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    L’Ue ha siglato un nuovo accordo con il Montenegro per dispiegare Frontex lungo tutte le frontiere del Paese

    Bruxelles – Il secondo Paese dei Balcani Occidentali, il terzo partner dell’Ue candidato all’adesione che a partire dal primo luglio garantirà il dispiegamento provvisorio degli agenti Frontex anche lungo le frontiere non comuni con l’Unione. Il Montenegro ha siglato oggi (16 maggio) un accordo con la Commissione Europea sul nuovo mandato dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che consentirà di organizzare operazioni congiunte e di dispiegare squadre di gestione delle frontiere nel Paese balcanico candidato all’adesione.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli interni del Montenegro, Filip Adžić
    L’accordo tra Bruxelles e Podgorica è stato firmato al Palazzo del Berlaymont (sede dell’esecutivo comunitario) tra la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, il ministro degli interni montenegrino, Filip Adžić, e il ministro svedese per la Giustizia e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Gunnar Strömmer, a uno solo giorno dal via libera dei 27 titolari Ue per la Giustizia e gli Affari interni. “L’intero processo è stato estremamente efficiente e ha definito uno standard su cui future negoziati saranno misurate, sono passati solo sei mesi dall’inizio dei negoziati e dalla presentazione del Piano sulla rotta balcanica”, ha commentato la commissaria Johansson nel corso della cerimonia di firma dell’intesa. Dal primo luglio l’intesa sarà applicata in maniera provvisoria, in attesa del via libera definitivo dal Parlamento Ue. “La migrazione è una sfida che possiamo affrontare solo se siamo uniti”, ha aggiunto Johansson, sottolineando che “dobbiamo implementare un modello di gestione delle frontiere sicuro, dignitoso e che assicuri che chi ha diritto alla protezione possa averne accesso”.
    L’accordo con Podgorica si inserisce nell’ambito del nuovo regolamento di Frontex del 2019, che prevede l’assistenza dell’Agenzia Ue ai Paesi partner in tutto il territorio nazionale e non solo nelle regioni confinanti con l’Unione: il Montenegro è il caso più esemplificativo, dal momento in cui è l’unico Paese balcanico a non avere alcun tratto di confine in comune con l’Ue (si potrebbe dire lo stesso del Kosovo, ma rimane ancora un buco nero per l’assenza di unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità e di conseguenza di un accordo in vigore con Frontex). L’accordo così negoziato consentirà all’Agenzia di assistere le autorità di Podgorica nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera e – a differenza del precedente mandato – con poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone. In altre parole, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue saranno dispiegati con pieni poteri esecutivi lungo i confini del Paese balcanico con Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.
    Gli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere del Montenegro si basa sulla decisione dello scorso 18 novembre da parte del Consiglio dell’Ue di autorizzare la Commissione ad avviare negoziati con tutti i Paesi dei Balcani Occidentali e con la Repubblica di Moldova per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, su raccomandazione dello stesso esecutivo comunitario il 26 ottobre.
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea erano stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto.
    Al momento sono tre i Paesi con cui è entrato in vigore il nuovo mandato Frontex: Moldova, Macedonia del Nord e Montenegro (rimangono ancora Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia). L’accordo con Chișinău è arrivato nel marzo dello scorso anno, seguito a sette mesi di distanza da quello con Skopje, nel corso della tappa nella capitale macedone della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali). Il 26 ottobre la numero uno dell’esecutivo comunitario ha dato il benestare al dispiegamento dei corpi Frontex sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si è trattato del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone.

    Con l’intesa firmata dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, i corpi permanenti dell’Agenzia potranno operare anche alle frontiere interne del partner balcanico. Lo stesso è stato fatto con Macedonia del Nord e Moldova (in attesa di Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia)

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    Inizia una nuova era per il Montenegro. Bruxelles indica al nuovo presidente Milatović il lavoro sulle riforme verso l’Ue

