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    Israele non si ferma più, ennesimo appello dell’Ue per porre fine alle “colonie illegali”

    Bruxelles – Continuano gli appelli europei per porre fine all’illegale occupazione israeliana nei territori palestinesi. Ma, invece che ridursi, le colonie sono sempre di più: dopo il via libera, datato 17 maggio, del governo israeliano per la costruzione di oltre 600 unità abitative negli insediamenti esistenti e nuovi in Cisgiordania, il 22 maggio gli abitanti di Ein Samiya, piccolo villaggio a pochi chilometri da Ramallah, hanno dovuto dire addio alle proprie case dopo anni di angherie subite per mano di cittadini israeliani.
    “L’Ue è sconvolta nell’apprendere che la comunità palestinese di Ein Samiya, che comprende 172 persone, tra cui 78 bambini, è stata costretta a lasciare definitivamente le proprie case a seguito dei ripetuti attacchi dei coloni e degli ordini di demolizione”, ha dichiarato in una nota Peter Stano, portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae). Dopo diversi episodi di violenza, restrizioni sulla costruzione di case e infrastrutture, demolizioni – l’ultima approvata da Tel Aviv riguarda una scuola finanziata proprio dall’Unione Europea- gli abitanti palestinesi hanno alzato bandiera bianca. Se anche la scuola del villaggio verrà rasa al suolo, andrà ad aggiungersi alle 101 costruzioni finanziate dall’Unione Europea o dai suoi Stati membri demolite lo scorso anno da Israele, per un valore di circa 337 mila euro.
    Una tenda bruciata nel villaggio di Ein Samiya, dopo un attacco di estremisti israeliani nel 2015 (Photo by ABBAS MOMANI / AFP)
    Anche il commissario Ue per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha espresso dure parole di condanna: “Lo sgombero forzato dei palestinesi dalla Cisgiordania, la demolizione delle strutture finanziate dai donatori, la violenza e la coercizione devono finire. Esorto Israele a prevenire i trasferimenti forzati, porre fine alle violazioni del diritto internazionale e garantire la sicurezza delle persone colpite”, ha dichiarato su Twitter.
    Oggi sono circa 475 mila i coloni israeliani che vivono in insediamenti, autorizzati dal governo, nella West Bank palestinese. “Gli insediamenti – ha ricordato il portavoce dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell – sono illegali secondo il diritto internazionale e minano la praticabilità della soluzione dei due Stati. Tali azioni unilaterali vanno contro gli sforzi per abbassare le tensioni sul terreno”.

    Dopo il via libera alla costruzione di oltre 600 nuove unità abitative in Cisgiordania, i quasi 200 abitanti del piccolo villaggio palestinese di Ein Samiya sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. A rischio demolizione anche una scuola finanziata dall’Ue. “La violenza deve finire”, ha dichiarato il commissario Ue, Janez Lenarčič

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    Scontri tra Israele e gruppi armati palestinesi, ennesima condanna dell’Ue. Si cerca una tregua con la mediazione dell’Egitto

