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    Anche Regno Unito e Malta verso il riconoscimento della Palestina. Dall’Onu la spinta per la soluzione a due Stati

    Bruxelles – Qualcosa, forse, si muove davvero sotto il cielo della diplomazia. Mentre volgeva al termine la conferenza Onu sulla Palestina, ieri sera anche il Regno Unito e Malta hanno annunciato che riconosceranno a breve lo Stato palestinese. La mossa del premier britannico sembra più una “minaccia” verso Israele che non una solida convinzione politica, ma potrebbe comunque produrre dei risultati.Erano in pochi ad aspettarsi l’annuncio fatto ieri sera (29 luglio) dal primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer, al termine di una riunione straordinaria del suo gabinetto sulla catastrofe umanitaria in corso nella Striscia di Gaza. L’inquilino di Downing Street ha dichiarato che “l’unico modo per porre fine a questa crisi umanitaria è attraverso un accordo a lungo termine“, sostenendo che “il nostro obiettivo rimane un Israele sicuro e protetto accanto a uno Stato palestinese sovrano e vitale, ma in questo momento tale obiettivo è sotto pressione come mai prima d’ora”.“Ora è il momento di agire“, ragiona Starmer, sulla scia della crescente pressione internazionale sullo Stato ebraico affinché fermi la strage di palestinesi che porta avanti da oltre 21 mesi (definita come genocidio dalle stesse ong israeliane) e faccia entrare nell’enclave costiera gli aiuti umanitari. “Vediamo bambini affamati, bambini troppo deboli per stare in piedi, immagini che rimarranno con noi per tutta la vita”, ha aggiunto.My statement on the humanitarian crisis in Gaza and our plan for peace including the recognition of a Palestinian State. pic.twitter.com/aMUCNwJb9z— Keir Starmer (@Keir_Starmer) July 29, 2025In realtà, il premier britannico ha posto la questione come una sorta di ultimatum al governo israeliano: Londra riconoscerà formalmente lo Stato palestinese “a meno che” Tel Aviv non adotti “misure concrete” per cessare immediatamente le ostilità a Gaza. L’autodeterminazione di un popolo e la sovranità di una nazione usati come minacce, insomma, anziché venire trattati con la dignità che, almeno teoricamente, prescrive il costume diplomatico.Sia come sia, la mossa di Starmer – che ha ceduto al fuoco di fila del suo esecutivo e di centinaia di deputati perché seguisse l’esempio di Emmanuel Macron – segnala comunque un importante cambio di passo del Regno Unito, che potrebbe diventare il secondo Paese G7 a muoversi in questa direzione.Dopo Parigi e Londra, anche La Valletta è salita sul carro. Intervenendo sui social, il primo ministro Robert Abela ha anticipato che anche Malta riconoscerà lo Stato palestinese alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in calendario dal 9 al 23 settembre.Immediata risposta del governo israeliano, col primo ministro Benjamin Netanyahu che grida all’appeasement e parla dell’ennesima “ricompensa per Hamas“. Un disco rotto che gracchia ogni qualvolta qualcuno prenda posizione a favore della causa palestinese, dei diritti umani e del diritto internazionale e contro i crimini ingiustificabili perpetrati da Israele (valsi al premier un mandato di cattura della Corte penale internazionale).Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Ma nelle ultime settimane lo Stato ebraico sembra sempre più isolato, criticato aspramente anche dai suoi storici alleati. Mentre in Ue le cancellerie dei Ventisette discutono sulla sospensione parziale dei fondi Horizon+ proposta dalla Commissione, i Paesi Bassi hanno bandito dal loro territorio Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, due ministri estremisti del sesto gabinetto Netanyahu.Giusto ieri, Smotrich ha ventilato la possibilità di costruire nuovi insediamenti a Gaza a guerra terminata, dando per scontato che Tel Aviv riprenderà il controllo della Striscia abbandonata nel 2005. La Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) ha recentemente approvato una mozione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania. Su entrambi questi territori dovrebbe sorgere il futuro Stato palestinese, attualmente riconosciuto da 147 Paesi sui 193 membri dell’Onu (inclusi 11 Paesi dell’Ue) ma nessun membro del G7.E proprio al Palazzo di vetro dell’Onu si conclude oggi la conferenza internazionale sulla Palestina, sponsorizzata da Francia e Arabia Saudita. Nella “dichiarazione di New York” sottoposta alle delegazioni dei governi mondiali si propongono “misure concrete, vincolate da scadenze temporali e irreversibili” per l’attuazione della soluzione a due Stati, a partire dal cessate il fuoco. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrà poi gestire la transizione verso uno Stato di Palestina sovrano e indipendente, che viva in pace affianco a Israele, anche grazie ad una missione internazionale di peacekeeping.

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    Gaza, l’Ue sospende la partecipazione di Israele dal programma Horizon per la ricerca

    Bruxelles – Stop alla partecipazione di Israele al programma europeo Horizon per la ricerca. La Commissione europea decide di prendere provvedimenti contro il governo di Benjamin Netanyahu per la risposta agli attacchi di Hamas e la situazione umanitaria a Gaza. Per lo Stato ebraico la sospensione al partenariato con l’Ue non p totale bensì parziale. La sospensione riguarda specificamente la partecipazione di entità con sede in Israele ad attività finanziate dal Consiglio europeo per l’innovazione (CEI) nell’ambito dell’Accelerator, programma per start-up e piccole imprese con innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, come la sicurezza informatica, i droni e l’intelligenza artificiale.Una mossa, quella dell’esecutivo comunitario, dal forte significato politico. L’Ue, seppur faticosamente e dopo molte incertezze, inizia davvero a mettere all’angolo la leadership israeliana. La decisione presa dal collegio dei commissari è il frutto della revisione condotta a Bruxelles sul rispetto da parte di Israele dell’articolo 2 del trattato di associazione Ue-Israele, quello che sancisce che la validità dell’intero trattato ruota attorno al rispetto dei diritti umani. L’Ue già a fine giugno ha stabilito che il governo di Netanyahu ha violato i diritti umani a Gaza, ma hah rimandato a oggi (28 luglio) il tempo della decisione.E’ stato dato tempo a un Paese tradizionalmente amico di cambiare rotta, ma a distanza di un mese è cambiato poco. Da qui la decisione di escludere Israele dal programma del Consiglio europeo per l’innovazione. Un primo passo, peraltro non definitivo. La decisione è reversibile, ma spetterà allo Stato ebraico convincere la Commissione europea a ritornare sui propri passi. Inoltra lo stop “non pregiudica la partecipazione di università e ricercatori israeliani” a progetti collaborativi e attività di ricerca nell’ambito di Horizon Europe, precisa la Commissione. Esclusione industriale, dunque, non accademico-scientifica.L’annuncio delle ‘sanzioni’ Ue contro Israele arriva a distanza di pochi giorni dall’annuncio della Francia di riconoscere lo Stato palestinese, e di chiedere in sede di Organizzazione delle Nazioni Unite di fare altrettanto ad altri attori. L’annuncio del presidente francese, Emmanuel Macron, è stato accolto tra le critiche e le aspre reazioni di Tel-Aviv, con cui l’Ue è sempre più ai ferri corti.

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    I tormenti dell’Ue su Israele e sull’accordo (non attuato) per l’ingresso di aiuti umanitari

    Bruxelles – C’è un senso di “frustrazione generale” tra i Paesi Ue, incapaci di spingere Israele a mettere fine alle atrocità in corso a Gaza. È quanto filtra dall’incontro in cui gli ambasciatori dei 27 hanno fotografato le prime due settimane di messa in atto da parte di Tel Aviv dell’intesa per consentire l’ingresso massiccio di aiuti umanitari nella Striscia. Perché i “segnali positivi” a cui si è appigliata l’Alta rappresentante Kaja Kallas svaniscono di fronte alle vittime della fame e dei bombardamenti. Secondo le cifre rilanciate dalle Nazioni Unite, dieci i morti per mancanza di cibo solo questa notte, oltre cento sotto i raid dell’aviazione israeliana nelle ultime 24 ore.I termini dell’intesa raggiunta tra Kallas e il suo omologo israeliano, Gideon Sa’ar, lo scorso 10 luglio, non sono stati resi noti. Ma fissano un certo numero di convogli umanitari e di carburante da far entrare a Gaza, oltre che l’impegno di Tel Aviv a riaprire varchi e corridoi terrestri e a riparare alcune infrastrutture essenziali. “Israele deve mantenere gli impegni presi“, ha ribadito oggi (24 luglio) Anouar El Anouni, portavoce della Commissione europea per gli Affari Esteri. La stessa Ursula von der Leyen ha affermato con un post su X che le immagini della fame a Gaza sono “insopportabili” e ha invitato Israele a “mantenere le promesse” fatte all’Ue.“Sono stati compiuti alcuni progressi, ma la situazione rimane grave”, ha affermato El Anouni durante il briefing quotidiano con la stampa, aggiungendo che “i limiti delle operazioni sono chiari: siamo in tempo di guerra, in una zona di guerra, e le condizioni sono estremamente difficili per gli operatori umanitari“. A quanto si apprende, i funzionari del Servizio europeo di Azione esterna incaricati di aggiornare i Paesi membri ogni due settimane, ieri avrebbero ammesso che Tel Aviv non sta attuando l’intesa. E soprattutto, che sta offrendo a Bruxelles numeri diversi da quelli messi a disposizione dalle agenzie delle Nazioni Unite.Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, e Kaja Kallas, al Consiglio di Associazione Ue-Israele celebrato a Bruxelles a febbraio 2025El Anouni ha assicurato che “l’Ue sta incrociando tutte le fonti per avere un quadro il più chiaro possibile, autentico e basato sui fatti”. Non solo i numeri forniti da Israele, ma anche quelli dei Paesi vicini – Egitto e Giordania -, delle ong e degli attori sul campo. Secondo il bollettino settimanale dell’Ufficio di coordinamento Onu per gli Affari umanitari (Ocha), tra il 16 e il 22 luglio, su 75 tentativi di coordinare i movimenti di aiuti pianificati con le autorità israeliane in tutta la Striscia, quasi un quarto sono stati respinti, un ulteriore 20 per cento è stato “inizialmente accettato” ma poi interrotto a causa di “blocchi o ritardi sul terreno”, il 25 per cento ha dovuto essere ritirato dagli organizzatori “per motivi logistici, operativi o di sicurezza”. Solo il restante 31 per cento (22 tentativi) è stato facilitato dall’esercito israeliano.Ieri, il direttore dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha affermato che Gaza “sta soffrendo una fame diffusa causata dall’uomo”, mentre più di 100 agenzie hanno lanciato l’allarme sulla “carestia di massa” nella Striscia ed esortato Israele a far entrare i rifornimenti. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, sarebbero ormai 113 le persone morte di fame nell’enclave palestinese. Tra il 16 e il 23 luglio, nella seconda settimana d’implementazione dell’intesa con l’Ue, l’esercito israeliano avrebbe ucciso 646 palestinesi e ferito oltre 3 mila.Diversi Stati membri, una decina, avrebbero insistito già ieri perché la Commissione europea presenti rapidamente misure per aumentare la pressione su Israele. Sottolineando che non si può attendere fino alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue, prevista solo dopo la pausa estiva, il 28 agosto. Ma un manipolo di Paesi Ue continua a opporsi strenuamente ad eventuali misure contro Tel Aviv, sostenendo che sarebbero controproducenti. La presidenza danese del Consiglio dell’Ue ha aggiunto una nuova discussione sul tema alla riunione degli ambasciatori della prossima settimana.

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    Cessate il fuoco immediato a Gaza, 25 Paesi (tra cui l’Italia) contro Israele

    Bruxelles – Cessate il fuoco “immediato, incondizionato e permanente”, che consenta alla popolazione civile palestinese di ricevere cure e assistenza del caso e che ponga fine a una politica di Israele considerata come inaccettabile. La comunità internazionale prova a fare pressione sul governo di Tel Aviv in una dichiarazione congiunta firmata da 25 Paesi, 17 Ue (Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia) e 8 Paesi extra-Ue (Australia, Canada, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Svizzera e Giappone), a cui si aggiunge la commissaria europea le Gestione delle crisi, Hadja Lahbib.Non sfugge l’assenza, tra i firmatari della dichiarazione, di Stati Uniti e Germania. E’ soprattutto il sostegno incondizionato di Washington a permettere di Israele di fare ciò che vuole in tutto il Medio Oriente, persino bombardare Paesi indipendenti e sovrani. C’è però divisione su un tema che continua a infiammare il dibattito, con una vera e propria coalizione internazionale ‘anti-Netanyahu’ che ribadisce il fermo ‘no’ alle intenzioni espansionistiche del governo israeliano. “Ci opponiamo fermamente a qualsiasi iniziativa volta a modificare il territorio o la demografia nei Territori Palestinesi Occupati”, scandiscono i ministri degli Esteri dei 25 Paesi. E’ questo un nuovo monito contro le intenzioni già dichiarate da un anno di nuovi insediamenti, che stavolta potrebbe non limitarsi a un richiamo.Trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”. Il piano shock che Trump ha esposto a Netanyahu“Siamo pronti a intraprendere ulteriori azioni per sostenere un cessate il fuoco immediato e un percorso politico verso la sicurezza e la pace per israeliani, palestinesi e l’intera regione”, dicono i 25 Paesi, senza specificare azioni o misure. Quello che emerge è una parte di comunità internazionale che di fatto scarica lo Stato ebraico nella veste della sua leadership. “La costruzione di insediamenti in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, è stata accelerata – denuncia ancora la dichiarazione – mentre la violenza dei coloni contro i palestinesi è aumentata vertiginosamente. Questo deve cessare”.Netanyahu è anche oggetto di censura per le proposte di trasferire la popolazione palestinese in una ‘città umanitaria’, considerate come “totalmente inaccettabili” in quanto “lo sfollamento forzato permanente è una violazione del diritto internazionale umanitario”. Ancora, “il modello di distribuzione degli aiuti del governo israeliano è pericoloso, alimenta l’instabilità e priva i cittadini di Gaza della dignità umana”. In questo contesto è unanime la condanna per “la distribuzione a goccia degli aiuti e l’uccisione disumana di civili, compresi bambini, che cercano di soddisfare i loro bisogni più elementari di acqua e cibo”.

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    Kallas annuncia un accordo con Israele per nuovi aiuti umanitari a Gaza

    Bruxelles –  L’alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, ha annunciato che dopo  dialoghi con Israele sono arrivati significativi passi avanti per migliorare la situazione umanitaria a Gaza.Una nota del Servizio di azione esterna (Seae) spiega che le misure concordate saranno applicate nei prossimi giorni, e fra queste sono incluse: l’aumento di camion con aiuti umanitari ed alimenti, la riapertura delle rotte di aiuto giordane ed egiziane, la ripresa delle forniture di carburante per le strutture umanitarie fino a un livello operativo, la protezione degli operatori umanitari, la riparazione e l’agevolazione dei lavori sulle infrastrutture vitali, come la ripresa dell’approvvigionamento elettrico all’impianto di desalinizzazione dell’acqua, ed altro ancora.Ancora, si legge sul comunicato: “Tali misure sono state o saranno attuate nei prossimi giorni, con la consapevolezza comune che gli aiuti su larga scala devono essere forniti direttamente alla popolazione e che continueranno ad essere adottate misure per garantire che non vi sia alcun dirottamento degli aiuti a Hamas”.L’Ue continua ad applicare tutti i mezzi possibili per arrivare ad una risoluzione delle drammatiche dinamiche in Medio Oriente, e rinnova gli appelli rivolti al cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi.

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    I leader Ue sperano ancora di fermare la guerra a Gaza senza prendere alcuna misura contro Israele

    Bruxelles – Diciassette pacchetti di sanzioni non sono bastati a fermare l’invasione della Russia in Ucraina, eppure l’Ue ne ha pronto un diciottesimo. Ma per fermare il genocidio in corso a Gaza, a Bruxelles sono ancora convinti che basti discutere con il governo israeliano. Dal vertice dei capi di stato e di governo dei 27, nessuna svolta dopo il rapporto che certifica che Israele ha violato i termini dell’accordo di associazione con l’Unione europea: per ora, i leader “prendono atto” e rimandano le discussioni al prossimo incontro dei ministri degli Esteri, a luglio.Le conclusioni del rapporto commissionato dall’Alta rappresentante per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, al Servizio Europeo di Azione Esterna, sono “innegabili”, aveva sottolineato solo ieri una fonte diplomatica. E dunque, il Consiglio europeo non poteva fare finta di niente. Alla fine, dopo una discussione “a porte chiuse, senza reporting e senza telefoni”, nel documento finale del vertice compare una riga striminzita su quell’articolo 2 dell’Accordo di associazione, che vincola le parti contraenti al rispetto dei diritti umani.I leader prendono tempo ancora un mese: nel frattempo, Kallas avrebbe già intensificato i contatti con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, nella speranza che la minaccia delle possibili implicazioni della violazione dell’accordo convincano Tel Aviv a cambiare atteggiamento. “Non stiamo parlando della sospensione dell’accordo, ma di coinvolgere le autorità israeliane”, conferma una fonte. Eppure, i due partner ne hanno già parlato abbondantemente. Il 5 febbraio, si è tenuto a Bruxelles un Consiglio di associazione Ue-Israele.Gideon Sa’ar e Kaja Kallas a Bruxelles, febbraio 2025Sul tema, i 27 sono così divisi che “il fatto stesso che ne discutiamo con il governo israeliano è importante“. Mentre un manipolo di Paesi – Spagna, Irlanda e Slovenia su tutti – chiedono la sospensione immediata dell’accordo e minacciano di proseguire autonomamente con sanzioni contro il governo israeliano, altri – tra cui l’Italia – lo ritengono una mossa controproducente per fare pressione su Benjamin Netanyahu.L’obiettivo condiviso da tutti è “l’arresto delle ostilità, l’accesso senza impedimenti agli aiuti umanitari e il rilascio degli ostaggi”. Più in là di questa sacrosanta posizione, Bruxelles non si spinge. Le conclusioni del vertice diventano allora sostanzialmente un copia-incolla di quelle dei summit precedenti: il Consiglio europeo “deplora la grave situazione umanitaria a Gaza, il numero inaccettabile di vittime civili e il livello di fame”, Israele “deve rispettare pienamente gli obblighi che gli incombono in virtù del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario”.Sarebbero quasi tutti d’accordo almeno su ulteriori sanzioni ai chi si macchia di violenze contro le comunità palestinesi in Cisgiordania: i leader “ribadiscono l’invito a portare avanti i lavori su ulteriori misure restrittive nei confronti dei coloni estremisti e delle entità e organizzazioni che li sostengono”. Tutti tranne uno: il governo ungherese, che ne ha bloccato l’adozione al Consiglio Affari esteri a maggio. Questa notte, il villaggio palestinese di Kafr Malik è stato attaccato da gruppi di coloni ebraici, che hanno incendiato case e veicoli e aperto il fuoco su civili disarmati. Sono morte tre persone. Oggi, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, 56 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

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    Siria, l’Ue punta alla riattivazione piena della delegazione a Damasco

    Bruxelles – Ue-Siria post-Assad, c’è intenzione europea di nuove, più strette, le relazioni bilaterali. C’è l’intenzione dei Ventisette di dare nuovo impulso alla relazioni diplomatiche, un’intenzione messa nero su bianco nelle conclusioni del consiglio Affari esteri straordinario convocato sulla scia del deterioramento della situazione in Medio Oriente dopo gli attacchi israeliani in Iran. “L’Unione europea garantirà una presenza diplomatica più forte e permanente a Damasco il più presto possibile attraverso la piena riattivazione della delegazione dell’Ue“, recita il testo di fine seduta. Poche righe, ma dal forte significato politico.Mai come in questo momento storico una Siria stabile diventa fondamentale per l’Unione europea, il cui obiettivo è quello di provare a giocare un nuovo ruolo di politica estera e di relazioni internazionali in un quadrante dove interessi e soggetti diversi si incontrano e si scontrano. C’è da una parte la Turchia, preoccupata per le spinte e le rivendicazioni dei curdi, secondo gruppo etnico dopo gli arabi, e presente nella Siria settentrionale. “L’Ue continua a nutrire preoccupazione per il coinvolgimento di gruppi armati sostenuti dalla Turchia nel nord del Paese”, si riconosce.Dall’altra parte ci sono gli interessi di Mosca a Teheran, decise a mantenere un ruolo di contrappesi all’occidente. “L’Ue rimane seriamente preoccupata per le azioni della Russia e dell’Iran, che mirano ancora una volta ad alimentare la violenza e a destabilizzare la Siria”. C’è infine la politica dello Stato ebraico, che in Siria opera per prevenire azioni ostili contro di sé . “Sebbene sia opportuno affrontare le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza, l’Ue è profondamente preoccupata per gli attacchi delle Forze di difesa israeliane in diverse regioni e per la loro continua presenza e le operazioni militari, in particolare nella Siria meridionale“.Turchia a nord, Israele a sud, Russia e Iran da nord e nord-est, con i miliziani di Al-Qaeda a rendere il Paese ancor più esplosivo. In tal senso, continuano i ventisette ministri degli Esteri dell’Ue, “la lotta contro Daesh e altri gruppi terroristici, che continuano a rappresentare una minaccia per la Siria, la regione, l’Europa e la pace e la sicurezza internazionale, rimane una priorità in un contesto politico e di sicurezza in rapida evoluzione”. Una sottolineatura che conferma la necessità dell’Ue di investire politicamente in Siria, arena da cui manca praticamente solo una presenza europea.

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    Alla fine Kallas critica Netanyahu: “Israele deve difendersi, ma è andato oltre”

    dall’inviato a Strasburgo – “Quando è troppo è troppo. Israele ha il diritto di difendersi, ma quanto vediamo va al di là di questo diritto“. Alla fine Kaja Kallas riconosce pubblicamente le responsabilità dello Stato ebraico nella gestione della risposta agli attacchi di Hamas. L’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue critica l’operato del governo di Benjamin Netanyahu nell’Aula di un Parlamento europeo che su questo l’ha incalzata, costringendola di fatto a esprimersi. All’orizzonte, c’è il Consiglio Ue Affari Esteri del prossimo 23 giugno, in cui Kallas svelerà le conclusioni sulla possibile revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele.Il dibattito tematico sulla situazione a Gaza è stato chiesto e ottenuto dal gruppo de laSinistra, che da Kallas ottiene quelle parole dure poco udite finora. Sì, l’Alta rappresentante ribadisce che “Israele ha il diritto di vivere, ma nessuno deve vivere nel terrore”. Una critica ad Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, e dunque, sì, parole a sostegno dello Stato ebraico. “Dobbiamo fare pressione su Hamas, e in tal senso il mondo arabo può giocare un ruolo” importante, continua Kallas, attenta a usare toni comunque concilianti nei confronti del partner israeliano, a cui comunque non risparmia critiche e condanne.Il re di Giordania critica Israele e sprona l’Ue: “A Gaza una versione vergognosa dell’umanità”“Fermare gli aiuti mina decenni di impegni per il diritto umanitario”, scandisce. E’ questa una censura al governo di Netanyahu per il blocco di ciò che serve per la popolazione civile. “C’è un inaccettabile numero di morti”, continua l’Alta rappresentante. Che critica ancora: “Israele ha dichiarato che vuole il completo controllo della Striscia di Gaza, e questo è violazione del diritto internazionale, e va chiamato con il suo nome“. Vanifica anche gli sforzi diplomatici della stessa Ue per una pace duratura in Medio Oriente. “La soluzione a due Stati è l’unica possibile“.C’è poi la questione del fanatismo ebraico, che a detta di Kallas non viene affrontato da chi di dovere, vale a dire il capo di governo israeliano e il collegio dei ministri. “La violenza dei coloni sta aumentando, e questo è inaccettabile”, affonda ancora, e ricorda che “la distruzione delle case sta portando a sfollati” palestinesi. “Israele deve contrastare i suoi stessi estremisti“.Gli affondi di Kallas contro l’attuale leadership israeliana non impediscono all’Alta rappresentante di uscire dall’emiciclo senza critiche. Al contrario, si abbattono su di lei con forza. Inizia Manon Aubry, la co-presidente de laSinistra, che apre il dibattito in quanto rappresentante del gruppo che ha richiesto la discussione. “Genocidio. Genocidio. Lo ripeto perché in questi mesi non avete mai usato questo termine”, l’esordio della francese, che quindi accusa: “Basta con questa complicità, perché lei è complice di tutto questo, con il suo silenzio“. In realtà, precisa immediatamente dopo la stessa Aubry, “l’Ue e i leader europei sono direttamente complici di genocidio”, e responsabili di ipocrisia: “Contro la Russia sono stati adottati 17 pacchetti di sanzioni, contro Israele, che sta compiendo genocidio, neanche un pacchetto. Questo è il doppio standard dell’Ue”.L’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas [Strasburgo, 18 giugno 2025]Per i socialisti è l’occasione per tornare a chiedere interventi seri. “Netanyahu deve smetterla con questa carneficina. Dobbiamo imporre sanzioni a tutti i membri del governo”, sostiene Evin Incir. Richieste di sanzioni arrivano, con altri toni, dal collega di partito Nacho Amor Sanchez: “Si possono chiudere gli occhi davanti a tutto quello che sta accadendo? Il doppio standard è il cancro di questa Unione”.Anche i liberali europei non risparmiano critiche, che sono per Kallas e la linea morbida dell’esecutivo comunitario di cui l’Alta rappresentante fa parte. “Ogni giorno che passa l’Ue diventa complice di un genocidio“, lamenta Hilde Vautmans (Re). “Si, Israele può usare la forza per liberare gli ostaggi, ma Netanyahu sta punendo tutti i palestinesi, la fame è usata come strategia. Questa non è difesa. E’ tempo per sanzioni mirate sul governo, su chi impedisce agli aiuti di entrare, sospende l’accordo con Israele”. Si unisce Tieneke Strik (Verdi) a ricordare a Kallas che “Netanyahu commette crimini di guerra, e attacca l’Iran”, ed evidenziando che “questa non è difesa, è prevaricazione del diritto internazionale”. Chiede “azioni concrete”, che vuol dire sanzioni, contro Israele. Persino il Ppe chiede un cambio di passo: “Non possiamo essere l’Europa dei valori solo a parole”, incalza Sean Kelly, anch’egli convinto che “ignorare quanto accade a gaza sarebbe tradire tutto ciò per cui l’Ue è stata creata”.Kallas ascolta tutti gli interventi, e attende il momento della replica. Innanzitutto ricorda all’intera Aula che “non rappresento me stessa, ma 27 Stati membri“. Lo ricorda a quanti invocano misure restrittive. “Sulle sanzioni decidono gli Stati all’unanimità”, ricorda, e nel farlo spiega che prima di promettere qualcosa occorre avere la certezza che esistano le condizioni per potersi esporre. “Perché dovrei spingere per qualcosa che poi non avverrà?”, chiede, a proposito di un’unità che non c’è. “Fate pressione sui vostri governi”, l’invito agli europarlamentari. Quindi prova a difendere sé stessa: “Non sono mai stata in silenzio. Ho lavorato per alleviare le sofferenze di quanti vivono in Palestina”.