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    Spagna, Irlanda e Norvegia annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Israele: “Hanno scelto di premiare Hamas”

    Bruxelles – I due Paesi Ue più attivi in solidarietà del popolo palestinese rompono gli indugi e annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Spagna e Irlanda compiranno il passo formale il prossimo 28 maggio. Con loro anche la Norvegia: i tre vanno così ad aggiungersi ai 140 Paesi nel mondo che già attribuiscono alla Palestina lo status di entità statale. Ira di Israele: “Questi Paesi hanno scelto di premiare Hamas”. E richiama a Tel Aviv gli ambasciatori a Dublino e Oslo.Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, annuncia il riconoscimento della Palestina al Congresso dei deputati (Photo by Thomas COEX / AFP)I primi ministri di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno annunciato il riconoscimento sulla base dei confini del 1967 in contemporanea: Pedro Sanchez si è presentato al Congresso dei deputati di Madrid, mentre il primo ministro irlandese Simon Harris e quello norvegese Jonas Gahr Støre hanno convocato due conferenze stampa. “E’ giunto il momento di passare dalla parole ai fatti. Per la pace, per la giustizia e per la coerenza”, ha dichiarato Sanchez in Aula. Per il premier norvegese la decisione è figlia del fatto che “non può esserci pace in Medioriente se non c’è riconoscimento“. Dello stesso avviso Harris: “Il riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenta un sostegno inequivocabile alla soluzione dei due Stati” ed è “l’unica via credibile verso la pace tra Israele e Palestina”, ha dichiarato.Tutti e tre hanno poi auspicato che altri Paesi seguano la strada tracciata da Madrid, Dublino e Oslo. A partire dalla Slovenia, che nei mesi scorsi si è detta pronta a riconoscere unilateralmente la Palestina e che dovrebbe procedere entro il 13 giugno – quando il Parlamento di Lubiana voterà sulla questione -, ma anche Belgio, Lussemburgo e Portogallo, Paesi che tentennano tra l’azione unilaterale e la posizione ufficiale del blocco Ue, pronta a riconoscere Ramallah solo una volta che sarà inserita nel processo di una soluzione a due Stati. La mossa compiuta oggi dai due Paesi Ue e dalla Norvegia prova a invertire il ragionamento: la soluzione a due Stati non può che partire dal riconoscimento dello Stato palestinese.Il primo ministro irlandese Simon Harris (C), affiancato dal ministro degli Affari Esteri, Michel Martin (R), e dal ministro dei Trasporti, Eamon Ryan (L),  annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Paul FAITH / AFP)Anche perché la posizione di Bruxelles – condivisa peraltro con gli Stati Uniti – è nei fatti sbarrata dalla riluttanza del governo israeliano di Benjamin Netanyahu, che ha ribadito a più riprese la propria opposizione alla soluzione a due Stati. “Con questo passo significativo, Spagna, Irlanda e Norvegia hanno dimostrato ancora una volta il loro incrollabile impegno per la soluzione a due Stati e per garantire al popolo palestinese la giustizia da tempo attesa”, ha commentato il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese, sottolineando inoltre come il riconoscimento della Palestina sia “in linea con il diritto internazionale e con tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite in materia”.Dei 27 Paesi Ue, la Svezia era stata finora l’unico ad aver proceduto al riconoscimento della Palestina mentre era membro del blocco, nel 2014. Mentre Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Romania, Polonia e Slovacchia hanno fatto questo passo prima di entrare nell’Unione. Con l’annuncio di Spagna e Irlanda, saranno ora 11 le capitali Ue a riconoscere Ramallah, ancora meno della metà. E soprattutto, alla conta mancano ancora Parigi, Berlino e Roma.Il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Store (R), e il ministro per gli Affari esteri, Espen Barth Eide, annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Erik Flaaris Johansen / NTB / AFP) / Norway OUTLa Francia di Emmanuel Macron ha già sostenuto di essere pronta a “contribuire” al riconoscimento di uno Stato palestinese, “sia in Europa che in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Mentre Italia e Germania, seppur non ostili all’idea, la vincolano al contemporaneo riconoscimento da parte di Israele. Nulla di più lontano, a giudicare dalla reazione di Tel Aviv all’annuncio di Spagna, Irlanda e Norvegia: il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha già richiamato in patria gli ambasciatori a Dublino e Oslo, minacciando di fare lo stesso con il corpo diplomatico israeliano a Madrid.“Israele non rimarrà in silenzio di fronte a coloro che minano la sua sovranità e mettono in pericolo la sua sicurezza”, ha dichiarato Katz in una nota, sostenendo che in questo modo i tre Paesi “hanno scelto di premiare Hamas e l’Iran” nonostante “il più grande massacro di ebrei dai tempi dell’Olocausto“. Per il ministro il riconoscimento unilaterale della Palestina “mina le possibilità di pace e mette in discussione il diritto di Israele alla pace”. Katz va oltre, minacciando “ulteriori gravi conseguenze” nei confronti dei tre Paesi. Che altro non hanno fatto che uniformarsi ai 139 Paesi membri dell’Onu che già hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Circa il 70 per cento di chi siede all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

