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    Tajani frena su possibili sanzioni Ue contro i coloni estremisti israeliani: “Non sono terroristi”

    Bruxelles – Le violenze sistematiche dei coloni israeliani nei territori palestinesi occupati non sono atti terroristici. Non ha alcun dubbio il vicepremier Antonio Tajani, che dalla capitale Ue dice la sua sulla possibilità di vietare l’ingresso nell’area Schengen ai coloni estremisti che si macchiano di violenze contro la popolazione civile palestinese.“Condanno le violenze, ma i coloni non sono un’organizzazione terroristica”, ha dichiarato il ministro degli Esteri a margine del vertice con gli omologhi dei 27 Paesi Ue. La questione è stata portata sul tavolo dei ministri europei – e dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – dal governo belga, pronto a vietare l’ingresso sul territorio nazionale ai coloni che commettono crimini nella West Bank. “Perché questa misura sia efficace, ho chiesto di vietarlo in tutto lo spazio Schengen”, ha spiegato la ministra belga, Hadja Lahbib, citando gli ultimi dati raccolti dall’ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha): “Sette atti violenza al giorno commessi da coloni violenti, una situazione estremamente inquietante”.Dal 7 ottobre, Ocha-Opt ha registrato 331 attacchi di coloni israeliani contro le comunità palestinesi. Con un bilancio di 8 vittime, 35 episodi di violenza con almeno un ferito e 251 episodi in cui sono state danneggiate proprietà della comunità locale. La media settimanale degli attacchi è aumentata da 21 episodi, registrata tra gennaio e settembre 2023, a 36 episodi dopo il 7 ottobre.Ampliamento dell’insediamento israeliano di Har Homa nella Cisgiordania Occupata, 7/12/23 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)Tajani ha tuttavia rispedito immediatamente al mittente la proposta: “Quella di usare violenza o di aggredire la popolazione palestinese in Cisgiordania è una scelta che non condivido, ma non possiamo equiparare Hamas ai coloni ebrei“, ha chiosato il ministro. Perché l’organizzazione terroristica palestinese “si è macchiata di crimini immondi” che “gridano vendetta”. Hamas ha “cercato la gente casa per casa, ucciso bambini di tre mesi, violentato donne per poi ucciderle e giocare a calcio con i loro seni”.Italia, Francia e Germania hanno indirizzato una lettera a Borrell per esprimere “il loro forte sostegno” all’istituzione di un regime di sanzioni ad hoc per i militanti di Hamas, i gruppi affiliati e i suoi sostenitori, “al fine di stigmatizzare politicamente gli attacchi del 7 ottobre scorso, isolare Hamas a livello internazionale e privarlo del sostegno finanziario e logistico da parte di terzi”. I tre maggiori Paesi del blocco guidano l’azione Ue contro i terroristi palestinesi, ma reagiscono in modo diverso alla proposta belga di sanzionare i coloni israeliani. Idea che oltretutto ha messo sul piatto a Washington anche il segretario di stato americano, Anthony Blinken. “La situazione in Cisgiordiania ci preoccupa, a causa dei troppi casi di violenze commesse da coloni estremisti. La Francia sta riflettendo sull’adozione di misure nazionali“, ha ammesso la ministra degli Esteri Catherine Colonna.

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    A Gaza riprendono le ostilità e i bombardamenti israeliani. L’Ue chiede all’Iran un “lavoro attivo” per la de-escalation

