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    Unione Europea, oscar come attore non protagonista

    In questo contesto drammaticamente difficile e spietato si leggono i nomi degli attori che possono porsi come intermediari nel conflitto tra Russia ed Ucraina: gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e… l’Unione Europea?
    La posizione dei paesi dell’Unione Europea
    Sia chiaro, è ben noto che l’UE, attraverso i suoi leader nazionali, si muove verso la direzione diplomatica, ma è qui, paradossalmente, che il suo limite si evidenzia e si rende visibile.
    Prendiamo come esempio i casi più rappresentativi.
    Il premier francese Emmanuel Macron, che con il suo partito “En Marche” ha più volte espresso il desiderio e la visione di un’Unione Europea salda e compatta, ha avuto colloqui privati con Vladimir Putin.
    Essere risolutore della controversia potrebbe portare un enorme consenso che, con ogni probabilità, può tradursi in un risultato elettorale favorevole in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno ad aprile nel Paese d’Oltralpe e che porranno l’attenzione dei “cugini” ad un bivio riguardo la percezione della Francia nel mondo.
    Infatti, probabilmente, il presidente in carica si troverà al ballottaggio contro il presidente del Rassemblement National,  Marine Le Pen, che più volte si è espressa, se non favorevole al regime russo, critica nei confronti dell’unità europea.
    Da più fronti si è fatta avanti la proposta di porre l’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, per mediare con il presidente russo, in virtù delle sue qualità e competenze.
    Tuttavia è necessario far notare che per quanto credibile, l’ex leader dell’Unione Cristiana Democratica è, ad oggi, “in pensione” e il suo partito non è più al governo del suo paese.
    In Germania infatti, dopo i risultati elettorali, vede l’SPD, i Liberali e i Verdi come forza di maggioranza e il CDU all’opposizione.
    Per cui, pur non potendo fare un bilancio negativo della figura politica e amministrativa rappresentata dalla Merkel alla guida della “locomotiva d’Europa”, viene spontaneo chiedere e chiedersi: possibile che non vi sia nessun rappresentante istituzionale europeo, ad oggi in carica, in grado di rappresentare l’Unione e la sua posizione in questo momento delicato?
    Risulta davvero necessario lasciare il passo ad Erdogan, Xi Jinping o Biden?
    Ultimo, e per certi versi più doloroso, capitolo riguarda il ruolo italiano.
    L’Italia sta gradualmente vivendo un periodo di ridimensionamento nello scenario internazionale, senza prolungarsi nell’annoso discorso riguardante i nostri vicini, Albania e Libia in primis, nei quali sono sempre meno presenti posizioni solide di interesse nazionale, i suoi rapporti con l’orso russo sembrano deteriorati, Pratica di Mare è lontana.
    Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, pubblicamente viene sbeffeggiato dagli organi della Federazione e dichiara in una nota trasmissione televisiva che:
    “Tra un cane e Putin, quello atroce è il secondo”.
    Non è necessario essere Bismark o Cavour per comprendere che in situazioni delicate la forma e la sostanza spesso coincidono e che la cautela è un prerequisito fondamentale in diplomazia.
    Il premier Draghi dal canto suo cerca di porsi in una condizione intermedia, facendo i conti con la realtà.
    Le sanzioni, per quanto stringenti, potrebbero non bastare in un’ottica di organizzazione comunitaria.
    Se, da un lato il mercato europeo è appetibile per Mosca e inevitabilmente esiste una perdita nel paese, dall’altro è bene far notare che non è l’unico interlocutore commerciale e per certi versi le misure stringenti adottate si avvertono anche in Europa che vede aumentare i prezzi di beni di consumo come il grano e i costi dell’energia.
    Il costo della vita aumenta mentre, in Italia, gli stipendi restano stabili, certo, la condizione non è figlia esclusivamente del conflitto, ma è bene far notare come le tensioni sociali si rendono sempre più evidenti.
    Attraverso questa breve e sommaria analisi infatti è possibile riassumere che i singoli Paesi siano attenti al conflitto, limitandone, per quanto possibile, ulteriori eventi catastrofici e facendosi largo procedendo verso la strada diplomatica, la migliore auspicabilmente.
    L’Unione Europea necessita di perseguire i propri interessi e la sua politica estera comune
    Una politica estera comune per sopravvivere al contesto globale
    Tuttavia viene a mancare la direzione unitaria dell’attore europeo, che risulta essere carente, in questo contesto, di una dimensione politica e strategica comune e unitaria.
    Risulta possibile dunque evidenziare, per certi versi, dei limiti dell’Unione nel contesto internazionale?
    Un attore internazionale che è primario in termini di diritti, di welfare nei confronti dei suoi, purtroppo pochi, cittadini, e che è unito da cultura, storia e trattati, per quanto tempo ancora può non avere rilevanza a favore di vere e proprie autocrazie?
    Siamo ben lontani dai falsi miti del “fardello dell’uomo bianco” o da altre narrazioni etnocentriche che pongono l’Occidente, in questo caso declinato nel contesto europeo, come guida ispirata ed illuminata del mondo, ma non possiamo sottovalutare i rischi che si rendono sempre più evidenti.
    Ora è necessario distinguere i due criteri di “potenza” degli attori in gioco: l’hard e il soft power.
    L’hard power russo, cinese, pakistano, è noto, come lo è il deterrente che inevitabilmente si crea quando il proprio interlocutore è una potenza nucleare.
    Tuttavia non è possibile sottovalutare anche il soft power, ovvero quelli elementi culturali, sociali, che vengono perpetrati attraverso metodi comunicativi e mediatici, basti pensare a Russia Today o Sputnik e la propaganda filo-cinese, specialmente durante la prima fase pandemica.
    Interessi strategici, economici, militari, ma anche sistemici di valori, che l’UE non può abbandonare se l’intenzione è sopravvivere.
    In ottica “coloniale” abbiamo visto come Pechino si espande in Africa, nel Mediterraneo e ponendosi sempre più come traino asiatico; altri attori emergono sempre più; l’Occidente sembra diviso tra Stati Uniti che, gradualmente “tornano a casa” e un’Europa ancora in formazione, non compatta e immatura.
    Lo scenario che si prospetta è verosimilmente, diversamente a quanto vissuto negli ultimi 80 anni, multipolare, ed esiste la forte necessità di un’Unione Europea unita, stabile e salda, non frammentata in Stati che si renderanno sempre più marginali.
    L’Occidente europeo saprà rinnovarsi e sciogliere i nodi rappresentati dalle sfide future?