    Bruxelles – Il Paese più avanzato sul cammino verso l’adesione all’Unione Europea è entrato in una nuova era politica. Per la prima volta in 32 anni il Montenegro non è né governato né presieduto da Milo Đukanović, padre-padrone dello Stato balcanico prima e dopo l’indipendenza nazionale nel 2006. Dopo il primo turno di due settimane fa, che già aveva indicato l’alta probabilità di un cambio di guardia a Podgorica, il ballottaggio di ieri (2 aprile) ha sancito la vittoria di Jakov Milatović, che diventerà il nuovo presidente del Montenegro a partire dal prossimo 23 maggio.
    Il nuovo presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea“, ha esultato il neo-presidente dopo la pubblicazione dei risultati del secondo turno di voto, che lo ha visto trionfare con il 60 per cento delle preferenze sullo sfidante ed ex-presidente Đukanović e il 70 per cento di affluenza al voto. Filtra ottimismo anche a Bruxelles, dove il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha subito commentato la vittoria di Milatović: “Congratulazioni al nuovo presidente, non vedo l’ora di iniziare il lavoro per accelerare le riforme necessarie sul percorso del Montenegro verso l’Ue”.
    Parlando alla stampa europea, il portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Peter Stano, ha sottolineato che l’esecutivo comunitario è pronto a lavorare con Milatović e “tutti gli attori politici per aiutare il Paese a rimanere saldo nel percorso di adesione Ue e costruire il consenso sull’implementazione delle riforme sullo Stato di diritto e sulla giustizia“. Il supporto di Bruxelles è motivato dal fatto che l’adesione all’Unione è sostenuta dalla “maggioranza schiacciante della popolazione montenegrina” e in questo contesto “la stabilità politica nel Paese è chiave per continuare il percorso” per diventare il 28esimo Stato membro Ue.
    Chi è il nuovo presidente del Montenegro
    L’economista 36enne, che aveva solo cinque anni quando Đukanović salì al potere nel 1991 come primo ministro della Repubblica di Montenegro (allora parte della Repubblica Federale di Jugoslavia), è un personaggio relativamente noto a livello nazionale. Dopo aver lavorato per il gruppo bancario e finanziario sloveno Nlb Group a Podgorica e per Deutsche Bank a Francoforte, nel 2014 è entrato nel team di analisi economica e politica della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) e dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 è stato ministro dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata da Zdravko Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo Milatović ha presentato insieme al ministro delle Finanze, Milojko Spajić, un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro, come la coalizione moderata di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier dimissionario, Dritan Abazović. Alle amministrative di ottobre nella capitale Podgorica Milatović ha corso come candidato sindaco per Europe Now, piazzandosi al secondo posto. Dopo la squalifica di Spajić da parte della commissione elettorale centrale per il possesso di cittadinanza serba – vietata dalla legge montenegrina per chi vuole correre per la presidenza della Repubblica – si è candidato come sfidante di Đukanović alla prima carica del Paese.
    Festeggiamenti di elettrici filo-serbe in Montenegro dopo la vittoria di Jakov Milatović alle presidenziali del 2 aprile 2023 (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Sarò il presidente di tutti i cittadini, guiderò il Paese verso l’integrazione europea e promuoverò il recupero morale e sociale del Montenegro, depoliticizzando e rafforzando le istituzioni”, ha promesso Milatović. Il nuovo presidente è anche favorevole a relazioni più strette con la vicina Serbia (nonostante nel 2006 abbia votato a favore dell’indipendenza da Belgrado) e non a caso è stato sostenuto esplicitamente dai candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento sconfitti al primo turno, sia il leader del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić, sia quello del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić. Anche se si tratta della questione più delicata sulla scena politica montenegrina – il co-fondatore di Europe Now Spajić ha svolto attività di lobbying negli Stati Uniti a favore degli interessi della Chiesa serbo-ortodossa nel Paese – le tendenze filo-serbe non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali e il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 e ribadito con una nuova iniziativa balcanica non dovrebbe subire contraccolpi.
    La situazione politica in Montenegro
    Per la prima volta in 32 anni sulla scena politica nazionale Đukanović non rivestirà alcun ruolo. Il leader del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) è stato premier dal 1991 al 1998 e poi di nuovo dal 2003 al 2006, dal 2008 al 2010 e dal 2012 al 2016, portando anche all’adesione del Montenegro alla Nato (formalmente dal 5 giugno 2017). Tra il 1998 e il 2003 e dal 2018 a oggi ha rivestito il ruolo presidente, in un periodo cruciale per il passaggio della Repubblica da federata con la Serbia a indipendente. I rivali di Đukanović accusano il quasi ex-presidente e il suo partito di corruzione e di legami con la criminalità organizzata, ma anche di aver politicizzato le istituzioni nazionali, con particolare riferimento alla crisi istituzionale aggravatasi negli ultimi mesi dello scorso anno.
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Tutto è legato alla legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. Il problema è stata la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (manca ancora il quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina.
    Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno. Il risultato delle presidenziali potrebbe ora mettere ancora più in crisi il Partito Democratico dei Socialisti, che ha perso ieri l’ultima leva di potere che ancora deteneva. Dopo il risultato fallimentare delle elezioni politiche dell’agosto 2020 i socialisti hanno perso anche il controllo delle due città più grandi del Paese, Podgorica e Nikšić, alle amministrative dello scorso autunno e dal prossimo 23 maggio non esprimeranno più nemmeno la presidenza della Repubblica. La nuova era per il Montenegro è già iniziata, e il ritorno al voto anticipato per il rinnovo del Parlamento potrebbe essere l’ultima occasione per il padre-padrone della nazione di mantenere ancora la presa sul Paese.

    Il 36enne fondatore di Europe Now è stato eletto leader del Paese balcanico, mettendo fine al potere trentennale del socialista Milo Đukanović. Il sostegno dei partiti filo-serbi non sembra preoccupare la Commissione Ue, considerato il posizionamento europeista del partito

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    Il Montenegro a un passo dalla svolta nella leadership. Un indebolito Đukanović al primo ballottaggio presidenziale

    Bruxelles – Potrebbe essere arrivato alla sua ultima corsa il partito che ha sempre espresso la presidenza della Repubblica del Montenegro dal giorno della nascita della Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1992 e dopo l’indipendenza del Paese nel 2006. Il primo turno delle elezioni presidenziali del 19 marzo ha fornito indicazioni rilevanti sulla possibile svolta nella leadership dello Stato balcanico considerato il più avanzato sulla strada di adesione all’Unione Europea. Il candidato del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) e presidente in carica dal 2018, Milo Đukanović, si è confermato in testa nella prima fase della tornata elettorale presidenziale, ma con una perdita di quasi 19 punti percentuali rispetto a quattro anni fa, quando non era nemmeno servito il ballottaggio. E ora si deve guardare le spalle dalla convergenza dei partiti più rappresentati in Parlamento sullo sfidante di Europe Now, Jakov Milatović.
    Chiamati alle urne per scegliere il nuovo presidente della Repubblica, gli elettori montenegrini hanno dato un segnale preciso alla scena politica nazionale. Basta plebisciti a sostegno del partito al potere da oltre 30 anni – anche se ha subito una prima battuta d’arresto alle elezioni parlamentari del 2020 – ma la corsa per la presidenza dovrà andare fino in fondo, in un clima di incertezza per la prima volta nella breve storia del Paese. In attesa della conferma ufficiale da parte della commissione elettorale, le proiezioni di tutti gli istituti di ricerca attivi in Montenegro hanno evidenziato la vittoria al primo turno di Đukanović con il 35,2 per cento dei voti, seguito da Milatović al 29,2. Sconfitti i candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento, sia il leader del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić (19,3), sia quello del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić (10,9).
    Ed è proprio da questa doppia sconfitta degli sfidanti più controversi del presidente in carica che potrebbe arrivare la svolta per il Montenegro, perché sia Mandić sia Bečić hanno annunciato il proprio appoggio esplicito al candidato del nuovo partito europeista. Se i rispettivi elettori dovessero rispettare le indicazioni dei due leader sconfitti, per Đukanović non ci sarebbe alcuna chance di riconferma al terzo mandato (dopo quello appena terminato e quello del 1998-2003). “Mi sono candidato per sconfiggerlo, perché simboleggia il passato e le politiche divisive che hanno impoverito il nostro Paese”, è stato l’affondo di Milatović nei confronti del presidente in carica. L’economista 37enne è un personaggio relativamente noto a livello nazionale. Dopo aver lavorato per il gruppo bancario e finanziario sloveno Nlb Group a Podgorica e Deutsche Bank a Francoforte, nel 2014 è entrato nel team di analisi economica e politica della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) e dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 è stato ministro dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata da Zdravko Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo Milatović ha presentato insieme al ministro delle Finanze, Milojko Spajić, un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come l’aumento del salario minimo a 450 euro e il taglio dei contributi sanitari.
    Il candidato di Europe Now alle elezioni presidenziali in Montenegro del 2023,Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro, come la coalizione moderata di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier dimissionario, Dritan Abazović. Alle amministrative di ottobre nella capitale Podgorica Milatović ha corso come candidato sindaco per Europe Now, piazzandosi al secondo posto. Dopo la squalifica di Spajić da parte della commissione elettorale centrale per il possesso di cittadinanza serba – vietata dalla legge montenegrina per chi vuole correre per la presidenza della Repubblica – si è candidato come sfidante di Đukanović alla prima carica del Paese. Milatović è favorevole all’adesione del Montenegro all’Unione Europea, ma anche a relazioni più strette con la vicina Serbia (nonostante nel 2006 abbia votato a favore dell’indipendenza da Belgrado). È questo uno dei punti più controversi del nuovo partito – il co-fondatore Spajić ha svolto attività di lobbying negli Stati Uniti a favore degli interessi della Chiesa serbo-ortodossa nel Paese – anche se in Montenegro le tendenze filo-serbe non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali e non dovrebbero porsi questioni preoccupanti per il processo di adesione all’Ue iniziato nel 2012.

