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    Trump, l’elefante nella stanza del G7. Dazi, sanzioni alla Russia, la crisi Israele-Iran: tutto dipende da lui

    Bruxelles – Qualcuno l’ha già ribattezzato ‘G7 meno uno’: il vertice dei sette grandi del mondo alla prova di Donald Trump. In Canada, a Kananaskis, i leader di Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea affrontano il presidente degli Stati Uniti in uno dei summit più densi degli ultimi anni. Al nodo delle sanzioni alla Russia si è affiancata la pericolosa escalation tra Israele e Iran. Dietro le quinte, tutti cercano di strappare al tycoon un accordo per mettere fine alla minaccia dei dazi.Sulla linea dura contro Mosca, lo strappo è già consumato. Bruxelles ha messo sul tavolo la misura chiave del diciottesimo pacchetto di sanzioni al Cremlino, la riduzione del tetto massimo del prezzo del petrolio russo da 60 a 45 dollari al barile. L’Ue e il Regno Unito insistono perché la misura sia coordinata con Washington, ma Trump ha finora chiuso la porta: “Le sanzioni ci costano molto denaro”, ha dichiarato durante una conferenza stampa con il premier britannico Keir Starmer, suggerendo che “prima dovrebbero farlo gli europei”. Agli antipodi rispetto agli alleati, Trump ha sostenuto che “buttare fuori” la Russia dal G8 è stato un errore: “Non credo che in questo momento ci sarebbe una guerra, se la Russia fosse stata dentro”, ha spiegato. Dimenticando che Putin venne escluso dalla kermesse proprio in seguito all’invasione e annessione della Crimea nel 2014.Il bilaterale tra Donald Trump e Ursula von der Leyen al G7 a KananaskisDopodiché, il waltzer dei bilaterali per risolvere la questione dei dazi americani. Sorride Starmer, che riesce a finalizzare con Trump un accordo “storico” per limitare la portata delle tariffe reciproche. Poi il presidente americano ha un confronto con Meloni, che gli ribadisce l’importanza di raggiungere un accordo con il blocco Ue, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e con il presidente francese Emmanuel Macron. Incontra anche i leader Ue: Antonio Costa gli regala una maglietta di Cristiano Ronaldo con scritto “Giochiamo per la pace. Come una squadra”, mentre Ursula von der Leyen affronta con il tycoon “questioni critiche, dall’Ucraina al commercio”. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la presidente della Commissione europea si mostra ottimista in vista della deadline del 9 luglio: “Abbiamo chiesto ai team di accelerare il lavoro per raggiungere un accordo equo e giusto“, afferma in un post su X.Von der Leyen, intervenendo al summit, ha ribadito che “i dazi, indipendentemente da chi li stabilisce, sono in definitiva una tassa pagata da consumatori e imprese in patria”. E “creano incertezza che ostacola gli investimenti e la crescita”. Poi, la leader Ue ammicca a Trump e cerca di individuare un nemico comune. “Quando concentriamo la nostra attenzione sui dazi tra i partner, distogliamo le nostre energie dalla vera sfida, una sfida che ci minaccia tutti”, avverte: la Cina. Von der Leyen ha denunciato la concorrenza sleale di Pechino, sottolineando che “le fonti del più grande problema collettivo che abbiamo hanno origine dall’adesione della Cina al Wto nel 2001”.I leader di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea durante i lavori del G7Ammansire Trump, richiamarlo alla compattezza di un tempo – perché il G7 “insieme rappresenta il 45 per cento del Pil mondiale”, prima di sottoporgli una nuova proposta: secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, la Commissione europea sarebbe pronta ad accettare dazi provvisori del 10 per cento su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti, se non ci saranno tariffe più elevate su automobili, farmaci e prodotti elettronici. L’Ue sarebbe disposta, in cambio, a ridurre i dazi sui veicoli prodotti negli Stati Uniti e a modificare eventuali ostacoli tecnici o giuridici per facilitare la vendita delle automobili statunitensi in Europa.Poi il colpo di scena: Trump lascia il vertice in anticipo, sembrerebbe per dedicarsi con urgenza, e unilateralmente, alla crisi in Medio Oriente. È lui stesso a smentire, attaccando personalmente Macron, reo di aver “erroneamente affermato” che Trump fosse di ritorno a Washington per lavorare a un cessate il fuoco tra Israele e Iran. “Che lo faccia intenzionalmente o meno, Emmanuel sbaglia sempre”, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca sulla sua piattaforma social, Truth. Aggiungendo che “si tratta di qualcosa di molto più importante”.Prima di lasciare il Canada, Trump ha firmato una dichiarazione congiunta per la de-escalation in Medio Oriente, che non lascia però dubbi sull’attribuzione delle responsabilità di quanto sta accadendo nella regione: per le democrazie più influenti del mondo “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrorismo nella regione” ed “Israele ha il diritto di difendersi”. Teheran, ribadiscono i leader, “non potrà mai dotarsi di armi nucleari”. Per i partner europei, la preoccupazione maggiore è “salvaguardare la stabilità dei mercati”, come sottolineato nella dichiarazione. Ma anche qui, la strategia di Trump è decisamente più aggressiva. Il tycoon, di ritorno negli Usa, ha lanciato una pericolosa minaccia a Teheran: rinunciare completamente all’arricchimento dell’uranio o “succederà qualcosa”. Nel frattempo, i ministri degli Esteri dei 27 Ue si sono riuniti proprio questa mattina, convocati dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, per fare un punto sulla situazione. Senza l’elefante nella stanza.

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    La guerra Israele-Iran irrompe nel Parlamento europeo, l’Aula modifica l’agenda dei lavori

    dall’inviato a Strasburgo – Fare il punto su una situazione in Medio Oriente che appare completamente fuori controllo. L’attacco di Israele contro l’Iran non ha lasciato il Parlamento europeo indifferente, con i principali gruppi – popolare (Ppe), socialista (S&D) e liberale (Re) – che chiedono e ottengono una modifica all’agenda dei lavori per un dibattito sul tema. Lo scontro Israele-Iran viene calendarizzato per il pomeriggio di martedi 17 giugno, subito il dibattito previsto sulle nuove regole per i rimborsi dei passeggeri in caso di ritardo aereo.La modifica dell’agenda dei lavori non avviene senza tensioni. Dalle fila de la Sinistra si leva la voce critica di Marc Botenga, che chiede di aggiungere al dibattito una risoluzione con tanto di voto. “Quello di Israele è un atto illegale, criminale e pericoloso“, attacca il belga. “Non si può attaccare un altro Paese” militarmente, “questo è contro la legge”, scandisce in Aula. E poi, spiega, l’attacco condotto dal governo di Benjamin Netanyahu “è criminale perché sono morti bambini” a seguito delle operazioni. In terzo luogo, continua Botenga, “è stata attaccata una centrale nucleare” (quella di Natanz, ndr), il che rende il tutto “pericoloso”.L’europarlamentare solleva un tema, quello dei diritto e dei principi, e l’universalità di questi. Offre un parallelismo di attualità, mettendo a confronto il conflitto in corso in Ucraina con le tensioni crescenti e cresciute in Medio Oriente: “Quando la Russia ha attaccato l’Ucraina abbiamo condannato, mentre ora la presidente della Commissione europea non ha condannato“, scandisce Botenga, che accende i riflettori sulla questione dei due pesi e delle due misure.Von der Leyen mette nel mirino l’Iran: “Principale fonte di instabilità regionale”C’è anche la pericolosità del principio di fondo. Nel dire che non si può attaccare militarmente ponendosi al di sopra delle regole, Botenga avverte che se il principio si impone a quel punto chiunque può attaccare chiunque, visto che ognuno, all’occhio dell’altro, può rappresentare una minaccia. “Non possiamo continuare a sostenere azioni illegali che vano contro il diritto internazionale“, insiste Botenga.Sempre dai banchi de laSinistra, la francese Rima Hassan condanna Netanyahu e il suo governo per aver fermato in acque internazionali la nave Freedom Flotilla e fermato gli aiuti umanitari diretti a Gaza. “L’azione era illegale e non c’è stata condanna”, denuncia l’europarlamentare, che punta il dito contro il Parlamento europeo: “Il silenzio del Parlamento europeo va contro la credibilità dell’istituzione“, scandisce, prendendosi gli applausi scroscianti di tutto il suo gruppo. La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, deve intervenire per ristabilire ordine e silenzio in Aula, dove Hassan rincara la dose, accusando pubblicamente Israele di “genocidio e carestia” nella Striscia.L’intervento di Hassan trova la pronta risposta di Jordan Bardella (Rn/PfE): “Questo intervento dimostra ciò che è: non un’eurodeputata ma un’ambasciatrice di Hamas”, l’attacco dell’euro-scettico. Israele dunque non solo irrompe nell’agenda della sessione plenaria, ma divide l’Aula e avverte l’Alta rappresentate per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, attesa a discutere della questione: il clima, anche a Strasburgo, non è dei più distesi.

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    Von der Leyen mette nel mirino l’Iran: “Principale fonte di instabilità regionale”

    Bruxelles – Non più solo dichiaratamente Cina e Russia. Nella lista dei nemici l’Unione europea inserisce pubblicamente anche l’Iran. E’ la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a inserire la Repubblica islamica nella colonna delle nazioni ostili, continuando quell’esercizio iniziato presentando il libro bianco per la difesa che ha ufficialmente fatto di Pechino e Mosca gli attori da cui guardarsi le spalle. Ora, nella cornice del G7 canadese di Kananaskis, ‘frau’ von der Leyen punta il dito contro gli ayatollah.“L’Iran è la principale fonte di instabilità regionale“, scandisce la presidente della Commissione europea che, di fronte agli attacchi missilistici di Israele contro uno stato sovrano, avvenimento tradizionalmente riconosciuto come atto di guerra, si adegua alla linea di Netanyahu e afferma che “Israele ha il diritto di difendersi”.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al G7 di Kananaskis [16 giugno 2025]Sui valori l’Ue sembra perdersi, ma a l’Unione europea continua ad aver bisogno degli Stati Uniti, e si cerca di tenerli vicini anche attraverso pericolose alleanze in chiave anti-qualcuno. Certo, von der Leyen insiste sulla necessità di pace, e in tal senso ribadisce “l’impegno a trovare una soluzione duratura attraverso un accordo negoziato” con l’Iran, perché “una soluzione diplomatica resta la soluzione migliore a lungo termine per affrontare le preoccupazioni relative al programma nucleare iraniano“. Non dice, o non ricorda von der Leyen, che questi stessi sforzi vennero vanificati dalla rinuncia dal presidente degli Stati Uniti nel 2018, da quello stesso Donald Trump – allora al primo mandato – che lasciò all’Europa il delicato compito di salvare un accordo rimesso in discussione, allontanando Teheran dall’occidente e mostrando l’inquilino della Casa Bianca per ciò che era e ciò che continua a essere, un interlocutore a cui piace riscrivere da solo le regole del gioco e per questo un qualcuno di cui l’Europa non si può fidare.L’Ue arriva al G7 consapevole che guerra in Ucraina e tensioni in Medio oriente non sono fenomeni isolati né casuali quanto correlati. Preoccupa il sostegno di Teheran a Mosca, con droni e soprattutto missili. Un alto funzionario europeo riconosce che quando si parla di Iran “non siamo solo preoccupati per programma nucleare, ma anche per la proliferazione di missili balistici, che possono rappresentare un problema per la nostra sicurezza“. Lo ribadisce anche von der Leyen dal Canada: “Abbiamo espresso la nostra profonda preoccupazione per i programmi nucleari e missilistici balistici dell’Iran”. Oggi, denuncia ancora la tedesca, “lo stesso tipo di droni e missili balistici progettati e realizzati dall’Iran stanno colpendo indiscriminatamente città in Ucraina e Israele“. Ecco perché l’Iran non è un Paese amico.Cina e Russia, accuse e sanzioniVon der Leyen lo dice ai partner del G7, a cominciare dagli Stati Uniti di cui c’è un disperato bisogno. Trump saprà ascoltare? Lei ci prova, strizzando l’occhiolino e provando a compattare il gruppo contro gli ‘altri’: “Tutti i paesi del G7 si trovano ad affrontare pratiche commerciali aggressive da parte di economie non di mercato“. Velate accusa alla Cina, tralasciando i dazi degli Stati Uniti.A Trump e partner del G7 von der Leyen chiede poi unità nella risposta contro Mosca e il suo ‘zar’ Vladimir Putin: “Dobbiamo esercitare maggiore pressione sulla Russia affinché garantisca un vero cessate il fuoco, la riporti al tavolo dei negoziati e ponga fine a questa guerra”. In tale ottica “le sanzioni sono fondamentali”. La presidente dell’esecutivo comunitario assicura che “stanno funzionando”, e a riprova di ciò ricorda che “i ricavi russi dal petrolio e dal gas sono diminuiti di quasi l’80 per cento dall’inizio della guerra”. L’Ue lavora a un 18esimo pacchetto di sanzioni. “Inviterò tutti i partner del G7 a unirsi a noi in questa impresa”, conclude von der Leyen.

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    L’Ue finanzia il colosso delle armi di Israele, ma assicura: “Nessun fondo per la guerra a Gaza”

    Bruxelles – Con i riflettori accesi sulla carneficina in corso a Gaza, dove i bombardamenti israeliani hanno ucciso più di 55 mila civili palestinesi, sul banco degli imputati finisce anche la Commissione europea: oltre al supporto incondizionato che Bruxelles ha garantito a Israele all’indomani del 7 ottobre – e che solo ora sembra voler seriamente rimettere in discussione -, emergono inquietanti e controversi legami tra alcuni fondi europei e l’industria della difesa di Tel Aviv.Poche settimane fa un’inchiesta condotta dai quotidiani belgi L’Echo e De Tijd ha svelato l’impiego di circa un miliardo di euro del fondo Ue per la ricerca e l’innovazione (Horizon) da parte di aziende del settore bellico israeliane. A cui si è aggiunta ieri (11 giugno) la pubblicazione da parte di Investigate Europe di dettagli sulla partecipazione del colosso delle armi Israel Aerospace Industries (Iai) a 15 progetti finanziati con il Fondo Ue per la difesa. La stessa azienda avrebbe piede in 8 progetti del fondo Horizon.In entrambi i casi, la Commissione europea si è auto-assolta assicurando di avere “solide misure di salvaguardia” per fare in modo che nessun centesimo proveniente da Bruxelles contribuisca a commettere violazioni dei diritti fondamentali. Ma sono tanti i dubbi – condivisi anche dalla Corte dei Conti dell’Ue – sull’efficacia dei meccanismi di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi europei.L’indagine di Investigate Europe e Reporters United ne sono una conferma. In sostanza, l’Ue avrebbe ammesso la greca Intracom Defense, di proprietà quasi integralmente della più grande compagnia pubblica di armamenti israeliana, la Israeli Aerospace Industries, a 15 progetti finanziati dal Fondo europeo per la Difesa. Il FED, istituito nel 2017 dalla Commissione presieduta da Jean Claude Juncker, dovrebbe essere riservato alle sole compagnie europee. Ma ammette la possibilità dell’estensione a Paesi terzi, vincolata ad alcune garanzie che devono essere fornite dalle società stesse.il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e l’ex ministro della Difesa. Yoav Gallant, entrambi oggetto di un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale  (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)Una sorta di autocertificazione, che poi viene vagliata da Bruxelles, e che ha permesso a Intracom Defense di usufruire di ben 15 progetti, di cui sette avviati dopo la risposta israeliana al 7 ottobre e dopo che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità al premier Benjamin Netanyahu e all’allora ministro dell Difesa Yoav Gallant. In particolare, il progetto più controverso, che ha l’obiettivo di sviluppare un drone armato e per cui Intracom – ovvero la Israeli Aerospace Industries – ha ricevuto 14 milioni di euro, è stato avviato nel dicembre 2024.Atene aveva comunicato a Bruxelles l’associazione di un’impresa proveniente da un Paese terzo al progetto e fornito le garanzie necessarie per il via libera della Commissione, ha ricostruito oggi il portavoce dell’esecutivo Ue Thomas Regnier. “Per quanto riguarda le restrizioni al trasferimento di informazioni sensibili o dei risultati del progetto, disponiamo nuovamente di chiare garanzie per assicurare che nessun progetto nell’ambito dell’EDF violi il diritto dell’Unione europea, il diritto internazionale e i diritti fondamentali”, ha assicurato. Secondo quanto rivelato da Investigate Europe, la valutazione da parte di Bruxelles era stata effettuata nel giugno 2023, prima dello scoppio della guerra tra Israele e Hamas.“Naturalmente il monitoraggio e la valutazione continuano, come è sempre stato fatto”, ha aggiunto Regnier, bollando però come “altamente speculativa” qualsiasi ipotesi di revisione di tali finanziamenti.

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    Yemen, il Regno Unito si unisce all’operazione Usa contro gli Houthi

    Bruxelles – L’aviazione britannica ha lanciato il suo primo attacco congiunto con gli Stati Uniti contro i ribelli Houthi in Yemen da quando Donald Trump siede alla Casa bianca.A riportarlo è stato il segretario alla difesa del Regno Unito, John Healey, che ha fornito questa mattina (30 aprile) informazioni dettagliate sul motivo del raid: “Questa azione è stata intrapresa in risposta alla minaccia persistente degli Houthi alla libertà di navigazione. La riduzione del 55 per cento del commercio attraverso il Mar Rosso è già costata miliardi, alimentando l’instabilità della regione e mettendo a rischio la sicurezza economica delle famiglie nel Regno Unito”.Secondo le fonti sarebbero stati lanciati diversi raid contro la capitale Sanaa, in mano agli Houthi dal 2014, mentre altri attacchi hanno colpito l’area attorno Saada. Healey ha descritto l’obiettivo dell’operazione come: “Un raggruppamento di edifici utilizzato dagli Houthi per costruire droni, della tipologia impiegata per attaccare le navi nel Golfo di Aden, situato a 25 km a sud di Sanaa”. Per l’operazione sono stati utilizzati Jet Typhoon FGR4s della Royal air force, che hanno sganciato bombe teleguidate sugli obiettivi. Quanto ai danni causati o alla presenza di eventuali vittime, il Regno Unito non ha fornito alcun dettaglio, mentre il Comando centrale statunitense non ha ancora ufficialmente riconosciuto l’attacco. “Il raid è stato condotto dopo il tramonto, quando la possibilità che civili si trovassero nell’area era ridotta ulteriormente” ha fatto sapere il Ministero della difesa britannico.Il Regno Unito ha già preso parte a operazioni congiunte con gli Stati Uniti in Yemen sotto l’amministrazione di Joe Biden, che ha lanciato la campagna contro i filo-iraniani Houthi nel gennaio 2024. Tuttavia, questa nuova operazione costituisce il primo coinvolgimento nella campagna condotta da Trump. Dallo scorso 15 marzo la sua amministrazione ha lanciato oltre 800 attacchi in Yemen, in particolar modo colpendo questo lunedì (28 aprile), come riportano i media yemeniti, un centro di detenzione per migranti a Saada, causando la morte di 68 persone, principalmente civili africani. Il 18 aprile un raid contro il porto di Ras Isa ha invece ucciso 74 persone, ferendone 171. Gli Stati Uniti, che hanno mantenuto una politica tutt’altro che trasparente nei confronti delle loro operazioni nell’area, hanno intensificato gli scontri contro gli Houthi in un’ottica di sostegno a Israele e soprattutto di contrasto all’Iran. Dopo la caduta di Hezbollah ,di Assad e della leadership di Hamas, gli Houthi restano gli ultimi alleati di Teheran nella regione.La decisione dei britannici di unirsi agli americani proprio in questo momento potrebbe essere legata alle iniziative di negoziato che Trump intende intraprendere con l’Iran, visti i rapidi progressi che la Repubblica Islamica ha raggiunto nel suo programma nucleare.

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    L’Ue sostiene il piano arabo per Gaza. Costa: “No a modifiche demografiche e territoriali”

    Bruxelles – Da un lato il piano di Donald Trump per Gaza, indigeribile per tutti tranne che per Israele, dall’altro la proposta messa sul piatto dall’Egitto, che ha ricevuto l’endorsement dei vertici delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Dal summit della Lega araba a Il Cairo arriva un segnale forte in direzione di Washington e Tel Aviv: come ha detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non c’è spazio per alcun “tentativo di cambiamento demografico o territoriale” a Gaza.Un mese dopo l’idea shock di “trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente”, i Paesi arabi della regione rispondono alla provocazione di Trump. Il presidente egiziano al-Sisi ha presentato un piano per il futuro della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato amministrativo “composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati“, responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione a Gaza “in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese”.Nella bozza del piano, secondo quanto riporta Reuters, è prevista un’amministrazione provvisoria di sei mesi, descritta come un passo verso la ripresa completa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità Palestinese. Egitto e Giordania sarebbero incaricate di formare le forze di sicurezza palestinese. Nel piano sarebbe però menzionata anche la possibilità del dispiegamento di un contingente internazionale di pace a Gaza e in Cisgiordania, da ottenere attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (e quindi con il via libera degli Stati Uniti).I leader al vertice della Lega Araba a Il CairoNiente più Hamas, ma nessuno sfollamento forzato della popolazione gazawi. Al vertice, il presidente palestinese Abu Mazen si è detto pronto a indire nuove elezioni entro l’anno prossimo. Ma per ricostruire un territorio ridotto in macerie, secondo l’Onu serviranno circa 53 miliardi. Nel piano egiziano, la ricostruzione durerebbe cinque anni. Dopo una prima fase incentrata sulla rimozione delle macerie, la bonifica dagli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei, prevederebbe la creazione di un fondo supervisionato a livello internazionale per finanziare con un budget di 20 miliardi di dollari fino al 2027 per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, tra cui strade, reti di distribuzione e impianti di servizi pubblici. Nell’ultima fase – fino al 2030 e con un costo stimato di 30 miliardi di dollari – a Gaza sorgerebbero progetti infrastrutturali e la creazione di zone industriali, un porto per la pesca, un porto commerciale e un aeroporto.Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha sposato il piano presentato dal presidente al-Sisi e ha assicurato che le Nazioni Unite sono “pronte a collaborare pienamente a questo sforzo”. Così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che ha ringraziato l’Egitto e i Paesi arabi e messo sul piatto “un sostegno concreto” da parte dei 27 Paesi membri. “Dovremmo attuare questo piano insieme, l’Unione Europea, i suoi partner nel mondo arabo e la comunità internazionale“, ha dichiarato.Il leader Ue ha lanciato un messaggio alla nuova amministrazione americana, oltre che al premier israeliano Netanyahu: “Vorrei essere chiaro. L’Unione Europea respinge fermamente qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale. A Gaza e in altre parti del mondo. Ovunque”. In un momento di stallo del negoziato per la continuazione del cessate il fuoco nell’enclave palestinese, Costa ha ribadito l’importanza del successo dei colloqui per l’inizio della seconda fase, che Israele e gli Stati Uniti hanno proposto di rinviare. Il leader Ue ha anche affermato che l’Unione europea starebbe già “utilizzando tutti gli strumenti possibili” per sostenere il ruolo cruciale dell’Autorità Palestinese nel futuro di Gaza, “compresi gli sforzi diplomatici nei confronti di Israele e Palestina”.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.