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    Nato, l’allarme di Rutte: “Passare a una mentalità di guerra”. Il 2 per cento del Pil in difesa non basta più

    Bruxelles – Non perde tempo Mark Rutte, il nuovo segretario generale della Nato. La sua prima uscita pubblica di spicco dopo essersi insediato alla guida dell’Alleanza militare atlantica è quasi un appello alle armi: “È ora di passare a una mentalità di guerra“, ha affermato l’ex premier olandese, perché “il pericolo si muove verso di noi a tutta velocità”. Di fronte ad una Russia che “si sta preparando a un conflitto a lungo termine” e che nel 2025 spenderà tra il 7 e l’8 per cento del Pil per armarsi, la soglia del 2 per cento fissata dalla Nato non basta più.“Avremo bisogno di molto di più”, ha avvisato Rutte, incalzato dalla direttrice di Carnegie Europe, Rosa Balfour, di fronte ad una platea composta da giornalisti, funzionari europei, imprenditori ed esperti del settore della difesa. Un nuovo obiettivo di spesa militare condiviso a livello Nato ancora non c’è, “ma è evidente che nei prossimi mesi dovremmo accordarci su quale sarà la nuova soglia“. Rivolto non solo ai governi di quei pochi Paesi – tra cui l’Italia – che ancora non hanno raggiunto la soglia del 2 per cento, ma alle banche, ai fondi di pensione, fino all’opinione pubblica e ai cittadini, il segretario generale ha affermato chiaramente: “È inaccettabile rifiutarsi di investire nella difesa”. Anche se “significa spendere meno per le altre priorità”, le pensioni, la sanità, la previdenza sociale. L’Alleanza Atlantica “ha bisogno di una piccola percentuale” di quel denaro.La minaccia militare, ha messo in chiaro Rutte, non è immediata: “Per ora il nostro deterrente è buono, ma tra tre o quattro anni potrebbe non esserlo più”. Perché è sempre più evidente che Russia, Cina, Corea del Nord e Iran “stanno lavorando insieme per assicurarsi la propria sfera di influenza”. A preoccupare sempre di più, al di là del nemico pubblico numero uno, Vladimir Putin, è l’atteggiamento di Pechino. La Cina “sta aumentando in modo sostanziale le sue forze, comprese le armi nucleari, senza trasparenza e limitazioni”, ha puntato il dito Rutte.La “priorità assoluta” per i 32 alleati della Nato è quella di rafforzare l’industria della difesa, segnata da “decenni di investimenti insufficienti” e rimasta “troppo piccola, troppo frammentata e troppo lenta”. Non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio. E insieme: per Rutte, a livello europeo sarebbe importante insistere nella direzione di acquisti congiunti, “altrimenti l’impatto finanziario sarà enorme”. Per soddisfare le richieste del segretario generale, la Commissione europea ha già riconosciuto gli investimenti per la difesa come una priorità, allargando le maglie del rigore di bilancio per la spesa pubblica in questo ambito.Eppure, alle porte c’è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe intavolare molto prima del previsto una trattativa di pace con il Cremlino. Dopo l’esito delle elezioni americane, l’eventualità di sedersi a un tavolo negoziale con Putin ha preso peso, anche perché altrimenti Washington potrebbe ridimensionare il suo impegno per la resistenza dell’Ucraina. Per Rutte, le speculazioni sui parametri da mettere in gioco per concludere la guerra vanno a vantaggio di Mosca: “C’è il rischio enorme di cominciare un negoziato senza nemmeno essere seduti al tavolo”, ha avvertito. L’importante sarà assicurare le garanzie di pace richieste da Zelensky, perché se sarà Putin a uscire vincitore dalla trattiva, sarà “un cattivo accordo”.Sul rapporto con il nuovo inquilino della Casa Bianca, che minaccia di chiudere l’ombrello di protezione a stelle e strisce sull’Europa, Rutte ha smorzato i toni. “Trump vuole spingerci e ha perfettamente ragione, da quando è diventato presidente nel 2017 abbiamo accelerato” sulla difesa. Ma sia chiaro, la Nato “non vuole spendere di più perché lo vuole lui, ma perché è in gioco la nostra sicurezza”.

