More stories

  • in

    Presidenziali Usa: Trump contro Harris, e l’Europa nel mezzo

    Bruxelles – La corsa per le presidenziali statunitensi è ormai giunta all’ultimo miglio. La data fatidica del 5 novembre si fa sempre più vicina, e nell’Unione europea aumenta di giorno in giorno l’apprensione per l’esito di quello che è forse il voto più rilevante di questo anno elettorale senza precedenti nella storia globale. A Bruxelles, la vittoria di Donald Trump è vissuta come un pericolo da scongiurare a ogni costo, mentre se venisse eletta Kamala Harris tutte le cancellerie (o quasi) dei Ventisette tirerebbero un sospiro di sollievo. Su quasi tutti i temi di interesse europeo le priorità dell’ex presidente repubblicano e della sua sfidante democratica si pongono in sostanziale opposizione. Quali potrebbero essere dunque i risvolti per l’Europa (e soprattutto l’Ue) nel caso di una vittoria dell’uno o dell’altra contendente?Politica esteraSicuramente, uno degli ambiti nei quali si misurano distanze siderali tra i due candidati è quello della politica estera. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, ad esempio, Trump ha ripetuto più volte che intende, a modo suo, mettere fine al più presto al conflitto. Secondo le indiscrezioni, il tycoon newyorkese intenderebbe proporre al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di cedere alla Russia almeno una parte delle regioni occupate, probabilmente alcune aree del Donbass e la Crimea, in cambio della cessazione delle ostilità. Se Washington decidesse di interrompere dall’oggi al domani il sostegno militare e finanziario a Kiev, sarebbe difficile per gli europei continuare a difendere l’ex repubblica sovietica.L’effetto che il disimpegno statunitense dall’Ucraina avrebbe sulla sicurezza del Vecchio continente – cui Trump non sembra essere particolarmente interessato – è difficilmente calcolabile ma sarebbe senza dubbio estremamente negativo per gli alleati transatlantici, che solo di recente (anche di fronte alla prospettiva di un secondo mandato dell’ex presidente) hanno iniziato a prendere più seriamente la questione della cosiddetta autonomia strategica.Un’amministrazione Harris si porrebbe invece su una linea di continuità con le scelte prese dal presidente uscente Joe Biden: Congresso permettendo, il supporto all’Ucraina verrebbe garantito almeno nel medio periodo. La vicepresidente democratica uscente ha esplicitamente criticato come “arrendevoli” le posizioni del rivale, rifiutando qualunque negoziato bilaterale con Mosca che escluda Kiev.Riguardo allo scacchiere mediorientale le differenze tra Harris e Trump potrebbero essere più sfumate, data la tradizionale solidità dell’alleanza tra Washington e Tel Aviv. Tuttavia, è verosimile che una Casa Bianca guidata dall’ex presidente garantirebbe allo Stato ebraico un appoggio virtualmente incondizionato (va ricordato che fu Trump l’architetto dei cosiddetti accordi di Abramo del 2020 per la normalizzazione dei rapporti diplomatici nella regione), finendo per esacerbare ancora di più le divisioni tra i Ventisette sulla crisi regionale in corso.La sfidante democratica potrebbe tentare di mettere alle strette (si fa per dire) il premier israeliano Benjamin Netanyahu, anche se, ormai, quest’ultimo appare più una scheggia impazzita (disposto a colpire addirittura i caschi blu dell’Onu) che un partner affidabile. Ma il Medio Oriente è un tassello troppo importante per la politica estera statunitense perché qualunque presidente abbandoni l’alleato storico al proprio destino.Il futuro della NatoLa guerra d’Ucraina si intreccia poi con la questione relativa al futuro della Nato: da tempo, Trump denuncia quello che definisce un impegno insufficiente da parte degli alleati del Vecchio continente (alcuni dei quali non hanno ancora raggiunto il target del 2 per cento del Pil da destinare alle spese militari), e ha polemicamente invitato il presidente russo Vladimir Putin a invadere i Paesi europei che non fanno la propria parte. Nemmeno il Congresso sembra dormire sonni tranquilli, dato che ha recentemente adottato una legge in cui si mette nero su bianco che per ritirare gli Usa dall’Alleanza non basta un decreto presidenziale ma serve l’approvazione parlamentare.Nei fatti, comunque, se Trump volesse ridimensionare la partecipazione statunitense alla Nato non