More stories

  • in

    All’Onu comincia la conferenza sulla Palestina

    Bruxelles – La diplomazia prova a battere un colpo a favore della Palestina. Con oltre un mese di ritardo, inizia oggi alla sede dell’Onu la conferenza co-presieduta da Francia e Arabia Saudita per promuovere il riconoscimento dello Stato palestinese, tra le divisioni della comunità internazionale. Nel frattempo, Tel Aviv ha momentaneamente ceduto alle pressioni dei partner e sta facendo entrare col contagocce alcuni aiuti umanitari a Gaza.La conferenza era stata annunciata oltre due mesi fa, a fine maggio, e si sarebbe dovuta svolgere a metà giugno. Poi però Israele ha sferrato il suo attacco contro l’Iran e, così, era stata rimandata sine die. Fino ad oggi (28 luglio), quando ha preso ufficialmente il via la conferenza di alto livello delle Nazioni Unite sulla “risoluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati“, promossa da Parigi e Riad per imprimere un’accelerazione alla ricomposizione politica della cosiddetta questione israelo-palestinese.L’incontro, che si svolgerà fino a mercoledì (30 luglio) al Palazzo di vetro di New York, punta anche a centrare altri obiettivi chiave. La riforma dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), l’amministrazione guidata da Mahmoud Abbas che, operando come surrogato del futuro governo del futuro Stato palestinese, gestisce quello che rimane dei territori palestinesi occupati. Sul tavolo anche la smilitarizzazione di Hamas e la sua esclusione dalla vita politica della nazione palestinese che sarà e, infine, la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e gli Stati arabi della regione.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto: Stephane De Sakutin/Afp)Lo scorso giovedì (24 luglio), con una mossa che ha scosso il mondo politico occidentale, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che a settembre la Francia riconoscerà formalmente lo Stato di Palestina, il primo Paese G7 a farlo da quando, nel 1988, la leadership palestinese in esilio proclamò la nascita dello Stato. Per il suo ministro degli Esteri, Joel-Noël Barrot, “la prospettiva di uno Stato palestinese non è mai stata così minacciata, o così necessaria”.“La conferenza offre un’opportunità unica per trasformare il diritto internazionale e il consenso internazionale in un piano operativo e per dimostrare la determinazione a porre fine all’occupazione e al conflitto una volta per tutte, a beneficio di tutti i popoli“, ha dichiarato l’ambasciatore palestinese all’Onu Riyad Mansour, chiedendo “coraggio” a tutte le delegazioni (un centinaio circa) partecipanti.Per la segretaria generale di Amnesty international, Agnès Callamard, la priorità assoluta dev’essere quella di “intraprendere azioni concrete per porre fine al genocidio in corso” perpetrato da Israele nei confronti dei palestinesi, nonché di terminare “la sua occupazione militare illegale del territorio palestinese, che ha alimentato violazioni di massa contro i palestinesi e ha permesso e consolidato il crudele sistema di apartheid di Israele“.Senza “un cessate il fuoco immediato e duraturo” e la fine del “blocco illegale” imposto da Tel Aviv sulla Striscia, osserva Callamard, “qualsiasi processo volto ad affrontare il futuro dei palestinesi manca di credibilità“. “Gli Stati devono essere inequivocabili: Israele non è al di sopra della legge e la responsabilità è una priorità“, conclude.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Tel Aviv e i suoi alleati di ferro non hanno preso bene l’iniziativa franco-saudita. Per il premier israeliano Benjamin Netanyahu (sul quale pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) la mossa di Parigi “premia il terrorismo” e Donald Trump ha bollato come “ininfluente” Macron e la decisione.Una cattiva idea anche per il cancelliere tedesco Friedrich Merz, mentre il primo ministro britannico Keir Starmer è finito sotto il fuoco di fila dei deputati di Sua Maestà (inclusi i suoi stessi laburisti) affinché segua l’esempio di Macron. Giorgia Meloni schiera l’Italia sul consueto equilibrismo, sostenendo che riconoscere uno Stato palestinese che non esiste sulla cartina sia “controproducente“.Attualmente, sono 147 gli Stati membri dell’Onu che riconoscono la Palestina, su un totale di 193 Paesi. Tra questi ci sono undici membri Ue (Bulgaria, Cechia, Cipro, Irlanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria), ma nessuna nazione del G7. Un futuro Stato palestinese dovrebbe sorgere, teoricamente, sui territori di Gaza e della Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), tutti occupati illegalmente da Israele sin dalla guerra dei Sei giorni del 1967.La speranza, almeno da parte dell’Eliseo, è che la spinta di Macron possa indurre altri Paesi a riconoscere la Palestina, aumentando la pressione diplomatica per una fine della guerra – virtualmente la più sanguinosa che il mondo abbia conosciuto negli ultimi decenni – e per il soccorso alla popolazione civile dell’enclave palestinese.Sfollati palestinesi si accalcano per ricevere del cibo da parte di operatori umanitari al campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza (foto: Eyad Baba/Afp)Non solo con le bombe (metà delle quali sono made in Europe), ma anche attraverso la strumentalizzazione della fame. Tel Aviv sta affamando artificialmente centinaia di migliaia di esseri umani, negando loro gli aiuti umanitari che pure vengono stipati ai confini della Striscia – tanto che a tonnellate stanno venendo letteralmente buttati via, poiché ormai deperiti – con una deliberata strategia che ricorda l’Holodomor, il genocidio degli ucraini perpetrato dalla dirigenza sovietica nel 1932-33.Un numero crescente di Paesi, inclusi i tradizionali alleati europei, sta insistendo affinché lo Stato ebraico fermi la carneficina in corso, apra i valichi e faccia entrare a Gaza gli aiuti. Durante il weekend sono stati effettuati dei lanci di generi alimentari dal cielo, mentre il governo di Netanyahu (che incolpa l’Onu per i ritardi nella consegna degli aiuti) ha acconsentito a delle “pause tattiche” di una decina di ore al giorno “fino a nuovo avviso” e all’apertura di corridoi umanitari verso tre destinazioni nella Striscia.Ma è una goccia nel mare, che secondo gli esperti non sarà sufficiente a salvare i civili dalla malnutrizione. Nel frattempo non si interrompono i crimini di guerra dell’esercito di Tel Aviv, che ogni giorno continua ad assassinare decine di palestinesi durante la distribuzione del cibo a Gaza e continua a spalleggiare le violenze dei coloni in Cisgiordania.

