More stories

  • in

    Armenia e Azerbaigian hanno concordato i termini di un trattato di pace

    Bruxelles – Si respira l’aria dei momenti storici nel Caucaso meridionale. Armenia e Azerbaigian sembrano sul punto di stipulare un accordo di pace che metterebbe fine a quasi 40 anni di conflitto nella martoriata regione, centro delle mire di diversi attori internazionali. I dettagli dell’intesa non sono stati resi pubblici, ma rimangono ancora degli ostacoli sulla strada della piena pacificazione e della normalizzazione diplomatica tra le due capitali.L’annuncio dell’intesaI ministri degli Esteri di Yerevan e Baku hanno dichiarato ieri (13 marzo) di aver raggiunto un accordo di principio sui termini sostanziali di un trattato di pace, col quale i due Paesi caucasici potrebbero voltare pagina su un aspro conflitto che va avanti da 37 anni ed ha causato decine di migliaia di morti nonché lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone da entrambe le parti. Non è tuttavia stato fornito un calendario preciso per la stipula dello storico accordo, che rimane di fatto ancora in sospeso.Jeyhun Bayramov, titolare della diplomazia azera, è stato il primo ad annunciare che i negoziati sul testo dell’accordo erano stati completati: “Il processo negoziale sul testo dell’accordo di pace con l’Armenia si è concluso”, ha dichiarato ieri. Poco dopo, il suo omologo armeno Ararat Mirzoyan ha confermato che “l’accordo di pace è pronto per la firma“. Secondo fonti armene, Yerevan aveva proposto di redigere una dichiarazione congiunta ma Baku avrebbe unilateralmente deciso la fuga in avanti.Il ministro azero degli Affari esteri Jeyhun Bayramov (foto: Leonardo Munoz/Afp)Sia come sia, l’accordo ha permesso di trovare la quadra relativamente agli ultimi due punti contesi tra i 17 discussi di recente tra le parti, che dalla fine della scorsa estate si stavano muovendo verso una ricomposizione politica della crisi decennale. Si tratta nello specifico dell’espulsione degli osservatori internazionali (inclusi quelli dell’Ue) dislocati lungo il confine tra i due Paesi – attualmente chiuso e fortemente militarizzato – nonché dell’abbandono delle cause legali in corso nelle sedi multilaterali.“Ci congratuliamo con entrambe le parti”, si legge in un comunicato del Servizio europeo di azione esterna (Seae), la Farnesina dell’Ue. “È fondamentale mantenere questo slancio e garantire il completamento senza intoppi di questo processo con lo stesso approccio lungimirante e orientato al compromesso”, continua la nota.Le questioni territorialiLa questione principale alla base del sanguinoso conflitto iniziato nel lontano 1988 (prima ancora della dissoluzione dell’Urss, della quale facevano parte entrambi), cioè lo status del Nagorno-Karabakh, sembra in realtà sostanzialmente risolta da quando il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha ufficialmente riconosciuto la sovranità azera sull’area nel settembre 2023.La regione, all’interno del territorio dell’Azerbaigian ma popolata storicamente da armeni e controllata da separatisti