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    Mar Rosso, l’Ue alla finestra di fronte all’aggravarsi della crisi. Borrell lavora su una missione congiunta

    Bruxelles – L’Ue, per ora, sta alla finestra. Spettatore interessato e preoccupato dell’escalation di ostilità in Medio Oriente, con la nuova rogna degli assalti alle navi cargo nel Mar Rosso da parte delle milizie yemenite Houthi e la risposta militare messa sul campo nella notte da una coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti. All’orizzonte, un piano per l’invio di una forza navale europea a protezione delle imbarcazioni commerciali che attraversano il canale di Suez.Il problema è che le conseguenze in Europa iniziano già a farsi sentire. Lo stretto egiziano rappresenta il 12 per cento del commercio mondiale in termini di transito di merci in commercio internazionale, un dato che aumenta fino al 30 per cento se si considerano i container. Da qui passa ciò che serve per il settore primario: il 14,6 per cento dell’import mondiale di prodotti cerealicoli passa da Suez, al pari del 14,5 per cento dei fertilizzanti usati in agricoltura. Oggi Tesla ha annunciato che sospenderà la maggior parte della sua produzione in Germania per due settimane, a causa della carenza di componenti dovuta all’allungamento delle rotte di trasporto. Molte compagnie stanno circumnavigando l’Africa per evitare possibili attacchi nel Mar Rosso.Un miliziano Houthi di guardia alla Grande Moschea Al-Saleh a Sana’a, Yemen (Photo by MOHAMMED HUWAIS / AFP)Il bombardamento di diversi siti militari – circa una settantina – usati dai ribelli Houthi in Yemen, che Washington ha coordinato con Londra e con il supporto di Australia, Canada, Paesi Bassi e Barhein, rischia solo di aggravare la situazione. La Nato ha dichiarato che “questi attacchi erano difensivi e progettati per preservare la libertà di navigazione in una delle vie d’acqua più vitali del mondo”, mentre il presidente Usa, Joe Biden, li ha definiti “un chiaro messaggio che gli Stati Uniti e i suoi partner non tollereranno attacchi al loro personale né permetteranno ad attori ostili di mettere in pericolo la libertà di navigazione”.Ma se l’intento era quello di scoraggiare le rappresaglie della milizia sciita, che ha intrapreso i suoi attacchi in aperta opposizione ai bombardamenti di Israele contro la popolazione palestinese, a giudicare dalle prime reazioni potrebbe essere stato un buco nell’acqua. Funzionari degli Houthi hanno già avvertito che Stati Uniti e Regno Uniti “pagheranno un prezzo pesante” per questa “palese aggressione” e che continueranno a prendere di mira le navi nel Mar Rosso. Da Teheran, che foraggia le milizie yemenite, la constatazione che “questi attacchi arbitrari non faranno altro che alimentare l’insicurezza e l’instabilità nella regione”.Mar Rosso, una guardia Houthi su una nave con bandiera della Bahamas, sequestrata in un porto yemenita (Photo by AFP)Ha preso immediatamente posizione anche la Russia, che ha chiesto la convocazione di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. “La Russia ritiene che l’attacco degli Stati Uniti e del Regno Unito contro le posizioni del movimento sciita Houthi, dominante nel nord e nel centro dello Yemen, costituisca una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza globale“, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Mosca ha chiesto alla comunità internazionale di “condannare fermamente l’attacco allo Yemen da parte di un gruppo di Paesi senza mandato delle Nazioni Unite”. La riunione del Consiglio di Sicurezza si terrà intorno alle ore 16 – le 22 italiane – a New York.Italia, Francia e Spagna non partecipano, Borrell studia una missione europeaI 27 dell’Ue, come di fronte alla deflagrazione del conflitto israelo-palestinese, sembrano inermi e soprattutto divisi. Mentre la Germania sta valutando se partecipare alle operazioni di sicurezza a guida americana dispiegando nel Mar Rosso la fregata Hessen, per ora Francia, Spagna e Italia hanno precisato di non aver partecipato al raid notturno. Fonti di Palazzo Chigi precisano che “l’Italia sta lavorando per mantenere bassa la tensione nel Mar Rosso ed è impegnata nella coalizione europea per garantire la circolazione delle navi”. L’Italia sarebbe stata informata “con largo anticipo dell’attacco”, ma non si è nemmeno posta la questione di partecipare all’offensiva, perché – come spiegato in mattinata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, “non possiamo mettere in atto azioni di guerra senza un dibattito parlamentare”.Ma la preoccupazione c’è anche a Roma: la sola Italia ha in ballo valori per 154 miliardi di euro, a tanto ammonta il valore dell’import-export italiano marittimo che transita per il canale di Suez. Parliamo del 40 per cento del commercio marittimo del Paese. Non solo gli attacchi degli Houthi stanno facendo salire i costi, ma un possibile scenario – disegnato dal centro studi SRM, è che le navi potrebbero non entrare nel Mediterraneo sbarcando nel Nord Europa, con conseguenti danni ai porti italiani. “Il rischio a medio-lungo termine è la perdita di centralità del Mediterraneo ed il conseguente contraccolpo molto serio per la portualità italiana”, avverte l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo.A Bruxelles si è messo in moto l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che sta elaborando una proposta per svolgere un ruolo più attivo nella regione. I 27 potrebbero discuterne già martedì 16 gennaio, quando si riunirà il Comitato Politico e di Sicurezza (Cps) dell’Unione: in ballo ci sarebbe l’invio di una forza navale europea per supportare la protezione delle navi commerciali nel Mar Rosso. Almeno tre cacciatorpediniere o fregate antiaeree per il prossimo anno. Ma ora che la tensione è già a salita a un livello superiore, il piano del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), rischia di essere già da buttare via.Secondo Massimo Salini, eurodeputato di Forza Italia, “il percorso avviato drammaticamente dagli Stati uniti questa notte implica necessariamente un dibattito politico all’interno dell’Ue per definire una strategia”, che non può più evitare la possibilità di un intervento militare. Tenendo separati la crisi del Mar Rosso e il conflitto tra Israele e Hamas: “Se la precondizione per dare una soluzione ipotetica allo scenario sul Mar Rosso significa un arretramento su Israele, questo vorrebbe dire cedere alla strategia iraniana e non possiamo permettercelo”, sostiene Salini. Perché gli Houthi agiscono “per procura” di Teheran e in definitiva “strumentalizzano” la causa palestinese. Ne è convinto Fabio Massimo Castaldo: “Non credo che questo tipo di assalti a navi civili possa essere chiamata solidarietà con i palestinesi, ma anzi continuano a ledere lo slancio necessario per un cessate il fuoco duraturo a Gaza”.

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    La missione di Borrell in Libano per capire come allentare le tensioni in Medio Oriente

    Bruxelles – Inizia oggi (5 gennaio) la missione di tre giorni di Josep Borrell in Libano, dove incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, il primo ministro Najib Mikati, il ministro degli Affari esteri, Abdallah Bou Habib, e il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun.La visita – che durerà fino a domenica – vedrà inoltre l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza impegnato a colloquio con il capo della missione e il comandante della forza delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), il generale Aroldo Lazaro.Secondo una nota del Servizio europeo per l’azione esterna, la missione sarà un’occasione per “discutere tutti gli aspetti della situazione a Gaza e dintorni, compreso il suo impatto sulla regione, in particolare la situazione al confine israelo-libanese, nonché l’importanza di evitare un’escalation regionale e di sostenere il flusso di assistenza umanitaria ai civili, che l’Unione Europea ha quadruplicato portandola a 100 milioni di euro”. Borrell – si legge ancora – sottolineerà nuovamente la necessità di portare avanti gli sforzi diplomatici con i leader regionali al fine di creare le condizioni per raggiungere “una pace giusta e duratura tra Israele, Palestina e nella regione”.Allentare le tensioni. La missione del capo della diplomazia europea arriva in un momento particolarmente delicato delle tensioni in Medio Oriente tra Israele e Hamas, dopo che nel pomeriggio di martedì in una grossa esplosione a Beirut, la capitale del Libano, attribuita a un bombardamento israeliano mirato contro un ufficio del gruppo armato palestinese Hamas, è rimasto ucciso Saleh al-Arouri, vice capo di Hamas. L’uccisione di Arouri ha acuito le tensioni tra Hezbollah, stretto alleato di Hamas in Libano, e Israele. La guerra tra Israele e Hamas e l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza vanno avanti dallo scorso 7 ottobre, dopo un attacco di Hamas considerato da molti senza precedenti in territorio israeliano in cui hanno perso la vita oltre mille civili e oltre 200 sono stati rapiti, in risposta al quale Israele ha lanciato bombardamenti e assedio via terra della Striscia di Gaza, in cui si contano oltre 20 mila persone uccise.

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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    A Gaza riprendono le ostilità e i bombardamenti israeliani. L’Ue chiede all’Iran un “lavoro attivo” per la de-escalation

    Bruxelles – Nove giorni, e la tregua nella Striscia di Gaza è già finita. “Le ostilità sono riprese a Gaza e vediamo che il bilancio delle vittime civili, già molto alto, continua ad aumentare“, si è rammaricato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando gli intensi bombardamenti israeliani ricominciati venerdì scorso (primo dicembre) e che da ieri (3 dicembre) si sono estesi anche alla parte meridionale della Striscia, dove sono entrati per la prima volta i carri armati di Tel Aviv.Il capo della diplomazia Ue esprime forte preoccupazione per quanto in atto negli ultimi tre giorni nella Striscia di Gaza, conscio dei rischi a cui si sta andando incontro. “Dobbiamo evitare qualsiasi ricaduta regionale, la soluzione può essere solo politica incentrata su due Stati“, ha sottolineato Borrell nel corso di uno scambio telefonico con il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian, esortando Teheran a “usare la sua influenza e a lavorare attivamente per evitare un’ulteriore escalation nella regione”. Parole che arrivano a pochi giorni dal vertice ministeriale della Nato, in cui proprio l’Iran è stato avvertito di “tenere a freno” i suoi delegati di Hamas e Hezbollah che operano nella regione contro Israele.Ancora più duro è stato poi lo stesso alto rappresentante Ue nel suo intervento al 25esimo Forum Ue-Ong per i diritti umani: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina“. Alcuni partecipanti hanno iniziato a lasciare la sala dopo le parole di Borrell, che non ha però fatto alcun passo indietro: “Probabilmente ho detto qualcosa di scomodo, ma le Nazioni Unite hanno affermato chiaramente che quanto successo è stato riconosciuto come tale, mentre quello che sta succedendo ne è un altro caso”. La motivazione è semplice e parte dal numero di vittime: “Nessuno sa quante siano, qualche stima dice 15mila, ma temo che sotto le macerie delle case distrutte ce ne siano molte di più, con un alto numero di bambini”, e la comunità internazionale “non può accettarlo”. In altre parole, “un orrore non può giustificare un altro orrore“.La fine della tregua a GazaDa sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)Nel corso della tregua iniziata nella notte tra il 21 e il 22 novembre e andata in frantumi dopo nemmeno dieci giorni, Hamas ha rilasciato 110 ostaggi detenuti a Gaza in cambio di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora si tornano a contare non più i prigionieri liberati ma solo le persone uccise dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra il bilanci è salito a circa 15 mila vittime palestinesi, prevalentemente nella parte settentrionale della lingua di terra di 40 chilometri per 9. Da ieri però l’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti e lanciato un’operazione di terra a nord di Khan Younis, città palestinese con annesso campo profughi nella parte meridionale della Striscia. L’incursione è stata preceduta da ordini di evacuazione alla popolazione palestinese in diversi distretti della città, dove già centinaia di migliaia di persone si erano rifugiate dopo essere fuggite dai combattimenti nel nord della Striscia nelle prime fasi della guerra.“Il modo in cui Israele esercita il suo diritto all’autodifesa è importante, è imperativo che rispetti il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra“, ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell, richiamandosi a quanto già affermato a più riprese sulla necessità di non violare il diritto internazionale: “Questo non è solo un obbligo morale, ma anche legale”. Così come fatto nel corso della missione nella regione a pochi giorni dall’inizio della tregua, il capo della diplomazia dell’Unione ha fatto riferimento anche alla “crescente violenza in Cisgiordania, dove secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre sono stati uccisi 271 palestinesi“, più del doppio di tutti quelli uccisi dai coloni o dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno. Tornando al conflitto a Gaza, Borrell ha poi ricordato che la tregua che ha permesso il rilascio degli ostaggi ma anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza “non è sufficiente” da sola, dal momento in cui “le pause umanitarie dovrebbero essere riprese, ma lavorando contemporaneamente per una soluzione politica globale per tutti i territori palestinesi”. Quella soluzione per “due popoli, due Stati” che per l’Unione Europea è ormai un caposaldo e su cui ha elaborato una base di  sei condizioni – “tre sì e tre no” – su cui provare a impostare il dialogo nella regione.
    Dal primo dicembre è finita la tregua temporanea, con le operazioni miliari che si sono estese anche nel sud della Striscia. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina”

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    A Gaza 10 mila morti in un mese. L’Ue mobilita altri 25 milioni per gli aiuti umanitari: Israele “si sforzi di evitare vittime civili”

    Bruxelles – Trenta giorni dopo il risveglio più terribile della storia dello Stato d’Israele, quel 7 ottobre in cui Hamas ha ucciso 1.400 cittadini israeliani e ne ha presi oltre 200 in ostaggio, la risposta senza precedenti della forze di difesa di Tel Aviv è andata al di là delle più drammatiche previsioni: 10.022 morti in un mese nei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, tra cui 4.104 minori e 2.641 donne.I bollettini diffusi dal Ministero della Sanità di Gaza (controllato da Hamas), sono rilanciati anche dall’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari (Ocha-Opt) e non fanno alcuna distinzione tra popolazione civile e combattenti. Ma sono sicuramente civili la maggior parte delle vittime dei raid su aree densamente popolate della Striscia, così come lo sono i 25.408 feriti e gli oltre un milione e mezzo di sfollati dal nord dell’enclave palestinese. Così come, d’altronde, le almeno 140 vittime nei territori occupati della Cisgiordania. E gli 88 lavoratori dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), il numero più alto di vittime delle Nazioni Unite mai registrato in un singolo conflitto. Il Times of Israel ha dato la notizia della morte di una poliziotta israeliana a Gerusalemme, accoltellata questa mattina da un sedicenne palestinese, poi ucciso da un secondo agente. Sono 59 gli agenti di polizia rimasti uccisi dal 7 ottobre.Numeri che raccontano la realtà di quella che in molti hanno definito una “risposta sproporzionata” da parte di Israele. In primo luogo le Nazioni Unite e diverse sue agenzie, e poi naturalmente gli Stati arabi e la maggior parte della comunità internazionale. Ma non l’Unione europea, che nella sua posizione unitaria affermata con non poca difficoltà dal Consiglio europeo, ha garantito il sostegno a Israele e al suo diritto di difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria, e ha chiesto che vengano concesse delle “pause umanitarie” per permettere la distribuzione degli aiuti alla popolazione di Gaza stremata da un mese di bombardamenti e di assedio totale. Ma sull’evidente inottemperanza del diritto umanitario non si è ancora espressa, e nemmeno sull’altrettanto evidente, nei fatti, rifiuto di Tel Aviv – così come di Hamas – di interrompere le ostilità quanto meno per l’accesso di aiuti umanitari.I leader Ue alla Conferenza degli Ambasciatori. Von der Leyen indica quattro principi per una “pace duratura” a GazaUrsula Von der Leyen alla Conferenza degli Ambasciatori 2023, 06/11/23Oggi (6 novembre) la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza annuale degli ambasciatori Ue ha parlato di “terribile dilemma” nel dover contemporaneamente supportare Israele e aiutare i civili a Gaza. Perché il paradosso è che, mentre non condanna quella che il segretario generale dell’Onu ha chiamato “punizione collettiva contro i palestinesi”, l’Ue si adopera per consegnare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. I fondi comunitari per l’emergenza umanitaria nella Striscia sono stati quadruplicati: prima dell’inizio del conflitto ne erano previsti 25 milioni per il 2023, ora sono stati portati a 100 milioni di euro. Dal 16 ottobre, 6 voli che trasportavano oltre 263 tonnellate di aiuti hanno raggiunto l’Egitto. Acqua e servizi igienico-sanitari, cibo e altri beni essenziali, che a poco a poco e con grande difficoltà stanno entrando dal varco di Rafah nel sud di Gaza. Giovedì 9 novembre, a Parigi, Emmanuel Macron ha organizzato una conferenza internazionale per discutere degli aiuti umanitari nella Striscia.Priva di peso specifico nell’evitare la tragedia che si sta consumando a Gaza, l’Ue prova a ridare slancio a un processo politico che possa prima o poi mettere fine ad un conflitto vecchio come lo Stato di Israele. Per “immaginare come potrebbe essere una pace duratura” e “ridare speranza a palestinesi e israeliani”, l’unica prospettiva è la soluzione dei due Stati. La presidente della Commissione europea ha proposto “alcuni principi fondamentali che potrebbero aiutare a trovare un terreno comune”: innanzitutto Gaza “non può essere un rifugio sicuro per i terroristi”, e per garantirlo von der Leyen ha suggerito l’istituzione di una missione di pace internazionale sotto mandato delle Nazioni Unite. Dopo di ché, va legittimata ancora di più l’Autorità Nazionale Palestinese come unica entità, che controlli sia la Cisgiordania che Gaza. I punti successivi sono tutti indirizzati all’alleato israeliano: “non può esserci una presenza di sicurezza israeliana a lungo termine a Gaza” e non può esserci “nessuno spostamento forzato dei palestinesi da Gaza“. Infine, Israele dovrà porre fine al “blocco prolungato di Gaza”, perché “qualsiasi futuro Stato palestinese deve essere vitale, anche dal punto di vista economico”.Josep Borrell FontellesInsieme a von der Leyen, sono intervenuti sul tema anche gli altri tre tenori delle istituzioni europee: il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Nelle loro dichiarazioni alternate va ricostruito il puzzle della posizione europea sulla crisi in Medio Oriente, anche se Michel ha ribadito che “è responsabilità del Consiglio europeo e degli Stati membri decidere la politica estera in linea con i trattati e con i valori fondamentali dell’Unione”. Metsola ha avvertito che “dobbiamo mettere fine al terrore (di Hamas, ndr), ma come Israele lo farà importa all’Ue e a tutto il mondo”, mentre Borrell ha voluto sottolineare un’altra volta che Israele “non dovrebbe farsi accecare dalla rabbia”. È il capo della diplomazia europea la voce più fuori dal coro tra i leader Ue, quella maggiormente critica nei confronti di Tel Aviv e che si avvicina di più alle posizioni espresse dal segretario Onu Antonio Guterres. Borrell non ha paura a dire che, a dispetto di quanto fu stabilito negli accordi di Oslo del 1993, “in Israele la colonizzazione della Westa Bank è continuata con impunità e sempre maggiore violenza contro i palestinesi“. Gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, che erano 270 mila 30 anni fa, ora sono più di 700 mila.È sempre Borrell ad ammettere che “la tragedia in corso è il risultato di un fallimento politico e morale collettivo”, di una “mancanza di volontà nel risolvere la questione” israelo-palestinese. L’Unione europea, “paladina della situazione a due Stati”- come dichiarato da von der Leyen – non ha mai proposto percorsi realistici e efficaci per arrivarci. Ma il problema, sostiene Borrell, “non è né etnico, né religioso, è nazionale”. È il problema di “due popolazioni che hanno lo stesso diritto di vivere nella stessa terra“. E che quindi, per forza di cose, dovranno condividerla.
    31 giorni di bombardamenti a tappeto in risposta all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre: nessun cessate il fuoco, inascoltato anche l’appello dell’Ue a “pause umanitarie” per distribuire gli aiuti internazionali nella Striscia di Gaza. Von der Leyen: “Missione di pace Onu dopo il conflitto”

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    Tajani: “Creare lo Stato palestinese per delegittimare Hamas”

    Bruxelles – Creare uno Stato palestinese per delegittimare Hamas. DI fronte alla crisi in Medio Oriente l’Europa adesso deve approfondire il ragionamento geopolitico per il futuro della regione, già ribadito dopo il Consiglio informale del 15 ottobre. E’ Antonio Tajani a insistere esplicitamente sull’istituzione di uno nuovo Paese, vero, indipendente e sovrano. Il ministro degli Esteri, anche in qualità di segretario di Forza Italia e di vicepresidente del Ppe, porta la questione sul tavolo del Partito popolare europeo in occasione della tradizionale riunione dei leader del centro-destra europea che precede i vertici dei Consiglio europeo.“Senza negare il diritto di Israele a esistere“, sostiene Tajani, “bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese, che dia una prospettiva alla popolazione palestinese e che tagli l’erba sotto i piedi ad Hamas, che deve essere delegittimata sia da un punto di vista militare, attraverso una sconfitta, sia da un punto di vista politico”.Una dichiarazione più netta e più chiara di quella offerta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Al suo arrivo in Consiglio per partecipare al vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, Meloni afferma che “lo strumento più efficace per sconfiggere Hamas è dare concretezza e tempistica alla situazione palestinese e attribuire più peso all’Autorità nazionale palestinese”. Un concetto analogo a quello espresso dal suo ministro degli Esteri e alleato di maggioranza, ma espresso con toni forti. Manca però, nelle parole dell’inquilina di palazzo Chigi, l’esplicito riferimento allo Stato.Tajani, invece, tira dritto e ribadisce che “la nostra azione punta a costruire la pace con l’obiettivo due popoli e due Stati”. Ovviamente dialogando con il governo di Ramallah. In questo processo non semplice “l‘unica autorità che può essere l’interlocutore è l’Autorità nazionale palestinese (ANP). Non può essere Hamas”. Perché quest’ultima resta un’organizzazione terroristica agli occhi dell’Italia e dell’Unione europea. Per questa ragione “è difficile parlare di cessate il fuoco”. Un cessate il fuoco riguarda due eserciti, mentre in Medio Oriente si confrontano un esercito, quello di Israele, e un’organizzazione terroristica che non si vuole riconoscere in alcun modo. Meglio cercare una tregua umanitaria, come chiesto da 46 europarlamentari nella lettera inviata ai leader riuniti a Bruxelles.
    Il ministro degli Esteri al pre-vertice del Ppe rilancia la soluzione a due Stati. “Hamas va sconfitta militarmente e politicamente, nostro interlocutore è ANP”