  • in

    Israele bandirà l’Unrwa dal proprio territorio. Critiche da Ue e Stati Uniti: “È insostituibile”

    Bruxelles – A testa bassa, il governo israeliano continua a prendere a picconate il diritto internazionale e le sue istituzioni. Dopo aver rigettato le raccomandazioni della Corte di giustizia internazionale, bollato il segretario generale dell’Onu come “persona non gradita” sul territorio nazionale, Tel Aviv chiude il cerchio e si prepara, entro tre mesi, a bandire definitivamente l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwa) da Israele e dai territori palestinesi occupati.Ieri sera (28 ottobre) la Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato a larghissima maggioranza due leggi con cui definisce l’Unrwa un’organizzazione terroristica e vieta all’Agenzia dell’Onu di condurre “qualsiasi attività” all’interno di Israele, a Gerusalemme Est e nella Cisgiordania occupata. Tra 90 giorni, nessun funzionario israeliano dovrà più mantenere alcun contatto con i dipendenti dell’Unrwa, rendendo di fatto impossibile il lavoro all’Agenzia anche a Gaza. Perché la cooperazione con l’esercito israeliano – che controlla tutti gli ingressi all’enclave palestinese – è essenziale per trasferire gli aiuti nel territorio.Proprio mentre nel nord della Striscia aumenta di giorno in giorno il rischio di pulizia etnica da parte di Israele: secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) “il modo in cui l’esercito israeliano sta conducendo le ostilità nel nord di Gaza, insieme all’interferenza illegale con l’assistenza umanitaria e agli ordini che stanno portando allo sfollamento forzato” potrebbero causare “la distruzione della popolazione palestinese nel governatorato più settentrionale di Gaza”.Dipendenti dell’Unrwa in una scuola delle Nazioni Unite convertita a rifugio per gli sfollati palestinesi a Khan Yunis (Photo by Mahmud HAMS / AFP)Ma la campagna di Tel Aviv per delegittimare l’Unrwa va avanti dallo scorso gennaio, quando accusò l’Agenzia di “collusione con Hamas” e 12 dei suoi membri di aver partecipato agli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023. Inizialmente, la maggior parte dei Paesi occidentali sulle cui donazioni si regge il lavoro dell’Unrwa congelarono i finanziamenti, salvo poi sbloccarli per la mancanza di prove a sostegno delle accuse israeliane. Fallita l’opzione della delegittimazione internazionale, il governo di Benjamin Netanyahu ha scelto di fare da sé per mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Agenzia.Netanyahu ha ribadito che “i lavoratori dell’Unrwa coinvolti in attività terroristiche contro Israele devono essere ritenuti responsabili”, aggiungendo tuttavia che “aiuti umanitari sostenuti devono rimanere disponibili a Gaza”. Non esattamente quel che sta succedendo, stando a quanto riportato dall’Ufficio di coordinamento dell’Onu per gli Affari umanitari (Ocha). Nelle prime tre settimane di ottobre sarebbero stati autorizzati a entrare nella Striscia dal valico meridionale di Kerem Shalom una media di 28 camion umanitari al giorno, “tra le più basse dall’ottobre 2023” e “ben al di sotto della media di 500 camion per giorno lavorativo” precedente al 7 ottobre. Ancora peggio nello stesso periodo al checkpoint di Al Rashid, snodo per raggiungere da sud i governatorati settentrionali di Gaza: secondo Ocha le autorità israeliane avrebbero facilitato il passaggio solo del 6 per cento – 4 su 70 – dei convogli umanitari.Già prima della votazione alla Knesset, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, aveva espresso “grave preoccupazione” per due leggi che avranno “conseguenze di vasta portata, rendendo di fatto impossibili le operazioni vitali dell’Unrwa a Gaza”. Nel tentativo di richiamare i partner israeliani e esortarli “a riconsiderare la questione”, Borrell aveva definito le leggi “in netta contraddizione con il diritto internazionale e con il principio umanitario fondamentale dell’umanità“. Allo stesso modo, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha invitato Israele a riconsiderare il divieto, affermando che l’Unrwa è “insostituibile” in questo momento per la fornitura di aiuti umanitari a Gaza.