avrebbe bisogno di abbandonarla: basterebbe semplicemente, in caso di attivazione del famigerato articolo 5 della Carta nordatlantica (per cui, in caso di attacco ad uno Stato membro, tutti gli altri dovrebbero “adottare le misure che ritengono necessarie per proteggere l’alleato attaccato”), non fornire una risposta militare ma semplicemente supporto diplomatico o civile. Da mesi, nella sede della Nato a Bruxelles, le alte sfere degli altri 31 Paesi membri stanno escogitando piani su come mantenere funzionale l’organizzazione (la cui guida è da poco passata nelle mani dell’ex premier olandese Mark Rutte) anche nel caso di una rielezione del candidato repubblicano.Politica commercialeLa politica commerciale è invece una materia in cui le differenze tra Harris e Trump potrebbero non essere così marcate come si crede. Durante il suo primo mandato, quest’ultimo ha preso alla sprovvista i partner europei con un’agenda (eloquentemente soprannominata America first) di feroce protezionismo, imponendo tariffe doganali elevate sulle importazioni dall’estero e mettendo in crisi il principio alla base del commercio internazionale, cioè l’apertura dei mercati.Se con la Cina c’è stata una vera e propria guerra dei dazi, nemmeno i Ventisette si sono vissuti tranquillamente la presidenza Trump, a cominciare dalla Germania (che letteralmente sopravvive grazie all’export). Il candidato repubblicano ha recentemente ventilato l’idea di reintrodurre tasse del 10 per cento su tutti i prodotti esteri in entrata negli States, provocando un certo panico al di là dell’Atlantico. Un’altra tecnica che l’ex presidente potrebbe adottare è quella di colpire con dazi mirati solo determinate tipologie di merci, creando così una dinamica di rivalità e competizione interna in Europa, secondo la vecchia tattica del divide et impera.D’altra parte, una presidenza democratica significherebbe il mantenimento di normali rapporti commerciali con l’Europa e con il resto del mondo, ma le scelte di Harris si porrebbero verosimilmente in continuità con quelle del suo predecessore. Il quale, partendo dall’eredità dell’era Trump, ha espanso l’arsenale di armi economiche in funzione anti-cinese e ha stimolato la produzione interna con l’Inflation reduction act (Ira), che a Bruxelles è stato visto come un gesto di concorrenza sleale – tanto che ha fatto da base di partenza per le riflessioni, incluse quelle del report di Mario Draghi, sul rilancio della competitività europea e sulla necessità di una strategia industriale comune.Cooperazione internazionaleIl ritorno del trumpismo, che nella sua essenza (non solo economica) è isolazionista e protezionista, avrebbe dei riflessi anche nei rapporti internazionali degli Usa, il che a sua volta produrrebbe inevitabili ricadute anche sull’Ue. Non è un mistero che l’ex presidente nutra poco rispetto per il multilateralismo, che dipinge più spesso come una camicia di forza che non come un’opportunità.Una differenza fondamentale tra i due candidati è proprio l’approccio verso gli alleati e più in generale i partner internazionali: per Harris si tratta di risorse potenzialmente fondamentali, per Trump di pesi morti o addirittura sanguisughe di cui sbarazzarsi. Stesso dicasi per le istituzioni multilaterali: la prima, in continuità con il suo attuale capo, punterebbe a farne uso e, eventualmente, riformarle, mentre il secondo preferisce ignorarle se non direttamente eliminarle.Per citare un tema in cui la cooperazione internazionale è centrale, il tycoon è convintamente ostile agli sforzi multilaterali in ambito climatico e ambientale. Nel 2020 ha fatto ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi del 2015, che ha definito “un disastro”, e ha promesso che se verrà rieletto continuerà su questa strada, annullando il rientro del Paese nel trattato (voluto da Biden all’inizio della sua presidenza) e magari andando anche oltre.Sul versante energia, una presidenza Trump 2.0 riporterebbe poi in auge (ancora di più) l’approvvigionamento energetico tramite i combustibili fossili, il che andrebbe evidentemente contro agli obiettivi che Bruxelles si è imposta con il Green deal. Harris dovrebbe invece puntare più decisamente sulle fonti rinnovabili, potenzialmente coinvolgendo l’Europa e altri partner globali nel percorso verso il definitivo phasing out degli idrocarburi.