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    La Norvegia si aggiunge a Danimarca e Paesi Bassi e fornirà gli F-16 a Kiev. Ministri Ue alla prova di più risorse per la difesa dell’Ucraina

    Bruxelles – Anche la Norvegia si unisce a Danimarca e Paesi Bassi nella coalizione dell’aviazione e donerà caccia da combattimento F-16 di fabbricazione statunitense all’Ucraina. La conferma del primo ministro norvegese Jonas Gahr Store in visita a Kiev è arrivata ieri (24 agosto) nel giorno in cui l’Ucraina festeggiava i 32 anni di indipendenza dall’Urss. “La Norvegia fornirà F-16 all’Ucraina. La migliore notizia per il nostro Giorno dell’Indipendenza”, ha commentato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, facendo sapere che intende organizzare a Oslo uno dei prossimi round dei colloqui sulla Formula di Pace.

    Norway will provide F-16s to Ukraine. The best news for our Independence Day.
    During our talks, I thanked Prime Minister @JonasGahrStore and all Norwegians for this and other crucial support.
    We will also be glad to hold one of the next rounds of Peace Formula talks in Oslo. pic.twitter.com/8sqav6mQOl
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) August 24, 2023

    La Norvegia si unisce dunque allo sforzo guidato da Paesi Bassi e Danimarca per rifornire Kiev di aerei da combattimento per rafforzare le difese aeree e ad aiutare la sua controffensiva contro l’invasione russa, iniziata a febbraio 2022. Gli aerei caccia sono dotati di un cannone da 20 mm e possono trasportare bombe, razzi e missili. “Stiamo progettando di donare aerei da combattimento F-16 norvegesi all’Ucraina e forniremo ulteriori dettagli sulla donazione, i numeri e i tempi per la consegna, a tempo debito”, ha chiarito il ministro norvegese Store.
    Se gli F-16 di fabbricazione statunitense saranno donati a Kiev da Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia, la Grecia e gli Stati Uniti si sono offerti di addestrare i piloti ucraini a guidarli. La Danimarca consegnerà 19 aerei caccia da combattimento in totale, con i primi sei che dovrebbero essere spediti in Ucraina intorno a fine anno e che saranno seguiti da otto nel 2024 e cinque nel 2025. Dai Paesi Bassi ne dovrebbero arrivare una quarantina, mentre i numeri della Norvegia ancora non sono noti.
    Mentre prosegue il tour di Zelensky tra le capitali per cercare alleati nella sua coalizione dell’aviazione, la prossima settimana i ministri della Difesa e degli Esteri dei Ventisette torneranno a riunirsi a Toledo (dal 29 al 31 agosto) dopo una lunga pausa estiva. E discuteranno della proposta avanzata dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, di mobilitare risorse extra per 20 miliardi fino al 2027 per garantire un sostegno continuo alla difesa dell’Ucraina. Non si tratterà di un nuovo fondo da parte dell’Ue, ma di una specifica sezione dell’attuale strumento europeo per la pace (European Peace Facility), lo strumento finanziario fuori dal bilancio comunitario istituito nel 2021 per migliorare la capacità dell’Ue di prevenire i conflitti e di finanziare azioni operative che hanno implicazioni militari o di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune.
    Il capo della diplomazia europea ha fatto il primo accenno alla proposta di nuovi finanziamenti a Kiev lo scorso 20 luglio, all’ultima riunione dei ministri degli Esteri prima dell’estate, rimandando a settembre la discussione approfondita. La riunione nel formato Gymnich come sempre sarà informale e dunque non si aspettano decisioni formali da parte dei Ventisette, quanto un primo scambio di idee sulla proposta.

