero era bianco. Per il fatto che la Russia sta attraversando una catastrofe antropologica.
    I normali sentimenti per un normale cittadino della Federazione Russa, non un soggetto di Vladimir Putin, sono un terribile inferno interiore di orrore e vergogna. Vergogna per quello che ha fatto Putin, e per la testarda ostinazione con cui molti dei nostri connazionali lo sostengono, profanando così il concetto stesso di patriottismo. La maggioranza, guidata dallo squadrone della morte femminile guidato dalle portavoce dei media statali Olga Skabeyeva e Margarita Simonyan e dalla portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, non si vergogna. Al contrario, sono allegri. La minoranza si vergogna, sia per se stessa, sia per queste cheerleader della morte.
    Queste stesse emozioni furono provate da persone che conservarono la capacità di pensare, dubitare e provare compassione nel 1968, quando i carri armati sovietici arrivarono a Praga durante l’invasione della Cecoslovacchia. Allora, proprio come adesso, anche le persone venivano detenute e condannate semplicemente per aver aperto un cartello. La Russia di Putin, tuttavia, ha lasciato l’era Breznev nella polvere in termini di numero di vittime e arresti.
    Nel 1968, la dissidente Larisa Bogoraz partecipò a una manifestazione sulla Piazza Rossa di Mosca contro l’invasione. Nella sua dichiarazione finale al processo nell’ottobre di quell’anno, ha detto qualcosa di molto importante che è rimasto rilevante per molti anni a venire, ed è importante ancora una volta oggi: “Per me non bastava sapere che non avevano la mia voce a sostenerli. Per me importava che non sentissero la mia voce contraria… Se non l’avessi fatto [rivendicò il 25 agosto 1968], mi sarei ritenuta responsabile di quelle azioni del governo, così come tutti i cittadini maggiorenni del nostro Paese sono responsabili di tutte le azioni del nostro governo”.
    In una Russia libera e democratica, gli scolari avrebbero dovuto imparare a memoria queste parole e il 25 agosto avrebbe dovuto essere celebrato come l’anniversario del risveglio della coscienza nazionale. Invece, gli scolari vivono in una Russia diversa: quella in cui la verità viene derisa come una falsa e dove a quei bambini viene insegnato a denunciare i “traditori nazionali”.
    Dopo essere stata bruscamente interrotta dal giudice, Bogoraz ha continuato: “C’era un’altra considerazione che avevo contro l’andare alla manifestazione… Quella era l’inutilità pratica della manifestazione, che non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Ma alla fine ho deciso che per me non si trattava di cosa avrebbe fatto di buono, ma della mia responsabilità personale”.
    Allo stesso modo, il cantautore dissidente sovietico Alexander Galich ha cantato: “Quante volte siamo stati in silenzio in vari modi – e non ‘contro’, ovviamente, ma ‘per’”. Per lui, il silenzio, proprio come nell’interpretazione di Bogoraz, è complicità con il azioni del regime.
    IL CIECO CHE GUIDA IL CIECO
    Secondo la logica di Larisa Bogoraz, quindi, coloro che approvano o tacciono hanno, come minimo, la responsabilità collettiva di ciò che sta accadendo nel proprio Paese e di ciò che lo Stato sta facendo. E questa, molto probabilmente, è la differenza tra colpa collettiva e responsabilità collettiva: qualcosa di cui la filosofa Hannah Arendt ha scritto molto nel suo lavoro sulla responsabilità dei tedeschi dopo la seconda guerra mondiale.
    “Nella Germania del dopoguerra… il grido ‘Siamo tutti colpevoli’ che a prima vista suonava così nobile e allettante in realtà è servito solo a discolpare in misura considerevole coloro che erano effettivamente colpevoli. Dove tutti sono colpevoli, nessuno lo è”, ha scritto la Arendt nel suo articolo “Responsabilità collettiva”, tracciando un confine tra responsabilità politica (collettiva) e colpa morale e/o legale. Il che non è assolvere il popolo tedesco dalla responsabilità per quello che è successo.