  • in

    Alla Nato comincia l’era Rutte: Ucraina e aumento delle spese militari restano le priorità. Sull’Ue: “Partner essenziale”

    Bruxelles – Jens Stoltenberg ha ufficialmente consegnato l’oneroso testimone dell’Alleanza atlantica a Mark Rutte. Da oggi (1 ottobre), l’ex primo ministro olandese è il nuovo segretario generale della Nato. Il nuovo corso comincia nel solco di quanto fatto nel secondo mandato Stoltenberg: le priorità – ha messo in chiaro Rutte dal quartier generale della Nato a Bruxelles – restano l’Ucraina, l’aumento delle spese militari e il rafforzamento delle alleanze nel mondo.Proprio Stoltenberg, in un punto stampa congiunto, ha illustrato le competenze “dell’amico e collega” Rutte: “Conosce bene la Nato ed è ben noto in tutti i Paesi”, ma soprattutto “è stato primo ministro per 14 anni e ha guidato quattro diversi governi di coalizione” nei Paesi Bassi. Ha una certa domestichezza con i compromessi, skill richiesta per stare al timone di un’Alleanza militare che conta 32 Stati.Prima di lasciare, Stoltenberg ha rivendicato i propri meriti: “Me ne vado sapendo che abbiamo ottenuto molto insieme”, ha dichiarato. In particolare – complice il contesto geopolitico internazionale – la Nato conta ora 23 Paesi che hanno raggiunto il target del 2 per cento del Pil in spese per la difesa. “La Nato è cambiata come è cambiata il mondo“, ha affermato ancora l’ormai ex segretario generale.L’Europa si è riscoperta vulnerabile. Prima con Donald Trump alla Casa Bianca, che ha minacciato di richiudere “l’ombrello” a stelle e strisce in protezione del vecchio continente, poi con lo scoppio di un conflitto alle porte dell’Unione europea. L’Ucraina “deve prevalere”, rimane la prima priorità, ha messo in chiaro Rutte. Come sostenuto dal suo predecessore, per combattere la sua guerra di autodifesa Kiev “ha il diritto di colpire obiettivi legittimi in Russia”. Ma “spetta a ogni Stato partner decidere” sulle restrizioni agli armamenti.Per ricacciare indietro la minaccia russa e riportare un certo equilibrio sullo scacchiere internazionale, l’Alleanza atlantica “deve spendere e investire di più e cercare di raggiungere gli obiettivi”. Così, paradossalmente, il “frugale” olandese Rutte, che da premier combatteva per chiudere i rubinetti di Bruxelles all’Italia, dovrà ora insistere perché l’Italia – insieme a Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna – spenda di più per la propria difesa.Mark Rutte al primo giorno da segretario generale della Nato, 01/10/24 [Credit: Nato]Perché questo avvenga, Rutte potrà contare sull’agenda della nuova legislatura Ue, decisa a restituire centralità all’industria della difesa nei 27 Paesi membri. “L’Ue è un partner unico ed essenziale della Nato – ha sottolineato il segretario generale -, ben vengano i suoi sforzi per la difesa“. Ma “nessuno vuole che l’Ue sia un doppione di quello che la Nato sta già facendo”. Il coordinamento militare è prerogativa dell’Alleanza atlantica.A prescindere dalle elezioni americane di novembre e da un eventuale ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Anzi, Rutte ha evidenziato i meriti del Trump presidente, che “ci ha spinto a spendere di più” e “ci ha aperto gli occhi” sui rischi del rapporto con la Cina. “Non sono preoccupato, conosco molto bene entrambi i candidati“, ha chiuso l’argomento diplomaticamente Rutte.Cina, Iran e Corea del Nord, che sostengono lo sforzo bellico di Mosca e che in cambio “ricevono supporto per lo sviluppo di programmi nucleari”, per Rutte saranno un problema. Per questo l’ultima priorità individuata dal neo-segretario generale è l’urgenza di “costruire alleanze in tutto il mondo“. Approfondire i partenariati in Medio Oriente, in Africa, nell’Indo-pacifico. Questa la strategia di Rutte in chiave anti-Russia.La prima di Rutte, gli auguri dai leader UeI leader delle istituzioni europee hanno salutato con gioia il nuovo incarico di Rutte, che nei corridoi dei palazzi di Bruxelles ha camminato tante volte nei suoi anni da primo ministro dei Paesi Bassi. “La tua leadership sarà fondamentale per il ruolo dell’Alleanza nella nostra sicurezza euro-atlantica e per il nostro fermo sostegno all’Ucraina”, ha affermato Ursula von der Leyen, lanciando un appello per “rafforzare ulteriormente il partenariato Ue-Nato”.Appello raccolto immediatamente da Charles Michel, secondo cui “la profonda cooperazione Ue-Nato è fondamentale nel nostro ambiente globale in evoluzione”. Anche Roberta Metsola, dopo aver ringraziato Jens Stoltenberg “per un decennio di incrollabile impegno a favore della sicurezza globale”, si è detta convinta che “la leadership e la tenacia di Mark Rutte non faranno che rafforzare l’unità tra Ue e Atlantico”.Secondo Danilo Della Valle, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, invece “iI nuovo segretario generale è sicuramente partito col piede sbagliato. La sua agenda prevede un aumento delle spese militari e un antagonismo con la Russia che non promette nulla di buono. La Nato è nata come alleanza difensiva e tale deve rimanere”.

  • in

    Al vertice di Washington la Nato ha stretto con l’Ucraina un impegno di assistenza a lungo termine

