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    La Slovenia è il dodicesimo Paese dell’Ue a riconoscere lo Stato di Palestina

    Bruxelles – “Un messaggio di speranza” al popolo palestinese in Cisgiordania e a Gaza. Con queste parole, scritte sul suo account X, il primo ministro sloveno, Robert Golob, ha commentato il via libera da parte del parlamento di Lubiana alla proposta del governo di riconoscere la Palestina. La Slovenia diventa così il dodicesimo Paese dell’Ue a riconoscere lo Stato palestinese.Nella serata di ieri (4 giugno), l’Assemblea nazionale riunita in sessione straordinaria ha approvato con 50 voti favorevoli e nessun contrario – i restanti 40 deputati hanno abbandonato l’aula – la proposta del governo progressista guidato da Golob. La presidente del Parlamento di Lubiana, Natasa Pirc Musar, ha dichiarato che la Slovenia da ora in poi potrà “aiutare in modo ancora più credibile il popolo palestinese nel suo difficile cammino verso la vera indipendenza e l’uguaglianza nella comunità internazionale”.La Slovenia si aggiunge a Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Romania, Polonia, Slovacchia, Svezia, Spagna e Irlanda, gli Stati membri che riconoscono formalmente la Palestina. Di questi, solo Svezia, Spagna e Irlanda avevano attuato il riconoscimento mentre erano Paesi Ue. La guerra tra Israele e Hamas e la tragedia umanitaria di Gaza hanno ridato slancio alla questione palestinese e alla necessità di compiere passi concreti verso la soluzione dei Due Stati, e dopo Madrid e Dublino, Lubiana è il terzo Paese Ue in poche settimane ad annunciare il riconoscimento dello Stato di Palestina.Ma la quantità di Stati membri a riconoscere Ramallah è ancora decisamente bassa, se comparata con quella dei Paesi membri dell’Onu: 145 su 193, oltre i tre quarti. Tra i 27, sono meno della metà.

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    L’Ue mette una pezza al blocco israeliano delle risorse dell’Autorità palestinese: 25 milioni per garantire stipendi e pensioni

    Bruxelles – La Commissione europea ha annunciato l’esborso di 25 milioni di euro di assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese, la seconda tranche del pacchetto da 118,4 milioni adottato da Bruxelles a dicembre 2023. Allo stesso tempo, via libera anche a 16 milioni di euro per l’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), completamente riabilitata dall’Ue dopo le accuse israeliane – finora mai dimostrate – di complicità con Hamas.Mentre la Striscia di Gaza è ormai ridotta completamente in macerie, il territorio governato dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) è una bomba a orologeria, stretto tra l’inasprimento degli attacchi dei coloni israeliani e dalla mancanza di fondi per mandare avanti una parvenza di macchina statale. Tel Aviv sta bloccando le entrate fiscali che raccoglie per l’Anp, senza le quali non è possibile pagare stipendi, pensioni, assegni sociali per le famiglie vulnerabili, prestazioni mediche. In questo senso, i 25 milioni mobilitati dall’Ue sono una manna dal cielo a sostegno della capacità amministrativa e tecnica delle istituzioni dell’Autorità palestinese. La prima tranche da altrettanti 25 milioni era stata versata a marzo.Per quanto riguarda l’Unrwa, la fiducia ristabilita tra Bruxelles e l’Agenzia per i rifugiati palestinesi segna un’ulteriore frattura con Israele, il cui Parlamento ha approvato pochi giorni fa in via preliminare un disegno di legge che designa l’Unrwa come organizzazione terroristica. “Alla luce dei progressi compiuti dall’Agenzia rispetto alle condizioni e alle misure concordate” con Bruxelles per garantirne l’imparzialità, la Commissione ha dato il via libera alla seconda tranche da 16 milioni, dopo un primo finanziamento di 50 milioni sbloccato già il primo marzo.L’Agenzia delle Nazioni Unite ha presentato un piano d’azione per attuare le raccomandazioni formulate a metà aprile dal gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese Catherine Colonna, che ha convinto tutti gli Stati membri a sbloccare anche i loro finanziamenti nazionali, fondamentali per mantenerla in vita e garantire assistenza agli oltre 6 milioni di rifugiati palestinesi a Gaza, nei territori occupati della Cisgiordania, in Libano, Giordania e Siria.La Commissione europea ha dichiarato in una nota che la terza e ultima tranche annuale da 16 milioni di euro “sarà subordinata all’attuazione dell’accordo con l’Unrwa e al rispetto da parte dell’Agenzia delle condizioni e delle misure concordate”.