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    Meno parole, più armi. La Nato promette nuovi aiuti a Kiev per rinforzarla in vista dei negoziati

    Bruxelles – Meno discussioni sul processo di pace e più aiuti militari. È questo il messaggio che il nuovo segretario generale della Nato, l’ex premier olandese Mark Rutte, ha portato al quartier generale dell’Alleanza nordatlantica a Bruxelles circa la guerra in Ucraina. Esprimendo una posizione condivisa da diversi Stati membri – e da Kiev – il leader dell’organizzazione ha spiegato per l’ennesima volta come rinforzare le forze armate ucraine sia l’unico modo per consentire al Paese aggredito di negoziare una “pace giusta”. Ma sui contorni che tale pace potrebbe avere, inclusa la spinosa questione dell’adesione di Kiev alla Nato, nessuno ancora si sbilancia.Corsa contro il tempoSi è aperta oggi (3 dicembre) la due giorni in cui, al quartier generale della Nato a Bruxelles, si riuniscono i ministri degli Esteri dei 32 Stati membri per discutere di Ucraina e Medio Oriente. Parteciperà al meeting anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, che nel suo primo giorno in carica (il primo dicembre scorso) si è recata a Kiev per dimostrare tangibilmente il proprio sostegno al Paese aggredito dalla Russia di Vladimir Putin.Si tratterà invece dell’ultima riunione cui partecipa Antony Blinken in quota Usa, dato l’imminente insediamento di Donald Trump il prossimo 20 gennaio. E del resto quella di oggi e domani ha tutto il sapore di una corsa contro il tempo per garantire che Kiev “abbia ciò di cui ha bisogno” (Blinken dixit) per resistere all’aggressione dell’esercito di Mosca prima che alla Casa Bianca torni il tycoon newyorkese, il quale ha millantato di poter porre fine al conflitto nel giro di 24 ore.Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha firmano un memorandum d’intesa al quartier generale della Nato a Bruxelles, il 3 dicembre 2024 (foto: Yves Herman/Afp)“Più armi, meno discussioni”Nessuno conosce ancora il piano di Trump, ma i critici del presidente-eletto temono che forzare l’Ucraina al tavolo negoziale ora che la situazione sul campo volge a favore della Russia significhi costringere l’ex repubblica sovietica ad una pace ingiusta, le cui condizioni verrebbero dettate dal Cremlino. A Bruxelles si vuole scongiurare un esito di questo genere.“Credo che l’Ucraina non abbia bisogno di ulteriori idee su come potrebbe essere un processo di pace”, ha spiegato Rutte ai giornalisti, ma di “più aiuti militari”. “Potremmo sederci a bere una tazza di caffè e discutere dei molti modi” in cui si potrebbero interrompere le ostilità, ha continuato, ma sarebbe piuttosto il caso di “assicurarci che l’Ucraina abbia tutto quello che le serve per essere in una posizione di forza quando partiranno i colloqui di pace, quando il governo ucraino avrà deciso di essere pronto ad agire in questo senso”.Il segretario Nato ha accolto con favore la notizia che Estonia, Germania, Lituania, Norvegia, Stati Uniti e Svezia hanno aumentato gli aiuti militari a Kiev, ma ha sottolineato che “tutti dobbiamo fare di più”. Il titolare della Farnesina Antonio Tajani ha confermato che l’Italia continua “a sostenere l’Ucraina da tutti i punti di vista: politico, finanziario, economico, militare” e che per quanto riguarda la difesa aerea “abbiamo fatto tutto ciò che potevamo” per aiutare il Paese aggredito a difendersi.Le difficoltà al fronteSul terreno, intanto, l’inerzia sta favorendo le truppe di Mosca. Oggi il fronte “si muove lentamente verso ovest, non verso est”, ha riconosciuto il leader dell’Alleanza, pur “con molte perdite sul lato russo”, qualcosa come 700mila vittime tra morti e feriti gravi. Il tutto mentre nell’oblast’ di Kursk sono ormai ampiamente operativi i soldati d’elite nordcoreani, che rappresentano secondo Rutte una “enorme escalation” del conflitto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)“Sappiamo che la situazione sul campo di battaglia è difficile e dobbiamo fare tutto il possibile per far arrivare più munizioni ed equipaggiamento” all’Ucraina, ha continuato, “soprattutto ora che sta arrivando l’inverno” e gli attacchi russi si intensificano ai danni delle infrastrutture energetiche. Lo stesso ministro degli Esteri di Kiev, Andriy Sybiha, ha chiesto ai membri Nato l’invio di almeno una ventina di nuovi sistemi di difesa antiaerea per contrastare gli attacchi missilistici del nemico.Kiev nella Nato?Se l’invio di armi occidentali può tenere in vita la resistenza ucraina sul breve periodo, almeno fino all’avvio dei negoziati di pace, la stabilizzazione a lungo termine di quel pezzo d’Europa orientale avrà però bisogno di credibili garanzie di sicurezza. “L’unica vera garanzia di sicurezza per l’Ucraina, così come un deterrente contro ulteriori aggressioni russe contro l’Ucraina ed altri Stati, è la piena adesione dell’Ucraina alla Nato”, ha ribadito il ministero degli Esteri di Kiev in una nota, in cui