    Bruxelles – Si chiudono i tre giorni di Washington, con l’impegno rinnovato della Nato verso l’Ucraina sul piano politico e militare. Si chiudono i 10 anni di Jens Stoltenberg alla guida dell’Alleanza Atlantica, in vista del passaggio di consegne a ottobre all’ex-premier olandese, Mark Rutte. Il 75esimo vertice dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord doveva essere il momento decisivo per rendere l’alleanza “a prova di futuro” e, almeno per quanto si poteva fare, non ha tradito le aspettative. “Intendiamo fornire un finanziamento minimo di base di 40 miliardi di euro entro il prossimo anno e fornire livelli sostenibili di assistenza alla sicurezza per l’Ucraina”, si legge nella Dichiarazione di Washington pubblicata ieri (11 luglio) al termine del summit, a proposito del nuovo impegno di assistenza alla sicurezza a lungo termine per Kiev, che sarà rivalutato l’anno prossimo in occasione del vertice Nato dell’Aia (Paesi Bassi).Al centro: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale Nato, Jens Stoltenberg (11 luglio 2024)Prima di tutto, come auspicato alla vigilia del summit, viene messo nero su bianco il “percorso irreversibile verso la piena integrazione euro-atlantica, compresa l’adesione alla Nato” da parte dell’Ucraina: “Sosteniamo pienamente il diritto dell’Ucraina di scegliere i propri accordi di sicurezza e di decidere il proprio futuro, senza interferenze esterne” e, grazie alle “riforme democratiche, economiche e di sicurezza richieste” al vertice di Vilnius del 2023, “il futuro dell’Ucraina è nella Nato“. Ma è il piano operativo quello più sviscerato dai 32 alleati in coordinamento con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, con la decisione di istituire la Nato Security Assistance and Training for Ukraine “per coordinare la fornitura di equipaggiamento militare e di addestramento”, ma senza coinvolgere direttamente l’Alleanza Atlantica nella guerra con la Russia: “La Nsatu, che opererà negli Stati alleati, sosterrà l’autodifesa dell’Ucraina in linea con la Carta delle Nazioni Unite” e, “in base al diritto internazionale, non renderà la NATO parte in causa nel conflitto“.Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale Nato, Jens Stoltenberg (11 luglio 2024)In questo quadro assume particolare rilevanza l’istituzione del nuovo comando militare a Wiesbaden (Germania), che “dalla fine del 2024”  sarà responsabile per il coordinamento delle operazioni di invio degli aiuti e di addestramento dei soldati ucraini. In termini concreti questo significherà che la responsabilità passerà dagli Stati Uniti (il cui dipartimento della Difesa a ora guida il Gruppo di contatto per la difesa ucraina) alla Nato intera, garantendo – appunto – un futuro anche in caso di tempesta politica a Washington. Il rischio maggiore è quello del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre, che potrebbe rimettere completamente in discussione la partecipazione statunitense nell’organizzazione e nel suo finanziamento, ma anche la protezione degli alleati e i rapporti con la Russia di Vladimir Putin.A proposito del sostegno dei 32 alleati all’Ucraina, sono previste comunicazioni da parte dei governi direttamente alla Nato “due volte all’anno, con il primo rapporto che includerà i contributi forniti dopo il primo gennaio 2024″, mentre a Kiev sarà nominato “un rappresentante senior” dell’Alleanza. “Questo summit Nato invia un potente messaggio di unità e un forte segnale al mondo, la nostra determinazione a sostenere l’Ucraina è più forte che mai, anche attraverso l’Ukraine Compact, un ombrello di accordi bilaterali di sicurezza”, ha messo in chiaro il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, in rappresentanza dell’Ue a Washington insieme all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Proprio Borrell ha dovuto anche rassicurare gli alleati sulle fughe in avanti dell’irrequieto premier ungherese e presidente di turno del Consiglio dell’Ue (fino al 31 dicembre), Viktor Orbán, che con le sue “missioni di pace” si è recato in una sola settimana dall’autocrate russo Putin, dal presidente cinese, Xi Jinping, e dall’ex-presidente statunitense Trump nella sua residenza Mar-a-Lago in Florida, senza alcun mandato dall’Unione e dai suoi Paesi membri.

  • in

    Ucraina, Borrell rassicura gli alleati Nato dopo le fughe in avanti di Orbán: “L’unico piano di pace è quello di Zelensky”