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    Spagna, Irlanda e Norvegia formalizzano il riconoscimento della Palestina. E annunciano: “Risponderemo alle provocazioni di Israele”

    Bruxelles – Da oggi (28 maggio) i Paesi membri delle Nazioni Unite che riconoscono ufficialmente lo Stato palestinese diventano 145. Più di tre quarti, su un totale di 193. Spagna, Irlanda e Norvegia hanno formalizzato la decisione annunciata lo scorso 22 maggio. E da Madrid, la promessa che arriverà una risposta coordinata con Dublino e Oslo alle “provocazioni e falsità spregevoli” diffuse dal ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, per screditare i tre governi.Ha aperto le danze Pedro Sanchez, che dal palazzo della Moncloa ha annunciato in mattinata “la decisione storica”, presa con “un unico obiettivo: aiutare israeliani e palestinesi a raggiungere la pace”. Per il premier socialista spagnolo il riconoscimento dello Stato di Palestina “non è solo una questione di giustizia storica rispetto alle legittime aspirazioni del popolo palestinese”, ma “l’unico modo per andare verso l’unica soluzione possibile per realizzare un futuro di pace: quello di uno Stato palestinese che conviva accanto allo Stato di Israele in pace e sicurezza”. Uno Stato, quello palestinese, con Gerusalemme Est come capitale, l’Autorità Palestinese come autorità nazionale e i confini del 1967, ha precisato ancora Sanchez.Poche ore dopo, gli annunci da Oslo e Dublino. “La Norvegia è stata uno dei più ferventi difensori di uno Stato palestinese per più di 30 anni”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Espen Barth Eide, in un comunicato, denunciando la mancanza di “impegno costruttivo” da parte di Israele per la soluzione a due Stati. “Il giorno in cui la Norvegia riconosce ufficialmente la Palestina come Stato è un giorno speciale per le relazioni Norvegia-Palestina”, ha proseguito. Contemporaneamente, il gabinetto del primo ministro irlandese, Simon Harris, ha formalizzato il riconoscimento della Palestina come Stato sovrano e indipendente, annunciando che nominerà un ambasciatore a Ramallah.L’obiettivo di questa decisione è “mantenere viva la speranza – ha dichiarato Harris -, credere che una soluzione a due Stati sia l’unico modo per Israele e Palestina di vivere fianco a fianco in pace e sicurezza”. Il capo del governo centrista irlandese ha invitato poi il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu ad “ascoltare il mondo e porre fine alla catastrofe umanitaria” in corso a Gaza. In un comunicato, il vicepremier Micheal Martin ha promesso: “Il riconoscimento della Palestina non è la fine di un processo; è l’inizio”.Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, mostra le foto degli ostaggi nelle mani di Hamas al Consiglio Ue Affari Esteri, 22/01/24 (Photo by JOHN THYS / AFP)Tutto questo mentre, dal suo account X, il ministro degli esteri di Tel Aviv, Israel Katz, continuava a sparare a zero sui tre Paesi che secondo Israele “hanno deciso di premiare Hamas”. Il bersaglio principale è Madrid e la vicepremier spagnola, Yolanda Diaz, che pochi giorni fa aveva recitato lo slogan filo-palestinese “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Per Katz la leader di Sumar è come la guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, e il leader di Hamas, Yahya Sinwar, perché chiede “l’eliminazione di Israele e la creazione di uno stato terrorista islamico palestinese dal fiume al mare”. E prosegue: “Primo Ministro Sanchez ,se non licenzi il tuo vice e annunci il riconoscimento di uno Stato palestinese, sei complice nell’istigazione al genocidio ebraico e dei crimini di guerra“.Alle accuse israeliane, che l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha definito “aggressioni verbali assolutamente ingiustificate ed estreme“, ha dato una prima risposta il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares. “Ho parlato con i miei colleghi irlandese e norvegese, i quali stanno ricevendo attacchi e fake news infami” da parte di Katz – ha dichiarato il suo omologo spagnolo -, “abbiamo deciso di dare una risposta coordinata”. Una risposta che sia però “serena e ferma” e che arriverà “nel momento adeguato, quando decideremo noi”. Albares ha infine accusato Katz di utilizzare queste “provocazioni” per sviare l’attenzione da quel che sta succedendo a Gaza.I membri dell’Onu a riconoscere lo Stato palestinese potrebbero presto diventare 146: il governo sloveno valuterà già giovedì prossimo la possibilità di inoltrare la questione del riconoscimento al Parlamento, che in tal caso potrebbe procedere al voto entro il 13 giugno. “Nel frattempo, continueremo a coordinarci con un gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo per creare la massima pressione per un cessate il fuoco immediato e il rilascio degli ostaggi” a Gaza, ha dichiarato il capo del governo, Robert Golob. La Slovenia non sarebbe solo il 146esimo Paese membro dell’Onu a riconoscere la Palestina: Lubiana fa parte – fino alla fine del 2025 – dei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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    Tre quarti dei membri Onu riconosce la Palestina come Stato

    Bruxelles – Divisi tra loro e divisivi per l’opinione pubblica. Israeliani e palestinesi, storia praticamente infinita di una questione, quella arabo-israeliana, sempre più un rompicapo. Due popoli, due Stati: quella che dovrebbe essere la soluzione per molti continua ad essere più retorica che pratica, nonostante la comunità internazionale riconosca la Palestina come Stato. Dei 193 Stati membri dell’Organizzazione delle nazioni Unite (Onu), ben 143 oggi riconoscono il diritto dei palestinesi di esistere come entità geografica e politica. Praticamente tre quarti della comunità internazionale vede la Palestina come Stato. Tra i 50 mancanti figurano all’appello  Stati Uniti, Canada, Australia e buona parte dei membri Ue.Novembre 1988, momento chiave per la Palestina e lo status di StatoLe rivendicazioni palestinesi conoscono un momento di svolta il 15 novembre 1988, quando l’allora presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Yasser Arafat, proclamò la Palestina Stato indipendente e sovrano, con Gerusalemme capitale. Un annuncio che non restò isolato: subito dopo la proclamazione, l’Algeria riconobbe la nuova entità, aprendo la strada al riconoscimento internazionale. Altri 82 Paesi seguirono, e tra novembre e dicembre 1988 ben 83 Paesi del mondo riconobbero la Palestina come Stato.La lista dei Paesi che riconoscono lo Stato palestinese nel 1988:Algeria, Bahrein, Indonesia, Iraq, Kuwait, Libia, Malesia, Mauritania, Marocco, Somalia, Tunisia, Turchia, Yemen, Afghanistan, Bangladesh, Cuba, Giordania, Madagascar, Malta, Nicaragua, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti , Serbia, Zambia, Albania, Brunei, Gibuti, Mauritius, Sudan, Cipro, Repubblica Ceca, Slovacchia, Egitto, Gambia, India, Nigeria, Seychelles, Sri Lanka, Namibia, Russia, Bielorussia, Ucraina, Vietnam, Cina, Burkina Faso , Comore, Guinea, Guinea-Bissau, Cambogia, Mali, Mongolia, Senegal, Ungheria, Capo Verde, Corea del Nord, Niger, Romania, Tanzania, Bulgaria, Maldive, Ghana, Togo, Zimbabwe, Ciad, Laos, Sierra Leone, Uganda, Repubblica del Congo, Angola, Mozambico, Sao Tomé e Principe, Gabon, Oman, Polonia, Repubblica Democratica del Congo, Botswana, Nepal, Burundi, Repubblica Centrafricana, Bhutan, Sahara Occidentale.Il post-1988: altri 20 riconoscimenti nel XX secoloL’accreditamento internazionale della Palestina non si arresta. Al primo blocco di Paesi, alla spicciolata, se ne aggiungono altri 20 negli anni