    Bruxelles – Fino a ora gli appelli europei alla de-escalation tra Israele e i gruppi armati palestinesi sono caduti sistematicamente nel vuoto, ma Bruxelles non demorde. Anche oggi (11 maggio), dopo 72 ore di attacchi da una parte e dell’altra è arrivata la dura condanna dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) e l’invito a riprendere un dialogo sempre più compromesso.
    Secondo gli ultimi aggiornamenti di Afp, in tre giorni di escalation tra Israele e Gaza sono già 26 i palestinesi morti sotto i bombardamenti dei caccia dello Stato ebraico, tra cui cinque comandanti della Jihad Islamica ma anche diverse donne e bambini. In risposta all’operazione militare di Tel Aviv, dalla Striscia sono stati lanciati oltre 550 razzi verso Israele, dei quali oltre 440 hanno superato il confine e almeno 154 sono stati intercettati dal sistema difensivo Iron Dome.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha usato parole dure per entrambe le parti in causa. Condanna per i raid aerei israeliani e per l’uccisione di abitanti palestinesi, perché al “diritto di difendersi” corrisponde “l’obbligo di prendere precauzioni per prevenire vittime civili nelle sue operazioni” e di rispettare il diritto internazionale umanitario. Allo stesso modo, il capo della diplomazia europea ha definito “inaccettabile il lancio indiscriminato di razzi da Gaza”.
    Lo sforzo diplomatico del Cairo per la tregua tra Israele e Gaza
    Al momento sarebbe in corso un tentativo, mediato dall’Egitto, di raggiungere una tregua tra le parti. Sforzo diplomatico – “elogiato” dallo stesso Borrell – che cozza con le dichiarazioni rilasciate ieri dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, pronto ad “allargare l’operazione Scudo e Freccia e infliggere colpi pesanti a Gaza ora e in futuro“. Borrell ha ricordato che i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Egitto e Giordania si sono incontrati oggi a Berlino e hanno salutato con favore il dialogo intrapreso tra il Cairo e le parti in causa.
    Nella dichiarazione congiunta del vertice, i quattro hanno reiterato il sostegno al Processo di Pace fondato sulla soluzione dei due Stati, l’unica praticabile per una pace duratura, e hanno richiamato le autorità israeliane e palestinesi a rispettare gli impegni presi nei mesi scorsi, negli incontri mediati da Washington e da il Cairo ad Aqqaba e a Sharm el-Sheik. Anche Bruxelles cerca di fare la sua parte per ridare vita al Middle East Peace Process. Il portavoce del Seae, Peter Stano, ha dichiarato in mattinata che è in corso un dialogo con i 22 ministri degli Esteri della Lega degli Stati Arabi, per trovare “un orizzonte politico” che permetta di andare oltre l’alternanza infinita di scontri e tregue temporanee.

    Sono già 26 le vittime dei bombardamenti di Tel Aviv nella Striscia di Gaza, di cui almeno 20 civili. La Jihad Islamica Palestinese ha risposto con oltre 550 razzi verso Israele. L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in contatto con i ministri degli Esteri della Lega Araba per ridare vigore a un processo di pace sempre più distante

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    Ue contro Israele sulla demolizione di una scuola palestinese. Cancellato il ricevimento per la Giornata dell’Europa