    Bruxelles – Al 75esimo vertice Nato che si chiude oggi (11 luglio) a Washington è stato sancito il percorso “irreversibile” dell’Ucraina verso l’adesione all’alleanza atlantica. Così come irreversibile è la posizione dell’Unione europea sul sostegno a Kiev fino al raggiungimento di una pace giusta. Dopo i viaggi a Mosca e Pechino di Viktor Orbán, il premier ungherese che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, arriva la rassicurazione agli alleati dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell: “Non c’è altro piano di pace oltre a quello di Zelensky. Tutta l’Ue sostiene questa posizione”.Integrità territoriale e sovranità nazionale dell’Ucraina. Qualsiasi negoziato per mettere fine al conflitto non può che partire da lì. Punto, discorso chiuso. In un summit in cui la questione ucraina è una delle più calde sul tavolo degli alleati transatlantici, sia sul fronte degli aiuti militari che su quello della futura adesione di Kiev alla Nato, il capo della diplomazia Ue ci ha tenuto a fugare ogni dubbio. “Per far sì che l’Ucraina prevalga, dobbiamo continuare a sostenerla“, ha chiarito oggi in un punto stampa. Borrell ha ricordato che Bruxelles ha fornito a Kiev “quasi 40 miliardi di euro di sostegno militare e addestrato 60 mila soldati ucraini”, ed ora “sta aumentando la capacità militare e incrementando la capacità produttiva dell’industria della difesa” per poter soddisfare le necessità di Kiev sul campo di battaglia.Borrell si è poi scagliato contro chi sostiene che continuare a armare l’esercito di Zelensky non farà altro che prolungare la guerra. “Se smettiamo di sostenere l’Ucraina, la guerra finirà certamente, ma con una resa ucraina, con un governo fantoccio a Kiev, con il popolo ucraino schiacciato da un aggressore“, ha dichiarato ancora l’Alto rappresentante. Non c’è spazio insomma per le fughe in avanti di Orbán, che ha creato scompiglio tra i 27 sfruttando l’inizio della presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue per intraprendere la sua personalissima “missione di pace”. Che l’ha portato alle corti di Putin e di Xi Jinping, dopo aver chiesto a Zelensky di chiamare un cessate il fuoco e intraprendere trattative con il Cremlino.Lo stesso Cremlino che, nella dichiarazione finale del summit, viene definito “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza dell’Alleanza”. Tanto che, come annunciato a margine del vertice, dal 2026 gli Stati Uniti torneranno a dispiegare in Europa missili a lungo raggio, capaci di colpire obiettivi in territorio russo.A Washington aleggia inoltre lo spauracchio del ritorno alla Casa bianca di Donald Trump, che potrebbe rimescolare un’altra volta le carte dell’Alleanza atlantica. Motivo per cui si percepisce un certo senso di urgenza nell’assicurare la posizione dell’alleanza atlantica al fianco dell’Ucraina. Per non farsi mancare nulla, secondo Bloomberg Orbán si recherà in Florida per incontrare il tycoon a margine del vertice Nato. Un ulteriore tassello della sua iniziativa diplomatica per porre fine al conflitto. Un ulteriore strappo con Bruxelles, i cui servizi legali hanno dichiarato oggi che la visita della scorsa settimana del leader ungherese a Mosca avrebbe violato le regole comunitarie.

  • in

    L’ultimo di Stoltenberg, il primo “a prova di futuro”. Il vertice Nato di Washington con la minaccia Trump

    Bruxelles – Quello al via oggi (9 luglio) a Washington sarà uno dei vertici Nato che probabilmente entreranno nella storia. Ancora non si sa se per decisioni “irreversibili”, ma sicuramente perché rappresenta uno spartiacque per il futuro dell’Alleanza Atlantica e per i rapporti tra gli Stati Uniti e gli altri 31 alleati. E, non di poco conto, perché sarà l’ultimo Summit di Jens Stoltenberg, il segretario generale che ha guidato la Nato in un periodo particolarmente turbolento: dal 2014 a oggi ha assistito al ritiro delle truppe dall’Afghanistan e il ritorno al potere dei talebani, alla guerra a bassa intensità nel Donbass ucraino fino all‘invasione russa in Ucraina e i successivi due anni e mezzo di guerra, all’aumento delle tensioni tra la Cina e Taiwan in uno dei luoghi più delicati al mondo per gli equilibri geopolitici tra le potenze internazionali.Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergIn programma fino a giovedì (11 luglio) il 75esimo vertice dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord conterà per la prima volta 32 membri dopo l’ingresso della Svezia a marzo, e vedrà ancora una volta la partecipazione del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, proprio come a Vilnius lo scorso anno. La questione ucraina sarà una delle più calde sul tavolo degli alleati transatlantici, sia sul fronte degli aiuti militari sia su quello della futura adesione di Kiev alla Nato. A poche ore del vertice è da escludere che sarà accolta la richiesta di ingresso, ma l’ambizione più alta è quella di dare il via libera all’aggettivo “irreversibile” per definire il percorso di futura adesione. Cosa significhi precisamente in uno scenario in cui né gli Stati Uniti né le maggiori potenze europee stanno aprendo alla richiesta non è dato sapere, ma il leader ucraino cercherà risposte a Washington.Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (14 novembre 2019)Sul fronte dell’invio di armi c’è sempre in agenda il programma di assistenza pluriennale da 100 miliardi di dollari per cinque anni, proposto ad aprile dal segretario generale Stoltenberg e che dovrebbe costituire l’impegno più concreto dei 32 alleati perché la Nato prenda direttamente in mano la responsabilità dell’assistenza militare all’Ucraina. È questo il cardine della volontà di rendere “a prova di futuro” il sostegno dell’Alleanza Atlantica a Kiev, anche attraverso un nuovo comando militare a Wiesbaden (Germania) responsabile per il coordinamento delle operazioni di invio degli aiuti e di addestramento dei soldati ucraini. In termini concreti questo significherà che la responsabilità passerà dagli Stati Uniti (il cui dipartimento della Difesa a ora guida il Gruppo di contatto per la difesa ucraina) alla Nato intera, garantendo – appunto – un futuro anche in caso di tempesta politica a Washington. Il rischio maggiore è quello del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre, che potrebbe rimettere completamente in discussione la partecipazione statunitense nell’organizzazione e nel suo finanziamento, ma anche la protezione degli alleati e i rapporti con la Russia di Vladimir Putin.Il primo ministro uscente dei Paesi Bassi e prossimo segretario generale della Nato, Mark Rutte (credits: Kenzo Tribouillard / Afp)L’ultima missione di Stoltenberg da segretario generale sarà quella di tenere uniti i capi di Stato e di governo dei 32 Paesi membri Nato, prima di passare il testimone all’ex-premier olandese, Mark Rutte, che lo succederà a partire dal primo ottobre. La nomina ufficiale di Rutte è arrivata lo scorso 26 giugno al termine della riunione del Consiglio del Nord Atlantico: “Guidare questa organizzazione è una responsabilità che non prendo alla leggera, sono grato a tutti gli alleati per aver riposto la loro fiducia in me”, erano state le prime parole del futuro segretario generale della Nato, in linea di perfetta continuità con l’eredità di Stoltenberg: “Ha fornito alla Nato una leadership eccezionale negli ultimi 10 anni e per il quale ho sempre nutrito grande ammirazione”. In un’Alleanza Atlantica che da Washington potrebbe uscire “a prova di futuro”, la promessa di Rutte è quella che “rimarrà la pietra angolare della nostra sicurezza collettiva“, anche con l’allineamento di tutti i Paesi alleati al target minimo del 2 per cento di spesa per la difesa sul Prodotto interno lordo.