successivi, e per la fine del secolo si contano ben 103 Stati del mondo a riconoscere uno Stato palestinese, con tutti diritti del caso. Africa, Asia centrale e pure Europa: il sostegno alla causa di Arafat arriva dai diversi quadranti del mondo.Paesi che riconoscono lo Stato Palestinese tra il 1988 e il 2000:Ruanda, Etiopia, Iran, Benin, Kenya, Guinea Equatoriale, Vanuatu, Filippine (1989), Swaziland (1991), Kazakistan, Azerbaigian, Turkmenistan, Georgia, Bosnia ed Erzegovina (1992), Tagikistan, Uzbekistan, Papua Nuova Guinea (1994), Sudafrica, Kirghizistan (1995), Malawi (1998)Il nuovo millennio e il sostegno dell’America latinaIl nuovo millennio si apre con nuove iniziative politico- diplomatiche a sostegno della causa palestinese e un riconoscimento dello Stato di Palestina, che arriva con uno slancio tutto nuovo dal centro e sud America.  Tra il 2004 e il 2012 altri 30 Paesi vanno ad ingrossare la lista di quanti ritengono che sia tempo di riconoscere la Palestina, che gode adesso di 133 Nazioni mondiali esplicitamente al proprio fianco.Paesi che riconoscono la Palestina tra il 2000 e il 2012: Timor Est (2004), Paraguay (2005), Montenegro (2006), Costa Rica, Libano, Costa d’Avorio (2008), Venezuela, Repubblica Dominicana (2009), Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador (2010), Cile, Guyana, Perù, Suriname, Uruguay, Lesotho, Sud Sudan, Siria, Liberia, El Salvador, Honduras, Saint Vincent e Grenadine, Belize, Dominica, Antigua e Barbuda, Grenada, Islanda (2011), Thailandia (2012).2013, il riconoscimento del Vaticano e nuove nazioni pro-stato PalestineseIl 2013 segna un momento storico per la causa palestinese. Il Vaticano, che non fa parte dell’Onu, prende ufficialmente posizione della questione arabo-israeliana, e riconosce la Palestina quale Stato. Una mossa non solo politica e diplomatica, ma anche dai toni confessionali forti: lo Stato della Chiesa sposa la parta arabo-islamica delle controversie in Medio Oriente. E’ solo uno dei momenti chiave della seconda decade degli anni Duemila in poi. La Svezia rompe gli indugi di un’Ue divisa e dubbiosa, e diventa il primo Paese dell’Europa occidentale a riconoscere lo stato palestinese.Riconoscimento dello Stato palestinese dal 2013 ai giorni nostriGuatemala, Haiti, Vaticano (2013), Svezia (2014), Santas Lucia (2015), Colombia (2018), Saint Kitts and Nevis (2019), Messico (2023), Bahamas, Trinidad e Tobago, Giamaica e Barbados (2024).