    Bruxelles – Un’altra scuola palestinese finanziata dall’Ue demolita dalle forze di difesa di Israele. Un’altra condanna di Bruxelles a Tel Aviv e alla sua aggressività nei territori occupati. Con la distruzione dell’istituto nel villaggio di Jubbet Adh Dhib, che si trova a pochi chilometri da Betlemme in Cisgiordania, sono già 301 le strutture palestinesi demolite dalle autorità israeliane dall’inizio del 2023.
    La scuola di Jubbet Adh Dhib prima della demolizione
    Un trend “preoccupante” che ricalca quello dello scorso anno, nel quale secondo i dati dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) sono state demolite o sequestrate 954 strutture in tutta la Cisgiordania, il numero più alto registrato dal 2016, provocando 1032 sfollati palestinesi. Nell’episodio di domenica mattina (7 maggio), la demolizione della scuola di Jubbet Adh Dhib impedirà agli 81 studenti dell’istituto di proseguire il proprio percorso di istruzione. “L’Ue ricorda che le demolizioni sono illegali ai sensi del diritto internazionale e che il diritto dei bambini all’istruzione deve essere rispettato”, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano.
    In gioco non c’è solamente il diritto all’istruzione dei bambini palestinesi, ma anche i rapporti tra Bruxelles e il partner israeliano. Delle oltre 9 mila strutture demolite dal 2009 a oggi, ben 1647 erano finanziate da donatori esterni: lo scorso anno, Tel Aviv ha demolito 101 costruzioni finanziate dall’Unione Europea o dai suoi Stati membri, per un valore di circa 337 mila euro. Come sottolineato da un rapporto pubblicato il 27 marzo dall’Ufficio della Rappresentanza dell’Ue all’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi), la maggior parte delle strutture sono state prese di mira per mancanza di permessi di costruzione, che tuttavia per i palestinesi sono quasi impossibili da ottenere.
    Dal Seae dunque l’invito a Israele a “fermare tutte le demolizioni e gli sgomberi, che non faranno che aumentare le sofferenze della popolazione palestinese e rischiano di infiammare le tensioni sul terreno”. Un appello che arriva pochi giorni dopo la visita a Bruxelles del ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen, a cui il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aveva espresso la propria preoccupazione per la situazione incandescente nei territori palestinesi occupati.
    Lo strappo tra Ue e Israele sulla Giornata dell’Europa
    Il ministro per la Sicurezza Nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir (Photo by GIL COHEN-MAGEN / AFP)
    Se il governo ultra conservatore guidato da Benjamin Netanyahu rimane sordo alle condanne europee, Bruxelles ha preso oggi una decisione più incisiva e destinata a creare attriti con il partner mediorientale. La delegazione Ue in Israele ha cancellato il ricevimento diplomatico previsto per domani a Tel Aviv, in occasione della Giornata dell’Europa, per non “offrire un palcoscenico a chi ha punti di vista che contraddicono i valori dell’Unione Europea”. Si tratta in particolare del ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, leader del partito religioso di estrema destra, incaricato dall’esecutivo Netanyahu di pronunciare un discorso durante l’evento.
    Ben-Gvir si è reso più volte protagonista di dichiarazioni di sfida verso gli alleati europei e statunitensi, per esempio quando, in risposta a un comunicato congiunto di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito in cui si esprimeva forte preoccupazione per l’espansione delle colonie in territorio palestinese, il ministro aveva risposto “ne vogliamo ancora di più, il territorio di Israele appartiene al popolo di Israele”.
    Come raccontato dal portavoce Stano, l’Ue aveva inoltrato l’invito all’evento alle autorità israeliane, che hanno confermato la presenza del ministro. A quel punto, si sono tenute in mattinata alcune consultazioni interne che hanno portato alla radicale decisione di sospendere il ricevimento, perché “il pensiero di Ben-Gvir e del suo partito è in netta contraddizione con tutti i principi e valori per cui combatte l’Ue“. Su Twitter, la delegazione Ue fa tuttavia sapere che si terrà un evento culturale aperto ai cittadini israeliani, “per celebrare con i nostri amici e partner in Israele la forte e costruttiva relazione bilaterale”.

    Nel 2022 le forze di difesa israeliane hanno distrutto “in modo illegale” 101 strutture finanziate da Bruxelles nei territori palestinesi occupati. La delegazione Ue nel Paese sospende il ricevimento diplomatico a causa della presenza del ministro di estrema destra Ben-Gvir

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    Israele, l’Ue chiede un’indagine trasparente sulla morte del leader palestinese Khader Adnan