si legge che “con l’amara esperienza del memorandum di Budapest alle nostre spalle, non accetteremo alcuna alternativa, surrogato o sostituto” di un ingresso a pieno titolo nell’Alleanza nordatlantica. Il riferimento è al patto, siglato il 5 dicembre 1994 tra Mosca e Kiev, tramite il quale l’Ucraina cedette alla Russia le sue testate nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte del Cremlino.Il comunicato riprende le osservazioni fatte lo scorso weekend dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in cui per la prima volta ha ammesso che le forze armate di Kiev “non hanno la forza” per riconquistare militarmente le regioni occupate dai russi e che andranno trovate “soluzioni diplomatiche”. A oltre due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala, Zelensky ha fatto una parziale marcia indietro sulla posizione tenuta fin qui, aprendo all’eventualità di negoziare la restituzione di una parte dei territori sotto occupazione anziché insistere sulla loro liberazione con le armi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Ma, questo il ragionamento, per poter negoziare tale restituzione occorre avere forza al tavolo delle trattative, e per avere forza serve rispondere colpo sul colpo sul campo di battaglia. Dunque servono gli aiuti occidentali e serve anche, al più presto, che la Nato si assuma la responsabilità di garantire la sicurezza di Kiev non appena cesseranno i combattimenti.Non così in frettaUn’eventualità definita “inaccettabile” e addirittura un “evento minaccioso” dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale “la sicurezza di un Paese non può essere garantita a spese della sicurezza di un altro Paese” – un principio che la stessa Russia ha violato nel febbraio 2022 invadendo l’Ucraina. L’ingresso dell’ex repubblica sovietica nella Nato, ha incalzato, “sarebbe un evento che ci minaccerebbe” e soprattutto “non eliminerebbe le cause profonde di quello che sta succedendo” da oltre due anni e mezzo.Lo stesso Rutte non vuole lasciare spazio alle speculazioni. L’Ucraina, sembra voler rassicurare Mosca, non aderirà in tempi brevi all’Alleanza. I membri di quest’ultima, ha confermato, “concordano sul fatto che il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, sul “percorso irreversibile” di Kiev verso l’ingresso nell’organizzazione. “Ma penso che dobbiamo concentrarci molto”, anziché su quello che verrà in un futuro indefinito, “su quello che è necessario ora”, cioè appunto gli aiuti miliari alla resistenza.D’accordo anche Tajani: “Siamo tutti favorevoli a che l’Ucraina entri nella Nato“, ha detto ai cronisti, “così come siamo favorevoli a che l’Ucraina entri all’interno dell’Unione europea”. “Certamente c’è un percorso da compiere“, ha concesso il vicepremier forzista, riconoscendo tuttavia che gli ucraini “stanno facendo grandi passi in avanti”. Il destino di Kiev, in ogni caso, “è quello di entrare a far parte in futuro della Nato“, anche se questo futuro appare tutt’altro che prossimo.Alla corte di TrumpIl numero uno dell’Alleanza è tornato anche sui colloqui avuti con Trump il mese scorso. Sul tema del conflitto in Ucraina i due hanno concordato che “qualsiasi accordo” di pace dovrà essere “un buon accordo”, cioè dovrà tenere in considerazione le richieste del Paese aggredito. E dovrà anche segnalare agli alleati di Mosca – a partire da Pechino, Pyongyang e Teheran – che non si può invadere un Paese e pensare di passarla liscia.Il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Jim Watson/Afp)“Questo è cruciale per la nostra difesa non solo in Europa ma anche negli Usa e nell’Indopacifico”, ha spiegato Rutte, secondo cui Washington si troverebbe ad affrontare “una grave minaccia” da parte di questi attori se l’Ucraina fosse costretta a firmare un accordo di pace troppo favorevole alla Russia. Cosa tratterrebbe Xi Jinping dall’attaccare Taiwan, o Kim Jong-un dal lanciare missili balistici su Seul o Tokyo, se Putin riuscisse a ottenere una pace vantaggiosa in Ucraina?Anche Zelensky, da parte sua, ha auspicato una più stretta cooperazione tra la propria squadra da un lato e, dall’altro, quella del presidente-eletto e il team che sta gestendo la transizione a Washington. “Dobbiamo prepararci con attenzione per il prossimo anno”, ha dichiarato il leader ucraino, il quale ha ribadito che è importante che “la politica degli Stati Uniti non cambi, in modo che gli Stati Uniti non cerchino un compromesso tra l’assassino e la vittima”.Sulla stessa linea anche il commento di Tajani: “L’obiettivo è quello di arrivare alla pace anche con la nuova amministrazione americana“, ha ribadito, sottolineando che una “pace giusta” significa “l’indipendenza dell’Ucraina. Sulle tempistiche per giungere a tale risultato, ha evidenziato che “tutti quanti sono convinti che nel 2025 si arriverà a un cessate il fuoco“, e che tanto Mosca quanto Kiev stanno cercando di ottenere successi militari ora per sedersi al tavolo da una posizione di forza.

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    Ue-Nato, una nuova task force per rafforzare la cooperazione. In chiave anti-Russia, con un occhio a Trump

    Bruxelles – Quando l’ex premier olandese Mark Rutte è stato scelto per succedere a Jens Stoltenberg alla guida della Nato, i leader Ue hanno esultato per la forte vocazione europeista del nuovo segretario generale dell’Alleanza atlantica. A un mese dall’inizio del suo incarico, la prima conferma: l’Unione europea e la Nato istituiranno una nuova task force di alto livello per rafforzare l’attuale cooperazione.L’hanno annunciato oggi (29 ottobre) il segretario generale della Nato e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a margine del loro primo bilaterale da quando Rutte siede a capo dell’Alleanza militare occidentale. Nel loro confronto, i due hanno convenuto che la partnership Ue-Nato “è fondamentale per sostenere e salvaguardare la pace, la libertà e la prosperità” in un mondo “sempre più pericoloso”, si legge in una nota diffusa da Bruxelles.Il focus non poteva che cadere sul dispiegamento di soldati nordcoreani a fianco dell’esercito russo nella regione di Kursk: “Una significativa escalation della guerra contro l’Ucraina, nonché una grave minaccia alla sicurezza europea e alla pace globale”, affermano von der Leyen e Rutte. I due hanno ribadito che “la guerra di aggressione della Russia sul suolo europeo è la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza del continente europeo”.Ma non l’unica: i due leader hanno inoltre discusso della “crescente assertività degli Stati autoritari sulla scena mondiale“, rende noto la Commissione europea. Stati che “sfidano i nostri interessi comuni, i valori e i principi democratici, utilizzando molteplici mezzi – politici, economici, tecnologici e militari”, prosegue la nota. In un post sul suo account X, von der Leyen ha sintetizzato: “In questo contesto, una partnership stretta e strategica tra l’Ue e la Nato è più che mai essenziale”.La pianificazione della prima riunione della task force “dovrebbe procedere nelle prossime settimane”, fanno sapere ancora nella nota congiunta la leader Ue e il segretario generale della Nato. Dietro l’angolo, martedì 5 novembre, si terranno le elezioni americane, con i sondaggi che danno Donald Trump in recupero su Kamala Harris. Un altro buon motivo per correre ai ripari e rafforzare i legami tra Bruxelles e l’Alleanza Atlantica prima di un eventuale ritorno del tycoon alla Casa Bianca.

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    Alla Nato comincia l’era Rutte: Ucraina e aumento delle spese militari restano le priorità. Sull’Ue: “Partner essenziale”

    Bruxelles – Jens Stoltenberg ha ufficialmente consegnato l’oneroso testimone dell’Alleanza atlantica a Mark Rutte. Da oggi (1 ottobre), l’ex primo ministro olandese è il nuovo segretario generale della Nato. Il nuovo corso comincia nel solco di quanto fatto nel secondo mandato Stoltenberg: le priorità – ha messo in chiaro Rutte dal quartier generale della Nato a Bruxelles – restano l’Ucraina, l’aumento delle spese militari e il rafforzamento delle alleanze nel mondo.Proprio Stoltenberg, in un punto stampa congiunto, ha illustrato le competenze “dell’amico e collega” Rutte: “Conosce bene la Nato ed è ben noto in tutti i Paesi”, ma soprattutto “è stato primo ministro per 14 anni e ha guidato quattro diversi governi di coalizione” nei Paesi Bassi. Ha una certa domestichezza con i compromessi, skill richiesta per stare al timone di un’Alleanza militare che conta 32 Stati.Prima di lasciare, Stoltenberg ha rivendicato i propri meriti: “Me ne vado sapendo che abbiamo ottenuto molto insieme”, ha dichiarato. In particolare – complice il contesto geopolitico internazionale – la Nato conta ora 23 Paesi che hanno raggiunto il target del 2 per cento del Pil in spese per la difesa. “La Nato è cambiata come è cambiata il mondo“, ha affermato ancora l’ormai ex segretario generale.L’Europa si è riscoperta vulnerabile. Prima con Donald Trump alla Casa Bianca, che ha minacciato di richiudere “l’ombrello” a stelle e strisce in protezione del vecchio continente, poi con lo scoppio di un conflitto alle porte dell’Unione europea. L’Ucraina “deve prevalere”, rimane la prima priorità, ha messo in chiaro Rutte. Come sostenuto dal suo predecessore, per combattere la sua guerra di autodifesa Kiev “ha il diritto di colpire obiettivi legittimi in Russia”. Ma “spetta a ogni Stato partner decidere” sulle restrizioni agli armamenti.Per ricacciare indietro la minaccia russa e riportare un certo equilibrio sullo scacchiere internazionale, l’Alleanza atlantica “deve spendere e investire di più e cercare di raggiungere gli obiettivi”. Così, paradossalmente, il “frugale” olandese Rutte, che da premier combatteva per chiudere i rubinetti di Bruxelles all’Italia, dovrà ora insistere perché l’Italia – insieme a Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna – spenda di più per la propria difesa.Mark Rutte al primo giorno da segretario generale della Nato, 01/10/24 [Credit: Nato]Perché questo avvenga, Rutte potrà contare sull’agenda della nuova legislatura Ue, decisa a restituire centralità all’industria della difesa nei 27 Paesi membri. “L’Ue è un partner unico ed essenziale della Nato – ha sottolineato il segretario generale -, ben vengano i suoi sforzi per la difesa“. Ma “nessuno vuole che l’Ue sia un doppione di quello che la Nato sta già facendo”. Il coordinamento militare è prerogativa dell’Alleanza atlantica.A prescindere dalle elezioni americane di novembre e da un eventuale ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Anzi, Rutte ha evidenziato i meriti del Trump presidente, che “ci ha spinto a spendere di più” e “ci ha aperto gli occhi” sui rischi del rapporto con la Cina. “Non sono preoccupato, conosco molto bene entrambi i candidati“, ha chiuso l’argomento diplomaticamente Rutte.Cina, Iran e Corea del Nord, che sostengono lo sforzo bellico di Mosca e che in cambio “ricevono supporto per lo sviluppo di programmi nucleari”, per Rutte saranno un problema. Per questo l’ultima priorità individuata dal neo-segretario generale è l’urgenza di “costruire alleanze in tutto il mondo“. Approfondire i partenariati in Medio Oriente, in Africa, nell’Indo-pacifico. Questa la strategia di Rutte in chiave anti-Russia.La prima di Rutte, gli auguri dai leader UeI leader delle istituzioni europee hanno salutato con gioia il nuovo incarico di Rutte, che nei corridoi dei palazzi di Bruxelles ha camminato tante volte nei suoi anni da primo ministro dei Paesi Bassi. “La tua leadership sarà fondamentale per il ruolo dell’Alleanza nella nostra sicurezza euro-atlantica e per il nostro fermo sostegno all’Ucraina”, ha affermato Ursula von der Leyen, lanciando un appello per “rafforzare ulteriormente il partenariato Ue-Nato”.Appello raccolto immediatamente da Charles Michel, secondo cui “la profonda cooperazione Ue-Nato è fondamentale nel nostro ambiente globale in evoluzione”. Anche Roberta Metsola, dopo aver ringraziato Jens Stoltenberg “per un decennio di incrollabile impegno a favore della sicurezza globale”, si è detta convinta che “la leadership e la tenacia di Mark Rutte non faranno che rafforzare l’unità tra Ue e Atlantico”.Secondo Danilo Della Valle, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, invece “iI nuovo segretario generale è sicuramente partito col piede sbagliato. La sua agenda prevede un aumento delle spese militari e un antagonismo con la Russia che non promette nulla di buono. La Nato è nata come alleanza difensiva e tale deve rimanere”.

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    Mark Rutte è stato nominato successore di Stoltenberg come segretario generale della Nato

    Bruxelles – Adesso è ufficiale. Il premier uscente del Paesi Bassi, Mark Rutte, sarà il prossimo segretario generale Nato a partire dal primo ottobre. A comunicarlo è il Consiglio del Nord Atlantico, il principale organo decisionale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, che in una nota annuncia la decisione di nominare l’unico candidato rimasto nella corsa per succedere al norvegese Jens Stolteberg alla guida dell’Alleanza Atlantica, assumendo le sue funzioni dopo pochi mesi dal Summit di Washington (in programma tra il 9 e l’11 luglio).Il primo ministro uscente dei Paesi Bassi e prossimo segretario generale della Nato, Mark Rutte (credits: Kenzo Tribouillard / Afp)“Accolgo con entusiasmo la scelta degli alleati della Nato su Rutte come mio successore”, è l’annuncio entusiasta di Stoltenberg, definendo il premier olandese “un vero transatlantico, un leader forte e un costruttore di consenso, so di lasciare la Nato in buone mani“. Le prime parole di Rutte dopo la nomina sottolineano il “grande onore” a guidare l’Alleanza Atlantica, che “è e rimarrà la pietra angolare della nostra sicurezza collettiva“, mette in chiaro il quasi ex-premier olandese: “Guidare questa organizzazione è una responsabilità che non prendo alla leggera, sono grato a tutti gli alleati per aver riposto la loro fiducia in me”. Con un ringraziamento al predecessore Stoltenberg, “che ha fornito alla Nato una leadership eccezionale negli ultimi 10 anni e per il quale ho sempre nutrito grande ammirazione”.Da Bruxelles arrivano le congratulazioni dei leader delle istituzioni Ue, che hanno visto il liberale olandese al tavolo del Consiglio Europeo per gli ultimi 14 anni (aveva assunto la carica di primo ministro dei Paesi Bassi il 14 ottobre 2010). “La sua leadership e la sua esperienza saranno fondamentali per l’Alleanza in questi tempi difficili, non vedo l’ora di lavorare insieme per rafforzare ulteriormente il partenariato Ue-Nato”, è il commento della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, rafforzato dalle parole della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “In un periodo di crescenti sfide alla sicurezza in tutto il mondo, la sua leadership e la sua tenacia saranno molto necessarie”. Anche il segretario generale del Partito Democratico Europeo, Sandro Gozi (della famiglia europea di Renew Europe come il quasi ex-premier olandese), esprime soddisfazione per la scelta di Rutte, “che arriva mentre è in gioco il futuro dell’Europa, della pace e della sicurezza”.La corsa di Rutte alla guida della NatoLe prime indicazioni sul fatto che Rutte fosse il favorito nella corsa alla segreteria della Nato erano emerse da un editoriale dell’ex-portavoce dell’Alleanza Atlantica (fino a settembre 2023), Oana Lungescu: “Creare consenso tra i 31 alleati della Nato è il compito principale del segretario generale” e Rutte, “a volte chiamato ‘Teflon Mark’ per la sua capacità di guidare coalizioni diverse e di sopravvivere agli scandali politici, è un pragmatico negoziatore e un maestro del consenso“. In questo senso, il premier olandese aveva stretto da tempo i rapporti non solo con Stoltenberg, ma anche con altri leader dell’Alleanza, dall’Albania alla Lituania, dalla Polonia agli Stati Uniti. La questione dei legami con Washington è stato un altro punto a favore di Rutte, che ha sviluppato un ottimo rapporto con il presidente Joe Biden e allo stesso tempo è anche uno dei pochi leader europei ad aver cercato di mantenere stabile quello con il suo predecessore Trump, che potrebbe ritornare alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre. Il premier olandese è anche riuscito a colmare l’unico punto debole della sua candidatura, ovvero l’allineamento dei Paesi Bassi alla soglia minima di spesa per la difesa del 2 per cento rispetto al Pil: nel rapporto pubblicato dalla Nato il 17 giugno emerge che L’Aia ha raggiunto il 2,05 nel 2024.Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il presidente della Romania, Klaus Iohannis (credits: Andrei Pungovschi / Afp)Già a fine febbraio era diventato chiaro che il premier olandese dimissionario era il favorito per succedere a Stoltenberg alla guida dell’Alleanza Atlantica, dopo aver incassato l’appoggio di 20 Paesi membri, in particolare di Stati Uniti e Regno Unito. La selezione della figura del segretario generale dell’Alleanza avviene attraverso consultazioni diplomatiche informali tra i Paesi membri, che propongono i candidati alla carica (tradizionalmente un’alta personalità politica europea): non c’è una votazione vera e propria, ma la decisione non viene confermata finché non si raggiunge il consenso su un candidato. Rutte ha continuato negli ultimi mesi il suo lavoro diplomatico per convincere tutti i 31 leader, fino a quando il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha annunciato il 18 giugno l’accordo con il segretario generale uscente Stoltenberg per sbloccare la nomina di Rutte (a seguito di una lettera ricevuta dallo stesso collega olandese) e lo stesso ha fatto in parallelo il presidente della Slovacchia, Peter Pellegrini. Il presidente della Romania, Klaus Iohannis, è rimasto così senza alcun potenziale sostegno, rinunciando definitivamente alla corsa per diventare il prossimo segretario generale Nato giovedì scorso (20 giugno) al termine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa nazionale.

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    Rutte si rafforza in cima alla lista dei candidati come prossimo segretario generale della Nato

    Bruxelles – Si scalda la campagna per la successione di Jens Stoltenberg a segretario generale della Nato. Il primo ministro olandese dimissionario dal luglio 2023, Mark Rutte, è a oggi il candidato più quotato dopo aver incassato l’appoggio di 20 Paesi membri (su 31) dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, in particolare di Stati Uniti e Regno Unito. È quanto emerge da diverse fonti di Reuters e Politico, tutte a indicare proprio Rutte come candidato favorito a diventare il prossimo segretario generale dell’Alleanza Atlantica.Il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark RutteLa corsa per la successione di Stoltenberg, segretario generale in carica dal primo ottobre 2014, è iniziata da qualche mese, dopo la proroga di un anno confermata all’ultimo vertice Nato di Vilnius. “Il presidente Joe Biden appoggia con forza la candidatura del premier Rutte“, ha reso noto un funzionario statunitense parlando con Reuters, elencando tra le caratteristiche del quasi ex-premier olandese la “profonda comprensione dell’importanza dell’Alleanza”, il fatto di essere “un leader e un comunicatore naturale, la sua leadership sarebbe utile all’Alleanza in questo momento critico“. Il mandato di Stoltenberg terminerà a ottobre, ma per evitare una sovrapposizione con gli appuntamenti elettorali in Europa e negli Stati Uniti, la decisione potrebbe già arrivare in primavera (prima del vertice di Washington del 9-11 luglio). Il successore o la successora avrà il compito di sostenere i 31 alleati nella difesa dell’Ucraina dall’invasione russa, ma senza esacerbare i rapporti con Mosca fino a trascinare l’intera Alleanza in guerra.La selezione della figura del segretario generale della Nato avviene attraverso consultazioni diplomatiche informali tra i Paesi membri, che propongono i candidati alla carica (tradizionalmente un’alta personalità politica europea): non c’è una votazione vera e propria, ma la decisione non viene confermata finché non si raggiunge il consenso su un candidato. Altre fonti all’interno dell’Alleanza hanno confermato a Politico che Rutte ha finora incassato il sostegno di 20 Paesi membri – compreso il Regno Unito – con un’altra decina che sarebbe invece ancora incerta o da convincere: “Continueremo ad ascoltare le loro domande e preoccupazioni”, hanno confermato le fonti a proposito delle possibili resistenze di Turchia, Ungheria e Paesi baltici. Proprio i Baltici avevano messo gli occhi sulla carica di vertice dell’Alleanza, ma né il ministro degli Esteri ed ex-premier della Lettonia, Krišjānis Kariņš, né la prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas, sarebbero ancora stati presentati formalmente come possibili candidati. La prima ministra della Danimarca, Mette Frederiksen, ha invece escluso l’opzione.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergAlcune indicazioni sul fatto che Rutte possa essere il favorito nella corsa alla segreteria della Nato erano già emerse da un editoriale dell’ex-portavoce dell’Alleanza Atlantica (fino a settembre 2023), Oana Lungescu: “Creare consenso tra i 31 alleati della Nato è il compito principale del segretario generale” e Rutte, “a volte chiamato ‘Teflon Mark’ per la sua capacità di guidare coalizioni diverse e di sopravvivere agli scandali politici, è un pragmatico negoziatore e un maestro del consenso“. In questo senso, il premier olandese ha stretto i rapporti non solo con Stoltenberg, ma anche con altri leader dell’Alleanza, dall’Albania alla Lituania, dalla Polonia agli Stati Uniti. La questione dei legami con Washington sarà una delle questioni decisive nella scelta del segretario generale dell’Alleanza: va ricordato che Rutte ha sviluppato un ottimo rapporto con il presidente Joe Biden, e allo stesso tempo è anche uno dei pochi leader europei ad aver cercato di mantenere stabile quello con il suo predecessore Trump, che potrebbe ritornare alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre.Il punto di debolezza del premier olandese è il fatto di non aver ancora allineato il suo Paese alla soglia minima di spesa per la difesa del 2 per cento rispetto al Pil (anche se non è ancora nota la lista completa dei 18 membri che nel 2024 l’avranno fatto, come anticipato da Stoltenberg). È questa una delle criticità maggiori, in particolare se si considerano le recenti minacce di Trump, secondo cui Washington non dovrebbe difendere da un’eventuale aggressione russa gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa. D’altra parte Rutte si è ritagliato un ruolo di alleato affidabile per l’Ucraina, dopo aver preso l’iniziativa insieme alla Danimarca di Frederiksen di creare un centro di addestramento di piloti di caccia F-16 in Romania e inviando sistemi di difesa aerea Patriot e carri armati Leopard.

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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Fumata bianca a Tunisi. Intesa tra l’Ue e il presidente Saïed su migranti, assistenza macro-finanziaria ed energia

    Bruxelles – La firma tanto attesa con la Tunisia è arrivata. La partnership “modello” per i rapporti con i vicini del Nord Africa è stata messa nero su bianco ieri sera (16 luglio) a Tunisi, dal trio Ue formato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dalla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, dall’omologo olandese, Mark Rutte, e dal presidente tunisino, Kaïs Saïed. Cinque pilastri, dallo sviluppo economico alla cooperazione energetica, fino alla migrazione. L’asse principale rimane l’assistenza macro-finanziaria a un Paese a rischio default, ma l’accordo politicamente più significativo riguarda la mobilitazione immediata di fondi europei per rafforzare la lotta alla migrazione irregolare e aumentare i rimpatri.
    A distanza di oltre un mese dalla dichiarazione di intenti firmata lo scorso 11 giugno, il memorandum d’intesa siglato al Palazzo di Cartagine è l’ultimo step prima di rendere effettivamente operativo il pacchetto di partenariato globale tra Bruxelles e Tunisi. Le trattative, proseguite non senza difficoltà a causa dell’oltranzismo di Saied, che ha cercato il più possibile di giocare al rialzo facendo leva sulla minaccia di un ulteriore aumento di sbarchi ai confini europei, alla fine non hanno ridimensionato i termini dell’accordo. Tranne che su un punto: come gridato a più riprese dal leader tunisino, nel documento si afferma che “la Tunisia ha ribadito di non essere un Paese d’installazione di migranti irregolari”, e che “vigilerà solo sulle proprie frontiere”.
    Un miliardo di assistenza macro-finanziaria, ma Saied deve chiudere con l’Fmi
    Quattro dei cinque pilastri del pacchetto sono rimasti pressoché invariati. Quello sull’assistenza macro-finanziaria prevede l’erogazione urgente di 150 milioni di euro per rimpinguare le casse tunisine e 900 milioni che restano vincolati allo sblocco del maxi-prestito da 1,9 miliardi che il Fondo Monetario Internazionale sta negoziando con Saïed dallo scorso ottobre. Per ricevere il finanziamento e scongiurare il rischio bancarotta del Paese, in cui da mesi l’inflazione viaggia sul 10 per cento e il tasso di disoccupazione supera il 17 per cento, il presidente dovrebbe avviare una serie di riforme impopolari, come richiesto dall’Fmi. Ma fino ad ora non ne vuole sapere.
    Le due parti si impegnano inoltre ad approfondire le relazioni economiche e commerciali, con una particolare enfasi sulla doppia transizione verde e digitale. L’Ue conta su Tunisi per ampliare il proprio portafoglio energetico e mira a “rafforzare le infrastrutture” tunisine per “rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e fornire ai cittadini e alle imprese energia a basse emissioni di carbonio a prezzi competitivi”. In vista c’è la sovvenzione da 307,6 milioni di euro per la realizzazione di una prima interconnessione tra Italia e Tunisia con un cavo elettrico sottomarino ad alta tensione. Si chiama interconnettore Elmed, assegnato nell’ambito dell’Interconnection in Europe Facility per collegare i due lati del Mediterraneo e “rafforzare la rispettiva sicurezza energetica”.
    Accordo confermato anche sulla cosiddetta partnership per i Talenti, con l’obiettivo di promuovere percorsi regolari per la migrazione e stimolare una maggiore mobilità a “tutti i livelli di competenza”. Opportunità di lavoro stagionale in Europa e formazione tecnica e professionale per rafforzare le competenze della forza lavoro tunisina al fine di “sostenere lo sviluppo economico della Tunisia a livello nazionale, regionale e locale”.
    Fondi Ue per rimpatri dalla Tunisia ai Paesi d’origine
    Il piano iniziale di Bruxelles per fare di Tunisi una sorta di piattaforma dove rispedire migranti irregolari da Paesi terzi – con l’idea di sottoporli alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano e di riprendere solamente coloro a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo – è saltato. La Tunisia riaccoglierà soltanto i propri cittadini e l’Europa pagherà i rimpatri di migranti sub-sahariani dal territorio tunisino, per alleggerire la pressione sul Paese che promette di stringere le maglie sulle partenze. Dei 105 milioni di euro che l’Ue mobiliterà per la migrazione, 60 saranno destinati a rafforzare le capacità delle autorità tunisine nel controllare i confini e intercettare i migranti, mentre secondo fonti europee 15 milioni copriranno i rimpatri di seimila migranti sub-sahariani dal territorio tunisino. 2,500 euro a persona. Al momento la Commissione europea non ha reso noto nel dettaglio come saranno ripartiti i restanti 30 milioni dedicati alla migrazione.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, firma il memorandum d’intesa con la Tunisia (16 luglio 2023)
    Il memorandum sbriga in una riga le preoccupazioni sollevate da diversi media e organizzazioni internazionali sul trattamento riservato alle persone migranti in Tunisia. “Il nostro approccio sarà basato sul rispetto dei diritti umani“, aggiungendo che i rimpatri saranno attuati nel “rispetto del diritto internazionale e della dignità dei migranti”. A onor del vero, ancora meno hanno detto von der Leyen, Meloni e Rutte durante la pseudo conferenza stampa con Saïed, in un Palazzo di Cartagine chiuso ai media. Nessun accenno alla questione, nonostante ancora una volta Saïed abbia parlato di “trasferimento [di persone migranti, ndr] organizzato da alcune reti criminali”, rispolverando la teoria complottista della grande sostituzione che negli ultimi tempi in Tunisia ha fomentato episodi di violenza contro migranti sub-sahariani. E nonostante le ricostruzioni di diversi media e Ong, che hanno rivelato le deportazioni di migranti dalle coste tunisine al deserto al confine con la Libia, dove sono stati lasciati senza acqua e cibo.

    Von der Leyen, Meloni e Rutte finalizzano il memorandum d’intesa. Pronti 150 milioni di supporto alle casse nazionali e 105 per la migrazione, di cui 60 milioni per il controllo delle frontiere e 15 destinati al rimpatrio dalla Tunisia di circa seimila persone verso i Paesi dell’Africa sub-sahariana