    Bruxelles – Nove giorni, e la tregua nella Striscia di Gaza è già finita. “Le ostilità sono riprese a Gaza e vediamo che il bilancio delle vittime civili, già molto alto, continua ad aumentare“, si è rammaricato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando gli intensi bombardamenti israeliani ricominciati venerdì scorso (primo dicembre) e che da ieri (3 dicembre) si sono estesi anche alla parte meridionale della Striscia, dove sono entrati per la prima volta i carri armati di Tel Aviv.Il capo della diplomazia Ue esprime forte preoccupazione per quanto in atto negli ultimi tre giorni nella Striscia di Gaza, conscio dei rischi a cui si sta andando incontro. “Dobbiamo evitare qualsiasi ricaduta regionale, la soluzione può essere solo politica incentrata su due Stati“, ha sottolineato Borrell nel corso di uno scambio telefonico con il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian, esortando Teheran a “usare la sua influenza e a lavorare attivamente per evitare un’ulteriore escalation nella regione”. Parole che arrivano a pochi giorni dal vertice ministeriale della Nato, in cui proprio l’Iran è stato avvertito di “tenere a freno” i suoi delegati di Hamas e Hezbollah che operano nella regione contro Israele.Ancora più duro è stato poi lo stesso alto rappresentante Ue nel suo intervento al 25esimo Forum Ue-Ong per i diritti umani: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina“. Alcuni partecipanti hanno iniziato a lasciare la sala dopo le parole di Borrell, che non ha però fatto alcun passo indietro: “Probabilmente ho detto qualcosa di scomodo, ma le Nazioni Unite hanno affermato chiaramente che quanto successo è stato riconosciuto come tale, mentre quello che sta succedendo ne è un altro caso”. La motivazione è semplice e parte dal numero di vittime: “Nessuno sa quante siano, qualche stima dice 15mila, ma temo che sotto le macerie delle case distrutte ce ne siano molte di più, con un alto numero di bambini”, e la comunità internazionale “non può accettarlo”. In altre parole, “un orrore non può giustificare un altro orrore“.La fine della tregua a GazaDa sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)Nel corso della tregua iniziata nella notte tra il 21 e il 22 novembre e andata in frantumi dopo nemmeno dieci giorni, Hamas ha rilasciato 110 ostaggi detenuti a Gaza in cambio di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora si tornano a contare non più i prigionieri liberati ma solo le persone uccise dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra il bilanci è salito a circa 15 mila vittime palestinesi, prevalentemente nella parte settentrionale della lingua di terra di 40 chilometri per 9. Da ieri però l’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti e lanciato un’operazione di terra a nord di Khan Younis, città palestinese con annesso campo profughi nella parte meridionale della Striscia. L’incursione è stata preceduta da ordini di evacuazione alla popolazione palestinese in diversi distretti della città, dove già centinaia di migliaia di persone si erano rifugiate dopo essere fuggite dai combattimenti nel nord della Striscia nelle prime fasi della guerra.“Il modo in cui Israele esercita il suo diritto all’autodifesa è importante, è imperativo che rispetti il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra“, ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell, richiamandosi a quanto già affermato a più riprese sulla necessità di non violare il diritto internazionale: “Questo non è solo un obbligo morale, ma anche legale”. Così come fatto nel corso della missione nella regione a pochi giorni dall’inizio della tregua, il capo della diplomazia dell’Unione ha fatto riferimento anche alla “crescente violenza in Cisgiordania, dove secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre sono stati uccisi 271 palestinesi“, più del doppio di tutti quelli uccisi dai coloni o dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno. Tornando al conflitto a Gaza, Borrell ha poi ricordato che la tregua che ha permesso il rilascio degli ostaggi ma anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza “non è sufficiente” da sola, dal momento in cui “le pause umanitarie dovrebbero essere riprese, ma lavorando contemporaneamente per una soluzione politica globale per tutti i territori palestinesi”. Quella soluzione per “due popoli, due Stati” che per l’Unione Europea è ormai un caposaldo e su cui ha elaborato una base di  sei condizioni – “tre sì e tre no” – su cui provare a impostare il dialogo nella regione.
    Dal primo dicembre è finita la tregua temporanea, con le operazioni miliari che si sono estese anche nel sud della Striscia. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina”

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    La revisione dei fondi Ue alla Palestina non ha riscontrato nessuna violazione. Ma 7 progetti non sono più realizzabili