    Bruxelles – Fa discutere nell’Ue la morte in un carcere israeliano di Khader Adnan, figura di riferimento del Jihad Islamico Palestinese, dopo 86 giorni di sciopero della fame. Una morte sopraggiunta a seguito del recente deterioramento delle sue condizioni di salute denunciato dalla moglie e da diverse Ong locali e la determinazione con cui Adnan portava avanti il suo quinto sciopero della fame alla decima detenzione nelle prigioni di Israele.
    A poco sono serviti gli appelli della comunità internazionale, tra cui quelli dell’Unione Europea, che secondo quanto riferito dal portavoce del Servizio d’Azione Esterna dell’Ue (Seae), Peter Stano, avrebbe nei giorni scorsi “chiesto conto delle condizioni di salute” del prigioniero palestinese al ministro della Sanità di Tel Aviv, Yoav Ben-Tzur. A poche ore dalla morte, avvenuta nelle prime ore di questa mattina (2 maggio), Bruxelles interviene nuovamente chiedendo che venga aperta “un’indagine trasparente sulla sua morte e sulle circostanze che l’hanno causata”. Una richiesta che il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, potrebbe avanzare al ministro della Difesa israeliano, Eli Cohen, in visita proprio oggi nella capitale europea.
    Gli scioperi della fame di Adnan contro la detenzione amministrativa in Israele
    Khader Adnan aveva 45 anni ed era indicato da tempo come uno dei maggiori dirigenti del Jihad Islamico, formazione politica e militare che è ritenuta da Israele – ma anche da Stati Uniti e Unione Europea- un’organizzazione terroristica. Per la decima volta, lo scorso febbraio, era stato sottoposto a detenzione amministrativa, che permette alle autorità israeliane di imprigionare persone accusate di terrorismo o reati simili senza processo praticamente all’infinito, con rinnovi ogni sei mesi.
    Khader Adnan durante i 54 giorni di sciopero della fame nel 2014 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)
    Il suo primo sciopero della fame risale al 2004, a cui negli anni ne sono seguiti altri quattro: nel 2012, nel 2014, nel 2021, fino all’ultimo che ne ha causato la morte.
    Già nel corso dei 54 giorni di sciopero del 2012, l’allora Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Catherine Ashton, aveva chiesto al governo di Israele “di fare tutto il possibile per preservare la salute di Adnan” e aveva ribadito “la preoccupazione di lunga data dell’Ue per l’ampio ricorso alla detenzione amministrativa senza accusa formale”. Secondo l’ong palestinese Addameer, che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti politici in Israele, sarebbero però ancora quasi mille attualmente i prigionieri sottoposti a questa forma speciale di custodia cautelare.
    Il trattamento riservato ai prigionieri politici è uno dei motivi che avevano spinto Adnan a iniziare lo sciopero della fame e a rifiutare aiuti medici esterni e le visite dei medici della prigione. Come riportato da Afp, secondo la moglie le autorità israeliane hanno rifiutato  il trasferimento del detenuto dalla clinica della prigione di Nitzan in un ospedale civile, nonostante il grave peggioramento delle condizioni di salute.
    Alla notizia della sua morte, in mattinata dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati tre razzi sul territorio israeliano, che non avrebbero provocato danni né causato vittime. Il gruppo fondamentalista di Hamas ha immediatamente fatto sapere che “il popolo palestinese non lascerà che questo crimine passi sotto silenzio, e risponderà adeguatamente”, mentre il Jihad Islamico ha dichiarato in un comunicato che “la sua morte sarà una lezione per generazioni, e non ci fermeremo finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”.
    L’Unione Europea ha definito “inaccettabili gli inviti alle rappresaglie” da parte dei gruppi armati palestinesi e il portavoce Peter Stano ha espresso parole di condanna per il lancio di razzi su Israele, lanciando l’ennesimo appello a entrambe le parti a evitare azioni unilaterali che portino a ulteriori escalation, dopo mesi di tensioni fortissime nella regione.

    Il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna ha dichiarato di aver chiesto conto al ministro della Sanità israeliana delle condizioni di salute di Khader Adnan nei giorni scorsi. Il dirigente del Jihad Islamico Palestinese è morto alle prime luci dell’alba dopo 86 giorni di sciopero della fame

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    Borrell risponde ancora al ministro di Israele negazionista sulla Palestina: “Irrispettoso, pericoloso e controproducente”