supportati da Yerevan, era stata a lungo contesa tra i due Paesi. Dopo varie fasi di guerra, alternate a periodi di relativa stabilità in cui il conflitto è parso congelato, Baku ne ha ripreso il pieno controllo nel settembre di due anni fa tramite un’operazione lampo che ha provocato una grave crisi umanitaria, l’espulsione della popolazione armena e la fine dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Karen Minasyan/Afp)Ora il governo azero chiede lo scioglimento del cosiddetto gruppo di Minsk, un format dell’Osce coordinato da Francia, Russia e Stati Uniti all’interno del quale hanno avuto luogo i negoziati tra le due nazioni caucasiche fino al 2020, quando è scoppiata la seconda guerra del Nagorno-Karabakh.Rimarrebbe invece aperta la questione del Nakhchivan, un’exclave azera separata dal resto dello Stato caucasico da un lembo di terra armena: Baku vorrebbe collegarla al resto del proprio territorio tramite un corridoio terrestre che passerebbe attraverso l’Armenia, ma per il momento non si hanno notizie di passi avanti sul dossier.Il nodo della Costituzione armenaInoltre, è rimasta esclusa dall’intesa l’annosa questione degli emendamenti alla Costituzione armena: l’Azerbaigian insiste da tempo sul fatto che la rimozione di alcuni riferimenti alla dichiarazione d’indipendenza del Paese (i quali, sostiene Baku, minacciano l’integrità territoriale azera) è una precondizione per la stipula di un trattato di pace complessivo.Nonostante l’Armenia neghi che la propria carta fondamentale ponga alcuna minaccia al vicino, Pashinyan ha annunciato negli scorsi mesi l’intenzione di adottare una nuova Costituzione. Tuttavia non sono ancora state fissate delle tempistiche per il processo, che dovrà includere sia un passaggio parlamentare sia un referendum popolare.La geopolitica regionaleLa regione del Caucaso meridionale, cui appartiene anche la Georgia e che affaccia da un lato sul Mar Nero e dall’altro sul Mar Caspio, ha una grande rilevanza strategica (non solo per la posizione ma anche per i ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale) ed è pertanto al centro di un intreccio di interessi geopolitici di attori come la Russia, la Turchia, gli Stati Uniti e l’Unione europea.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Negli ultimi anni, l’Armenia sta cercando di allontanarsi dall’orbita russa (all’interno della quale si è storicamente mossa fin dall’indipendenza) e di avvicinarsi all’Ue, con la quale ha approfondito i legami diplomatici, politici e militari. Del resto, Bruxelles ha sempre incentivato il processo negoziale tra i due vicini, impiegando anche una missione di pace lungo il confine armeno che però verrebbe appunto smantellata.L’Azerbaigian, d’altra parte, è diventato uno dei principali partner energetici dei Ventisette dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina (il gas azero arriva in Italia trasportato dal Tap). Nonostante gli standard democratici non siano particolarmente elevati nel Paese, lo scorso novembre Baku ha ospitato anche la conferenza Onu sul clima (Cop29).