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    Spagna, Irlanda e Norvegia annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Israele: “Hanno scelto di premiare Hamas”

    Bruxelles – I due Paesi Ue più attivi in solidarietà del popolo palestinese rompono gli indugi e annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Spagna e Irlanda compiranno il passo formale il prossimo 28 maggio. Con loro anche la Norvegia: i tre vanno così ad aggiungersi ai 140 Paesi nel mondo che già attribuiscono alla Palestina lo status di entità statale. Ira di Israele: “Questi Paesi hanno scelto di premiare Hamas”. E richiama a Tel Aviv gli ambasciatori a Dublino e Oslo.Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, annuncia il riconoscimento della Palestina al Congresso dei deputati (Photo by Thomas COEX / AFP)I primi ministri di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno annunciato il riconoscimento sulla base dei confini del 1967 in contemporanea: Pedro Sanchez si è presentato al Congresso dei deputati di Madrid, mentre il primo ministro irlandese Simon Harris e quello norvegese Jonas Gahr Støre hanno convocato due conferenze stampa. “E’ giunto il momento di passare dalla parole ai fatti. Per la pace, per la giustizia e per la coerenza”, ha dichiarato Sanchez in Aula. Per il premier norvegese la decisione è figlia del fatto che “non può esserci pace in Medioriente se non c’è riconoscimento“. Dello stesso avviso Harris: “Il riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenta un sostegno inequivocabile alla soluzione dei due Stati” ed è “l’unica via credibile verso la pace tra Israele e Palestina”, ha dichiarato.Tutti e tre hanno poi auspicato che altri Paesi seguano la strada tracciata da Madrid, Dublino e Oslo. A partire dalla Slovenia, che nei mesi scorsi si è detta pronta a riconoscere unilateralmente la Palestina e che dovrebbe procedere entro il 13 giugno – quando il Parlamento di Lubiana voterà sulla questione -, ma anche Belgio, Lussemburgo e Portogallo, Paesi che tentennano tra l’azione unilaterale e la posizione ufficiale del blocco Ue, pronta a riconoscere Ramallah solo una volta che sarà inserita nel processo di una soluzione a due Stati. La mossa compiuta oggi dai due Paesi Ue e dalla Norvegia prova a invertire il ragionamento: la soluzione a due Stati non può che partire dal riconoscimento dello Stato palestinese.Il primo ministro irlandese Simon Harris (C), affiancato dal ministro degli Affari Esteri, Michel Martin (R), e dal ministro dei Trasporti, Eamon Ryan (L),  annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Paul FAITH / AFP)Anche perché la posizione di Bruxelles – condivisa peraltro con gli Stati Uniti – è nei fatti sbarrata dalla riluttanza del governo israeliano di Benjamin Netanyahu, che ha ribadito a più riprese la propria opposizione alla soluzione a due Stati. “Con questo passo significativo, Spagna, Irlanda e Norvegia hanno dimostrato ancora una volta il loro incrollabile impegno per la soluzione a due Stati e per garantire al popolo palestinese la giustizia da tempo attesa”, ha commentato il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese, sottolineando inoltre come il riconoscimento della Palestina sia “in linea con il diritto internazionale e con tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite in materia”.Dei 27 Paesi Ue, la Svezia era stata finora l’unico ad aver proceduto al riconoscimento della Palestina mentre era membro del blocco, nel 2014. Mentre Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Romania, Polonia e Slovacchia hanno fatto questo passo prima di entrare nell’Unione. Con l’annuncio di Spagna e Irlanda, saranno ora 11 le capitali Ue a riconoscere Ramallah, ancora meno della metà. E soprattutto, alla conta mancano ancora Parigi, Berlino e Roma.Il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Store (R), e il ministro per gli Affari esteri, Espen Barth Eide, annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Erik Flaaris Johansen / NTB / AFP) / Norway OUTLa Francia di Emmanuel Macron ha già sostenuto di essere pronta a “contribuire” al riconoscimento di uno Stato palestinese, “sia in Europa che in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Mentre Italia e Germania, seppur non ostili all’idea, la vincolano al contemporaneo riconoscimento da parte di Israele. Nulla di più lontano, a giudicare dalla reazione di Tel Aviv all’annuncio di Spagna, Irlanda e Norvegia: il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha già richiamato in patria gli ambasciatori a Dublino e Oslo, minacciando di fare lo stesso con il corpo diplomatico israeliano a Madrid.“Israele non rimarrà in silenzio di fronte a coloro che minano la sua sovranità e mettono in pericolo la sua sicurezza”, ha dichiarato Katz in una nota, sostenendo che in questo modo i tre Paesi “hanno scelto di premiare Hamas e l’Iran” nonostante “il più grande massacro di ebrei dai tempi dell’Olocausto“. Per il ministro il riconoscimento unilaterale della Palestina “mina le possibilità di pace e mette in discussione il diritto di Israele alla pace”. Katz va oltre, minacciando “ulteriori gravi conseguenze” nei confronti dei tre Paesi. Che altro non hanno fatto che uniformarsi ai 139 Paesi membri dell’Onu che già hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Circa il 70 per cento di chi siede all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