    Bruxelles – Nessuna violazione dei criteri per l’esborso dei fondi Ue finora erogati alla Palestina. Si riassume così la revisione dell’assistenza finanziaria voluta dalla Commissione Europea lo scorso 9 ottobre, resasi necessaria per controllare che il budget comunitario previsto a sostegno del popolo palestinese dal 2021 non sia finito nelle mani di Hamas – organizzazione terrorista secondo la lista di Bruxelles – dopo l’attacco armato a Israele. Dopo 43 giorni dall’annuncio da parte dell’esecutivo comunitario, il gabinetto von der Leyen tira un sospiro di sollievo per la tenuta dei controlli e delle salvaguardie esistenti – “che sono state significativamente rafforzate negli ultimi anni” – come emerso da una valutazione che non ha rilevato prove “che il denaro sia stato deviato per scopi non voluti”.(credits: Said Khatib / Afp)Come spiegato da alti funzionari Ue, il budget comunitario era già prima sottoposto a “stretto controllo”, ma in ogni caso è stata condotta una revisione sui fondi stanziati nei primi due anni della Strategia comune europea 2021-2024 di fonte a uno scenario “estremamente polarizzato” e con “serie accuse” sullo stanziamento da parte di Bruxelles. La revisione pubblicata oggi (21 novembre) aveva due obiettivi: il primo legato proprio al fatto che nessun finanziamento sia finito a organizzazione terroristiche o che sia stato violato il principio di abuso dei fondi “in particolare sull’antisemitismo”, e il secondo per assicurarsi che i finanziamenti alla Palestina “non si blocchino”. È così che è stato scandagliato tutto il portafoglio non solo della Direzione generale Vicinato e negoziati di allargamento (Dg Near), ma anche di tutti i fondi “che abbiano partner palestinesi”.Gaza City, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Un totale di 119 contratti per un totale di circa 331 milioni di euro, che non hanno evidenziato alcuna violazione degli impegni presi nel 2021 e nel 2022 in Palestina. L’88 per cento dei fondi scrutinati (292 milioni) risulta completamente in linea, mentre per il restante 12 per cento (38,9 milioni) si attendono “ulteriori informazioni” dalle organizzazioni della società civile e dalle organizzazioni non governative destinatarie. Per queste ultime – precisano le stesse fonti Ue – sono state chieste delucidazioni “senza pregiudizi” sull’applicazione dei controlli: solo in due casi (per un totale di otto milioni di euro) ci sono “accuse specifiche” di incitamento all’odio e alla violenza dopo gli eventi del 7 ottobre, ma in questo caso i servizi della Commissione Ue stanno seguendo le “procedure regolari” per l’investigazione e la valutazione. C’è però da segnalare che tra i 292 milioni di euro totalmente in linea con le disposizioni, 75,6 milioni non sono più attuabili (il 23 per cento del totale), come per esempio i grandi progetti infrastrutturali a Gaza – sistema energetico, impianto di desalinizzazione e accesso ai servizi idrici – che dopo i bombardamenti israeliani dell’ultimo messe non sono più costruibili. Questi fondi “saranno riprogrammati a sostegno dei palestinesi secondo le nuove priorità da individuare sul campo”, specifica il gabinetto von der Leyen.La stessa Commissione Ue rende noto che la revisione ha seguito un approccio in due fasi. All’inizio è stato effettuato “uno screening operativo” per valutare la fattibilità dei progetti alla luce della “nuova situazione sul campo” (è qui che si inserisce la lista dei 7 progetti da 75,6 milioni di euro non più attuabili). Successivamente è stata condotta una valutazione del rischio con la richiesta a tutti i partner esecutivi di informazioni sui meccanismi di controllo in vigore: a partire da questi report il Berlaymont ha individuato misure aggiuntive applicabili, “come l’inserimento di clausole contrattuali anti-incitamento