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    HGE8: L’Europa geopolitica arranca, va rivista la politica estera comune

    Roma – Il mondo cambia, nuovi poteri emergono, e l’Unione europa fa fatica a tenere il passo. C’è oggi maggiore bisogno di presenza, come mediatori, e come potenza militare. Serve, quindi, “il grande passo”, quello di una integrazione vera in quei settori sempre strategici mai mai veramente trattati come tali a livello comune: sicurezza e politica estera comune. Questa la risposta fornita nel corso dell’ottava edizione di How Can We Govern Europe (HGE8), il più importante evento sull’attualità europea organizzato da Eunews.
    C’è un deficit di fondo, sottolinea Rosa Balfour, direttrice di Carnegie Europe. “Con la pandemia l’Unione europea ha saputo affrontare le sfide del XXI secolo: sanità e clima. Ma sul fronte internazionale resta molto debole“. Lo dimostrano gli eventi di attualità. “Stiamo vivendo momenti pericolosi, in queste ora la Russia sta ammassando militari al confine con l’Ucraina e non si capisce come e con quale cappello l’Europa risponderà: come UE, come Nato, come singoli Paesi?”. Secondo la responsabile del think tank, molto si gioca sulla capacità di tramutare in potenza gli impegni assunti a livello domestico. Perché l’arrivo del Coronavirus ha mostrato tutti i limiti della dimensione internazionale dell’UE. “Se guardiamo alla capacità di esportare vaccino l’Europa non è messa molto bene, e la variante Omicron dimostra questa cosa. Ci siamo impegnati sul fronte interno, ma non altrettanto su quello esterno”. Per un cambio di rotta “bisogna vedere come riesce a tradurre in azione esterna la transizione verde e digitale”.
    Piero Fassino, presidente della commissione Esteri della Camera, una soluzione ce l’ha: è un nuovo percorso di costruzione europea. “Serve una terza fase di integrazione“. La prima fase, ricorda, è stata quella dei padri fondatori; la seconda è stata quella dell’adozione dell’euro e del grande allargamento. “Adesso serve una terza fase di integrazione”, ribadisce. Si tratta di dare forma ad un politica estera comune. “E’ molto importante che l’UE è giunta alla conclusione di avere una politica di difesa comune, però deve essere chiaro che una politica di sicurezza presuppone una politica estera”. Allo stato attuale, lamenta, la politica estera come “è accennata” e basta. “Abbiamo un servizio diplomatico, ma in ogni pilastro c’è bisogno di fare il salto in avanti”. Tradotto: occorre “procedere a maggioranza” e lasciar perdere le decisioni all’unanimità, e “bisogna riconosce all’Alto rappresentante qualche titolarità in più”, per evitare di dover parlare ogni volta con 27 ministri degli Esteri.
    Se Fassino propone una riforma dell’Unione europea, Sibylle Bauer, direttrice studi, armamenti e disarmo dello Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI, chiede innanzitutto di correggere storture e contraddizioni interne. “Se guardiamo l’esportazione di armamenti, l’UE è uno dei maggiori esportatori di armi”, rileva. Questo rischia di ritorcesi contro l’Unione europea, i suoi interessi, e la capacità di gestire gli scenari di guerra e tensione. In prospettiva “l’UE ha un grande ruolo da giocare” sullo scacchiere internazionale. “A volte il soft power è più efficace dell’hard power“, e allora invece di esportare armi varrebbe la pena di cambiare linea. “La Germania, insieme ai Paesi Bassi, stanno ripensando la strategie per il controllo delle armi. E’ una sfida nuova, ognuno sta cercando di trovare delle soluzioni”. La chiave possibile? “Una delle soluzione per il traffico delle armi è la costruzione di fiducia, agevolando il dialogo. Dobbiamo investire nel controllo delle armi di nuova generazione. Il messaggio chiave è: impegnarsi, impegnarsi, impegnarsi”.
    In questo percorso che appare inevitabile, c’è bisogno anche di un’azione esterna che guardi di più ai valori fondamentali. “Su questo non riusciamo a dare una risposta coordinata, come dimostra la questione dei migranti al confine con la Bielorussia”, critica Marta Grande, presidente della Delegazione parlamentare presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa. “La nostra Unione si basa su questo, è parte del nostro DNA, è parte della nostra cultura. Manca però concretezza in politica estera“. Ricorda che molte volte in passato si è parlato di esercito comune europeo senza veri progressi. “Adesso, che l’Europa è sempre più sotto attacco di Paesi terzi, è arrivato il momento di fare un passo avanti”.

    L’UE è indietro e a livello geopolitico non riesce a incidire come potrebbe e dovrebbe. Tempo di rilanciare anche l’esercito europeo