    Bruxelles – Il ministro delle Finanze di Israele, Bezalel Smotrich, continua a far discutere. Dopo il vergognoso commento sul villaggio palestinese di Huwara, che “dovrebbe essere cancellato”, il leader del partito sionista religioso di estrema destra ha rincarato la dose: ospite a Parigi per una conferenza, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese“.
    Secondo Smotrich il popolo palestinese sarebbe “una finzione”, creata a tavolino un secolo fa per ostacolare il movimento sionista. Se le parole su Huwara, teatro di violenze incontrollate da parte di coloni israeliani a seguito di un attentato lo scorso 26 febbraio, erano state definite “ripugnanti” perfino dall’alleato americano, questa volta a rispondere duramente ai “commenti inaccettabili del ministro” ci ha pensato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.
    “È sbagliato, irrispettoso, pericoloso e controproducente“, ha dichiarato il capo della diplomazia europea, chiedendo  al governo guidato da Benjamin Netanyahu di “rinnegare queste parole e cominciare a lavorare per ridurre le tensioni”. Tensioni che stanno raggiungendo livelli allarmanti, con numeri di vittime che ricordano quelli della seconda intifada del 2006. Nei primi due mesi dell’anno, secondo l’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite, sarebbero già 64 le vittime palestinesi e 13 quelle israeliane, a causa dell’inasprimento delle violenze.
    Mohammed Shtayyeh a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Lo sforzo diplomatico per riavvicinare le autorità israeliane e palestinesi, che appaiono oggi più lontane che mai, si è concretizzato in due recenti incontri, prima a Aqaba in Giordania e poi a Sharm el-Sheikh in Egitto, con la mediazione di funzionari statunitensi e egiziani. L’ultimo proprio domenica 19 marzo, mentre Smotrich a Parigi reinterpretava a suo modo la storia della regione. A Sharm el-Sheikh i rappresentanti di Israele e Palestina si sono accordati per adottare misure che riducano le tensioni e le violenze durante il Ramadan, il mese sacro per la religione islamica, che comincia questa settimana. “I commenti di Smotrich vanno un’altra volta nella direzione opposta” rispetto agli incontri di Aqaba e Sharm el-Sheikh, ha sottolineato Borrell. Ne è la riprova il fatto che il primo ministro palestinese, Mohammed Shtayyeh, di ritorno dal vertice in Egitto ha espresso la propria indignazione, descrivendo le dichiarazioni di Smotrich come “la prova conclusiva di quanto l’ideologia dell’attuale governo israeliano sia estremista e razzista”.
    Per l’Unione europea c’è solo un percorso da seguire, quello della soluzione a due Stati: “Proseguiremo nel nostro impegno di lunga data per uno Stato palestinese indipendente e sovrano, che vive fianco a fianco con Israele in pace e sicurezza”, ha ribadito Borrell. Che in modo piccato ha aggiunto: “Mi dispiace se a qualcuno non piace, ma questa è la posizione dell’Ue”. E ha chiuso lanciando una provocazione: “Vi immaginate se un leader palestinese avesse detto che Israele non esiste, quale sarebbe stata la reazione?”

    Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese”. Intanto le due parti si sono accordate a Sharm el-Sheikh per ridurre le tensioni durante il Ramadan, che comincia questa settimana

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    Il Parlamento europeo suona l’allarme sullo stato di diritto in Israele, da Tel Aviv accuse di ingerenze