in tutti i nuovi contratti e il monitoraggio della loro rigorosa applicazione in ogni momento”. Tutto questo riguarda i primi due anni della Strategia per la Palestina 2021-2024 – “senza nessun ritardo sui pagamenti“, sottolineano i funzionari – mentre per quanto riguarda il budget 2023 gli impegni arriveranno entro fine anno. “Niente di strano”, come si evince anche osservando le date in cui sono arrivate le decisioni di implementazione per gli anni scorsi (nel mese di dicembre dell’anno corrente). Sul budget 2024 le fonti non si sbilanciano ancora.I fondi Ue alla Palestina tra il 2021 e il 2024Come emerge dalle tabelle della Strategia comune europea per la Palestina, nel periodo 2021-2024 sono previsti 1,17 miliardi di euro direttamente dal bilancio Ue (nel Quadro finanziario pluriennale che terminerà nel 2027, mentre devono ancora essere stabilite le assegnazioni per il secondo periodo 2025-2027) che dovrebbero servire come “ombrello strategico per i piani di programmazione e attuazione bilaterali” dei Paesi partecipanti. Vale a dire Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera, oltre alla stessa Commissione Europea.I fondi servono a finanziare programmi in 13 aree operative, divise in 5 pilastri: democrazia, Stato di diritto e diritti umani, riforma della governance, consolidamento fiscale e politica, fornitura di servizi sostenibili, cambiamento climatico, accesso a servizi idrici ed energetici autosufficienti, e sviluppo economico sostenibile. Più nello specifico sono stati previsti da Bruxelles 25 milioni di euro per il primo pilastro (Stato di diritto), 222,5 per il secondo (governance), 248 per il terzo (servizi), 147 per il quarto (cambiamento climatico) e 133,5 per il quinto (sviluppo sostenibile), oltre a 353 milioni per i rifugiati e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) e 48 milioni a Gerusalemme Est.I fondi del budget non sono aiuti umanitariIn questo quadro va tenuto però presente che fondi Ue per l’assistenza alla Palestina sono diversi dagli aiuti umanitari che l’Unione fornisce al popolo palestinese da decenni di crisi non risolta. È netta la distinzione tra sostegno umanitario e altre forme di supporto dal budget, dal momento in cui il primo non è mai veicolato da governi, ma solo da partner umanitari, agenzie Onu e Ong “sulla base dei principi di imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità”, precisa la Commissione Ue. Ecco perché gli aiuti umanitari – cibo, alloggi, acqua, assistenza medica – continueranno “fino a quando sarà necessario”, in altre parole fino a quando ci saranno partner sul campo che possono veicolarli alla popolazione palestinese.Per quanto riguarda l’importo in questo ambito, a sostegno di oltre 2,1 milioni di palestinesi in necessità nel 2023 erano inizialmente previsti 26,9 milioni di euro, ma dopo la crisi la cifra è salita a 103 milioni, riassume la pagina dedicata agli aiuti umanitari per la Palestina. A partire dal 7 ottobre sono stati immediatamente stanziati 28 milioni di euro in finanziamenti umanitari, seguiti da una nuova tranche da 50 milioni il 13 ottobre e altri 25 milioni il 6 novembre. Oltre l’80 per cento della popolazione della Striscia di Gaza dipende dagli aiuti “a causa delle restrizioni di accesso e delle ostilità, che ne hanno minato l’economia”. Complessivamente dal 2000 l’Ue ha fornito oltre 955 milioni di euro in assistenza umanitaria, di cui circa 26,5 milioni lo scorso anno (2,1 milioni come contributi esterni di Italia, Spagna, Finlandia e Francia).
    I servizi della Commissione Ue hanno ultimato l’analisi dei finanziamenti (già erogati) dalla Strategia comune europea per il periodo 2021-2024. Nessun ritardo sui pagamenti dovuti nei primi due anni, si prevede entro fine anno il via libera agli impegni per il budget 2023