    Montenegro, presidential election (first round) today:
    100% CeMI parallel count:
    Đukanović (DPS-S&D): 35.2% (-18.7)Milatović (Evropa Sad!-*): 29.2% (new)Mandić (NSD-*): 19.3% (new)Bečić (DCG~EPP): 10.9% (new)…
    +/- 2018 election#Montenegro #Izbori2023 #IzboriCG pic.twitter.com/Kn53NmXCgk
    — Europe Elects (@EuropeElects) March 19, 2023

    La situazione politica in Montenegro
    Dopo 30 anni di governo ininterrotto del Partito Democratico dei Socialisti gli equilibri politici sono iniziati a cambiare già con le elezioni del 30 agosto 2020, vinte dalla larghissima coalizione anti-Đukanović messa in piedi dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ di Krivokapić. Il 4 febbraio 2022 è stata la piattaforma ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via a un governo di minoranza guidato da Abazović. Un governo di scopo per preparare le elezioni anticipate nella primavera successiva – che pochi giorni fa sono state annunciate per il prossimo 11 giugno – ma anche il più breve della storia del Paese, dopo il crollo del 19 agosto per la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović. A scatenare la crisi è stato il cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba, un’intesa per regolare i rapporti reciproci e per il riconoscimento della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219. Tutti i partiti filo-serbi l’hanno appoggiato, mentre gli altri l’hanno rigettato, perché considerato un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue.
    Da allora Abazović è premier ad interim e nel frattempo si è aggravata anche la crisi istituzionale, con il via libera a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo. La legge permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.
    Il vero problema è stata la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto del Parlamento in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (manca ancora il quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. In attesa che si chiarisca il futuro del Montenegro, tra presidente e nuovo Parlamento.

    Il presidente in carica vince il primo turno, ma crollando rispetto alle elezioni del 2018. Il 2 aprile sfiderà il candidato di Europe Now, Jakov Milatović, che potrebbe sfruttare l’endorsement degli altri partiti sconfitti per mettere fine al potere trentennale del Partito Democratico dei Socialisti

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    A pochi giorni dalle elezioni presidenziali, il Parlamento del Montenegro è stato sciolto. Ritorno alle urne anticipato