    Bruxelles – “Deterioramento della democrazia in Israele e conseguenze sui territori occupati”. Nel titolo scelto per il dibattito che si è tenuto ieri sera (14 marzo) all’emiciclo di Strasburgo, c’erano già tutti gli indizi necessari per capire la posizione del Parlamento europeo sulla situazione dello stato di diritto a Tel Aviv e sull’escalation di violenza in atto contro il popolo palestinese.
    Eli Cohen e Antonio Tajani, 14/03/23 [Ph Account Twitter Eli Cohen]Prima di cominciare il dibattito, gli eurodeputati hanno ascoltato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, appositamente in aula per riferire sullo stato dell’arte delle relazioni tra l’Unione e Israele: “Voglio sottolineare che siamo impegnati con entrambe le parti, Israele e Palestina”, ha esordito il capo della diplomazia europea, che solo poche ore prima aveva avuto una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen. “Non era molto contento del dibattito, era preoccupato, mi ha chiesto perché il Parlamento europeo ingerisce nelle questioni interne israeliane“: il racconto di Borrell combacia con la richiesta di “agire per impedire l’intervento europeo nel conflitto israelo-palestinese” fatta dallo stesso Cohen all’omologo italiano, Antonio Tajani, proprio ieri in visita in Israele.
    “L’interesse non implica né l’ingerenza né la volontà di imporre lezioni a nessuno”, ha replicato Borrell. I motivi di preoccupazione sono vari e riguardano la politica estera e l’involuzione dello stato democratico: da un lato l’aumento di estremismo e violenza contro la popolazione palestinese e la continua espansione delle colonie illegali israeliane nei territori occupati, dall’altro la riforma del sistema giudiziario portata avanti dal governo di Benjamin Netanyahu e la possibile reintroduzione delle pena di morte nel Paese.
    Dal Parlamento europeo l’invito a sospendere l’accordo di associazione con Israele
    Brando Benifei, 14/03/23
    Per Pedro Marques, vicepresidente del gruppo dei Socialisti e democratici, la riforma della giustizia proposta da Tel Aviv “non è accettabile e non è accettata neanche in Israele”, viste le “manifestazioni di massa” che imperversano nel Paese. “Un assalto alla democrazia”, “una catastrofe”, “un attentato”, l’hanno definita a turno Marques, l’eurodeputata dei Verdi/Ale, Margrete Auken e la socialista Maria Arena. Secondo il capo delegazione del Partito democratico a Bruxelles, Brando Benifei, la riforma fa parte di “un disegno nazionalista e autoritario di un governo che minaccia la democrazia israeliana”. Una riforma che “vuole concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo e depotenziare la Corte suprema”, grazie alla quale “il governo potrebbe nominare facilmente i giudici della corte e sarebbe in grado di bloccare le sentenze della corte stessa”.
    Durissimo è stato Manu Pineda, membro della Sinistra europea e presidente della delegazione dell’eurocamera per i rapporti con la Palestina (Dpal): dopo aver ricordato i “183 palestinesi uccisi” e la “distruzione di centinaia di abitazioni” nella Striscia di Gaza solo nell’ultimo anno, Pineda ha incalzato l’alto rappresentante Borrell chiedendo cosa sta facendo l’Ue nei confronti di un “regime coloniale che sancisce l’apartheid ai danni del popolo del Paese che occupa”. La proposta che sorge a più riprese è di sospendere l’accordo di associazione con Israele, firmato nel 2000 e rinnovato nel 2022: per l’Ue l’accordo “si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali”, ma come sottolinea Maria Arena, “il governo israeliano rompe completamente” quei valori.
    Grace O’Sullivan, 14/02/23
    Margrete Auken, che si è recata più volte in Palestina con la delegazione Dpal, riassume così l’atteggiamento dell’Ue sul conflitto israelo-palestinese: “Se sei neutrale in situazioni ingiuste, hai scelto di essere dalla parte dell’oppressore”. Durante l’ultima missione della delegazione, che risale al mese scorso, l’eurodeputata dei Verdi/Ale Grace O’Sullivan racconta di aver visto “che Israele estrae direttamente carburante fossile dai territori occupati”. Combustibile che viene poi venduto anche in Europa, che nel giugno scorso ha firmato un importante accordo con Tel Aviv per incrementare le forniture di gas dalla regione. “Perché il petrolio e il gas di uno Stato occupante sono più accettabili di quelli di un altro?”, è la domanda di O’Sullivan in riferimento alla determinazione con cui l’Ue ha limitato e bandito gas e petrolio russi.
    “Se un altro Paese avesse fatto quello che fa Israele avremmo già imposto delle sanzioni, e invece dobbiamo scusarci per l’ingerenza” attacca Marc Botenga, della Sinistra europea, che reitera l’invito a sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele. Josep Borrell, alla fine del dibattito, ha rivendicato la dichiarazione firmata dai 27 Paesi membri in cui “ha lanciato un appello ad ambo le parti per agire in maniera responsabile” e ha ribadito che “Israele deve smettere l’espansione delle colonie, illegali secondo il diritto internazionale”.
    Ma sulla possibilità di congelare il partenariato con Tel Aviv, il capo della diplomazia europea ha frenato con decisione: “Gli accordi di partenariato non sono con un governo, ma con uno Stato. Non possono cambiare solo perché in un Paese cambia il governo “, ha chiuso Borrell. Che ora ha un’altra gatta da pelare: Eli Cohen, dopo aver espresso le sue perplessità per il dibattito al Parlamento europeo, in un tweet ha definito “un’ingiustizia morale” il paragone che Borrell avrebbe fatto durante la loro telefonata, in cui metteva sullo stesso piano “gli attacchi terroristici di Hamas, il cui unico scopo è uccidere gli ebrei, e le azioni effettuate dall’IDF per la sicurezza dei cittadini israeliani”.