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    Borrell: “I finanziamenti all’UNRWA non vanno tagliati”

    Bruxelles – “Non vanno tagliati i finanziamenti all’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), perché se tagliamo i finanziamenti all’UNRWA colpiamo l’intero popolo palestinese”. Il capo della diplomazia UE, Josep Borrell, invita alla calma e al pragmatismo. L’eventualità che qualcuno, dall’interno dell’organismo delle Nazioni Unite, abbia potuto aiutare Hamas a colpire Israele il 7 ottobre scorso sono gravi e la Commissione non sottovaluta la cosa, ma l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza ricorda che cosa c’è in ballo.“Se si eliminano i finanziamenti non si possono aiutare i palestinesi”, aggravando una situazione che, dal punto di vista umanitario, preoccupa sempre più in Europa. “Dobbiamo continuare a lavorare con l’UNRWA“, scandisce Borrell al suo arrivo in Consiglio europeo per il vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE. Invita a lasciare che l’inchiesta faccia il suo corso, senza per questo pregiudicare un lavoro che risulta indispensabile. E aggiunge che dal punto di vista europeo non si intende procedere alla linea intransigente. “L’Unione europea non ha deciso di sospendere i finanziamenti all’UNRWA“, mette in chiaro. Ci sono le verifiche del caso, come peraltro annunciato, che è cosa diversa.Borrell sa di poter contare sull’appoggio dei leader dell’UE. Uno di questi è il primo ministro irlandese, Leo Varadkar. “Serve un cessate il fuoco umanitario a Gaza”, scandisce anche lui prima di prendere parte ai lavori del vertice del Consiglio europeo. In questa ottica di cessate il fuoco umanitario l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi ha ancora un ruolo da poter svolgere. Su questo Borrel è categorico. “Non c’è alternativa all’UNRWA, come hanno detto chiaramente le Nazioni Unite, se si vuole mantenere in vita queste persone”.

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    L’Ue crede ancora nella soluzione dei due Stati respinta sia da Israele che da Hamas. E pensa a “condizionalità” per raggiungerla

