L’Europa deve avere una politica estera comune
Se c’è un piccolo aspetto positivo che si può ricavare dalla drammatica crisi afghana è quello che è stato resa ancora più chiara a tutti la non più prorogabile esigenza di creare una politica estera comune europea. Persino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato apertamente di questa necessità per la politica europea che sempre più mostra tutte le sue incongruenze e debolezze. Il periodo della condivisione da parte dell Europa a quella che era la politica estera del guardiano del mondo statunitense, che spesso senza nemmeno consultare i propri alleati del vecchio continente prendeva decisioni, a cui poi gli europei dovevano, anche loro malgrado adeguarsi ( proprio l invasione dell Afghanistan aveva incontrato molte resistenze fra i paesi europei) sembra ormai definitivamente alle spalle.
Gli Stati Uniti hanno ormai mostrato in più occasioni di non voler più assumere quel ruolo di guardiano del mondo che dalla caduta del muro ha dovuto assumere per garantire l’ordine mondiale. Il chiaro intento della politica estera americana è quello di non impegnarsi più in dispute che non riguardino direttamente i propri interessi nazionali. Questo atteggiamento non è cominciato, come si potrebbe pensare, con l’amministrazione Trump, ma è iniziato ben prima. Già nell’ultimo periodo del secondo mandato di George W. Bush, la politica estera americana aveva cominciato una nuova fase maggiormente “attendista”, che è poi proseguita con maggiore vigore sotto le due amministrazioni Obama, soprattutto durante il secondo mandato.
Fu proprio Obama, infatti, il primo presidente a parlare di un disimpegno dall’Afghanistan e per un graduale ridimensionamento del ruolo americano sullo scenario mediorientale e africano. Ed è proprio da qui che forse è cominciato non a caso a crescere il peso internazionale della Cina in primis, verso cui Obama ha sempre adottato una politica distensiva e anche di Turchia e Russia, che proprio grazie alla “morbida” politica estera Usa sotto Obama hanno potuto allargare la loro influenza strategica sullo scacchiere geopolitico internazionale.
Trump ha solo reso esplicito quello che Obama invece ha cercato di fare in maniera un po più surrettizia. Gli Stati Uniti hanno capito di non poter più sostenere il peso sia economico che politico di controllori degli equilibri geopolitici. Il cittadino medio americano non sopporta più che vengano privilegiate questioni di politica estera ben lontane dagli interessi legati alla economia al welfare alla sicurezza nazionale. La lotta la terrorismo non basta più per giustificare un simile gravoso impegno.
L’Afghanistan è nata proprio a questo fine sulla scorta della grande spinta emotiva determinata dai drammatici attacchi terroristici del 11 Settembre, ma aveva come fine principale quello di dare la caccia a chi questo attentato aveva preparato e finanziato Osama Bin Laden. L ‘Europa non ha potuto fare altro che allinearsi al volere del potente alleato atlantico, anche se vi erano stati alcuni distinguo all’epoca, anche da parte italiana. La gestione di questi venti anni di occupazione dell Afghanistan ha mostrato la sostanziale debolezza dei paesi europei sul piano organizzativo decisionale e politico. Basti pensare al fatto che i paesi europei impegnati militarmente in Afghanistan non siano stati in grado di evacuare i propri cittadini da Kabul, da soli o in uno sforzo coordinato dell’UE, senza l’assistenza degli Stati Uniti. Questo fatto da solo dimostra ulteriormente quale sia lo stato effettivo delle capacità militari collettive dell’Europa
Questo anche perché l’Europa nel conflitto ha sempre avuto un ruolo tutto sommato marginale e di appoggio a decisioni e strategie pensate a Washington. Malgrado ciò non si può non elogiare il lavoro svolto dai militari impegnati sul campo, a cominciare proprio da quello fatto dal contingente italiano ad Herat.
La terribile e disastrosa fine del conflitto con il ritiro unilaterale degli Usa, dopo i discutibili accordi di Doha, a cui gli europei nemmeno hanno partecipato, ha mostrato come sia necessaria che l Europa abbia finalmente una politica estera comune, che possa incidere sui principali teatri geopolitici in cui invece essa è sempre più marginale.
Questo poi può rappresentare il viatico per la costituzione di una sorta di esercito comune, che sia in grado di intervenire nei casi di crisi come quelli recentemente accaduti in Tunisia e Libia. In assenza di ciò potenze come Turchia e Russia potranno avere buon gioco nell’allargare la loro sfera di influenza anche in zone storicamente e geograficamente di primario interesse per l Europa. Il tempo delle scelte solitarie e non condivise è ormai antistorico e improduttivo, serve una chiara e definita azione comune che dia un senso ad una Europa sempre più ai margini del nuovo ordine mondiale.
Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
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