    Tutto questo deve ancora venire per il popolo russo, che è già equiparato ai tedeschi degli anni ’30 e ’40 agli occhi dell’opinione pubblica in gran parte del mondo (non solo in Occidente). Nella ricerca della “denazificazione”, hanno acquisito l’infamia dei “nazificatori”.
    In situazioni estreme, come le “operazioni militari speciali” di Putin, qualsiasi silenzio è a favore, non contro. Questo è il caso della responsabilità collettiva. Per questo la maggioranza, la cosiddetta opinione pubblica, non vuole credere ai “falsi” (cioè alla verità) e giustifica le azioni di Putin.
    La conformità passiva non è meno terribile della conformità attiva e aggressiva. La mancanza di responsabilità collettiva (“non ha nulla a che fare con me”) dà origine alla responsabilità collettiva. È cecità collettiva volontaria. La nazione segue Putin come il cieco che guida il cieco. Quando una nazione diventa cieca, sorda e muta, Mariupol e Bucha diventano possibili.
    UNA GLEICHSCHALTUNG GENERALE
    Questo è ciò che in epoca nazista veniva chiamato Gleichschaltung: il vile adattamento della gente comune al regime politico in cui vive. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas lo ha descritto come il “passaggio volontario all’ideologia prevalente”. Il concetto ha caratterizzato la coscienza di massa della nazione dal 1933, quando Hitler divenne cancelliere. Un fenomeno simile fu visto sotto Stalin e negli anni crepuscolari dell’Unione Sovietica.
    Gleichschaltung spiega gli ultimi sondaggi, che mostrano che l’80 per cento dei russi sostiene “l’operazione militare speciale” del proprio Paese. Non tutti coloro che hanno affermato di sostenerlo supportano davvero i combattimenti, la distruzione e le uccisioni, ovviamente. Ma dicendo che lo fanno, si sono uniti al silenzioso “per”, quindi dobbiamo prendere sul serio questi numeri.
    Ne ha parlato anche Larisa Bogoraz nella sua dichiarazione finale in tribunale: “Il pubblico ministero ha concluso il suo intervento suggerendo che la sentenza che chiede sia approvata dall’opinione pubblica… Non dubito che l’opinione pubblica approverà questa sentenza, così come ha già approvato sentenze simili, poiché approverebbe qualsiasi sentenza … L’opinione pubblica approverà un verdetto di colpevolezza, in primo luogo perché le saremo presentati come parassiti, come eretici e trasmettitori di un’ideologia nemica. E in secondo luogo, se qualcuno ha un’opinione diversa da quella ‘pubblica’ e trova il coraggio di esprimerla, presto si ritroverà dove sono io”.
    Se una nazione non si ferma mai a pensare a cosa le è successo e a cosa è stato fatto con il suo consenso, troverà migliaia di modi per giustificarlo. Di quello che ha chiamato “l’uomo della mafia”, la Arendt ha scritto: “quando la sua occupazione lo costringe ad uccidere persone, non si considera un assassino perché non lo ha fatto per inclinazione ma per capacità professionale. Per pura passione non farebbe mai del male a una mosca”, ha scritto nel suo articolo “Colpa organizzata e responsabilità universale”.
    Questo spiega sia la manifestazione allo stadio Luzhniki di Mosca a sostegno della guerra, sia le scene a Bucha, così come l’80 per cento delle persone che sostengono la guerra o tacciono. “Non ha niente a che fare con noi”. “Questo è solo il modo in cui le cose hanno sempre funzionato”. “Ci è stato detto che lì ci sono nazisti”. “Stavamo solo eseguendo gli ordini.” “Avevamo paura di perdere il lavoro”. “Avevamo un mutuo da pagare”.
    E in effetti, non c’era niente che potessero fare. Perché hanno volontariamente rinunciato alle libere elezioni e alla democrazia: uno strumento per mantenere la coscienza della nazione e garantire l’efficienza dell’amministrazione. Perché hanno smesso di pensare e hanno fatto infiniti compromessi. E quei compromessi finirono nel disastro di un generale Gleichschaltung.