    Nel dibattito all’emiciclo di Strasburgo, la riforma della giustizia del governo Netanyahu è stata definita a più riprese “una catastrofe” e “un attentato alla democrazia”. Diversi eurodeputati chiedono la sospensione del partenariato con Tel Aviv, ma Borrell chiude. E viene attaccato dal Ministro degli Esteri Eli Cohen

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    Israele preoccupa l’Ue, Borrell chiede di “fermare l’espansione delle colonie illegali”

    Bruxelles – Le tensioni sempre più forti tra Israele e Palestina preoccupano l’Europa. La crescente violenza nei territori palestinesi occupati, culminata il 26 febbraio con l’attacco da parte di centinaia di israeliani al villaggio di Huwara, ha raggiunto livelli che ricordano sempre più il periodo della seconda intifada, nel 2006. Il dialogo tra il governo israeliano e l’Autorità nazionale Palestinese è praticamente inesistente, e a Tel Aviv si è insediato l’esecutivo più estremista di sempre, con ministri di destra che non nascondono posizioni radicalmente anti-palestinesi.
    Al primo ministro Benjamin Nethanyahu, in viaggio per Roma dove domani (10 marzo) incontrerà la premier Giorgia Meloni, si sono rivolti il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. Il primo ha avuto una telefonata ieri sera con il premier israeliano, in cui ha ribadito il sostegno di Bruxelles alla “soluzione dei due Stati”, il secondo ha rilasciato un comunicato in cui chiede “ai leader israeliani e palestinesi di ridurre le tensioni e di astenersi da azioni che possano aumentarle”.
    Il capo della diplomazia europea non usa mezza termini, e va oltre la dichiarazione approvata all’unanimità due settimane fa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, in cui gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono stati definiti “un ostacolo alla pace”. Borrell sottolinea invece che le colonie “sono illegali secondo il diritto internazionale”, ed esorta Israele a “fermare l’espansione degli insediamenti, prevenire la violenza dei coloni e garantire che gli autori siano ritenuti responsabili”. Difficile che il governo di estrema destra colga l’invito dell’alto rappresentante, vista l’intenzione di legalizzare in modo retroattivo avamposti in Cisgiordania finora considerati illegali.
    Autorità di Israele e Palestina si sono incontrate in Giordania
    Poco prima della distruzione del villaggio di Huwara, che ha causato una vittima e oltre trecento feriti tra la popolazione palestinese, si erano tenuti a Aqaba, in Giordania, dei colloqui tra le autorità israeliane e palestinesi con la mediazione di funzionari statunitensi ed egiziani, in cui le parti si erano impegnate a “ridurre le tensioni per raggiungere una pace giusta e duratura”. Ma sembra sempre più inverosimile interrompere il vortice di violenze che, da una parte e dall’altra, si susseguono con un drammatico effetto domino: la vicenda di Huwara ne è la prova lampante.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Il 22 febbraio, in un’operazione militare l’esercito israeliano aveva ucciso 11 palestinesi a Nablus, vicino al villaggio di Huwara: la vendetta palestinese si è manifestata con l’uccisione di due coloni israeliani, che ha infine scatenato la feroce rappresaglia. L’ennesima smentita delle buone intenzioni messe nero su bianco anche ad Aqaba. “Lodiamo gli sforzi di Stati Uniti, Giordania ed Egitto per ridurre le tensioni e sostenere il comunicato di Aqaba”, ha dichiarato Borrell, ricordando che “tutte le parti devono rispettare gli accordi di Aqaba in buona fede”. Secondo questi accordi, Israele e Palestina si sono impegnate a non compiere azioni unilaterali per un periodo di 3-6 mesi e hanno deciso di rincontrarsi a Sharm el Sheikh nel mese di marzo.
    La visita di Benjamin Nethanyahu in Italia rischia già di peggiorare un’altra volta la situazione: il primo ministro, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, ha dichiarato che insisterà con Meloni affinché “Roma riconosca Gerusalemme come la capitale di Israele da tremila anni”. La richiesta di Nethanyahu cozza totalmente con l’avvertimento dell’Ue, secondo cui “lo status quo dei Luoghi Santi deve essere mantenuto in linea con le precedenti intese”, perché “la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani deve essere mantenuta”.

