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    “Sono la presidente della Macedonia”. La neo capa di Stato cancella metà nome del Paese e riaccende le tensioni diplomatiche con Atene

    Bruxelles – Sono bastati pochi giorni dal trionfo alle urne per i nazionalisti in Macedonia del Nord e già il delicato equilibrio diplomatico messo in piedi nel 2018 ha subito un grosso scossone, provocando dure reazioni nella regione balcanica, e profonda perplessità a Bruxelles, sulla serietà del nuovo establishment politico nel rispettare gli impegni assunti a livello internazionale per raggiungere l’obiettivo dell’adesione all’Unione Europea. Perché nel discorso inaugurale della neo-eletta presidente macedone, Gordana Siljanovska-Davkova, non è mai comparso il nome costituzionale del Paese concordato con la Grecia nel 2018 – Macedonia del Nord, appunto – in linea con l’opposizione dura dei nazionalisti di Vmro-Dpmne all’Accordo di Prespa.La bandiera con il Sole di Verghina, simbolo della dinastia reale macedone (Armend Nimani / Afp)“Rispetterò la Costituzione e le leggi, proteggerò la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Macedonia” e “dichiaro che svolgerò la carica di presidente della Macedonia in modo coscienzioso e responsabile”, così ha giurato ieri (12 maggio) la prima presidente donna nella storia poco più che trentennale della Macedonia (oggi del Nord) indipendente dal 1991. L’assenza di “Nord” non è un dettaglio di poco conto, tutto al contrario. La Macedonia del Nord è un Paese candidato all’adesione Ue dal 2005, ma il suo percorso è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia per la contesa identitaria sull’uso del nome della patria di Alessandro Magno: sia Skopje sia Atene lo rivendicano come parte esclusiva della propria storia ed eredità culturale. Solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018 dagli allora primi ministri greco, Alexis Tsīpras, e macedone, Zoran Zaev, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord e ha rinunciato a utilizzare il Sole di Verghina – simbolo della dinastia reale macedone – ricevendo in cambio da Atene il riconoscimento della lingua macedone e il via libera all’adesione di Skopje alla Nato e all’Unione Europea.Da sinistra: gli allora primi ministri della Grecia, Alexis Tsīpras, e della Macedonia del Nord, Zoran Zaev, in occasione della firma dell’Accordo di Prespa (12 giugno 2018)Quanto andato in scena ieri a Skopje è stato un primo assaggio – tanto temuto quanto in realtà atteso – dopo la travolgente vittoria elettorale di Vmro-Dpmne mercoledì scorso (8 maggio) non solo alle presidenziali, ma anche alle legislative, in cui la coalizione guidata dai nazionalisti si è fermata a soli tre seggi dalla maggioranza assoluta nella futura Assemblea parlamentare. Sia per le posizioni intransigenti mostrate nel corso degli ultimi anni sia per la retorica inasprita nel corso della campagna elettorale, ci si aspetta un aumento della tensione diplomatica tra Skopje e i vicini regionali con cui sono ancora latenti delicate questioni nazionaliste, in primis con la Grecia. Dopo che l’ambasciatore greco in Macedonia del Nord ha lasciato in protesta la cerimonia di insediamento di Siljanovska-Davkova, il ministro degli Affari Esteri greco, Georgios Gerapetritis, ha condannato apertamente il gesto della neo-presidente macedone, definendolo “una flagrante violazione dell’Accordo di Prespa e della Costituzione del nostro Paese vicino“. Il ministro del gabinetto guidato da Kyriakos Mītsotakīs ha anche reso noto che il testo ufficiale del giuramento faceva riferimento al Paese come ‘Macedonia del Nord’ e, di conseguenza, la scelta di definirlo solo ‘Macedonia’ è stata intenzionale: “I progressi nel percorso europeo dipendono dalla piena attuazione dell’Accordo di Prespa e principalmente dall’uso del nome costituzionale del Paese”.La neo-presidente della Macedonia del Nord, Gordana Siljanovska-Davkova (credits: Robert Atanasovski / Afp)Un principio condiviso in tutta l’Unione, in particolare dai leader delle istituzioni Ue. “Affinché la Macedonia del Nord possa continuare il suo percorso di successo verso l’adesione all’Ue, è fondamentale che il Paese prosegua sulla strada delle riforme e del pieno rispetto degli accordi vincolanti, compreso l’Accordo di Prespa”, ha messo in chiaro la numero uno della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dopo essersi congratulata con la prima presidente della Repubblica donna del Paese balcanico. Lo stesso ha fatto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ancora più duro nel commentare la scelta “molto deludente” di Siljanovska-Davkova: “L’Ue ricorda l’importanza di continuare ad attuare gli accordi giuridicamente vincolanti, compreso l’accordo di Prespa con la Grecia”. Dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) è arrivata una forte esortazione al prossimo governo guidato dai nazionalisti: “Hanno a disposizione un nuovo inizio per dimostrare che sono impegnati nel percorso di adesione Ue“, ha spiegato oggi (13 maggio) alla stampa il portavoce Peter Stano, rifiutandosi però di “speculare su cosa succede se non rispetteranno gli impegni”. In altre parole, se Bruxelles deciderà di bloccare i negoziati di adesione avviati nell’estate del 2022 dopo tre anni di attesa.Perché nel frattempo si teme anche un’escalation nei rapporti con la Bulgaria, negli ultimi anni il vicino più problematico per Skopje su questioni di natura puramente identitaria. “La prospettiva europea della Macedonia del Nord dipende dalla rigorosa attuazione dei trattati internazionali di cui è parte, nonché dal quadro negoziale approvato dal Consiglio europeo nel luglio 2022, che non sarà rivisto”, ha già messo in chiaro il presidente bulgaro, Rumen Radev. Era il 9 dicembre 2020 quando si registrava in Consiglio Affari Generali lo stop della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione Ue con Skopje, tenuti in stallo per oltre un anno e mezzo fino alla svolta dell’estate 2022. Solo grazie all’iniziativa del presidente francese, Emmanuel Macron, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi anche quello macedone ha dato l’approvazione all’intesa: con la firma del protocollo bilaterale tra Sofia e Skopje si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alla prima conferenza intergovernativa il 19 luglio 2022.

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    Prove tecniche del vertice UE-Balcani Occidentali: inizia il viaggio di von der Leyen nella regione

    Bruxelles – Ora si inizia a fare sul serio. A poco più di una settimana dal vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è pronta per iniziare il suo viaggio nella regione. Al centro del confronto con i leader dei Paesi balcanici, tutti i dossier più caldi: dalle prospettive di adesione all’UE, al sostegno economico di Bruxelles alla regione, fino alle complicazioni nell’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e le tensioni tra Serbia e Kosovo. Tra oggi e giovedì (30 settembre) andranno in scena le prove tecniche del summit del 6 ottobre, l’occasione migliore per captare gli umori degli invitati a Kranj.
    Saranno 72 ore intense per la leader dell’esecutivo comunitario, ospite dei presidenti di Stato e di governo di Albania, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Il viaggio inizia questa mattina da Tirana, dove von der Leyen inaugurerà una scuola ricostruita dopo il terremoto del 2019 grazie ai fondi europei, per poi continuare con le visite a Skopje, Pristina e Podgorica. Tra mercoledì e giovedì la presidente della Commissione UE sarà a Belgrado, per partecipare all’evento di lancio di un progetto ferroviario legato al Corridoio paneuropeo X. Ultima tappa a Sarajevo, dove incontrerà i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina.
    I problemi da affrontare
    Presentando le premesse e gli obiettivi del viaggio, la portavoce della Commissione UE Dana Spinant ha spiegato che von der Leyen non solo “esprimerà attaccamento alla regione e al suo futuro europeo”, ma “discuterà anche dei temi politici di attualità e degli sviluppi regionali con tutti i leader che incontrerà”. Tra le questioni più scottanti sul tavolo c’è la tensione crescente tra Belgrado e Pristina sulla ‘battaglia delle targhe’, che continua a riguardare da vicino Bruxelles. Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, ha ribadito che “la de-escalation è responsabilità di entrambe le parti”. Facendo riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, Stano si è detto preoccupato di “una situazione che non è positiva né per i cittadini serbi né per quelli kosovari”, né tantomeno per il dialogo decennale mediato dall’Unione Europea.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić
    Se il rapporto sempre più in salita tra Pristina e Belgrado sta catalizzando l’attenzione di Bruxelles, sarebbe un grave errore per le istituzioni europee sottovalutare gli altri malumori e difficoltà presenti nella regione. Primo su tutti, lo stallo sull’avvio del processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord. Il problema è tutto del Consiglio dell’UE, a causa del veto della Bulgaria sul quadro negoziale con Skopje per questioni di natura ideologico-culturale. Nonostante le dure critiche dell’alto rappresentante Borrell agli Stati membri, nulla sembra essersi sbloccato e questa immobilità sta minando la fiducia dei cittadini macedoni e albanesi (il cui quadro negoziale con l’UE è legato a quello di Skopje) sulle reali possibilità di fare ingresso nell’Unione Europea.
    Di conseguenza, il viaggio nei Balcani della presidente von der Leyen rappresenta un tentativo di rassicurare i partner regionali. Non solo a Skopje e Tirana, ma anche a Podgorica. Nonostante il Montenegro sia attualmente il Paese allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE, Bruxelles teme che possano ripetersi episodi di debiti stellari contratti dal Paese con la Cina, come quello che si è risolto solo a luglio, dopo mesi di incertezza. Ecco perché la Commissione Europea sta facendo del Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro per la stabilizzazione della regione il suo cavallo di battaglia: in questo senso potrà presentare ai leader balcanici un risultato tangibile, ovvero l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che ha finalmente sbloccato questi fondi.
    Gli altri punti in agenda
    Tra i temi da affrontare per la presidente von der Leyen in questo viaggio nei Balcani – e che riemergeranno la settimana prossima al Brdo Congress Centre – ci sono anche il rispetto dello Stato di diritto e delle riforme necessarie per seguire la strada dell’integrazione europea. Questo discorso vale in particolare per la Bosnia ed Erzegovina, che ha ancora molto da lavorare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale). Il Paese ha bisogno di sostegno da Bruxelles sul fronte della riconciliazione etnica, del rafforzamento della democrazia e della stabilizzazione delle istituzioni nazionali.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il primo ministro ungherese, Viktor Orbán
    Occhi puntati anche sulla Serbia del presidente Aleksandar Vučić, sempre più attratta dalle lusinghe del premier ungherese, Viktor Orbán (che non si sta dimostrando esattamente un campione nel rispetto dello Stato di diritto). Ultima in ordine cronologico, l’esortazione a Bruxelles di velocizzare l’accesso di Belgrado all’UE, per “difendere con maggiore energia i confini meridionali dello spazio Schengen“. Orbán ha sottolineato con forza che “tutti saremmo stati più al sicuro” se la Serbia avesse fatto parte dell’Unione, facendo un riferimento nemmeno troppo implicito alla questione della rotta migratoria sui Balcani.
    Anche considerata la drammatica situazione dei campi profughi in Bosnia – coperta da una coltre di silenzio estivo, ma pronta a ripetersi con il ritorno dell’inverno – per le istituzioni europee il tema della gestione della rotta balcanica dovrebbe essere il primo, non l’ultimo tema in agenda. Ma in un’Unione che non riesce a trovare un’intesa sulla migrazione e l’asilo nemmeno al suo interno, è quasi utopico pensare che i Ventisette possano parlare con una sola voce ai loro partner balcanici durante il vertice in Slovenia. Impossibile aspettarselo da un viaggio di soli tre giorni in sei capitali da parte della presidente della Commissione UE.

    Per tre giorni la presidente della Commissione UE discuterà con i leader balcanici dei problemi regionali e delle prospettive di integrazione europea. È il banco di prova più importante prima del summit in Slovenia del 6 ottobre