    Bruxelles – Dopo le elezioni presidenziali, quelle parlamentari, per tentare di rimettere il Montenegro su una strada più stabile nel suo cammino verso l’adesione all’Unione Europea. Con un decreto presidenziale il leader del Paese balcanico, Milo Đukanović, ha sciolto ieri (16 marzo) il Parlamento nazionale a soli tre giorni dal primo turno di voto per eleggere il nuovo presidente della Repubblica – in cui proprio Đukanović cerca la riconferma – e oggi ha fissato le elezioni anticipate per l’11 giugno.
    “L’Assemblea è sciolta con decreto del Presidente del Montenegro, il decreto diventa effettivo il giorno in cui viene dichiarato”, si legge in un comunicato dell’ufficio di presidenza diffuso alla stampa. La decisione di emanare il decreto sulla base dell’articolo 92 della Costituzione nazionale è stata presa dopo il fallimento del primo ministro incaricato di formare un governo, Miodrag Lekić (leader dell’Alleanza Democratica Demos), che nei 90 giorni di tempo a sua disposizione non è riuscito a mettere insieme una maggioranza parlamentare (di 41 deputati su 81).
    Il tentativo di mettere fine alla crisi politica e istituzionale – invocato da mesi dal presidente Đukanović e in linea con il mandato iniziale del poi sfiduciato governo di Dritan Abazović – nel Paese considerato il più avanzato sulla strada di adesione all’Ue arriva a ridosso delle presidenziali programmate per domenica (19 marzo). Il leader del Partito Democratico dei Socialisti (Dps), eletto numero uno del Montenegro cinque anni fa, tenterà di sfruttare il proprio credito europeista per conquistare un secondo mandato, ma dovrà fronteggiare non solo i candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento – il leader del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić, e quello del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić – ma anche Jakov Milatović, il candidato del nuovo movimento europeista Europe Now, al primo vero banco di prova nazionale dopo il secondo posto alle amministrative dell’ottobre 2022 nella capitale Podgorica. Il sistema elettorale è a doppio turno: se nessun candidato otterrà la maggioranza dei voti domenica, si terrà il ballottaggio tra i due più votati il 2 aprile.
    In occasione delle elezioni presidenziali in Montenegro, anche una delegazione di sei eurodeputati guidata dal croato Tonino Picula (S&D) sarà presente nel Paese balcanico da oggi a lunedì (20 marzo). La delegazione di osservazione elettorale del Parlamento Europeo sarà inquadrata nella missione internazionale dell’Ufficio per le istituzioni democratiche per i diritti umani (Odihr) dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Come reso noto dai servizi dell’Eurocamera, i sei eurodeputati incontreranno i candidati dei partiti politici, i rappresentanti delle autorità nazionali, della società civile e dei media nazionali, mentre domenica osserveranno le elezioni dall’apertura dei seggi fino alla chiusura, e successivamente seguiranno lo spoglio.
    I due anni e mezzo di crisi in Montenegro
    Con le elezioni del 30 agosto 2020 in Montenegro erano cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto del Partito Democratico dei Socialisti del presidente Đukanović. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier, Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio dello scorso anno era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via a un governo di minoranza guidato da Abazović.
    Da sinistra: il primo ministro ad interim del Montenegro, Dritan Abazović, e il il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue.
    Mentre da allora Abazović è premier ad interim, a partire dal settembre dello scorso anno si è aggravata anche la crisi istituzionale. A sparigliare le carte è stato il via libera a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.
    Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese.

    La legislatura si chiude con un anno e mezzo di anticipo, dopo che il leader del Paese alla ricerca di riconferma, Milo Đukanović, ha sciolto per decreto l’Assemblea nazionale, per mettere fine alla crisi politica. La tornata elettorale sarà organizzata per l’11 giugno

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    L’Ue accoglie la nomina di 3 giudici della Corte Costituzionale del Montenegro: “Riforme per avanzare sul percorso europeo”