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)In una nota, il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha affermato che il voto del Parlamento israeliano “costituisce un pericoloso precedente” e non è che “l’ultimo atto della campagna in corso per screditare l’Unrwa e delegittimare il suo ruolo nel fornire assistenza e servizi di sviluppo umano ai rifugiati palestinesi”. Dall’Agenzia dell’Onu dipendono non solo i quasi 2 milioni di sfollati interni nella Striscia di Gaza, ma circa 6 milioni di profughi palestinesi in tutta la regione.Per il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, l’attuazione delle leggi “è inaccettabile”. Guterres ha richiamato Israele “ad agire in modo coerente con i suoi obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e con gli altri obblighi previsti dal diritto internazionale”. Un richiamo destinato a cadere nel vuoto, pronunciato da un uomo trattato da Israele alla stregua di un terrorista, che non può più nemmeno mettere piede sul territorio israeliano.Secondo Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo, “la legge voluta dalla destra israeliana contro l’Unrwa è un altro ennesimo errore di Benjamin Netanyahu. Una scelta disumana e in piena violazione del diritto internazionale”.

  • in

    I cinque punti del Consiglio dell’Ue per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite: sostegno alla “Pace in tutte le sue dimensioni”

    Bruxelles – Il Consiglio dell’Unione europea ha approvato oggi (24 giugno) le priorità che l’Ue porterà durante la 79esima assemblea delle Nazioni Unite (settembre 2024 – settembre 2025). Le conclusioni rinnovano la determinazione dell’Ue a promuovere soluzioni multilaterali basate sulla Carta delle Nazioni Unite e sostengono l’impegno del Segretario generale delle Nazioni Unite per la “pace in tutte le sue dimensioni” chiedendo a questo scopo una migliore cooperazione internazionale.Nel contesto della triplice crisi planetaria rappresentata dal cambiamento climatico, dalla perdita di biodiversità e dall’inquinamento, l’Ue è impegnata a collaborare con i partner per accelerare una transizione verde globale, giusta e inclusiva. L’Unione ribadisce la sua determinazione nel voler accelerare gli sforzi per attuare l’Agenda 2030 e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e auspica che il Summit del futuro possa essere una svolta nel sistema multilaterale.L’Unione europea continuerà a lavorare per rafforzare il rispetto, la protezione e l’adempimento di tutti i diritti umani e a invitare tutti gli Stati a impegnarsi pienamente nel farlo in accordo con le Nazioni Unite. Nelle conclusione approvate dal Consiglio dell’Ue vengono evidenziate come priorità: l’ordine internazionale basato sulle regole, la pace e la sicurezza internazionale, lo sviluppo sostenibile e la lotta contro la tripla crisi planetaria. Inoltre, l’Unione sosterrà la partecipazione significativa di una società civile diversificata, indipendente e basata sui diritti ai processi multilaterali, compresi, ma non solo, i forum sui diritti umani, la mediazione della pace e il processo decisionale.