    Oslo entra nella “coalizione dell’aviazione”. La proposta dell’alto rappresentante Josep Borrell di risorse aggiuntive per 20 miliardi fino al 2027 per garantire un sostegno continuo alla difesa dell’Ucraina sul tavolo della riunione Gymnich dei ministri degli Esteri la prossima settimana

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    La Norvegia sceglie i laburisti: Jonas Gahr Støre sarà il prossimo primo ministro

    Bruxelles – Dopo 8 anni, la sinistra torna a vincere le elezioni in Norvegia. Con il 26,4 per cento dei voti, il partito laburista AP è la compagine più votata, staccando di sei punti i conservatori della primo ministro uscente Erna Solberg. “Come partito vincitore, ci assicureremo che la Norvegia abbia un nuovo governo e un nuovo corso. Nei prossimi giorni, inviterò i leader di tutti i partiti che vogliono un cambiamento, a cominciare dai centristi di SP e dalla Sinistra Socialista”, ha dichiarato il segretario di AP Jonas Gahr Støre. Solberg gli ha telefonato per congratularsi della vittoria e ha affermato che proverà ancora a correre per le prossime elezioni, fissate per il 2025.
    Il leader laburista sarà dunque il prossimo primo ministro norvegese. 61 anni, è stato tra il 2005 e il 2012 ministro degli Esteri del governo guidato da Jens Stoltenberg, l’attuale segretario generale della NATO. Pur essendo un milionario, Gahr Støre ha incentrato la sua campagna sulla promessa di combattere l’eccessiva diseguaglianza presente nel Paese. Il buon risultato ottenuto da centristi e Sinistra Socialista (rispettivamente 13.6 e 7.5 per cento) gli consente di tentare di creare una coalizione di governo senza lo scomodo appoggio dei marxisti del Partito Rosso, che con il 4.7 per cento hanno duplicato i consensi rispetto al 2017. Non sarà necessario nemmeno l’apporto dei Verdi, che con un risultato sotto le aspettative sono scesi sotto la soglia di sbarramento del 4 per cento ed entrano in Parlamento solo per il ripescaggio dovuto al voto nelle contee.
    La formazione del prossimo governo di centro-sinistra potrebbe però non essere così semplice. In campagna elettorale il leader centrista Trygve Slagsvold Vedum aveva escluso qualsiasi accordo con la Sinistra Socialista, per via della loro intransigenza sul tema dell’esplorazione per la scoperta di idrocarburi, punto centrale e divisivo del dibattito pre-elettorale. A differenza dei laburisti però, i due partiti condividono un certo euroscetticismo e hanno promesso di rinegoziare l’adesione della Norvegia allo Spazio Economico Europeo. A Gahr Støre il compito di fare sintesi, ma per la prima volta dal 1959 il centro-sinistra sarà nello stesso momento alla guida di tutti e cinque i Paesi nordici.