    Bruxelles – Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato senza remore all’alleato americano che Israele si opporrà alla creazione di uno Stato palestinese alla fine della guerra contro Hamas. Ma l’Ue non si rassegna: al Consiglio Affari Esteri previsto lunedì 22 gennaio, i 27 cercheranno di rilanciare la soluzione dei due Stati in due discussioni separate con i ministri degli Esteri di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese.Nella capitale europea arriveranno, oltre all’israeliano Israel Katz e il palestinese Riyad al-Maliki, anche i ministri degli Esteri di tre Paesi chiave della regione: Arabia Saudita, Giordania ed Egitto. Ed il Segretario generale della Lega degli Stati arabi, Ahmed Aboul Gheit. Una “coreografia piuttosto complessa”, come l’ha definita un alto funzionario Ue ,su cui l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “ha investito fortemente dal primo giorno” del conflitto.Gli argomenti principali del “balletto” saranno la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e la necessità di un’ assistenza continua e senza ostacoli alla popolazione palestinese, un rinnovato appello per il rilascio degli ostaggi e la piena implementazione – da parte di Israele ed Hamas – delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la situazione in Cisgiordania e i rischi di un’escalation regionale, anche nel Mar Rosso. Ma i ministri dei 27, insieme ai partner arabi, rifletteranno anche sul “giorno dopo”, su un possibile piano di pace e della necessità di passi concreti per rilanciare la soluzione dei due Stati, anche attraverso il continuo sostegno all’Autorità palestinese.Benjamin Netanyahu e il ministro Bezalel Smotrich del Partito estremista Sionismo Religioso  (Photo by RONEN ZVULUN / POOL / AFP)Gli obiettivi sono “una piena normalizzazione dei rapporti di Israele con i Paesi arabi, la sicurezza di Israele e uno Stato palestinese indipendente”. Una mission impossible, all’indomani della nuova chiusura di Netanyahu alla possibilità di lavorare per la creazione di uno Stato sovrano palestinese che coesista pacificamente con Israele. “Nessun diplomatico o politico israeliano ha mai parlato della soluzione dei due Stati dal 7 ottobre”, ammettono fonti europee. Anzi, diversi ministri – e ora anche il capo di governo – hanno pubblicamente rigettato quell’orizzonte.Orizzonte negato peraltro anche da Hamas, che aspira alla distruzione dello Stato d’Israele. Ma pe l’Ue è “molto difficile immaginare alternative, per il popolo palestinese l’unica possibilità di avere un futuro è di avere un proprio Stato che conviva di fianco a Israele“. Se con Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, non esistono finestre di dialogo, Tel Aviv è uno strettissimo partner di Bruxelles, con cui l’Ue intrattiene dal 2000 un Accordo di Associazione. Un alto funzionario europeo ha aperto alla possibilità di fare pressione a Israele per sciogliere le resistenze vero la soluzione dei due Stati: “Stiamo proponendo alcune idee agli Stati membri, e parte di queste idee riguardano chiaramente anche come potremo usare le nostre condizionalità in futuro“.Dall’anno della sua istituzione, l’Accordo di Associazione Ue-Israele è stato spesso bersaglio di dure critiche. Un accordo che si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali, che Israele calpesta sistematicamente non solo nell’attuale bombardamento massivo di Gaza, ma anche con l’occupazione progressiva della Cisgiordania e lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi. Rimettere in discussione l’accordo significherebbe mettere sul tavolo una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.A che punto sono i lavori sulla missione navale Ue nel Mar RossoSu un binario parallelo il Servizio Europeo d’Azione Esterna (Seae), è al lavoro per proporre ai 27 un regime di misure restrittive per i coloni israeliani estremisti: “Gli americani l’hanno fatto, il Regno Unito l’ha fatto, ora sta a noi sanzionare persone che sono un ostacolo alla pace”, ha dichiarato una fonte Ue. L’altro punto su cui si concentreranno gli scambi tra i ministri è l’allargamento delle tensioni al Mar Rosso, dove da ormai due mesi i ribelli Houthi – foraggiati dall’Iran – attaccano dallo Yemen le navi cargo che attraversano il canale di Suez.Mar Rosso, una guardia Houthi su una nave con bandiera della Bahamas, sequestrata in un porto yemenita (Photo by AFP)I 27 discuteranno della missione navale a guida europea che il Seae vorrebbe rendere operativa il prima possibile. Sicuramente non già lunedì, dove l’obiettivo è solo confermare che “il principio che l’Ue dovrebbe essere presente con un’operazione militare sia accettato” da tutti. Una missione difensiva, che implichi l’uso della forza per rispondere al “fuoco in arrivo” e che possa contare su almeno “tre navi” militari in grado di abbattere “missili, razzi o droni” lanciati contro le imbarcazioni dirette o provenienti dal Canale di Suez.L’idea è quella di allargare Agenor, un’operazione già esistente sullo stretto di Hormuz, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Sarebbe la scelta più rapida, perché eviterebbe di passare dai parlamenti nazionali (quelli che lo richiedono): “Stiamo parlando con i Paesi membri che ne fanno parte”, ha spiegato la fonte. Della missione Agenor fanno parte Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Olanda e Norvegia. La missione, che non prevede “operazione a terra”, sarà infatti “aperta” alla partecipazione di Paesi non Ue, interessati a preservare la libertà di navigazione nel Mar Rosso. L’obiettivo resta approvare la missione nel Consiglio Affari Esteri del 19 febbraio.

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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.