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    Borrell in missione in Israele e Palestina questa settimana

    Bruxelles – Israele, ma anche Palestina. Mentre a Bruxelles è in corso il Consiglio Ue Affari Esteri che discute anche della crisi in Medio Oriente tra Israele e Hamas, è con un sintetico post su X che l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, annuncia che “in settimana” sarà in “Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”.Borrell, capo della diplomazia europea, è il primo funzionario europeo di alto livello a recarsi anche nei territori palestinesi da quando lo scorso 7 ottobre si è brutalmente riacceso il conflitto tra Hamas e Israele. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la numero uno del Parlamento europeo, Roberta Metsola, si sono recate solo in Israele lo scorso 13 ottobre per ribadire la posizione ufficiale della Commissione europea, ovvero che Israele ha diritto di difendersi (“in linea con il diritto internazionale” è una formula arrivata dopo nelle parole di von der Leyen) e che il conflitto si è riacceso a causa delle azioni terroristiche palestinesi da parte di Hamas che hanno ricadute anche sulla popolazione civile a Gaza.“Abbiamo bisogno di un orizzonte politico che guardi alla soluzione dei due Stati”, ha ribadito Borrell, precisando che “ciò può essere raggiunto solo attraverso il dialogo”. Solo ieri sera, il capo della diplomazia europea aveva ribadito in una dichiarazione che l’Unione europea “è seriamente preoccupata per l’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza”, unendosi alle richieste di una “pausa immediata delle ostilità e della creazione di corridoi umanitari, anche attraverso una maggiore capacità ai valichi di frontiera e attraverso una rotta marittima dedicata, in modo che gli aiuti umanitari possano raggiungere in sicurezza la popolazione di Gaza”.La nota richiama nello specifico alle conclusioni del Consiglio europeo del 26 ottobre, in cui i leader Ue hanno ribadito il diritto di Israele a “difendersi in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario”, ma chiedendo un “accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli e aiuti per raggiungere le persone bisognose attraverso tutte le misure necessarie, compresi i corridoi umanitari e le pause per i bisogni umanitari”. Per ragioni di sicurezza, Borrell non ha aggiunto dettagli sulla missione che lo terrà impegnato nei prossimi giorni. 
    Con i ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles, il capo della diplomazia europea annuncia che in settimana sarà in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania “per discutere di accesso umanitario, assistenza e questioni politiche con i leader regionali”

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    L’Ue sceglie il silenzio sugli “attacchi sproporzionati” di Israele a Jabalia. È iniziata l’evacuazione di 7.500 persone da Gaza