    With @netanyahu discussed 🇪🇺-🇮🇱 relations and the Middle East Peace Process.
    We are committed to peace in the region and the two-state solution.
    The EU will work with 🇮🇱 based on shared values and interests. pic.twitter.com/3RUSKj8TrR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) March 8, 2023

    Le tensioni crescenti tra Israele e Palestina sono culminate nell’attacco dei coloni al villaggio di Huwara, lo scorso 26 febbraio. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha telefonato al primo ministro Nethanyahu, che sarà in visita in Italia

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    L’Ue risponde al ministro israeliano che vuole “cancellare” un villaggio palestinese: “Parole inaccettabili”

    Bruxelles – “I commenti del ministro [israeliano, ndr] sono inaccettabili e non possono essere tollerati“. È questa la posizione dell’Ue, espressa dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, sulle vergognose parole pronunciate da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze del governo di Benjamin Netanyahu e leader del Partito Sionista Religioso di estrema destra, secondo cui il villaggio palestinese di Huwara “dovrebbe essere cancellato”.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Huwara, villaggio palestinese a pochi chilometri da Nablus, circondato da insediamenti di coloni israeliani, è balzato tristemente alle cronache domenica scorsa (26 febbraio). A seguito dell’uccisione di due fratelli israeliani in un attentato, è diventato teatro di violenze incontrollate e incendi dolosi da parte di centinaia di coloni, in cui sarebbero rimasti feriti oltre 300 abitanti palestinesi. Il ministro delle Finanze, interrogato sull’accaduto, aveva risposto: “Penso che Huwara debba essere cancellato, ma penso che sia dovere dello Stato d’Israele farlo, e non di privati cittadini”. Le parole di Smotrich rischiano di diventare un ulteriore detonatore di violenze in una situazione già estremamente tesa: nell’anno appena passato, secondo l’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite, sono state 191 le vittime palestinesi per mano delle Forze di difesa Israeliane o di violenza privata dei coloni. Un numero così alto non lo si vedeva dalla fine della seconda intifada, nel 2006. Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara, ha chiesto “un intervento internazionale per giudicare le forze di occupazione e fermarle”.
    Secondo il portavoce Stano le parole di Smotrich “incitano la violenza indiscriminata, in una situazione che è già molto tesa e ha già portato vittime e distruzione, per questo l’Ue ha già invocato una de-escalation immediata”. Stano ha chiesto inoltre che “il governo israeliano rinneghi” le frasi del suo ministro. A cercare di stemperare la tensione ci ha provato il presidente israeliano, Isaac Herzog, che ha condannato l’assalto di Huwara definendolo una “violenza criminale contro innocenti”, mentre il primo ministro Nethanyahu ha infelicemente paragonato le violenze commesse nel villaggio palestinese alle dure proteste in corso nel Paese contro la riforma della giustizia proposta dal governo. Paragone che ha scatenato l’ira dell’ex premier e leader dell’opposizione, Yair Lapid, che ha definito i fatti di Huwara come un “pogrom portato avanti da terroristi”, che niente ha a che vedere con il diritto di manifestare il proprio dissenso per una riforma con cui il governo cerca di rafforzare la propria posizione nei confronti della Corte Suprema del Paese, e che potrebbe legalizzare la pena di morte per chi uccide cittadini israeliani.

    Il portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna, Peter Stano, chiede che al governo Netanyahu di “rinnegare” le frasi del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, sul villaggio di Huwara, dove il 26 febbraio è esplosa la violenza dei coloni contro gli abitanti