  • in

    Armenia e Azerbaigian potrebbero non essere lontane da un accordo di pace

    Bruxelles – Il conflitto più che trentennale tra l’Armenia e l’Azerbaigian potrebbe essere avviato verso una conclusione che, se raggiunta, sarebbe senz’altro storica. Ma rimangono ancora dei problemi irrisolti sulla strada della completa pacificazione tra Yerevan e Baku, a cominciare dall’annosa questione dei confini e dal riarmo di entrambi i Paesi. Così, in un’area dove si intrecciano le influenze politiche e gli interessi strategici di vari attori internazionali, la soluzione duratura che da tempo si ricerca potrebbe non essere ancora a portata di mano. Durante una conferenza stampa lo scorso 31 agosto, il premier armeno Nikol Pashinyan ha annunciato di aver inoltrato a Baku una proposta per la stipula di un trattato di pace che possa mettere fine al conflitto tra i due Paesi del Caucaso meridionale iniziato trentasei anni fa, nel 1988 (ancora prima della dissoluzione dell’Urss) e incentrato intorno alla sovranità contesa sull’area del Nagorno-Karabakh. Dopo varie fasi di guerra, alternate a periodi di relativa stabilità in cui il conflitto è parso congelato, l’Azerbaigian nell’autunno del 2023 ha riconquistato militarmente l’enclave armena entro i propri confini.Stando a quanto anticipato da Pashinyan, la bozza comprenderebbe 17 articoli: su 13 ci sarebbe già un “accordo totale” delle due parti, mentre su altri tre ci sarebbe un “accordo parziale“. Mancherebbe dunque l’accordo su un ultimo punto, ma non è stato spiegato quali siano i temi rimasti irrisolti (anche se non è difficile immaginarlo, come vedremo tra un attimo). La proposta di Yerevan a Baku è, sostanzialmente, di siglare un trattato contenente i punti già concordati, e di lasciare ad una seconda fase di negoziati il resto.Con la firma, ha dichiarato il primo ministro armeno, le due ex repubbliche sovietiche avvierebbero anche formali relazioni diplomatiche, prendendo a modello i negoziati bilaterali che hanno portato, lo scorso dicembre, al rilascio dei prigionieri armeni catturati dall’esercito azero nell’offensiva di pochi mesi prima e più recentemente ad un accordo per la creazione di una commissione mista per la demarcazione dei confini tra i due Paesi. Dopo diversi mesi in cui il processo negoziale sembrava in stallo, si tratta sicuramente di un’iniezione di fiducia per trovare la difficile quadra in una regione che non conosce pace da decenni. Sicuramente, una delle questioni ancora irrisolte ha a che fare con la costituzione armena, che include un riferimento alla riunificazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh (la riunificazione è citata in un documento risalente al 1989, a sua volta ripreso dalla dichiarazione d’indipendenza del 1990 cui la carta fondamentale del Paese fa riferimento in un preambolo). Ora, l’Azerbaigian ha ripetutamente chiesto la rimozione di tale riferimento, ma pare che solo lo scorso maggio Pashinyan abbia chiesto all’organo incaricato di rivedere la costituzione (creato nel 2022) di riscrivere interamente la carta, per sottoporla a referendum popolare nel 2027, anche se l’opinione pubblica armena non sembra ancora accettare la perdita definitiva della regione azera.Un’altra annosa questione, che parrebbe essere stata recentemente sciolta (o forse, probabilmente, solo rimandata), è quella del corridoio di Zangezur che Baku richiedeva per connettere l’exclave di Nakhchivan al territorio azero. Secondo alcuni analisti, le autorità azere avrebbero fatto questa concessione a Yerevan proprio in cambio delle citate modifiche costituzionali.Ma sulla strada della pacificazione potrebbe mettersi di traverso anche la corsa al riarmo di entrambi i Paesi. Ad oggi, le forze armate azere vantano una netta superiorità, con Baku che viene rifornita da Turchia, Israele, Pakistan e una serie di Stati europei inclusa l’Italia, mentre Yerevan riceve armi ed equipaggiamenti militari da Francia e India. I governi armeno e azero sostengono pubblicamente di non avere intenzione di attaccarsi a vicenda, ma data la storia martoriata della regione fare previsioni sul futuro è tutt’altro che semplice.Negli ultimi anni, l’Armenia sta cercando di allontanarsi dall’orbita russa e di avvicinarsi all’Ue, con la quale ha approfondito i legami diplomatici, politici e militari. Del resto, Bruxelles ha sempre incentivato il processo negoziale tra i due Paesi, impiegando anche una missione di pace sul confine armeno. Quanto all’Azerbaigian, Baku è diventato uno dei principali partner energetici dei Ventisette dopo l’avvio dell’invasione russa dell’Ucraina (sempre dal Paese caucasico arriva in Italia, peraltro, il gas naturale trasportato dal Tap).

  • in

    L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro

    Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

    Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

  • in

    Alla plenaria dell’Eurocamera il premier armeno spinge per un accordo di pace con l’Azerbaigian “entro la fine dell’anno”

    Bruxelles – Il tappeto rosso era stato steso all’ultima sessione plenaria di due settimane fa con una risoluzione del Parlamento Ue durissima sull’invasione azera del Nagorno-Karabakh. Oggi (17 ottobre) il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha avuto l’occasione di rivolgersi direttamente agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per rivendicare il ruolo di Yerevan nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi nel Caucaso meridionale – passata in secondo piano dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele – e per ribadire che il suo Paese è pronto a stringere con più forza i legami con l’Unione Europea, dopo la delusione determinata dall’atteggiamento dello storico alleato russo.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (17 ottobre 2023)“Conosciamo il Parlamento Europeo come un alleato al nostro fianco, avete fatto sentire la vostra voce per diffondere la verità sul Nagorno-Karabakh e voglio ringraziarvi per aver chiamato con il proprio nome quello che sta succedendo”, ha esordito nel suo intervento il premier armeno, facendo riferimento alla risoluzione adottata a largissima maggioranza lo scorso 5 ottobre che condanna la “pulizia etnica” operata dall’Azerbaigian nell’enclave separatista. Accogliendo il leader dell’Armenia, la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha ricordato che “l’Unione Europea continuerà a sostenere i vostri sforzi nell’accogliere i rifugiati” dal Nagorno-Karabakh – 100 mila profughi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti – “gli Stati membri hanno donato attrezzature, forniture mediche e cibo con il Meccanismo di protezione civile Ue”. Dopo la resa delle forze separatiste dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh all’esercito azero lo scorso 20 settembre, Yerevan ha dovuto fare fronte a una situazione critica, ma “li abbiamo accolti tutti senza ricorrere a campi rifugiati o tendopoli”, ha voluto sottolineare con forza Pashinyan, senza dimenticare di ricordare gli aiuti umanitari inviati a stretto giro da Bruxelles: 5 milioni di euro di sostegno d’emergenza per assistere sia gli sfollati in Armenia, sia le persone vulnerabili all’interno del Nagorno-Karabakh.Il premier armeno non ha risparmiato critiche alla comunità internazionale per “non essere stata in grado di impedire la pulizia etnica”, con un riferimento implicito a Mosca, i cui soldati avrebbero dovuto vigilare sul rispetto degli accordi nelle aree più instabili: “Non solo non ci hanno aiutati, ma hanno anche chiesto di cambiare il nostro regime democratico”. Eppure l’Azerbaigian “aveva già dimostrato di voler rendere impossibile la vita degli armeni del Nagorno-Karabakh” dalla fine dello scorso anno con il blocco del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con la regione separatista): “Sono stati presi di mira i civili e abbiamo alzato l’allarme sul piano azero che voleva ridurre gli armeni alla fame”, prima che iniziasse la vera e propria operazione armata da parte dell’esercito di Baku il 19 settembre. Tutto questo considerato, il premier Pashinyan ha portato agli eurodeputati un messaggio: “Il Caucaso ha bisogno di pace e stabilità, con confini aperti, legami economici, politici e culturali e la possibilità di risolvere le difficoltà attraverso il dialogo e la diplomazia“. In altre parole, “la nostra visione di stabilità non è in contrapposizione con gli interessi della regione, se il Caucaso è in pace, noi siamo in pace”.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (17 ottobre 2023)È qui che si inserisce la questione degli sforzi per la normalizzazione delle relazioni con il Paese confinante. “Entro quest’anno si potrebbe arrivare a un accordo di pace, ma Baku si rifiuta, come dimostrato a Granada“, ha attaccato il leader armeno, ricordando l’assenza pesante del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, al terzo vertice della Comunità Politica Europea lo scorso 5 ottobre in Spagna, quando si sarebbe dovuto ripresentare il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron, per tentare di portare avanti una soluzione diplomatica in linea con i colloqui di luglio. “Se i principi illustrati saranno riconfermati in una riunione questo mese a Bruxelles, allora un accordo tra Armenia e Azerbaigian entro la fine dell’anno sarebbe realistico”, ha ribadito Pashinyan. Il riferimento è ai principi sanciti lo scorso anno all’inaugurazione della Comunità Politica Europea a Praga: sovranità territoriale, inviolabilità del confini, ritiro delle truppe dalle rispettive enclave. Ma anche ripresa dei collegamenti regionali, come il progetto presentato dal premier armeno a Strasburgo: “Una crocevia della pace per il movimento di merci, persone, condutture elettriche e gasdotti”. La garanzia è rappresentata proprio dall’Unione Europea e dal suo Parlamento – “Yerevan è un partner vitale nel vicinato dell’Ue“, ha sottolineato Metsola – con il leader armeno che per la prima volta si è sbilanciato sulla partnership con i Ventisette: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario“.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armenoPashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert.
    Nel suo intervento davanti agli eurodeputati a Strasburgo, Nikol Pashinyan ha rivendicato l’impegno diplomatico di Yerevan anche di fronte alla pulizia etnica in Nagorno-Karabakh: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario”