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    La Commissione presenterà prima del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana un piano d’azione sulla rotta balcanica

    Bruxelles – Dopo il Piano per il Mediterraneo centrale la Commissione Europea è pronta a presentare una linea d’azione anche per la rotta balcanica, per affrontare l’aumento di arrivi di persone migranti lungo quello che rimane sempre il movimento migratorio più ampio alle frontiere dell’Unione. “Annuncerò che siamo pronti a preparare velocemente un Piano d’azione per affrontare le sfide sulla rotta balcanica“, ha reso noto alla stampa europea la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, facendo ingresso al vertice straordinario con i 27 ministri Ue questo pomeriggio (25 novembre).
    A confermare la notizia, aggiungendo dettagli, è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, sempre a margine del Consiglio Affari Interni straordinario a Bruxelles: “Oggi il focus sarà sulla rotta mediterranea centrale e sul Piano d’azione che abbiamo presentato questa settimana, ma questo non significa che non discuteremo delle altre rotte migratorie” e, nello specifico, “stiamo pianificando di presentare un Piano sulla rotta balcanica, che sarà pronto prima del vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana il 6 dicembre“. Secondo il vicepresidente Schinas, “dobbiamo sempre tenere a mente che il nostro obiettivo è lavorare come degli architetti per un quadro Ue comprensivo e strutturale sulla migrazione e l’asilo”, attraverso l’adozione del Patto presentato dalla Commissione nel settembre 2020.
    Era stata la stessa commissaria Johansson ad anticipare a Politico che “è giunto il momento di presentare un Piano d’azione adeguato anche per la rotta dei Balcani Occidentali”, mettendo in evidenza che “l’Austria è molto colpita” dall’aumento di persone in arrivo alle frontiere dell’Unione. I lavori dell’esecutivo comunitario sono già in corso e ai 27 ministri degli Interni la notifica dell’imminente proposta – da discutere verosimilmente al Consiglio ordinario dell’8 dicembre – arriverà proprio nel vertice straordinario di oggi. A preoccupare la Commissione è la possibilità di farsi trovare impreparati come nel biennio 2015-2016: “È importante affrontare in modo più efficiente la rotta balcanica rispetto a quanto abbiamo fatto finora“, ha avvertito Johansson parlando con la stampa. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila).
    Le preoccupazioni di Bruxelles sulla rotta balcanica
    È da ottobre che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen – e più precisamente la commissaria Johansson – parla insistentemente dell’aumento del numero di arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, mettendo in risalto il fatto che “molti arrivano da Paesi per cui non riconosciamo la protezione internazionale“, come India, Tunisia e Burundi, sfruttando la possibilità di viaggiare senza visto in Paesi balcanici e di lì tentare di entrare nell’Ue in modo irregolare.
    Proprio per questo motivo “all’ultimo Consiglio ho proposto quattro pilastri di azione“, ha ricordato la commissaria titolare degli Affari interni. Il primo è un “partenariato anti-trafficanti con i Paesi dei Balcani Occidentali“. In secondo luogo “ho firmato un nuovo accordo Frontex con la Macedonia del Nord” lo scorso 26 ottobre a Skopje, che permetterà all’Agenzia Ue di dispiegare squadre sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). “E ho ricevuto l’autorizzazione dal Consiglio ad avviare i negoziati con altri quattro Paesi“, ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.
    Il terzo punto coinvolge l’erogazione di “finanziamenti contro il traffico di esseri umani in questa rotta” e infine, “lavoriamo sull’allineamento della Serbia alla politica dei visti” dell’Unione Europea. È questo uno dei temi più urgenti per la Commissione Ue, dal momento in cui una parte delle persone migranti – prima di presentarsi alle frontiere dell’Unione – può arrivare in aereo in alcuni Paesi che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, aveva attaccato il vicepresidente Schinas dopo il suo viaggio in Serbia a inizio ottobre. Pochi giorni dopo Belgrado ha annunciato di aver reintrodotto l’obbligo dei visti per i cittadini del Burundi e della Tunisia (in vigore dal 20 novembre).

