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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Fumata bianca a Tunisi. Intesa tra l’Ue e il presidente Saïed su migranti, assistenza macro-finanziaria ed energia

    Bruxelles – La firma tanto attesa con la Tunisia è arrivata. La partnership “modello” per i rapporti con i vicini del Nord Africa è stata messa nero su bianco ieri sera (16 luglio) a Tunisi, dal trio Ue formato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dalla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, dall’omologo olandese, Mark Rutte, e dal presidente tunisino, Kaïs Saïed. Cinque pilastri, dallo sviluppo economico alla cooperazione energetica, fino alla migrazione. L’asse principale rimane l’assistenza macro-finanziaria a un Paese a rischio default, ma l’accordo politicamente più significativo riguarda la mobilitazione immediata di fondi europei per rafforzare la lotta alla migrazione irregolare e aumentare i rimpatri.
    A distanza di oltre un mese dalla dichiarazione di intenti firmata lo scorso 11 giugno, il memorandum d’intesa siglato al Palazzo di Cartagine è l’ultimo step prima di rendere effettivamente operativo il pacchetto di partenariato globale tra Bruxelles e Tunisi. Le trattative, proseguite non senza difficoltà a causa dell’oltranzismo di Saied, che ha cercato il più possibile di giocare al rialzo facendo leva sulla minaccia di un ulteriore aumento di sbarchi ai confini europei, alla fine non hanno ridimensionato i termini dell’accordo. Tranne che su un punto: come gridato a più riprese dal leader tunisino, nel documento si afferma che “la Tunisia ha ribadito di non essere un Paese d’installazione di migranti irregolari”, e che “vigilerà solo sulle proprie frontiere”.
    Un miliardo di assistenza macro-finanziaria, ma Saied deve chiudere con l’Fmi
    Quattro dei cinque pilastri del pacchetto sono rimasti pressoché invariati. Quello sull’assistenza macro-finanziaria prevede l’erogazione urgente di 150 milioni di euro per rimpinguare le casse tunisine e 900 milioni che restano vincolati allo sblocco del maxi-prestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con Saïed dallo scorso ottobre. Per ricevere il finanziamento e scongiurare il rischio bancarotta del Paese, in cui da mesi l’inflazione viaggia sul 10 per cento e il tasso di disoccupazione supera il 17 per cento, il presidente dovrebbe avviare una serie di riforme impopolari, come richiesto dall’Fmi. Ma fino ad ora non ne vuole sapere.
    Le due parti si impegnano inoltre ad approfondire le relazioni economiche e commerciali, con una particolare enfasi sulla doppia transizione verde e digitale. L’Ue conta su Tunisi per ampliare il proprio portafoglio energetico e mira a “rafforzare le infrastrutture” tunisine per “rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e fornire ai cittadini e alle imprese energia a basse emissioni di carbonio a prezzi competitivi”. In vista c’è la sovvenzione da 307,6 milioni di euro per la realizzazione di una prima interconnessione tra Italia e Tunisia con un cavo elettrico sottomarino ad alta tensione. Si chiama interconnettore Elmed, assegnato nell’ambito dell’Interconnection in Europe Facility per collegare i due lati del Mediterraneo e “rafforzare la rispettiva sicurezza energetica”.
    Accordo confermato anche sulla cosiddetta partnership per i Talenti, con l’obiettivo di promuovere percorsi regolari per la migrazione e stimolare una maggiore mobilità a “tutti i livelli di competenza”. Opportunità di lavoro stagionale in Europa e formazione tecnica e professionale per rafforzare le competenze della forza lavoro tunisina al fine di “sostenere lo sviluppo economico della Tunisia a livello nazionale, regionale e locale”.
    Fondi Ue per rimpatri dalla Tunisia ai Paesi d’origine
    Il piano iniziale di Bruxelles per fare di Tunisi una sorta di piattaforma dove rispedire migranti irregolari da Paesi terzi – con l’idea di sottoporli alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano e di riprendere solamente coloro a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo – è saltato. La Tunisia riaccoglierà soltanto i propri cittadini e l’Europa pagherà i rimpatri di migranti sub-sahariani dal territorio tunisino, per alleggerire la pressione sul Paese che promette di stringere le maglie sulle partenze. Dei 105 milioni di euro che l’Ue mobiliterà per la migrazione, 60 saranno destinati a rafforzare le capacità delle autorità tunisine nel controllare i confini e intercettare i migranti, mentre secondo fonti europee 15 milioni copriranno i rimpatri di seimila migranti sub-sahariani dal territorio tunisino. 2,500 euro a persona. Al momento la Commissione europea non ha reso noto nel dettaglio come saranno ripartiti i restanti 30 milioni dedicati alla migrazione.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, firma il memorandum d’intesa con la Tunisia (16 luglio 2023)
    Il memorandum sbriga in una riga le preoccupazioni sollevate da diversi media e organizzazioni internazionali sul trattamento riservato alle persone migranti in Tunisia. “Il nostro approccio sarà basato sul rispetto dei diritti umani“, aggiungendo che i rimpatri saranno attuati nel “rispetto del diritto internazionale e della dignità dei migranti”. A onor del vero, ancora meno hanno detto von der Leyen, Meloni e Rutte durante la pseudo conferenza stampa con Saïed, in un Palazzo di Cartagine chiuso ai media. Nessun accenno alla questione, nonostante ancora una volta Saïed abbia parlato di “trasferimento [di persone migranti, ndr] organizzato da alcune reti criminali”, rispolverando la teoria complottista della grande sostituzione che negli ultimi tempi in Tunisia ha fomentato episodi di violenza contro migranti sub-sahariani. E nonostante le ricostruzioni di diversi media e Ong, che hanno rivelato le deportazioni di migranti dalle coste tunisine al deserto al confine con la Libia, dove sono stati lasciati senza acqua e cibo.

    Von der Leyen, Meloni e Rutte finalizzano il memorandum d’intesa. Pronti 150 milioni di supporto alle casse nazionali e 105 per la migrazione, di cui 60 milioni per il controllo delle frontiere e 15 destinati al rimpatrio dalla Tunisia di circa seimila persone verso i Paesi dell’Africa sub-sahariana

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    È stallo sul memorandum d’intesa con la Tunisia. Nuova missione di von der Leyen, Meloni e Rutte

    Bruxelles – Che le parti non fossero così vicine si era percepito dal silenzio delle ultime due settimane, dopo che all’ultimo Consiglio Europeo del 29-30 giugno i leader Ue avevano dato ormai per chiuso l’accordo con la Tunisia. Ma ora arriva la conferma. C’è bisogno di una nuova missione di Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte per “portare il lavoro a un passo successivo”.
    Da sinistra: il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Tunisia, Kais Saied, e la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, a Tunisi (11 giugno 2023)
    La presidente della Commissione Europea, accompagnata dai primi ministri di Italia e Olanda, incontrerà il presidente tunisino, Kais Saied, domenica pomeriggio (14 luglio), in un secondo round dopo la prima visita congiunta dello scorso 11 giugno. Un mese fa i tre avevano concordato con le autorità tunisine di portare avanti il lavoro su un pacchetto di partenariato globale fondato su cinque pilastri: sviluppo economico, scambi e investimenti, accordi sulle energie rinnovabili, gestione dei flussi migratori, mobilità e formazione nell’ambito della partnership per i talenti. L’obiettivo di Bruxelles era firmare il memorandum d’intesa sulla partnership prima del vertice dei 27 leader europei di fine giugno. Alla vigilia del Consiglio Ue il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, era pronto a volare a Tunisi per finalizzarlo ma – non senza imbarazzo – ha dovuto annullare la trasferta a causa delle celebrazioni della festa islamica del sacrificio. Il motivo sembra però essere piuttosto l’assenza di un accordo definitivo: “Le discussioni sono ancora in corso“, ha ammesso oggi (14 luglio) la portavoce della Commissione Ue, Dana Spinant.
    In base ai termini attuali dell’accordo, l’Ue sarebbe pronta a mobilitare immediatamente 150 milioni di euro di supporto al budget di Tunisi e 105 milioni per la gestione della migrazione, di cui 60 per il controllo dei confini. E 900 milioni di euro di assistenza macrofinanziaria, vincolati allo sblocco del maxiprestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con Saied dallo scorso ottobre. In cambio dell’impegno del presidente tunisino a continuare a fermare le partenze dei barconi e a trasformare la Tunisia in una sorta di piattaforma dove rispedire le persone migranti che arrivano in modo irregolare, che verrebbero sottoposte alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano. Le persone migranti a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo verrebbero ripresi dagli Stati membri, gli altri resterebbero in Tunisia.
    L’accordo con Saied e le violazioni dei diritti umani in Tunisia
    Ma una fetta importante della popolazione locale non vuole le persone migranti subsahariane. E il populista Saied lo sa, tant’è che da mesi soffia sul fuoco del malcontento nazionale con pericolose dichiarazioni pubbliche. A febbraio aveva evocato la teoria complottista della sostituzione etnica, per poi ribadire a più riprese che la Tunisia “non accetterà mai di essere il guardiano dei confini di nessun Paese, né accetterà l’insediamento di migranti sul proprio territorio”. Da settimane si succedono episodi di violenza nei confronti di persone migranti, soprattutto nella zona di Sfax, città da cui partono la maggior parte delle imbarcazioni dirette verso l’Italia. E le autorità tunisine, per abbassare la tensione, stanno deportando centinaia di migranti verso la zona desertica al confine con la Libia, lasciandoli alla mercé di gruppi armati e trafficanti.
    La prima ministra italiana, Giorgia Meloni, e il presidente della Tunisia, Kais Saied, a Tunisi (11 giugno 2023)
    C’è da chiedersi se l’Unione Europea chiuderà un occhio sul rispetto dei diritti umani, mettendoli sull’altare della riduzione della pressione migratoria ai propri confini. Bruxelles è già stata avvisata dall’inviato speciale per il Mediterraneo Centrale e Occidentale dell’Unhcr, Vincent Cochetel, sul fatto che qualsiasi accordo sulla migrazione con Saied “deve essere fermato senza un effettivo rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo”. Dalla Commissione Ue assicurano che “il partenariato con la Tunisia è basato ovviamente sul rispetto dei diritti dell’uomo e della dignità dei migranti” e che l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è pronto a sollevare il tema in occasione del prossimo Consiglio d’Associazione Ue-Tunisia. Che potrebbe tenersi entro la fine dell’anno, ma ancora non c’è alcuna data.

    L’obiettivo iniziale era di finalizzare l’accordo prima del Consiglio Europeo di fine giugno, ma la data continua a slittare. Nel Paese nord-africano aumentano le tensioni tra popolazione locale e persone migranti subsahariane: per l’Unhcr l’Ue non può ignorare il rispetto dei diritti umani