    Bruxelles – C’è il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, che in un tweet si dice “sconvolto dall’alto numero di vittime civili a causa delle bombe israeliane sul campo profughi di Jabalia”. Intorno a lui, dall’Unione Europea un silenzio sconcertante. Mentre dal quartier generale dell’Onu e dalle agenzie delle Nazioni Unite che lavorano nella Striscia di Gaza arrivano parole durissime sull’operazione militare delle Forze di Difesa israeliane.Il bilancio dei raid di martedì e mercoledì (31 ottobre e primo novembre) sulla città situata pochi chilometri a nord di Gaza City è di almeno 195 morti e 120 dispersi, secondo i dati diffusi dal ministero della Sanità controllato da Hamas. “L’ultima atrocità che ha colpito gli abitanti di Gaza”, l’ha descritta il sottosegretario per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths. Da Ginevra, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha denunciato i bombardamenti su Jabalia come “attacchi sproporzionati che potrebbero equivalere a crimini di guerra“, mentre il suo direttore della sede di New York, Craig Mokhiber, ha addirittura deciso di lasciare il suo incarico accusando il Palazzo di Vetro di essere incapace di agire per “prevenire il genocidio” della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. “Stiamo assistendo a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo”, ha scritto Mokhiber nella lettera di dimissioni.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, a Rafah il primo novembre 2023 (credits: Said Khatib / Afp)Dall’inferno dell’enclave palestinese, l’Unicef condanna gli “attacchi su larga scala in un’area residenziale densamente popolata”, che “possono avere effetti indiscriminati”. E il commissario generale dell’Unrwa – l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi – ha definito la situazione umanitaria come “una tragedia senza precedenti“. Il commissario generale Philippe Lazzarini, dopo aver ottenuto il permesso di entrare a Gaza per la prima volta dal 7 ottobre, ha confermato che “l’attuale risposta umanitaria non è di gran lunga sufficiente, né corrisponde agli enormi bisogni della popolazione di Gaza”. In particolare c’è bisogno di “consegne urgenti di carburante”, che “non è arrivato per quasi un mese impattando in modo devastante su ospedali, panifici, impianti idrici” e sulle attività stessa dell’Unrwa. Ma gli appelli per un cessate il fuoco umanitario lanciati dall’Agenzia – che tra le proprie fila conta già più di 70 vittime dei raid israeliani – “cadono nel vuoto”. Senza di esso, avverte Lazzarini, “più persone verranno uccise, coloro che sono vivi subiranno ulteriori perdite e la società, un tempo vivace, sarà in lutto per sempre”.L’Ue ringrazia l’Egitto per l’apertura del varco di RafahDai leader delle istituzioni europee nessuna parola sul bombardamento di Jabalia. In comunicato pubblicato ieri sera, la Commissione Europea ha “accolto con favore l’evacuazione di numerosi cittadini dell’Ue e di altri cittadini stranieri, nonché persone ferite attraverso il valico di frontiera di Rafah tra Gaza e l’Egitto”. La presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, ha “ringraziato calorosamente le autorità egiziane per i loro ammirevoli sforzi volti ad aiutare i cittadini stranieri, il personale delle organizzazioni internazionali e le loro famiglie, compresi i cittadini europei, ad entrare in sicurezza nel loro Paese”. Tralasciando completamente ciò che stava accadendo alla popolazione palestinese nel nord della Striscia.Cittadini stranieri e con doppio passaporto al varco di Rafah, tra Gaza e l’Egitto (credits: Mahmud Hams / Afp))Dal varco al confine tra Egitto e la Striscia di Gaza sono uscite ieri più di 400 persone, 335 cittadini stranieri e palestinesi con doppio passaporto e 76 feriti gravi che non potevano essere assistiti negli ospedali locali ormai allo stremo. Oggi è prevista l’evacuazione di altri 400 cittadini stranieri e di una sessantina di feriti, in totale nei prossimi giorni i cancelli di Rafah dovrebbero restare aperti per circa 7.500 persone, secondo una lista stilata da diversi Paesi e avallata dalle autorità egiziane e israeliane. L’accordo tra Il Cairo e Tel Aviv è stato reso possibile grazie alla mediazione di Stati Uniti e Qatar.Nella dichiarazione la Commissione Ue ha voluto sottolineare di aver già triplicato la sua assistenza umanitaria a Gaza, portandola a 78 milioni di euro, con l’obiettivo di “consentire ai partner di continuare il loro prezioso lavoro umanitario”, e di aver già effettuato 6 voli con oltre 263 tonnellate di aiuti umanitari, preposizionati in Egitto in attesa di una “rapida consegna di assistenza alle persone bisognose a Gaza”.
    Per l’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani i raid sul campo profughi potrebbero essere un crimine di guerra, l’Unicef parla di “scene di carneficina”. Da Bruxelles solo l’Alto rappresentante Josep Borrell si dice “sconvolto dal numero di vittime civili”

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    Il politologo Morillas (Cidob): “L’Ue deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”

    Bruxelles – “L’Ue non può sostenere l’uso inappropriato della forza, deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”. La posizione di Pol Morillas, direttore del Barcelona Centre for International Affairs (Cidob), è chiara: sul conflitto che si è riacceso il 7 ottobre nella striscia di Gaza tra Hamas e Israele, l’Unione europea, nella sua ambiguità, ha sbagliato la risposta.Secondo Morillas, la risposta alla guerra in Medio Oriente non ha rispecchiato la posizione tradizionale dell’Ue. Il politologo si riferisce alla dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, affidata a un tweet pubblicato il giorno dopo l’attacco di Hamas, secondo la quale “Israele ha il diritto di difendersi – oggi e nei giorni a venire”. “La sua posizione non è in linea con il linguaggio concordato nelle storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace in Medio Oriente“, afferma Morillas in uno commento pubblicato da Carnegie Europe. Il conflitto riapre un vecchio fronte di guerra, in un momento in cui l’Europa e il mondo sono già provati da due anni di guerra condotta dalla Russia in Ucraina, confine dell’Ue. “Le prospettive di una concentrazione globale per la pace e la sicurezza, sia attraverso la collaborazione tra grandi potenze sia attraverso istituzioni multilaterali, sono nulle. Questa non può essere una buona notizia per nessuno”, aggiunge Morillas.Nessuno può trarre vantaggio da una guerra che – si legge nel commento del direttore del Cidob – potrebbe potenzialmente portare a ulteriore instabilità locale, regionale e globale. Di certo non l’Unione europea, la quale “ha molto da perdere dal riaccendersi di un vecchio conflitto” in cui ha poco da dire e da fare in confronto ad altri attori, come gli Stati Uniti. Per questo, ricorda Morillas, l’ex capo della politica estera dell’Ue Javier Solana pensava che la cosa migliore che l’Unione potesse fare fosse costruire dei depositi per la pace: “In altre parole, avere azioni che l’Ue potrebbe proporre per sostenere la pace e il dialogo, pur mantenendo una posizione chiara basata sulla soluzione dei due Stati”, aggiunge il politologo.Dichiarazioni come quelle di von der Leyen portano Morillas a vedere delle ambiguità nella posizione dell’Ue, che dovrebbe stare attenta a non inviare segnali contraddittori sulla necessità di lavorare per la pace da un lato e sull’escalation dall’altro: “È necessario condannare con la massima fermezza gli attacchi terroristici“. Non solo: quello a cui bisogna stare ancora più attenti, secondo Morillas, è la posizione sugli aiuti umanitari: “L’Unione non dovrebbe inviare segnali contraddittori sulla cancellazione degli aiuti alla Palestina, perché è proprio su questo fronte che spesso si basa la sua credibilità come attore di politica estera”.
    Secondo lo studioso, le posizioni prese da von der Leyen allo scoppio della guerra “non sono in linea con le storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace”

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    Tajani: “Creare lo Stato palestinese per delegittimare Hamas”

    Bruxelles – Creare uno Stato palestinese per delegittimare Hamas. DI fronte alla crisi in Medio Oriente l’Europa adesso deve approfondire il ragionamento geopolitico per il futuro della regione, già ribadito dopo il Consiglio informale del 15 ottobre. E’ Antonio Tajani a insistere esplicitamente sull’istituzione di uno nuovo Paese, vero, indipendente e sovrano. Il ministro degli Esteri, anche in qualità di segretario di Forza Italia e di vicepresidente del Ppe, porta la questione sul tavolo del Partito popolare europeo in occasione della tradizionale riunione dei leader del centro-destra europea che precede i vertici dei Consiglio europeo.“Senza negare il diritto di Israele a esistere“, sostiene Tajani, “bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese, che dia una prospettiva alla popolazione palestinese e che tagli l’erba sotto i piedi ad Hamas, che deve essere delegittimata sia da un punto di vista militare, attraverso una sconfitta, sia da un punto di vista politico”.Una dichiarazione più netta e più chiara di quella offerta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Al suo arrivo in Consiglio per partecipare al vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, Meloni afferma che “lo strumento più efficace per sconfiggere Hamas è dare concretezza e tempistica alla situazione palestinese e attribuire più peso all’Autorità nazionale palestinese”. Un concetto analogo a quello espresso dal suo ministro degli Esteri e alleato di maggioranza, ma espresso con toni forti. Manca però, nelle parole dell’inquilina di palazzo Chigi, l’esplicito riferimento allo Stato.Tajani, invece, tira dritto e ribadisce che “la nostra azione punta a costruire la pace con l’obiettivo due popoli e due Stati”. Ovviamente dialogando con il governo di Ramallah. In questo processo non semplice “l‘unica autorità che può essere l’interlocutore è l’Autorità nazionale palestinese (ANP). Non può essere Hamas”. Perché quest’ultima resta un’organizzazione terroristica agli occhi dell’Italia e dell’Unione europea. Per questa ragione “è difficile parlare di cessate il fuoco”. Un cessate il fuoco riguarda due eserciti, mentre in Medio Oriente si confrontano un esercito, quello di Israele, e un’organizzazione terroristica che non si vuole riconoscere in alcun modo. Meglio cercare una tregua umanitaria, come chiesto da 46 europarlamentari nella lettera inviata ai leader riuniti a Bruxelles.
    Il ministro degli Esteri al pre-vertice del Ppe rilancia la soluzione a due Stati. “Hamas va sconfitta militarmente e politicamente, nostro interlocutore è ANP”