  • in

    Mark Rutte è stato nominato successore di Stoltenberg come segretario generale della Nato

    Bruxelles – Adesso è ufficiale. Il premier uscente del Paesi Bassi, Mark Rutte, sarà il prossimo segretario generale Nato a partire dal primo ottobre. A comunicarlo è il Consiglio del Nord Atlantico, il principale organo decisionale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, che in una nota annuncia la decisione di nominare l’unico candidato rimasto nella corsa per succedere al norvegese Jens Stolteberg alla guida dell’Alleanza Atlantica, assumendo le sue funzioni dopo pochi mesi dal Summit di Washington (in programma tra il 9 e l’11 luglio).Il primo ministro uscente dei Paesi Bassi e prossimo segretario generale della Nato, Mark Rutte (credits: Kenzo Tribouillard / Afp)“Accolgo con entusiasmo la scelta degli alleati della Nato su Rutte come mio successore”, è l’annuncio entusiasta di Stoltenberg, definendo il premier olandese “un vero transatlantico, un leader forte e un costruttore di consenso, so di lasciare la Nato in buone mani“. Le prime parole di Rutte dopo la nomina sottolineano il “grande onore” a guidare l’Alleanza Atlantica, che “è e rimarrà la pietra angolare della nostra sicurezza collettiva“, mette in chiaro il quasi ex-premier olandese: “Guidare questa organizzazione è una responsabilità che non prendo alla leggera, sono grato a tutti gli alleati per aver riposto la loro fiducia in me”. Con un ringraziamento al predecessore Stoltenberg, “che ha fornito alla Nato una leadership eccezionale negli ultimi 10 anni e per il quale ho sempre nutrito grande ammirazione”.Da Bruxelles arrivano le congratulazioni dei leader delle istituzioni Ue, che hanno visto il liberale olandese al tavolo del Consiglio Europeo per gli ultimi 14 anni (aveva assunto la carica di primo ministro dei Paesi Bassi il 14 ottobre 2010). “La sua leadership e la sua esperienza saranno fondamentali per l’Alleanza in questi tempi difficili, non vedo l’ora di lavorare insieme per rafforzare ulteriormente il partenariato Ue-Nato”, è il commento della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, rafforzato dalle parole della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “In un periodo di crescenti sfide alla sicurezza in tutto il mondo, la sua leadership e la sua tenacia saranno molto necessarie”. Anche il segretario generale del Partito Democratico Europeo, Sandro Gozi (della famiglia europea di Renew Europe come il quasi ex-premier olandese), esprime soddisfazione per la scelta di Rutte, “che arriva mentre è in gioco il futuro dell’Europa, della pace e della sicurezza”.La corsa di Rutte alla guida della NatoLe prime indicazioni sul fatto che Rutte fosse il favorito nella corsa alla segreteria della Nato erano emerse da un editoriale dell’ex-portavoce dell’Alleanza Atlantica (fino a settembre 2023), Oana Lungescu: “Creare consenso tra i 31 alleati della Nato è il compito principale del segretario generale” e Rutte, “a volte chiamato ‘Teflon Mark’ per la sua capacità di guidare coalizioni diverse e di sopravvivere agli scandali politici, è un pragmatico negoziatore e un maestro del consenso“. In questo senso, il premier olandese aveva stretto da tempo i rapporti non solo con Stoltenberg, ma anche con altri leader dell’Alleanza, dall’Albania alla Lituania, dalla Polonia agli Stati Uniti. La questione dei legami con Washington è stato un altro punto a favore di Rutte, che ha sviluppato un ottimo rapporto con il presidente Joe Biden e allo stesso tempo è anche uno dei pochi leader europei ad aver cercato di mantenere stabile quello con il suo predecessore Trump, che potrebbe ritornare alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre. Il premier olandese è anche riuscito a colmare l’unico punto debole della sua candidatura, ovvero l’allineamento dei Paesi Bassi alla soglia minima di spesa per la difesa del 2 per cento rispetto al Pil: nel rapporto pubblicato dalla Nato il 17 giugno emerge che L’Aia ha raggiunto il 2,05 nel 2024.Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il presidente della Romania, Klaus Iohannis (credits: Andrei Pungovschi / Afp)Già a fine febbraio era diventato chiaro che il premier olandese dimissionario era il favorito per succedere a Stoltenberg alla guida dell’Alleanza Atlantica, dopo aver incassato l’appoggio di 20 Paesi membri, in particolare di Stati Uniti e Regno Unito. La selezione della figura del segretario generale dell’Alleanza avviene attraverso consultazioni diplomatiche informali tra i Paesi membri, che propongono i candidati alla carica (tradizionalmente un’alta personalità politica europea): non c’è una votazione vera e propria, ma la decisione non viene confermata finché non si raggiunge il consenso su un candidato. Rutte ha continuato negli ultimi mesi il suo lavoro diplomatico per convincere tutti i 31 leader, fino a quando il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha annunciato il 18 giugno l’accordo con il segretario generale uscente Stoltenberg per sbloccare la nomina di Rutte (a seguito di una lettera ricevuta dallo stesso collega olandese) e lo stesso ha fatto in parallelo il presidente della Slovacchia, Peter Pellegrini. Il presidente della Romania, Klaus Iohannis, è rimasto così senza alcun potenziale sostegno, rinunciando definitivamente alla corsa per diventare il prossimo segretario generale Nato giovedì scorso (20 giugno) al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa nazionale.