    Arriverà entro il 6 dicembre, come confermato dal vicepresidente Margaritis Schinas. La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha reso noto che lo annuncerà oggi ai 27 ministri Ue durante la riunione straordinaria, sottolineando che “dobbiamo essere più efficienti”

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    La Commissione chiede ai Balcani Occidentali di allinearsi alla politica dei visti per frenare gli ingressi irregolari nell’Ue

    Bruxelles – La rotta balcanica torna al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, o quantomeno della Commissione e di alcuni Paesi membri che stanno vedendo aumentare il numero di ingressi irregolari e le richieste di asilo. “Abbiamo assistito a un aumento significativo di migranti che viaggiano senza visto verso i Paesi partner dei Balcani Occidentali e che entrano poi nell’Unione Europea in modo irregolare”, è quanto affermato dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, in occasione del Consiglio Affari Generali di oggi (venerdì 14 ottobre) a Praga.
    “Siamo in stretto contatto con gli Stati membri che sono più sotto pressione”, ha sottolineato alla stampa europea la commissaria Johansson, facendo riferimento ad Austria (“molti indiani stanno chiedendo l’asilo”) e Belgio (“c’è un grande gruppo di persone in arrivo dal Burundi”). Da Bruxelles il problema principale è il “non allineamento sulla politica dei visti di alcuni Paesi partner“, in particolare quelli che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Incontrerò i partner balcanici la prossima settimana a Berlino, la settimana successiva a Praga e quella dopo ancora a Tirana”, ha fatto sapere la titolare degli Affari interni nel gabinetto von der Leyen, precisando che “vogliamo aiutarli anche sulla lotta contro la tratta di esseri umani“.
    Considerato quanto emerso dal recente viaggio del vicepresidente esecutivo della Commissione, Margaritis Schinas, nella regione balcanica, uno degli indiziati principali delle esortazioni dell’esecutivo comunitario è la Serbia. “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, ha rivendicato Schinas dopo la tappa a Belgrado. Una precisazione sulle contromisure che potrebbero arrivare da Bruxelles l’ha fornita la commissaria Johansson oggi: “Spero che avremo con la Serbia una buona cooperazione e che allinei la sua politica di visti alla nostra, ma non posso escludere nemmeno una sospensione del regime dei visti“. Anche se è Belgrado a presentare diversi punti di criticità nei rapporti con l’Unione in cui sta cercando di accedere (in particolare per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia), la questione si estende a “molti dei partner” che si trovano sulla rotta balcanica: “Dovremo raggiungerli tutti”, ha concluso la commissaria europea.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il premier ungherese, Viktor Orbán, e il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, al vertice a tre di Budapest, 3 ottobre 2022 (credits: ATTILA KISBENEDEK / AFP)
    Il tema dell’esenzione dei visti verso Paesi come India, Tunisia e Burundi in vigore in Serbia – che permette a diverse persone migranti di arrivare a Belgrado e poi provare ad attraversare il confine con l’Ue – è stato anche al centro del vertice a tre dello scorso 3 ottobre a Budapest tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, e il premier ungherese, Viktor Orbán, per cercare soluzioni condivise per affrontare il fenomeno migratorio lungo la rotta balcanica. Il “piano d’azione” dei due Paesi membri Ue e del candidato dal 2012 all’adesione all’Unione includerà una “maggiore cooperazione” delle forze di polizia lungo i confini (incluso quello serbo meridionale, con la Macedonia del Nord) e il sostegno “anche finanziario” alla Serbia per il rimpatrio delle persone migranti. Proprio in occasione del vertice di Budapest il presidente Vučić ha promesso che “entro fine dell’anno” Belgrado allineerà le politiche nazionali sui visti con quelle Ue, mentre il premier ungherese Orbán è tornato a rivendicare la creazione di hotspot al di fuori del territorio comunitario, una proposta che può violare il diritto di accesso al territorio per i rifugiati.

    Secondo l’esecutivo comunitario e alcuni Stati membri (tra cui Austria e Ungheria), i partner balcanici a cui è garantita l’esenzione dei visti dall’Ue non possono fare lo stesso con Paesi terzi a cui Bruxelles non la riconosce. La Serbia è la prima indiziata dopo il vertice con Budapest e Vienna

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    Educazione, lavoro, sanità e alloggi: le linee-guida della Commissione UE per l’accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina

    Bruxelles – Tre milioni e mezzo di rifugiati dall’Ucraina nell’UE, sei e mezzo internamente nel Paese invaso dalla Russia quasi un mese fa (domani la prima ricorrenza della guerra). Per affrontare la crisi migratoria più velocemente in crescita sul suolo europeo dalla Seconda Guerra Mondiale, Bruxelles ha messo in campo uno sforzo inedito sul piano dell’accoglienza, con il pacchetto di misure a sostegno degli aiuti umanitari presentato dalla Commissione Europea due settimane fa e l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea per la prima volta da quando è entrata in vigore nel 2001 (qui tutti i dettagli). Mentre il numero di rifugiati è in costante aumento, l’esecutivo comunitario ha presentato oggi (mercoledì 23 marzo) le linee-guida per l’assistenza delle persone in fuga dall’Ucraina da parte degli Stati membri UE.
    Il sostegno si incentra su cinque pilastri: protezione per i minori, accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio. “Ai bambini deve essere garantito un rapido accesso ai loro diritti senza discriminazioni“, si legge nella comunicazione della Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda la registrazione al momento dell’ingresso nell’UE: il rischio da combattere è quello di rapimenti e di traffico di esseri umani. Sempre ai bambini e ai ragazzi ucraini dovrà essere garantito “come priorità” l’accesso all’istruzione, “perché possano sentire un minimo di normalità nelle loro vite stravolte”, ha sottolineato in conferenza stampa il vicepresidente esecutivo della Commissione, Margaritis Schinas. Questa integrazione nei sistemi scolastici dei Paesi membri potrà essere agevolata dal fatto che “il sistema ucraino è già stato digitalizzato durante la pandemia COVID-19” e il portale di Kiev potrà funzionare come “sportello unico per collegarsi al materiale didattico in lingua ucraina”.
    Grazie a un meccanismo di solidarietà istituito dall’esecutivo UE che ha garantito 10 mila posti letti in tutta l’Unione, sul piano dell’assistenza sanitaria i rifugiati in arrivo dall’Ucraina che hanno “urgente bisogno di cure ospedaliere specializzate” potranno essere trasferiti tra Stati membri. L’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) andrà anche a sostenere la fornitura di vaccini COVID-19, considerato il basso livello di vaccinazione della popolazione ucraina (circa il 35 per cento). Allo stesso tempo, non verrà trascurato il sostegno – in lingua ucraina – alla salute mentale di queste persone, per affrontare i traumi della guerra.
    Per quanto riguarda l’occupazione, gli Stati membri sono stati invitati a prendere misure per aiutare le persone a esercitare il loro diritto al lavoro e alla formazione professionale. Infine, la Commissione Europea ha deciso di sostenere i cittadini dei 27 Stati membri UE che vogliono mettere a disposizione le proprie case per ospitare i rifugiati in arrivo dall’Ucraina, attraverso la nuova iniziativa “case sicure” e la mobilitazione di finanziamenti mirati, oltre al dispiegamento del Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione e i fondi della politica di coesione per rafforzare i sistemi pubblici di accoglienza. Complessivamente, sono stati resi disponibili 3,4 miliardi di euro aggiuntivi di prefinanziamento nell’ambito di REACT-EU per accelerare l’accesso ai fondi, di cui “molti andranno alla Polonia, che avrà la parte che merita per sostenere l’enorme sforzo richiesto”, ha precisato il vicepresidente Schinas.
    La solidarietà tra Paesi membri UE
    La presentazione delle linee-guida della Commissione Europea sull’accoglienza dei rifugiati ucraini (23 marzo 2022)
    Per l’UE è anche fondamentale la cooperazione e la solidarietà tra gli Stati membri per coordinare il sostegno sul campo e l’accoglienza dei rifugiati che fuggono dalla guerra in Ucraina. A questo proposito, è stata istituita una piattaforma di solidarietà che riunisce Stati membri e agenzie UE e adibita all’organizzazione dei trasferimenti sicuri di persone verso Paesi che hanno maggiori capacità di accoglienza, compresi quelli extra-UE (Canada e Regno Unito). La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha reso noto che “per facilitare il dibattito su una condivisione equa dell’onere”, i servizi della Commissione stanno comparando il numero di rifugiati ucraini in ciascuno Stato membro e quello dei richiedenti asilo dello scorso anno, facendo poi un confronto con le dimensioni del Paese: “Questo crea un indice che può indicare in qualche modo quali sono gli Stati che oggi sono di fronte alla pressione maggiore”, ha specificato la commissaria, anticipando che “la Polonia è il primo, poi vengono Austria, Cipro, Repubblica Ceca ed Estonia“.
    Il meccanismo di solidarietà è già in atto, con i primi trasferimenti di 14.500 persone dalla Repubblica di Moldova verso sette Paesi membri e la Norvegia iniziati sabato corso (19 marzo). In questo quadro è contemplato anche il rimpatrio di cittadini non-ucraini che non hanno diritto alla protezione temporanea (ma che comunque devono essere accolti alle frontiere dell’UE). Con il sostegno dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) sono stati organizzati i primi voli umanitari di ritorno volontario dalla Polonia al Tagikistan e al Kyrgyzstan. Infine, nel corso della conferenza stampa, la commissaria Johansson ha ricordato ai rifugiati in arrivo dall’Ucraina tutti i consigli per viaggiare in sicurezza sul territorio UE, in particolare per prevenire i rischi di sfruttamento per donne e bambini.

    Messa in campo anche la piattaforma di solidarietà per coordinare il sostegno sul campo e l’accoglienza. L’esecutivo UE lavora a un indice dei Paesi membri che devono affrontare la situazione più drammatica: Polonia al primo posto

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    Protezione temporanea e 500 milioni di euro dal bilancio UE a sostegno dei 2 milioni di rifugiati dall’Ucraina

    Bruxelles – Due milioni di rifugiati in 12 giorni. La “crisi più velocemente in crescita sul suolo europeo dalla Seconda Guerra mondiale”, come ha evidenziato l’agenzia ONU per i Rifugiati: ogni giorno che passa diventa sempre più urgente la gestione dei rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina verso l’UE. Di qui il supporto messo a disposizione dalla Commissione Europea per aiutare chi cerca rifugio sul territorio comunitario, ma anche i Paesi membri che stanno affrontando “uno sforzo pari a quello di tutto il 2015 e il 2016 messi insieme”, ha sottolineato la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo pacchetto.
    L’assistenza alla gestione delle frontiere e per la protezione di chi lascia l’Ucraina si concretizzerà attraverso due canali principali: un sostegno umanitario da 500 milioni di euro dal bilancio comune dell’UE e l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea, proposta dall’esecutivo comunitario (e approvata all’unanimità dai 27 ministri degli Interni) una settimana fa. “È un pacchetto che si indirizzerà a tutte le persone, a prescindere dalla provenienza e dal colore della pelle“, ha messo in chiaro il vicepresidente Margaritis Schinas, rispondendo alle domande sulle possibili discriminazioni verso i rifugiati da parte dei Paesi di frontiera nell’accogliere o meno chi si presenta ai confini UE dall’Ucraina (e basate sulle posizioni del Gruppo di Visegrád e dell’Austria in Consiglio).
    È la direttiva che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo” a rappresentare il cuore del sostegno umanitario dell’UE (qui tutti i dettagli). “Oggi i rifugiati arrivati nell’UE dall’Ucraina sono 2 milioni, ma Putin non si fermerà e dobbiamo essere pronti ad accoglierne di più“, ha avvertito la commissaria Johansson. L’attivazione del meccanismo scatterà per tutte le persone ucraine o con un permesso di soggiorno rilasciato da Kiev, “afghani e bielorussi compresi”, ma “non è previsto per studenti o turisti da altri Paesi, o con permessi di soggiorno di breve termine“. La direttiva permetterà di velocizzare le attività di controllo di confine “di fronte a una catastrofe umanitaria”, ha ricordato Johansson, grazie anche al supporto delle agenzie dell’Unione (49 agenti Frontex alle frontiere UE-Ucraina e Moldova-Ucraina e 162 in Romania). Centrale in questo approccio è la solidarietà tra gli Stati membri attraverso una piattaforma di solidarietà, che permetterà ai Paesi membri di scambiarsi informazioni sulla capacità di accoglienza in coordinamento con la Commissione.
    Dei 500 milioni di euro dal bilancio dell’UE, 85 saranno destinati come aiuti umanitari diretti (acqua, assistenza sanitaria, alloggi) per l’Ucraina e 5 per la Repubblica di Moldova. Attraverso l‘attivazione del meccanismo di protezione civile dell’UE verranno inviati veicoli, kit medici, tende, coperte e sacchi a pelo, anche a Romania, Polonia e Slovacchia. Nella risposta dell’UE è prevista anche l’adozione della proposta legislativa Azione di coesione per i rifugiati in Europa (CARE), che aiuterà a finanziare con i fondi di coesione dell’UE investimenti in istruzione, occupazione, alloggi, servizi sanitari e di assistenza all’infanzia per i rifugiati in arrivo dall’Ucraina. I fondi per gli affari interni per il 2021-27 porteranno anche “significative risorse aggiuntive” agli Stati membri, per “garantire strutture di accoglienza adeguate e procedure di asilo efficaci“, con la proposta di prolungare il periodo di attuazione dei fondi 2014-2020 “per liberare circa 420 milioni di euro supplementari”.

    La “crisi più velocemente in crescita sul suolo europeo dalla Seconda Guerra mondiale” impone una risposta rapida per l’accoglienza dei profughi “a prescindere dal colore della pelle”. Ma è escluso chi ha un permesso di soggiorno di breve termine

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    Il Parlamento UE diviso tra chi vuole rafforzare le frontiere con la Bielorussia e chi condanna le violazioni dei diritti umani

    Bruxelles – Nel giorno dell’annuncio della nuova proposta di sanzioni contro il regime di Alexander Lukashenko, con l’inclusione di una lista nera di operatori di trasporto che facilitano la tratta di persone verso l’Unione Europea, gli eurodeputati si sono confrontati con la Commissione e il Consiglio UE sulla gestione della frontiera orientale, scontrandosi e dividendosi sull’analisi della crisi migratoria in atto tra Polonia e Bielorussia.
    Nel suo intervento in Aula il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas, ha definito le azioni del presidente della Bielorussia “una minaccia alla sicurezza dell’UE”, dal momento in cui “non sono solo le frontiere polacche, lituane e lettoni in pericolo, ma anche quelle di tutta l’Unione”. Di contro, “la nostra risposta non ha conosciuto pause, ma ora è tempo di azioni, non di diagnosi“, ha esortato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario. Di qui le varie direttrici di intervento di Bruxelles per cercare di limitare i danni e provare a coordinare un approccio che fin a oggi sembra tutto fuorché armonizzato.
    Il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas (23 novembre 2021)
    Prima di tutto c’è stato il sostegno per affrontare la crisi umanitaria “drammatica”, attraverso la mobilitazione di 700 mila euro del bilancio dell’Unione per le organizzazioni internazionali partner. “Dobbiamo dare una protezione adeguata alle persone bloccate alla frontiera”, ha ricordato Schinas. Altri 3,5 milioni di euro saranno stanziati dall’UE per sostenere i rimpatri volontari dalla Bielorussia ai Paesi di origine, “una priorità fondamentale, come mi è stato chiesto nel mio viaggio nei Paesi partner in Medio Oriente“, ha aggiunto il vicepresidente della Commissione UE. E poi oltre 200 milioni di fondi “ai Paesi più colpiti”, ovvero Polonia, Lituania e Lettonia, e il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime bielorusso: “Ma siamo pronti a fare di più se e quando necessario“.
    Come già rivelato nel corso della sessione plenaria di due settimane fa, il Parlamento UE è diviso tra gruppi politici che sostengono il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione e altri che definiscono “inaccettabile per i valori europei” ciò che sta accadendo sul confine tra Polonia e Bielorussia.
    Il primo approccio è quello delle destre, compresi i popolari. “Qualcuno ancora si chiede se ci troviamo in una guerra ibrida sulle frontiere orientali”, ha attaccato Esteban González Pons (PPE). “Non possiamo permetterci tentennamenti mentre la Russia continua la sua politica di invasioni e usa Lukashenko per provare a destabilizzare l’Unione Europea”. Sulla stessa linea d’onda Ryszard Antoni Legutko (ECR), che ha definito quella in corso una “minaccia diretta alla frontiera della Polonia” attraverso l’invio in massa di civili per “far scricchiolare l’UE”. Riportando le parole del primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, l’eurodeputato conservatore ha definito “la nostra passività, la sua forza”. Ancora più duro Nicolas Bay (ID), che ha accusato le istituzioni UE di “incitare i migranti a venire in Europa, promettendo anche loro di accoglierli con 700 mila euro”.
    Dall’altra parte dell’emiciclo, Birgit Sippel (S&D) ha parlato di “catastrofe umanitaria, in cui le persone vengono maltrattate e respinte con la violenza“. L’indice è puntato proprio contro il governo di Varsavia, che “non rispetta i vincoli internazionali e i diritti umani che valgono anche alle frontiere esterne dell’Unione”. L’eurodeputata socialdemocratica ha inoltre esortato la Polonia a “dare accesso alle ONG e ai giornalisti nella zona rossa”. Più radicale l’accusa di Miguel Urbán Crespo (La Sinistra): “Alla frontiera dell’UE con la Bielorussia si stanno usando donne, uomini e bambini come rifiuti, noi ci opponiamo alla visione di una guerra ibrida che giustifica il sostegno a queste politiche violente”.
    Liberali e Verdi hanno invece insistito sul fatto che l’UE non stia parlando con una sola voce contro la Bielorussia di Lukashenko, con la conseguenza di non saper coordinare una risposta “efficace e dignitosa” alle frontiere esterne. “Le telefonate della cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Lukashenko hanno come unico risultato quello di far alzare il tiro delle sue pretese nei confronti dell’Unione”, ha attaccato Petras Auštrevičius (Renew Europe). “Dobbiamo continuare con misure dure contro il regime e contro la compagnia aerea Belavia, perché ancora dopo quattro pacchetti di sanzioni le violazioni dei diritti umani in Bielorussia non si fermano”, ha aggiunto l’eurodeputato lituano.
    Viola Von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) ha sottolineato che “il fatto che Belavia chieda un sacco di soldi per dare alle persone migranti una speranza vana è l’esempio di cosa sia una tratta di esseri umani”. Anche se “alcuni pensano che si possa telefonare e mediare”, il presidente bielorusso Lukashenko e la sua cerchia “possono essere fermati solo con misure dure e sostenendo l’opposizione democratica bielorussa”, ha aggiunto l’europarlamentare tedesca, anticipando l’intervento di domani (mercoledì 24 novembre) della leader Sviatlana Tsikhanouskaya.

    La frattura tra i gruppi delle destre e del fronte sinistre-Verdi-liberali si è aperta durante la discussione sulla gestione della crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia

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    Accordo con la Turchia sui migranti. L’UE pronta ad aprire un nuovo capitolo durante l’estate

    Bruxelles – Da parte della Commissione europea c’è piena disponibilità ad aprire un nuovo capitolo con la Turchia per rinegoziare i termini dell’accordo sui migranti firmato nel 2016. Lo ha confermato il commissario europeo competente in materia di immigrazione Margaritis Schinas durante il suo intervento al Global Solutions Summit.
    Il vicepresidente dell’esecutivo europeo ha annunciato la possibilità che ci possano essere delle novità sull’argomento già prima della pausa estiva di agosto. La condizione però è che il nuovo accordo sia “più pragmatico e meno massimalista rispetto a quello firmato cinque anni fa”. Nel complesso Schinas ha definito “un successo” quanto raggiunto dall’Unione Europea con Ankara sulla partnership in campo migratorio finora. “Non direi che è un modello a cui ispirarsi, ma è stato un successo, perché ha coinvolto il governo turco, le comunità locali e le ONG a fornire ai rifugiati un alloggio, l’istruzione, l’assistenza sanitaria. Sono stati soldi ben spesi per i contribuenti europei”, ha continuato il politico greco.
    Durante il suo intervento il vicepresidente della Commissione ha rimarcato quanto la Turchia sia un partner essenziale nell’accoglienza dei migranti per l’UE: “Dobbiamo dare credito ai nostri amici turchi, che si sono fatti carico di ospitare 3 milioni di rifugiati siriani”. I punti su cui intervenire sono quelli dove l’accordo non ha funzionato rispetto alle aspettative iniziali e tra questi Schinas ha menzionato la mancata modifica della legislazione antiterroristica da parte di Ankara, che ancora pone un freno a un’agevolazione della politica dei visti fra la Turchia e l’UE. “Ma anche da parte nostra ci sono stati compiti non portati a termine”, ha continuato il commissario.
    Allo stesso tempo però la Commissione non sarà disposta ad accettare che la Turchia utilizzi i migranti ospitati al confine con la frontiera europea come provocazione per fare pressione politica su Bruxelles come successo nei primi mesi del 2020. “Questo atteggiamento non aiuta nessuno; al contrario è utile solo a galvanizzare l’unità europea”, ha commentato seccamente Schinas.
    Insieme alle partnership sulla dimensione esterna, la sostenibilità della politica migratoria europea necessiterà anche di un accordo sul Nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo proposto da Bruxelles. Schinas è ottimista, nonostante i mancati progressi fatti a causa della pandemia di COVID-19. “C’è una convergenza tra le differenti sensibilità, guardiamo con fiducia alla presidenza francese del Consiglio UE (che partirà il 1° gennaio 2022, ndr)”, ha aggiunto. “E sono convinto che le elezioni federali in Germania del prossimo settembre saranno d’aiuto più che un ostacolo”.

    Il commissario europeo Margaritis Schinas ha definito “un successo” la partnership stipulata nel 2016. Ora l’obiettivo è rendere lo strumento “più pragmatico”