  • in

    Borrell a Israele: “Niente attacchi all’Onu, fondamentale per pace e stabilità”

    Bruxelles – Le ragioni di Israele non valgono più di ogni altra cosa, sicuramente non più delle Nazioni Unite. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, manda un messaggio chiaro e deciso allo Stato ebraico e i suoi rappresentanti. Lo fa rispondendo a un’interrogazione parlamentare in cui ci si lamenta del comportamento di Gilad Erdan, ambasciatore di Israele presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, critico, troppo critico, nei confronti del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.Quello che è successo risale all’8 dicembre ed è la censura di Guterres sul modo in cui Israele sta rispondendo agli attacchi del 7 ottobre. Una risposta ritenuta eccessiva, tanto da indurre il segretario generale dell’Onu a chiedere il rispetto dei diritti umani e cessate il fuoco. Parole che non sono piaciute a Erdan, secondo cui criticando Israele ci si schiera con i terroristi di Hamas. L’ambasciatore israeliano ha chiesto le dimissioni di Guterres e minacciato di non concedere visti a nessun funzionario Onu.“L’Ue respinge gli attacchi contro il Segretario generale delle Nazioni Unite o i tentativi di squalificare l’Onu come organismo fondamentale che opera per la pace e la stabilità nel mondo“, replica oggi Borrell. Un messaggio chiaro per il governo di Netanyahu. Nei confronti del quale rincara la dose, insistendo sulla necessità del rispetto dei diritti umani di base.“L’Ue – continua Borrell nella sua risposta – sostiene l’appello rivolto dal Segretario generale delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza dell’Onu affinché intervenga per evitare una catastrofe umanitaria a Gaza e il collasso del sistema umanitario”. Un implicito atto di accusa nei confronti di Israele, e di aver creato situazioni insostenibili e sempre più difficile da appoggiare. Le ragioni di Israele sono andate un po’ oltre il consentito, e Borrell lo dice come meglio non potrebbe.

  • in

    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.

  • in

    Limitazione del diritto di veto e inclusione delle organizzazioni regionali. La spinta di Michel alla riforma delle Nazioni Unite

    Bruxelles – I panni sporchi si lavano in famiglia. E se la famiglia è “globale e disfunzionale”, è necessaria un’azione drastica e incisiva. Come una riforma complessiva del sistema di funzionamento dell’Onu. Dal podio del Palazzo di Vetro, in occasione della 78esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha sostenuto con forza la necessità di una riforma dell’organizzazione intergovernativa nata nel 1945, dopo che il sistema “è bloccato e ostacolato da forze ostili”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla 78esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York (21 settembre 2023)
    Intervenuto a New York nella nottata europea (21 settembre), il numero uno del Consiglio ha messo in chiaro che “l’Unione Europea aspira a un mondo multipolare, un mondo che coopera e si muove verso una maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani“. Tuttavia, “la fiducia si sta erodendo, le tensioni si moltiplicano e un pericoloso confronto bipolare ci minaccia, come se tutti dovessero schierarsi l’uno contro l’altro”, è l’avvertimento sul fatto che è più che mai necessario “rimettere in moto la cooperazione multilaterale e riparare il sistema delle Nazioni Unite”. Il punto di partenza rimane “la fiducia basata sul rispetto dei sacri principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite” – rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dei diritti umani – e l’accusa a chi ha minato le fondamenta del progetto è netta: “Negli ultimi 19 mesi un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Russia, ha condotto una guerra di conquista contro un Paese vicino che non l’ha mai minacciato”.
    Per tutti questi motivi il leader dell’istituzione comunitaria ha voluto far sentire la sua voce per portare “una nuova prospettiva” al dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite, basata in particolare sulla questione del diritto di veto e sul ruolo che dovrebbero svolgere le organizzazioni regionali, come l’Ue e non solo: “Su questi punti chiedo un emendamento alla Carta delle Nazioni Unite”, ha annunciato Michel. In primis perché “il Consiglio di Sicurezza non riflette il mondo di oggi, ci sono 60 Paesi che non hanno mai avuto un seggio” e “intere aree del mondo – Africa, Sud America, Caraibi, Asia – sono poco o per nulla rappresentate”. Se “potere e legittimità vanno di pari passo”, la mancanza di rappresentatività del Consiglio di Sicurezza “sta minando la sua legittimità”.
    Da una parte c’è dunque la necessità di ragionare sul superamento dello “status quo” per quanto riguarda l’aumento del numero di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “Le Nazioni Unite, come suggerisce il nome, sono un club di nazioni”, ha ricordato il presidente Michel, tenendo fisso lo Stato nazionale come “unità di base” del sistema multilaterale, ma definendo “inevitabile” l’aumento dei membri permanenti. Allo stesso tempo però non potrà rimanere così com’è il diritto di veto, che “nella sua forma attuale è soggetto ad abusi e rende il Consiglio di Sicurezza imponente”. Gli esempi si sprecano – tutti dimostrati dalla guerra russa in Ucraina – dalla “violazione palese” della Carta e del diritto internazionale da parte dei membri permanenti al diritto di veto sulle sanzioni contro se stessi “ancora più scioccante”, fino alla propaganda e la disinformazione veicolata all’interno del Consiglio stesso. Bruxelles sostiene in particolare l’iniziativa di Francia e Messico che dovrebbe limitare il diritto di veto “nei casi di atrocità di massa”, ha puntualizzato Michel: “Sosteniamo il codice di condotta relativo all’azione contro il genocidio, i crimini contro l’umanità o i crimini di guerra”, così come “tutti gli sforzi per migliorare la trasparenza e la responsabilità del Consiglio di Sicurezza”. Nel contesto della riforma della Carta Onu si dovrebbe istituire un meccanismo “che combini il processo decisionale a maggioranza con un uso moderato e flessibile del diritto di veto”, ha voluto ribadire il numero uno del Consiglio Ue.
    E poi, considerando la riforma del sistema di rappresentatività, non si può allargare l’orizzonte oltre gli Stati nazionali. “Il ruolo delle organizzazioni regionali e continentali sta crescendo“, come dimostra l’azione dell’Unione Europea, dell’Unione Africana, della Comunità degli Stati Latino-Americani e dei Caraibi (Celac) e dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). “Queste organizzazioni riflettono un nuovo livello di legittimità nei forum internazionali e multilaterali“, dal momento in cui svolgono un “ruolo di coordinamento politico ed economico tra i loro membri” e creano “spazi per una cooperazione più stretta e dove si stabiliscono le regole”, è quanto messo in chiaro dal presidente Michel, che si è detto convinto che “le Nazioni Unite diventerebbero più legittime ed efficaci se dessero spazio alle organizzazioni regionali“. Un’inclusione che potrebbe dare vita a un circolo virtuoso, con una doppia azione: le stesse organizzazioni potrebbero “cooperare di più e meglio tra loro”, mentre “la loro influenza stabilizzatrice sarebbe ulteriormente rafforzata nella cooperazione multilaterale”. Con questo quadro chiaro il presidente del Consiglio Ue ha annunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che “presto prenderò l’iniziativa di organizzare un vertice istituzionale tra Unione Europea, Unione Africana, Celac, Asean e con il Segretario Generale delle Nazioni Unite”, António Guterres. L’obiettivo sarà proprio quello di “riflettere su come le nostre organizzazioni possano agire insieme per rafforzare il sistema multilaterale”. E lavare i panni sporchi in famiglia.

    Nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, il presidente del Consiglio Ue ha avvertito che “oggi questa famiglia globale è disfunzionale” a causa di un sistema bloccato da “forze ostili”. Presto un vertice con Unione Africana, Celac, Asean e il Segretario Generale António Guterres

  • in

    Clima, Guterres all’Ue: “Vicini al punto di non ritorno, anticipare obiettivo zero emissioni al 2040”

    Bruxelles – Lo scenario peggiore è sempre più vicino, e bisogna fare in fretta, molto in fretta per invertire la rotta. A pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, che ha mostrato in modo un’altra volta lo stato di salute drammatico del pianeta, è stato il segretario delle Nazioni Unite in persona, Antonio Guterres, a recapitare il messaggio d’allarme a casa dei leader europei. Il vertice dei 27 di oggi e domani (23-24 marzo) a Bruxelles si è aperto con un pranzo di lavoro guidato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dal segretario Onu: sul tavolo, oltre all’emergenza climatica, il ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, l’insicurezza alimentare alimentata dal conflitto in Ucraina e le relazioni con la Cina.
    “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite mostra che siamo vicini al punto di non ritorno, che renderebbe impossibile perseguire l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5 gradi” della temperatura globale rispetto ai livelli del 1990, ha dichiarato Guterres al suo ingresso all’Europa Building. Gli esperti Onu sulla valutazione dei cambiamenti climatici hanno stimato che fino a oggi l’uomo ha provocato un aumento medio della temperatura terrestre di almeno 1,1°C: il limite posto nel 2015 con l’Accordo di Parigi è sempre più vicino e, come sottolinea il rapporto, con la tendenza attuale sarà superato già prima della metà del prossimo decennio.
    Antonio Guterres e Charles Michel, 23/03/23
    Il segretario generale ha evocato la necessità di “azioni urgenti e di un’agenda accelerata”, soprattutto da parte dei Paesi più industrializzati. In linea con quanto suggerito dal rapporto dell’Ipcc, Guterres ha chiesto ai 27 di anticipare di 10 anni i propri obiettivi stabiliti a Parigi per raggiungere la neutralità carbonica, nel 2040 invece che nel 2050. L’Onu “conta sulla leadership dell’Unione europea”, che secondo Guterres sta già “lavorando in modo positivo” verso la decarbonizzazione.
    Michel, accogliendo Guterres, ha posto l’accento sui tratti comuni tra l’Ue e l’Onu: “Crediamo in un approccio multilaterale, nella cooperazione, nella carta delle Nazioni Unite e nella legge internazionale”, ha affermato, congratulandosi “per la leadership” dimostrata “soprattutto con il Black Sea Grain“, l’iniziativa che dal luglio 2022 ha sbloccato l’export via mare di oltre 25 milioni di tonnellate di cereali ucraini, prorogata non senza difficoltà lo scorso 18 marzo. A quanto si apprende tuttavia, Guterres si sarebbe mostrato abbastanza pessimista sul proseguimento dell’accordo, che non starebbe andando in una direzione positiva perché interpretato in modo diversi dalle parti in causa.
    Pessimismo che sfiora quasi il catastrofismo quando Guterres passa in rassegna lo stato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite per il 2030: “Più fame, più povertà, meno educazione e servizi sanitari in diverse regioni del mondo”, ha evidenziato il segretario generale dell’Onu, parlando di “una tempesta perfetta in molti Paesi in via di sviluppo”. Anche sull’Agenda per il 2030, Guterres ha fatto appello all’Ue affinché si “rimetta in carreggiata” verso il perseguimento degli obiettivi Onu. Sul gigante cinese e sul suo avvicinamento alla Russia, il segretario portoghese avrebbe lanciato un avvertimento ai 27: vista l’attitudine ancora positiva di Pechino nei confronti dell’Ue, Guterres ha suggerito di evitare qualsiasi mossa che possa isolare ulteriormente il presidente Xi Jinping. poiché in quel caso si rischierebbe di spingerlo ancora di più verso la Russia di Putin.

    Il segretario generale dell’Onu, ospite d’eccezione al vertice dei leader europei, si dice pessimista sul proseguimento dell’accordo sul grano ucraino con la Russia. “Più fame e povertà in diverse regioni del mondo”, l’allarme di Guterres sul ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile

  • in

    Dentro la risoluzione Onu per la pace giusta in Ucraina: chi sono i Paesi astenuti e i contrari

    Bruxelles – Le Nazioni Unite, dopo due giorni di bagarre, hanno approvato con una maggioranza schiacciante la risoluzione per una “pace giusta” in Ucraina. 141 i voti a favore, 7 i contrari, 32 gli astenuti: a un anno dall’inizio dell’invasione russa e dalla prima risoluzione Onu, lo scacchiere internazionale rimane pressoché invariato. Il 2 marzo 2022 infatti, in un clima sconvolto dalle immagini dei primi tank dell’esercito di Mosca che oltrepassavano il confine con l’Ucraina, 141 Paesi votarono in fretta e furia una risoluzione in cui si chiedeva il ritiro delle truppe russe. In quell’occasione, i contrari furono 5, gli astenuti 35.
    Nel club filorusso che un anno fa contava, oltre al Cremlino, Bielorussia, Corea del Nord, Siria e Eritrea, figurano ora anche Nicaragua e Mali, che nel 2022 si erano astenute in sede Onu. Entrambe d’altronde, nell’ultimo periodo hanno rinsaldato i legami con Mosca: nella repubblica centro-americana, il presidente Daniel Ortega ha autorizzato lo scorso luglio l’ingresso nel Paese a truppe, aerei e navi russe per scopi di addestramento e pubblica sicurezza, rafforzando così la storica vicinanza politica, che esiste dai tempi del supporto dell’Unione Sovietica alla rivoluzione sandinista del 1979. In Mali invece, per mantenere il potere la giunta militare di Assimi Goïta si appoggia al gruppo Wagner, la milizia di mercenari legata al Cremlino e al Ministero della Difesa russo.
    I partner dell’Ue che si sono astenuti all’Onu
    Tra i 32 astenuti, oltre a Cina e India, spiccano soprattutto alcuni Paesi partner dell’Unione europea: Algeria, Sud Africa, Etiopia, Kazakistan. L’Algeria, “partner chiave per l’Ue nell’ambito del vicinato meridionale”, con cui nel 2017 sono state adottate le priorità comuni del partenariato per un “impegno politico e cooperazione rafforzata”; il Sud Africa, dove l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, si è recato solo un mese fa per la 15esima sessione del Dialogo politico ministeriale, e in cui proprio Borrell aveva sottolineato il contributo potenziale del governo di Pretoria per mettere fine all’aggressione della Russia contro l’Ucraina; il Kazakistan, che nel 2015 ha firmato con l’Ue l’Accordo di Partnership e Cooperazione rafforzata (Epca), entrato in vigore nel 2020. E l’Etiopia, che a novembre ha trovato l’accordo per il cessate il fuoco con il Fronte popolare del Tigray, e la cui popolazione è stata sostenuta da Bruxelles con aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari prima e durante il conflitto. Due invece i Paesi che si erano astenuti un anno fa e che si sono convinti della necessità di fermare l’aggressione militare di Mosca: si tratta di Iraq e Madagascar.
    “Prenderemo nota dei Paesi che si sono astenuti“, ha commentato a proposito la portavoce della Commissione europea, Nabila Massrali, a cui ha fatto immediatamente eco il rappresentante capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, che ha promesso: “Continueremo i nostri sforzi pedagogici per spiegare la posizione dell’Ue, che è quella del rispetto del diritto internazionale, a tutti i nostri Partner nel mondo”. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha preferito rimarcare la “schiacciante maggioranza” che ha “affermato chiaramente che la Russia deve fermarsi”, e che deve farlo “ora”. Le zone d’ombra lasciate dalla risoluzione delle Nazioni Unite, definita dal vicepresidente del Consiglio italiano, Antonio Tajani, “un grande successo”, per il momento non preoccupano Bruxelles, decisa a continuare “a discutere con tutti i partner per far comprendere sempre di più le origini di questo conflitto e la necessità di porvi fine“.

    The United Nations General Assembly #UNGA has voted today.
    141 countries called for a just, lasting and comprehensive peace in #Ukraine.
    The overwhelming majority of the international community has spoken clearly: Russia must stop its aggression.
    It needs to stop now. pic.twitter.com/pL5ic7gUoe
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 23, 2023

    Con 141 voti favorevoli, 7 contrari e 32 astenuti, le Nazioni Unite hanno ribadito la necessità che Mosca fermi la sua guerra di aggressione. Ma rispetto alla prima risoluzione del marzo del 2022, anche Nicaragua e Mali si sono schierate con il Cremlino. E tra gli astenuti figurano alcuni partner dell’Ue