  • in

    Stoltenberg esorta i membri Nato a riconsiderare le restrizioni a Kiev sull’uso delle armi contro la Russia

    Bruxelles – La decisione è nazionale, ma il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, cerca quantomeno un coordinamento che dopo due anni di invasione russa dell’Ucraina rimane pur sempre “vitale” per Kiev. Al centro del vertice informale dei ministri degli Affari esteri in programma tra oggi e domani (30-31 maggio) a Praga c’è inevitabilmente il tema delle condizionalità sull’invio di armi all’Ucraina in merito alla possibilità di colpire obiettivi militari su territorio russo. “Credo che sia giunto il momento di considerare alcune di queste restrizioni per consentire agli ucraini di difendersi davvero”, è l’esortazione del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (30 maggio 2024)Dopo aver già anticipato martedì (28 maggio) a margine della riunione dei ministri Ue della Difesa l’intenzione di spingere i 32 membri dell’Alleanza a “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi“, il segretario generale Stoltenberg ha chiarito oggi durante la conferenza sui 75 anni della Nato i motivi che dovrebbero convincere gli alleati a coordinarsi meglio su questo tema: “Le restrizioni sulle armi consegnate all’Ucraina sono decisioni nazionali, ma alla luce di come la guerra è evoluta negli ultimi mesi, penso che possiamo riconsiderare le restrizioni“, incluse quelle legate al “colpire obiettivi militari appena oltre il confine”.Da sinistra: il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al vertice Nato di Vilnius (12 luglio 2023)Rispetto all’inizio della guerra, “quando quasi tutti i combattimenti avevano luogo in profondità sul territorio ucraino”, la situazione nelle ultime settimane è cambiata con l’intensificarsi dei combattimenti soprattutto nella regione di Kharkiv, al confine tra Russia e Ucraina: “Vediamo che i russi possono stare sul loro lato del confine con una visione che è più o meno la stessa della linea del fronte“, ha spiegato Stoltenberg, citando “artiglieria, lanciamissili e aerei per munizioni e carburante” che sul territorio russo sono “più sicuri” di quanto sarebbero al fronte in Ucraina, in quel caso attaccabili senza alcuna restrizione “con le armi più avanzate che l’Ucraina ha ricevuto” dagli alleati. In altre parole, la Russia ora può permettersi di bombardare l’Ucraina oltre confine con lo stesso grado di precisione, ma Kiev non può quasi più rispondere agli attacchi in quanto rischierebbe di vedere tagliati i rifornimenti dalla Nato.È per questa ragione che al vertice ministeriale informale Nato il segretario generale Stoltenberg spingerà per convincere tutti gli alleati che “il diritto all’autodifesa comprende anche la possibilità di colpire obiettivi militari legittimi al di fuori dell’Ucraina, appena oltre il confine con il territorio russo”. Anche perché Kiev “può ancora vincere, ma serve un sostegno solido e continuo da parte della Nato”, ha continuato il suo appello ai 32 alleati. L’obiettivo è arrivare al vertice Nato in programma a Washington tra il 9 e l’11 luglio con una proposta per un sostegno “su basi più solide, anche con un maggiore ruolo nel coordinamento dell’assistenza alla sicurezza e dell’addestramento” e con un impegno finanziario “per più tipologie di aiuti”.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il 28 maggio a Dresda (credits: Ludovic Marin / Pool / Afp)Intanto l’esortazione di Stoltenberg può contare su due membri di peso all’interno dell’Alleanza, la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Olaf Scholz, che hanno resa nota martedì la posizione favorevole a “consentire all’Ucraina di neutralizzare le basi da cui partono i razzi”. Rimane invece fortemente contraria l’Italia, il cui vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha messo in chiaro a margine del Consiglio Affari Esteri di lunedì (27 maggio) che “tutto il materiale militare che inviamo in Ucraina deve essere utilizzato per proteggersi all’interno del territorio ucraino”. Tajani ha ricordato che “noi non siamo in guerra con la Russia” e non ha risparmiato una critica alle parole di Stoltenberg, sostenendo che “a volte serve un po’ più di prudenza”. Tra oggi e domani i due avranno l’occasione di confrontarsi direttamente, per tentare di risolvere una delle questioni più urgenti al momento per la difesa ucraina dall’avanzata russa.

  • in

    Ucraina, Macron spinge per l’utilizzo di armi Nato in Russia. E incassa il sì di Scholz

    Bruxelles – L’attivismo di Emmanuel Macron per dare una svolta alla resistenza di Kiev all’invasione russa trova terreno fertile e strappa l’appoggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Pensiamo che dovremmo consentire all’Ucraina di neutralizzare le basi da cui partono i razzi”, ha dichiarato il presidente francese a nome dell’asse franco-tedesco. Parigi e Berlino stanno con il segretario della Nato, Jens Stoltenberg: è tempo che l’Ucraina possa utilizzare le armi dell’Alleanza atlantica per colpire bersagli militari in Russia.Per convincere l’opinione pubblica della necessità di prendere questa decisione, Macron si è presentato alla conferenza stampa congiunta con Scholz con una mappa del confine tra Russia e Ucraina, illustrando le basi da cui partono gli attacchi di Mosca. Che si trovano spesso appena dietro la frontiera, in territorio russo. Macron ha immediatamente chiarito che “non dovremmo consentire” a Kiev “di colpire obiettivi diversi da quelli, intendo naturalmente obiettivi civili o altri obiettivi militari”.Più cauto Scholz, che però ha sostanzialmente appoggiato la posizione di Parigi. “L’Ucraina ha tutte le possibilità di farlo, secondo il diritto internazionale. Bisogna dire chiaramente che se l’Ucraina viene attaccata, può difendersi“, ha confermato il cancelliere tedesco. Le due maggiori potenze Ue confermano dunque la linea illustrata ai ministri dei 27 da Jens Stoltenberg nel corso del Consiglio Ue Affari Esteri del 27 maggio. “Questa è una guerra, e secondo il diritto internazionale l’Ucraina ha il diritto di difendersi e questo implica anche raid su obiettivi militari in Russia“, ha dichiarato senza lasciare alcun dubbio il segretario generale della Nato.Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergPosizione forte del via libera da parte dell‘Assemblea parlamentare della Nato alla rimozione dei vincoli di utilizzo di mezzi ed equipaggiamenti forniti. L’organo composto dai delegati dei Paesi Nato ha votato a grande maggioranza la dichiarazione che esorta i 32 governi dell’Alleanza a “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi eliminando alcune restrizioni sull’uso delle armi fornite dagli alleati della Nato per colpire obiettivi legittimi in Russia“.A livello Ue tuttavia rimangono forti perplessità e timori per una tale svolta. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha affermato chiaramente che “tutto il materiale militare che inviamo in Ucraina deve essere utilizzato per proteggere l’Ucraina all’interno del territorio ucraino”, evidenziando che “noi non siamo in guerra con la Russia” e criticando l’uscita di Stoltenberg, perché “a volte serve un po’ più di prudenza”. Mentre l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borell, a margine dell’incontro di ieri con i ministri della Difesa dei 27 aveva dichiarato che solo “un Paese, forse uno e mezzo”, spingeva per la rimozione dei vincoli all’utilizzo delle armi in territorio russo.A Bruxelles aleggia la paura di innescare un ulteriore escalation con l’imprevedibile regime di Putin, come dimostra il mancato accordo tra i 27 sulla possibilità di addestrare personale militare in territorio ucraino. Perché alcuni Stati membri “ritengono che si tratta di inviare addestratori, e gli addestratori sono militari. In un modo o nell’altro – ha spiegato l’Alto rappresentante – si tratterebbe di inviare truppe non combattenti, ma alla fine sarebbero agenti militari nel territorio ucraino, con il rischio che certamente comporta”.Insomma, ogni scatto in avanti sul coinvolgimento nel conflitto va pesato attentamente. Ma l’asse Parigi-Berlino potrebbe avere la forza per riorientare le posizioni dei 27.