    I laburisti vincono le elezioni nel Paese scandinavo. L’ex ministro degli Esteri Gahr Støre intende creare una coalizione di governo con i centristi e Sinistra Socialista, con i partiti che sono divisi su rapporti con l’UE e transizione ecologica. Sotto le aspettative il risultato dei Verdi

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    Norvegia al voto: la scelta tra transizione green e sicurezza economica

    Bruxelles – Si chiudono oggi 13 settembre alle 21 le urne in Norvegia per il rinnovo dello Storting, il Parlamento unicamerale del Paese. La primo ministro Erna Solberg, in carica dal 2013 e leader del partito di centro-destra Høyre, rischia di non essere riconfermata, in un’elezione che si gioca principalmente sul tema della transizione ecologica.
    Il dibattito elettorale
    Come negli altri Stati scandinavi, in Norvegia la questione ambientale è particolarmente sentita dalla popolazione: il 95 per cento dell’energia viene prodotto con l’idroelettrico e 7 automobili vendute su 10 sono elettriche. Tuttavia l’economia del Paese si basa quasi interamente sull’esportazione di petrolio e gas naturale, di cui è il maggior produttore dell’Europa Occidentale. Il settore dei combustibili fossili impiega oltre 200mila persone, più del 7 per cento della forza lavoro nazionale. Come gestire la futura transizione ecologica è dunque il maggior punto di divisione tra le forze politiche, con i conservatori di Høyre che sono fortemente contrari a uno stop all’esplorazione e alla produzione di idrocarburi, preoccupati per le ricadute economiche e occupazionali. Su posizioni simili il centro-sinistra laburista e i centristi di SP, oltre che la destra populista di FrP. Al contrario, tutti i partiti di sinistra a partire dai Verdi premono per uno stop immediato all’esplorazione e per la fine della produzione di combustibili fossili entro i prossimi 15-20 anni.
    Altro tema divisivo sono i rapporti con l’Unione Europea. Oslo non è membro dell’UE, ma aderisce a Schengen e allo Spazio Economico Europeo (SEE). Laburisti e Høyre sono favorevoli all’appartenenza del Paese alla SEE, mentre la sinistra e i centristi sono più euroscettici. In particolare, il carismatico leader di SP Trygve Slagsvold Vedum si è battuto affinché il comparto della regolamentazione del settore energetico torni ad essere interamente nelle mani del governo norvegese.
    Sondaggi e prospettive
    I sondaggi vedono in prima posizione il partito laburista (AP), con un consenso stimato intorno al 24 per cento. Il suo leader Jonas Gahr Støre, già ministro degli Esteri tra il 2005 e il 2012, è dunque il favorito per diventare il prossimo capo del governo. Al contrario, in caso di vittoria del centrodestra Erna Solberg (soprannominata “Iron Erna” per via della sua ammirazione per Margaret Thatcher) diventerebbe la prima premier della storia norvegese ad essere eletta per tre mandati consecutivi. Tuttavia, le rilevazioni non le sorridono. Nonostante una buona popolarità personale, il suo partito Høyre sarebbe inchiodato al 19 per cento dei consensi. A complicare la situazione, il rischio che gli alleati liberali di Venstre e cristiano-democratici di KrF non superino la soglia di sbarramento fissata al 4 per cento. Decisivo potrebbe essere il ruolo dei centristi di SP, che con un seguito stimato intorno al 13 per cento rappresentano il vero ago della bilancia di queste elezioni. 

    Più frammentata la situazione alla sinistra di AP. Sinistra Socialista (SV), Verdi (MDG) e Partito Rosso (R) sono tutti ostili al SEE e favorevoli allo stop delle esplorazioni di idrocarburi, ma si dividono sulla visione economica, con i rossi che hanno una dottrina dichiaratamente marxista. A completare il quadro politico la destra libertaria e populista del Partito del Progresso (FrP), che nonostante un seguito più che discreto dovrebbe essere esclusa dalla formazione del prossimo governo. Il leader laburista Gahr Støre ha dichiarato di augurarsi di riuscire a formare una coalizione progressista con i centristi e Sinistra Socialista. Non sarà semplice, le distanze sul tema energetico sono ampie e la strada per il nuovo governo, complici la frammentazione politica e la legge elettorale proporzionale, risulta essere tutta in salita.

    Elezioni a Oslo: il centrodestra rischia di perdere la guida del governo dopo 8 anni. Favoriti i laburisti. Il Paese, grande produttore di petrolio, alla prova della transizione green