    Bruxelles – Un passo in avanti per scongiurare una crisi istituzionale cronica che porterebbe a un pericoloso stop del Montenegro nella sua strada verso l’adesione all’Unione Europea. Dopo mesi di stallo, l’Assemblea del Montenegro è riuscita oggi (27 febbraio) a eleggere tre dei quattro giudici della Corte Costituzionale vacanti, condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Un accordo arrivato al termine di un “dialogo politico duro, lungo ma fruttuoso, che ha prodotto oggi dei risultati”, ha sottolineato con forza la presidente dell’Assemblea nazionale, Danijela Đurović, esultando per la “ripartenza del nostro viaggio nell’Ue, perché il Montenegro vi appartiene”.
    Da sinistra: il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    “Accolgo con grande favore la nomina dei giudici della Corte Costituzionale mancanti da parte dell’Assemblea del Montenegro, è un passo davvero importante verso un sistema giudiziario pienamente funzionante“, è il commento del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Garantire istituzioni adeguate e stabili è fondamentale, così come lo sono riforme credibili dell’Ue, in modo che il Montenegro possa avanzare sul percorso europeo”. Analisi simile quella presentata dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, che ha voluto anche ricordare che “ora ci sono tutte le condizioni per organizzare le elezioni presidenziali e generali“. Proprio a questo proposito è utile ricordare che il prossimo 19 marzo gli elettori montenegrini si recheranno alle urne per scegliere il prossimo presidente della Repubblica, carica ricoperta dal 2018 da Milo Đukanović (e precedentemente dal 1998 al 2022).
    “Questo è il primo passo per risolvere la crisi costituzionale del Paese, invitiamo tutti gli attori politici a lavorare insieme per il futuro europeo del Montenegro”, è l’esortazione del relatore del Parlamento Europeo per il Montenegro, Tonino Picula (S&D), a cui ha fatto eco il presidente della delegazione alla commissione parlamentare di stabilizzazione e associazione Ue-Montenegro, Vladimír Bilčík (Ppe): “La cultura del dialogo e del compromesso al di là delle linee di partito è l’unica strada da percorrere per progredire sulla via dell’Ue”. L’obiettivo ora deve essere “l’elezione rapida del quarto giudice” mancante, ha precisato l’eurodeputato slovacco.
    La crisi istituzionale in Montenegro
    Da sinistra: il primo ministro del Montenegro, Dritan Abazović, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    La nomina dei giudici è di cruciale importanza se si considera lo scenario istituzionale particolarmente critico nel Paese che a Bruxelles è considerato il più avanzato sulla strada di adesione all’Ue tra i 10 che sono coinvolti nel processo di allargamento dell’Unione. La vacanza dei membri della Corte Costituzionale si accompagna da mesi a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo. Considerato il fatto che la Corte Costituzionale è l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge, senza la sua piena funzionalità non è possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei.
    Eppure l’iter di approvazione della legge è proseguito lo stesso a Podgorica. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. La legge permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato: in caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Lo scorso 20 settembre il numero uno del Paese Đukanović ha proposto di tornare alle urne, dopo essersi rifiutato di confermare come nuovo primo ministro il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno.
    La crisi politica a Podgorica
    Tutto questo mentre dal 2020 il Paese vive in una costante crisi politica. Con le elezioni del 30 agosto 2020 in Montenegro erano cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) del presidente Đukanović. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier, Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (dell’ex-presidente del Parlamento, Aleksa Bečić) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’, dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio dello scorso anno era stata proprio la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ a togliere l’appoggio al governo Krivokapić, appoggiando una mozione di sfiducia dell’opposizione e aprendo la strada a un governo di minoranza guidato da Abazović. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo inaugurato a fine aprile era quello di preparare le elezioni per la primavera del 2023, esattamente ciò che continuano ad augurarsi le istituzioni comunitarie.
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stato appoggiato dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettato, perché considerato un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Da allora Abazović è premier ad interim, mentre si è aggravata l’instabilità politica e istituzionale, con tentativi di ricreare la maggioranza Krivokapić e appelli al ritorno alle urne. Alle prossime elezioni presidenziali ci sarà da fare attenzione al nuovo movimento europeista non rappresentato in Parlamento, Europe Now, al primo vero banco di prova nazionale dopo il secondo posto alle amministrative di ottobre 2022 a Podgorica (21,7 per cento dei voti e 13 seggi su 58 in Assemblea cittadina).

    Dopo mesi di stallo e crisi istituzionale, è arrivato il via libera del Parlamento nazionale: ora manca l’intesa per il quarto (e ultimo) posto vacante per rendere “pienamente funzionante” l’organo costituzionale. E il 19 marzo si terranno le cruciali elezioni presidenziali

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    I ministri degli Esteri di Slovenia e Austria sono in Montenegro su mandato Ue per affrontare la crisi istituzionale

    Bruxelles – In missione per conto dei Ventisette. I ministri degli Esteri di Slovenia, Tanja Fajon, e Austria, Alexander Schallenberg, sono oggi (mercoledì 21 dicembre) in Montenegro per una missione voluta dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, per affrontare una situazione sempre più instabile nel Paese balcanico che finora si è potuto fregiare del titolo di ‘più avanzato sulla strada di adesione all’Ue’ tra i 10 che sono coinvolti nel processo di allargamento dell’Unione.
    Il primo ministro ad interim del Montenegro, Dritan Abazović, e il il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    “Il Montenegro è uno dei partner più stretti dell’Unione Europea, a buon punto nei negoziati di adesione e con il più lungo record di pieno allineamento con la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue”, è quanto specifica il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), senza nascondere che “la visita giunge in un momento in cui i recenti sviluppi politici hanno provocato una grave crisi istituzionale, minando le istituzioni democratiche e rallentando i progressi del Paese nel suo percorso di adesione”. La questione più urgente per Bruxelles riguarda “il sostegno da parte di tutti gli attori politici alla piena funzionalità delle istituzioni, in particolare della Corte Costituzionale“, che rappresenta una delle condizioni prioritarie per “avanzare verso l’adesione all’Ue, auspicata dalla stragrande maggioranza dei cittadini montenegrini”. Lo dimostrerebbero le bandiere dell’Unione Europea sventolate dai manifestanti che stanno protestando a Podgorica contro la nuova legge sui poteri presidenziali.
    Il messaggio (e la missione stessa) dei due ministri al presidente montenegrino, Milo Đukanović, alla leader dell’Assemblea nazionale, Danijela Đurović, e al primo ministro ad interim, Dritan Abazović, dimostra quanto per i Ventisette e per le istituzioni comunitarie sia diventata preoccupante la situazione nel Paese balcanico. Mentre lunedì scorso (12 dicembre) una maggioranza risicata di forze filo-serbe all’Assemblea nazionale ha approvato una contestata legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, a Podgorica non sono ancora stati nominati tutti i membri della Corte Costituzionale (unico organismo che può valutare la legge stessa). Ecco perché Bruxelles non considera il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. “La nomina dei membri della Corte Costituzionale è necessaria per salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini”, ha già messo in chiaro il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.

    📢At their joint press conference today Foreign Affairs Ministers of 🇦🇹Austria @a_schallenberg & 🇸🇮Slovenia @tfajon sent important messages for 🇲🇪 Montenegro’s 🇪🇺 European future. Watch here 👇 https://t.co/5o3F02STaY
    — Oana Cristina Popa 🇪🇺 (@EUAmbME) December 21, 2022

    La crisi istituzionale in Montenegro
    Con le elezioni del 30 agosto 2020 in Montenegro erano cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) del presidente Đukanović. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier, Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (dell’ex-presidente del Parlamento, Aleksa Bečić) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’, dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Lo scorso 4 febbraio era stata proprio la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ a togliere l’appoggio al governo Krivokapić, appoggiando una mozione di sfiducia dell’opposizione e aprendo la strada a un governo di minoranza guidato da Abazović. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo inaugurato a fine aprile era quello di preparare le elezioni per la primavera del 2023.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stato appoggiato dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettato, perché considerato un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Unione Europea. Da allora Abazović è premier ad interim, mentre si è aggravata l’instabilità politica e istituzionale, con tentativi di ricreare la maggioranza Krivokapić e appelli al ritorno alle urne.
    Dopo il primo via libera di inizio novembre alla legge contestata da parte dell’Assemblea nazionale, la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo del 12 dicembre con un solo deputato in più rispetto alla soglia-limite della maggioranza. La legge permetterà ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato: in caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Lo scorso 20 settembre il numero uno del Paese Đukanović ha proposto di tornare alle urne – a due anni dalle ultime elezioni parlamentari – dopo essersi rifiutato di confermare come nuovo primo ministro il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno.
    Rimane evidente che né la maggioranza né l’opposizione sembrano in grado di formare un governo stabile e il voto sembrerebbe la soluzione più efficace, per permettere agli elettori di esprimersi su quale indirizzo dovrà prendere il Paese. In questo contesto in Montenegro sta emergendo un nuovo movimento europeista non rappresentato in Parlamento, Europe Now, che si è fatto conoscere con il secondo posto (21,7 per cento dei voti e 13 seggi su 58 in Assemblea cittadina) alle amministrative di ottobre nella capitale montenegrina.

    Tanja Fajon e Alexander Schallenberg sono stati incaricati dall’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, di ribadire a Podgorica che l’adesione all’Unione passa dalla piena funzionalità della Corte Costituzionale. Proseguono le proteste contro l’adozione della legge sui poteri presidenziali

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    L’Ue rischia di avere un problema con il Montenegro nel processo di allargamento nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – L’appellativo di ‘Paese più avanzato sulla strada di adesione all’Ue’ rischia di diventare un lontano ricordo per il Montenegro, considerati gli sviluppi politici dell’ultimo mese. Violente proteste sono scoppiate nella capitale Podgorica lunedì (12 dicembre) davanti alla sede dell’Assemblea nazionale, mentre una maggioranza risicatissima di forze filo-serbe ha dato il via libera a una contestata legge sui poteri presidenziali, che ha diversi tratti di potenziale incostituzionalità.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    La gravità della crisi politico-istituzionale nel Paese balcanico ha raggiunto livelli allarmanti, anche considerato il fatto che manca ancora la nomina di tutti i membri della Corte Costituzionale. Senza la piena operatività dell’unico organismo che può valutare la legge sui poteri di nomina dell’esecutivo, lo stesso voto dell’Assemblea nazionale viene considerato dalle istituzioni internazionali non in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia (organo consultivo del Consiglio d’Europa, che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei). “La nomina dei membri della Corte Costituzionale è necessaria per salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini”, ha messo in chiaro il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Per Bruxelles “tutte le parti politiche interessate devono agire con urgenza per garantire la funzionalità operativa” della Corte, ha aggiunto il commissario, ribandendo che “per proseguire il percorso europeo, è necessario anche rispettare la decisione della Commissione di Venezia“.
    A scatenare le dure reazioni dei manifestanti montenegrini e le critiche internazionali è il via libera con una maggioranza risicatissima di 41 deputati (su 81) agli emendamenti alla legge sui poteri presidenziali da parte dell’Assemblea nazionale. Già lo scorso primo novembre, con la stessa maggioranza, era arrivata la prima approvazione al disegno di legge che permetterà agli stessi parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato.
    Il premier dimissionario del Montenegro, Dritan Abazović
    Secondo la Costituzione del Montenegro il presidente deve organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro 30 giorni. Tuttavia, lo scorso 20 settembre il numero uno del Paese, Milo Đukanović, ha proposto di tornare alle urne – a due anni dalle ultime elezioni parlamentari – dopo essersi rifiutato di confermare il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, come nuovo primo ministro, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno. Il premier dimissionario, Dritan Abazović, ha scaricato le responsabilità della fragilità istituzionale sui presunti abusi dei diritti costituzionali da parte di Đukanović, mentre il Partito Democratico dei Socialisti (Dps) del leader montenegrino ha definito l’approvazione della legge un “colpo di stato costituzionale”.
    “Tutti gli attori politici in Montenegro devono agire con urgenza per garantire la funzionalità operativa della Corte Costituzionale e revocare gli emendamenti alla legge sui poteri del presidente, è fondamentale che tutti esercitino la massima moderazione e si astengano da ulteriori atti provocatori”, ha attaccato la portavoce della Commissione Ue per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero. Il Montenegro “ha perso un’altra occasione per porre fine alla lunga crisi istituzionale”, dal momento in cui una Corte Costituzionale “pienamente funzionante e composta da membri competenti è fondamentale per salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini e progredire nel suo percorso europeo“, ha aggiunto la portavoce, chiedendo a Podgorica di “portare avanti senza indugio un processo di selezione adeguato e inclusivo”.
    L’instabilità del Montenegro
    Con le elezioni del 30 agosto 2020 in Montenegro erano cambiati gli equilibri politici, dopo 30 anni di governo ininterrotto del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) del presidente Đukanović. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier, Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (dell’ex-presidente del Parlamento, Aleksa Bečić) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’, dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Lo scorso 4 febbraio era stata proprio la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ a togliere l’appoggio al governo Krivokapić, appoggiando una mozione di sfiducia dell’opposizione e aprendo la strada a un governo di minoranza guidato da Abazović. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo inaugurato a fine aprile era quello di preparare le elezioni nella primavera 2023.
    Il premier dimissionario del Montenegro, Dritan Abazović, e il il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Lo stesso governo Abazović è crollato però il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stato appoggiato dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettato, perché considerato un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Unione Europea. Da allora a Podgorica si è aggravata l’instabilità politica e istituzionale, con tentativi di ricreare l’iniziale maggioranza Krivokapić e appelli al ritorno alle urne.
    Dopo gli sviluppi del primo novembre all’Assemblea nazionale la tensione è aumentata esponenzialmente, fino al voto risicatissimo del 12 dicembre. Rimane evidente che né la maggioranza né l’opposizione sembrano in grado di formare un governo stabile e il voto sembrerebbe la soluzione più efficace, per permettere agli elettori di esprimersi su quale indirizzo dovrà prendere il Paese. In questo scenario va fatta attenzione a Europe Now, nuovo movimento europeista non rappresentato in Parlamento, che ha fatto registrare un notevole exploit alle amministrative di ottobre nella capitale montenegrina. La priorità rimane però la nomina di tutti i membri della Corte Costituzionale, mentre quello che fino a oggi poteva fregiarsi del titolo di ‘Paese più avanzato sulla strada di adesione all’Ue’ sta rischiando di scivolare verso il caos istituzionale.

    Diventano sempre più violente le proteste a Podgorica contro l’adozione della legge sui poteri presidenziali da parte dell’Assemblea nazionale, che violerebbe la Costituzione. L’Ue denuncia anche la mancata nomina dei membri della Corte Costituzionale, perché abbia pieni poteri

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi