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    L’Ue sfida Putin: Vertice con i Paesi dell’Asia centrale il prossimo anno

    Bruxelles – Dopo Caucaso e Ucraina, l’Asia centrale. La certosina opera di espansione dell’Europa verso est, per rosicchiare quelle zone di mondo storicamente e tradizionalmente più vicine ad altre logiche e visioni, più moscovite e russofone, continua. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta pensando di portare a Bruxelles i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan. “Stiamo cercando di organizzare un vertice dell’Unione europea con l’Asia centrale l’anno prossimo“, riconosce un alto funzionario Ue. Si tratta del “primo vertice di sempre” in questo formato.
    Una sfida alla Russia e al suo ‘zar’ dei tempi contemporanei, Vladimir Putin. Kazakistan e Kirghizistan, Tagikistan sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare istituita nel 1992 come riorganizzazione post-sovietica di cui la Russia è capofila. Kazakistan e Kirghizistan fanno anche parte dell’Unione economico euro-asiatica (EAEU), unione doganale e commerciale sempre con capofila la Russia e che vede l’Uzbekistan nella veste di osservatore esterno. Portare attorno al tavolo i leader di questi Paesi vuol dire cercare di scardinare il modello putiniano nella regione o, comunque, avviare una nuova fase nei rapporti con Stati improvvisamente meno lontani.
    Politicamente la guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina ha indebolito l’immagine di Putin. Il contestuale cambio di potere in Kazakistan, con l’attuale presidente Kassym-Jomart Kemeluly Tokayev meno assertivo nei confronti del Cremlino, offre all’Ue l’opportunità di provare ad accrescere la propria presenza nella regione. Vero è, ammette lo stesso alto funzionario europeo, che l’idea di un summit Ue-Asia centrale è stata presa “basandosi sul successo” degli incontri con lo stesso Tokayev, l’ultimo dei quali a Berlino la settimana scorsa, e “sulla partecipazione del presidente Michel agli incontri con tutti i leader dell’Asia centrale”. Perché Michel è molto attivo su questo fronte, e non è un caso.
    Si intravede una strategia, che va nella direzione di eliminare ciò che ancora rimane di un vecchio ordine mondiale basato su due blocchi. Il ragionamento che si fa sull’Armenia lo dimostra. Anche l’Armenia è membro CSTO e EAEU. Ma l’offensiva dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh offre un’opportunità. L’Ue può poco per soddisfare le rivendicazioni armene su un territorio mai riconosciuto come armeno, ma può offrire prospettive europee.
    In occasione della riunione della Comunità politica europea in programma a Granada il 5 ottobre “dobbiamo essere in ‘modalità ascolto’ per capire cosa meglio fare per sostenere Armenia”, spiegano fonti Ue. Il governo di Yerevan, lasciato solo per l’occasione dal partner russo, “potrebbe anche dover decidere cosa fare a lungo termine con la sua adesione alla CSTO e cosa fare a lungo termine con la sua adesione all’unione doganale eurasiatica”. Si guarda alle scelte dell’Armenia, pronti a offrire una nuova sponda consapevoli di un’intesa russo-azera disegnata per circumnavigare le sanzioni Ue contro la Russia.
    Il blocco a dodici stelle ha tagliato gli acquisti di gas russo e aumentato la domanda di quello dell’Azerebaijan, che per soddisfare il proprio fabbisogno interno si rifornisce da Gazprom al fine di compensare l’aumento di vendite all’Europa. In sostanza, alla fine è Baku a finanziare il regime russo con i soldi presi dall’Europa per il gas venduto proprio all’Europa. Uno dei motivi che ha spinto Mosca a non intervenire nella contesa tutta caucasica.
    L’Ue è consapevole che le sanzioni non stanno dando un’efficacia al 100 per cento. Un meccanismo anti-elusione è stato inserito nell’11esimo pacchetto proprio per questo. Michel vorrebbe che i Paesi dell’Asia centrale si allineassero alla politica Ue in materia di restrizioni contro il Cremlino. Ha già iniziato a porre la questione certamente continuerà. Magari nel vertice che verrà. Per ora ci si lavora, per gradi. Con l’obiettivo di ridefinire i rapporti di forza in Asia centrale.
    Questa idea di un summit Ue-Asia centrale si va ad aggiungere all’espansione che il blocco occidentale tutto, incluso quello europeo, ha già visto con l’adesione di Svezia e Finlandia nella Nato. C’è dunque un pressione euro-atlantica che cresce verso est. L’iniziativa di un ‘allargamento’ Ue verso i Paesi dell’Asia centrale tradizionalmente partner della Russia non fa che accrescere quel senso di accerchiamento denunciato da Putin già dal 2007 , in occasione della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco.

    L’idea a cui lavora il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Si cerca di scardinare l’alleanza economica e militare regionale della Russia

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    Ue preoccupata per il rischio che la Russia aggiri le sanzioni con l’Unione economica euroasiatica

    Bruxelles – Le sanzioni dell’Ue contro la Russia e il rischio di un loro aggiramento attraverso l’Unione economica euroasiatica (Eaeu). E’ più che un’ipotesi, tanto che in Parlamento europeo c’è chi si inquieta e chiede conto di alleanze politico-commerciali che rischiano di vanificare sforzi e misure senza precedenti profusi fin qui per rispondere alle manovre miliari di Mosca su suolo ucraino. 
    Fin qui l’Ue ha colpito il Cremlino, e allineato le sanzioni anti-Putin a quelle decretate contro la Bielorussia accusata di aiutare la Russia. Ma c’è l’area di libero scambio che unisce Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, garantendo un cooperazione che potrebbe permettere di aggirare le restrizioni a dodici stelle. Perché gli europei non possono vendere in Russia e Bielorussia, ma non c’è nulla che vieti loro di continuare con le esportazioni verso gli altri membri dell’Unione economica euroasiatica.
    Liudas Mažylis, europarlamentare lituano del Ppe, ha più di qualche dubbio. Innanzitutto, sottolinea, “lo scorso anno il commercio dei paesi dell’Asia centrale con la Russia è cresciuto in media dal 60 all’80 per cento” rispetto al 2021, vale a dire il periodo precedente all’avvio dell’aggressione all’Ucraina. L’europarlamentare, nella sua interrogazione in materia, cita dati commerciali riferito al periodo  gennaio-ottobre 2022. In questo lasso temporale “le aziende kazake hanno esportato in Russia oltre 500 milioni di euro in più di elettronica e telefoni cellulari, ovvero 18 volte di più rispetto allo stesso periodo del 2021“.
    I partner commerciali dell’Eaeu possono dunque contribuire a sostenere Putin, la sua economia, e la sua macchina da guerra. In barba all’Ue e alle sue sanzioni. A detta di Mažylis, “a causa dell’aumento delle esportazioni di prodotti a duplice uso in Asia centrale, i componenti fabbricati nell’Ue possono essere trovati nelle attrezzature e negli armamenti militari russi utilizzati nella guerra contro l’Ucraina”. Dunque, denuncia, “si può presumere che le sanzioni imposte dall’Ue alla Federazione russa vengano eluse deviando i flussi commerciali attraverso paesi terzi, compresi gli Stati dell’Asia centrale“.
    La questione si come eccome, tanto che “la Commissione ha avviato un dialogo con le autorità dei paesi terzi, tra cui Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan, in cui è stato individuato un rischio di elusione“, riconosce la commissaria per i Servizi finanziari, Mairead McGuinness, incaricata di rispondere a nome dell’intero collegio. Questo dialogo pone “particolare attenzione agli elementi critici per lo sviluppo militare, industriale ed economico della Russia”.

    Che in Asia centrale vi siano nodi geo-politici e di alleanze da sciogliere è cosa nota. Il voto dell’Assemblea generale dell’Onu dello scorso febbraio per una pace giusta in Ucraina ha visto l’astensione sia di Kazakistan sia del Kirghizistan, entrambi membri dell’Unione economica euroasiatica. Anche l’Uzbekistan, osservatore e altro interlocutore dell’Ue, si è astenuto, al pari del Tagikistan, altro osservatore. La risoluzione votata chiede in particolare che la Russia “ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari dal territorio dell’Ucraina e chieda la cessazione delle ostilità”.
    Nessuna condanna esplicita, ma neppure uno schierarsi con l’Europa e l’occidente. Per la ‘neutralità’ scelta diventa difficile per l’Unione europea considerare questi Paesi dell’Asia centrale e membri dell’Unione economica euroasiatica come sostenitori e alleati della Russia di Putin, e dunque prendere le decisione che il caso richiederebbe. La via del convincimento è allo stato attuale l’unica che l’esecutivo comunitario ha scelto di perseguire e proseguire.
    “La Commissione ha organizzato seminari di rafforzamento delle capacità dell’Ue in materia di sanzioni in Kazakistan e Uzbekistan”, spiega ancora McGuinness, lasciando intendere che comunque non si resterà a guardare. “L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), in collaborazione con gli Stati membri, monitora e indaga su possibili elusioni delle sanzioni dal punto di vista antifrode”.
    L’Ue cerca di sfruttare i mutamenti di equilibri politici in Asia centrale. L’uscita di scena di Nursultan Nazarbeyv in Kazakistan ha privato la Russia di Putin di un alleato da sempre incrollabile. Il nuovo presidente, Kassym-Jomart Tokayev, ha impresso un allentamento nelle relazioni col Cremlino dopo l’avvio delle operazioni militari russe in Ucraina (non va dimenticato in Kazakistan ci sono oltre 3 milioni di russi, il 15 per cento della popolazione, concentrata soprattutto a nord, a ridosso della frontiera russo-kazaka).
    Si intravedono rischi, ma allo stesso tempo anche opportunità di dialogo con Paesi sì alleati della Russia, ma un po’ meno di un tempo. Avanti dunque con il dialogo. Nell’auspicio generale di non dover andare allo scontro con l’intera Unione economica euroasiatica.

    Dal Parlamento l’interrogazione che pone il problema. La Commissione riconosce “un rischio di elusione” via Kazakistan e Kirghizistan

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    Le prime azioni strategiche dell’Ue per stringere i rapporti con il Kazakistan e scalzare la Russia in Asia Centrale

    Bruxelles – L’Unione Europea sta mettendo a terra la propria strategia per scalzare la Russia come partner economico privilegiato dei Paesi dell’Asia Centrale e lo fa partendo dalla pedina centrale di questo progetto: il Kazakistan. È con questo obiettivo che sono state annunciate questa mattina (18 maggio) le prime “azioni concrete” per attuare il Memorandum d’intesa sul partenariato strategico Ue-Kazakistan nel campo delle materie prime, delle batterie e dell’idrogeno rinnovabile.
    Il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, al Forum Economico Ue-Asia Centrale (Almaty, 19 maggio)
    A siglare l’intesa è stato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, in visita nella città kazaka di Almaty per partecipare al Forum Economico Ue-Asia Centrale, dando un seguito pratico all’intesa raggiunta a inizio settimana tra la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, e il premier del Kazakistan, Alikhan Smailov. Le azioni pratiche si inseriscono nel quadro della tabella di marcia del Memorandum d’intesa definito tra le due parti nel corso della prima giornata del Summit dei leader della Cop27 di Sharm El-Sheikh il 7 novembre dello scorso anno, con l’obiettivo di sviluppare in approvvigionamento sicuro e sostenibile nei tre campi fondamentali per le transizioni gemelle verde e digitale. “L’Ue può sostenere il Kazakistan nella creazione di beni a più alto valore aggiunto che favoriscono lo sviluppo economico e aumentano la prosperità della popolazione, mentre l’Ue può ottenere un accesso affidabile a fattori produttivi chiave“, ha sottolineato lo stesso Dombrovskis, rendendo noti i prossimi passi della tabella di marcia del Memorandum.
    Tra il primo e il 2 giugno il vicepresidente della Commissione Ue per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, incontrerà il primo ministro e il ministro dell’Industria e dello sviluppo delle infrastrutture, Marat Karabayev, a margine del 13esimo Congresso internazionale delle miniere e della metallurgia di Astana, “per incontrare i leader economici di entrambe le parti”. Si tratta di una delle aree di intervento principali di lavoro nei prossimi mesi, con il coinvolgimento delle parti interessate dell’industria per individuare “progetti di investimento comuni”. Al centro della tabella di marcia c’è anche una “più stretta cooperazione” in materia di esplorazione geologica, ricerca e innovazione, formazione di competenze e sviluppo di capacità – in particolare attraverso il programma Horizon Europe e lo strumento di cooperazione dell’Ue – dove saranno essenziali i trasferimenti di tecnologia e l’aumento di fonti rinnovabili “essenziali per affrontare la crisi climatica”, è quanto mettono in chiaro le due parti.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ad Astana (27 ottobre 2022)
    Gli sforzi di stringere un partenariato sempre più stretto con il Kazakistan risponde alla strategia di Bruxelles di avvicinare l’intera regione dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) alla sfera d’influenza dell’Unione Europea soprattutto in campo economico e climatico. “Il nostro Global Gateway per l’Asia Centrale può spingere iniziative per la gestione delle acque, l’energia e il cambiamento climatico“, ha confermato Dombrovskis nel suo intervento al Forum Economico Ue-Asia Centrale, anticipando la “prima azione dal valore di 20 milioni di euro entro quest’estate“. Il primo obiettivo dell’iniziativa Global Gateway nella regione è quello di “migliorare la gestione delle risorse e aumentare gli investimenti per facilitare la transizione” e per questo motivo il vicepresidente esecutivo della Commissione ha ricordato che “circa il 40 per cento degli iniziali 700 milioni di euro di fondi a supporto di questa iniziativa sono dedicati a investimenti in infrastrutture fisiche”. La credibilità di Bruxelles agli occhi dei Cinque dell’Asia Centrale deriva dall’espansione dei meccanismi di commercio e di investimento per lo sviluppo regionale proprio attraverso la nuova piattaforma del Forum economico.
    Il rapporto Ue-Kazakistan
    Se la strategia dell’Unione è quella di scalzare la Russia come primo partner economico e commerciale (e in futuro forse anche politico) dei cinque Paesi dell’Asia Centrale, la chiave di volta è il Kazakistan. Il presidente della Repubblica kazaka, Kassym-Jomart Tokayev, fino allo scoppio della guerra russa in Ucraina guardava a Mosca come sponda per reprimere le proteste interne attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan), ma dal 24 febbraio 2022 qualcosa sembra essersi incrinato nella fiducia verso Vladimir Putin. Di fronte al rischio che il Cremlino decida in futuro di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti, i Paesi della regione non sembrano più così restii a cercare altri alleati e canali di sviluppo in giro per il mondo. E qui è dove cercano di intercettarli i Ventisette.
    “Una cosa è assolutamente certa, il nostro rapporto è forte e sta diventando ancora più forte“, aveva commentato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, al termine dell’incontro con il presidente kazako ad Astana il 27 ottobre dello scorso anno, in occasione della prima riunione regionale di alto livello dei Cinque dell’Asia Centrale. Il Kazakistan è considerato un “hub per la connettività dei trasporti tra Oriente e Occidente“, su cui Bruxelles è intenzionata a investire attraverso due iniziative Global Gateway: una su acqua, energia e cambiamenti climatici e una sulla connettività digitale. In quell’occasione Michel aveva anticipato la firma “a breve” del Memorandum d’intesa, messo poi a terra nemmeno due settimane dopo dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen e dal premier kazako Smailov in Egitto durante la Cop27. Una partnership basata su tre aree di collaborazione: integrazione economica e industriale nelle catene del valore strategico delle materie prime, delle batterie e dell’idrogeno rinnovabile, implementazione della resilienza delle catene di approvvigionamento, e rafforzamento di capacità, competenze, ricerca e innovazione sulla decarbonizzazione della catena del valore delle materie prime critiche.

    Le ha annunciate il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, per l’attuazione del Memorandum d’intesa su materie prime, batterie e idrogeno rinnovabile secondo la tabella di marcia del partenariato. “Entro l’estate” i primi 20 milioni di euro dal Global Gateway

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    Tokayev verso la rielezione alla presidenza del Kazakistan

    Bruxelles – Kassym-Jomart Tokayev verso la conservazione della testa del Kazakistan. Il presidente uscente avrebbe vinto le elezioni conquistando oltre l’81 per cento dei consensi, garantendosi così un secondo mandato di sette anni. Condizionale d’obbligo visto che lo spoglio delle schede non è concluso, ma i risultati provvisori sono tali indurre la Commissione elettorale centrale a ritenere che non ci saranno sorprese nel conteggio delle schede rimanenti. “L’Unione europea prende atto dei risultati preliminari“, fa sapere Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, complimentandosi a nome dell’Unione per la “efficiente preparazione” del voto nonché per “le più ampie riforme politiche e socioeconomiche avviate dal presidente Tokayev”. Per l’Ue “lo sviluppo di istituzioni democratiche resilienti e di una società civile forte è fondamentale per la stabilità e lo sviluppo del Kazakistan”.
    Dichiarazioni che vanno oltre ‘la circostanza’, vista la zona geografica e le loro tradizioni. Sotto la guida di Nursultan Nazarbayev il Kazakistan ha tenuto sempre posizione filo-russe e filo-Putin, mentre sotto Tokayev il Paese ha operato un cambio di rotta. Le relazioni con Mosca sono state riviste anche alla luce dell’aggressione dell’Ucraina, visto che una forte minoranza ucraina si trova nel nord del Kazakistan. Il passaggio Narbayev-Tokayev ha permesso anche un dialogo tutto nuovo tra la repubblica dell’Asia centrale e il blocco dei Ventisette, suggellato con l‘accordo su idrogeno e materie prime.

    Il presidente uscente, secondo i primi dati preliminari avrebbe oltre l’81 per cento dei voti. L’Ue “prende atto” e si congratula per come si è svolto il voto

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    Von der Leyen sigla l’intesa con il Kazakistan su materie prime e idrogeno. I primi impegni Ue alla Cop27 di Sharm el-Sheikh

    Bruxelles – Materie prime, idrogeno e batterie. E’ nella prima giornata (7 novembre) del Summit dei leader della Cop27 di Sharm El-Sheikh che Ursula von der Leyen ha siglato con il primo ministro del Kazakistan, Alikhan Smailov, un memorandum d’intesa per dar vita a un partenariato tra l’Ue e il Paese asiatico per lo sviluppo di un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime, batterie e catene del valore dell’idrogeno rinnovabile che sono fondamentali per le transizioni verde e digitale.
    Le materie prime critiche servono a costruire, ad esempio, le turbine eoliche (con magneti in terre rare); batterie (litio e cobalto) e semiconduttori (polisilicio), e la Commissione ha in programma per l’anno prossimo di mettere in piedi una strategia dedicata solo alle materie prime. Mentre le batterie sono fondamentali per la mobilità a emissioni zero, e la tecnologia dell’idrogeno rinnovabile sostiene la decarbonizzazione dei settori in cui le emissioni sono difficili da abbattere, come le industrie energivore. Von der Leyen e Smailov si sono impegnati a sviluppare una tabella di marcia per il periodo 2023-2024, con azioni congiunte concrete concordate entro sei mesi dalla firma del partenariato.

    Glad to sign the 🇪🇺🇰🇿 agreement on raw materials, batteries and renewable hydrogen with @PrimeMinisterEn Smailov.
    We will better integrate value chains that are key to the green and digital transition.
    It’s a new chapter in our already deep relationship. https://t.co/Pl4HfQQ9Em
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 7, 2022

    Nello specifico, la partnership è concentrata su tre aree di collaborazione. In primo luogo, l’integrazione economica e industriale nelle catene del valore strategico delle materie prime, delle batterie e dell’idrogeno rinnovabile progetti comuni le lungo rispettive catene del valore, allineamento di elevati standard ambientali, sociali e di governance (ESG) e modernizzazione dei processi e delle tecnologie di estrazione e raffinazione attraverso l’introduzione di nuove tecnologie e pratiche sostenibili. In secondo, su come aumentare la resilienza delle catene di approvvigionamento migliorando “trasparenza e le informazioni sugli investimenti, alle operazioni e alle esportazioni rilevanti per l’ambito di questa partnership”.
    In ultimo, la cooperazione si concentrerà su come rafforzare capacità, competenze e ricerca e innovazione sulla decarbonizzazione della catena del valore delle materie prime critiche. In conferenza stampa a margine dei lavori della Cop27, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite ospitata quest’anno dall’Egitto e che ha preso il via ieri fino al 18 novembre, la presidente ha ricordato che l’Unione Europea è il “più grande investitore straniero in Kazakistan, con il 60 per cento dello stock di investimenti diretti esteri”. Il Memorandum d’intesa servirà ad ampliare “ulteriormente questo rapporto” allineandolo alle priorità condivise da entrambe le parti.
    Il Summit dei leader alla Cop27
    Von der Leyen interverrà domani al Summit dei leader a nome dell’Ue, insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Quindi oggi ha preso parte a una serie di eventi collaterali alla Cop27, come il vertice di partenariato dei leader forestali e climatici, confermandovi l’adesione dell’Unione europea. “A Glasgow ci siamo impegnati a proteggere la salute dei polmoni del nostro pianeta: le nostre foreste. La Commissione europea si è impegnata a stanziare un miliardo di euro”, ha ricordato. Ma “ora stiamo aumentando i finanziamenti, le nuove regole per un commercio rispettoso delle foreste e i partenariati per la conservazione”.

    La prima giornata di Summit si è aperta con le parole del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che ospita il vertice, che ha messo in guardia del fatto che “non c’è più tempo per esitare, ogni governo deve agire, deve sfruttare tutte le sue capacità per trovare una soluzione”. Al Sisi ha avuto incontri bilaterali con von der Leyen e con la premier Giorgia Meloni, al suo debutto nel dialogo climatico su scala internazionale.  E’ seguito un monito molto duro da parte del segretario generale Onu, Antonio Guterres, che ha parlato di umanità di fronte a un bivio: o si coopera contro il cambiamento climatico o si perisce.
    “Siamo sull’autostrada per l’inferno climatico, con il piede ancora sull’acceleratore”, ha avvertito Guterres. E poi, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez e Olaf Scholz: i leader di Francia, Spagna e Germania sono intervenuti per sottolineare che la guerra di Russia in Ucraina non dovrà mettere a repentaglio le ambizioni globali sui cambiamenti climatici, non dovrà significare un passo indietro da parte della comunità internazionale degli Stati. “Questa guerra deve portarci a rafforzare la transizione energetica, dobbiamo dare un nuovo slancio anche alla protezione del clima con misure all’altezza. Abbiamo il dovere morale di agire con determinazione”, ha chiarito Sanchez. Dei quasi 100 leader presenti, la metà ha preso parola mentre l’altra metà (compresi von der Leyen e Michel) lo faranno domani. Grandi assenti la Cina e l’India, i più grandi emettitori al mondo, a cui si rivolge senza mezzi termini Guterres chiedendo di assumersi le responsabilità.

    La prima giornata del summit dei leader sul clima della Cop27 tra gli interventi del segretario generale Onu Antonio Guterres e della premier Giorgia Meloni. Bruxelles si impegna a rafforzare la partnership con Astana per la catena del valore di materie prime, batterie e idrogeno che servono alla transizione

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    La guerra in Ucraina cambia gli equilibri geopolitici. L’Ue tenta di scalzare la Russia come partner dell’Asia Centrale

    Bruxelles – L’Unione Europea guarda sempre più a Est, per diventare un attore geopolitico influente nelle regioni più instabili del continente euro-asiatico, dal Caucaso all’Asia Centrale, là dove storicamente era la Russia il centro di gravità. Dopo aver messo un tassello importante per tentare di trovare una soluzione sostenibile al conflitto trentennale tra Armenia e Azerbaigian con l’invio di una missione di esperti, è alle cinque ex-Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) che si rivolge ora l’attenzione dell’Ue. L’obiettivo è quello di stringere sempre più i rapporti nell’ottica di partenariati regionali – che stabilizzino l’aerea con la cooperazione in diversi settori – e internazionali – che isolino i tentativi della Russia di rovesciare l’ordine internazionale.
    Da sinistra: il presidente del Kirghizistan, Sadyr Zhaparov, del Consiglio Europeo, Charles Michel, del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, del Tagikistan, Emomali Rahmon, e il vicepresidente del Consiglio del Turkmenistan, Hojamyrat Geldimyradow (Astana, 27 ottobre 2022)
    In questo senso si inserisce la prima riunione regionale di alto livello ad Astana (Kazakistan) a cui ha partecipato ieri (giovedì 27 ottobre) il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, insieme ai presidenti di Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, Kirghizistan, Sadyr Zhaparov, Tagikistan, Emomali Rahmon, Turkmenistan, Serdar Berdimuhamedov, e Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev. In “un’atmosfera aperta e amichevole di rispetto e fiducia reciproci”, come si legge nella nota congiunta dei sei leader, è stato posto come primo pilastro per lo sviluppo di partenariati solidi l’impegno a lavorare per pace, sicurezza, democrazia, Stato di diritto (anche se sono evidenti le carenze su questi ultimi due punti in tutti e cinque gli -stan dell’Asia Centrale) “nel pieno rispetto del diritto internazionale“. La base è la Carta delle Nazioni Unite, “in particolare i principi del rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, del non-uso della forza o della minaccia di usarla e della risoluzione pacifica delle controversie internazionali”. Evidenti richiami all’aggressione russa in Ucraina, che in una certa misura spaventa anche le ex-Repubbliche sovietiche per il disegno egemone del Cremlino.
    Sul piano della politica internazionale è comune la preoccupazione per quanto riguarda la situazione in Afghanistan, in particolare per i diritti delle donne, delle ragazze e delle minoranze: “Le cose stanno andando nella direzione sbagliato, il popolo afghano sta soffrendo”, ha attaccato Michel. Auspicando l’istituzione di un governo “inclusivo e rappresentativo” a Kabul, i Paesi dell’Asia Centrale intensificheranno gli sforzi in collaborazione con l’Ue e il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Unpd) per l’istruzione speciale di cittadine e cittadini afghani sia nelle scuole superiori sia nelle università. Attenzione anche alla cooperazione nella gestione delle frontiere e nella lotta contro il terrorismo, la tratta di esseri umani, il traffico di armi e di droga.
    La credibilità di Bruxelles agli occhi dei Cinque dell’Asia Centrale deriva dal contributo all’intensificazione dello sviluppo economico regionale dopo la pandemia Covid-19, soprattutto con l’espansione dei meccanismi di commercio e investimento attraverso la nuova piattaforma del Forum economico Ue-Asia centrale. L’istituzionalizzazione delle relazioni tra i sei partner è la chiave di volta per il rafforzamento della cooperazione regionale, su cui il vertice di Astana ha dedicato una particolare attenzione. L’Ue spinge per lo sviluppo dei trasporti sostenibili, della logistica e dell’interconnettività digitale, attraverso la Rete transeuropea di trasporto (TEN-T), ma anche sulle azioni nel campo della protezione dell’ambiente e del cambiamento climatico. Su questo solco si sono indirizzate le discussioni su un partenariato acqua-energia “innovativo”, partendo da quanto già fatto tra i Ventisette per i meccanismi di gestione congiunta delle risorse idriche e dei fiumi transfrontalieri.
    La pedina-chiave nell’Asia Centrale
    Ma è il Kazakistan il vero punto di svolta per le ambizioni dell’Ue di scalzare la Russia come primo partner dei Paesi dell’Asia Centrale. Il governo di Tokayev fino allo scoppio della guerra in Ucraina guardava a Mosca come sponda per reprimere le proteste interne, ma dal 24 febbraio qualcosa sembra essersi spezzato nella fiducia verso l’autocrate russo, Vladimir Putin. Di fronte al rischio che il Cremlino decida in futuro di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti, le basi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan) potrebbero vacillare. O quantomeno spingere i Paesi della regione a cercare altri alleati e canali di sviluppo.
    “Una cosa è assolutamente certa: il nostro rapporto è forte e sta diventando ancora più forte“, ha commentato il presidente Michel al termine dell’incontro con il presidente kazako: “È il nostro principale partner commerciale in Asia Centrale”. Non è un caso se la prima riunione regionale di alto livello si è svolta proprio nella capitale Astana: “Il Kazakistan è un hub er la connettività dei trasporti tra Oriente e Occidente e sta lavorando per diversificare ulteriormente i collegamenti”. All’orizzonte c’è già la Conferenza ministeriale sulla connettività sostenibile Ue-Asia centrale a Samarcanda a novembre, in cui “presenteremo anche due iniziative Global Gateway, su acqua, energia e cambiamenti climatici e sulla connettività digitale“, ha anticipato Michel. “A breve” sarà anche firmato un memorandum d’intesa per un partenariato strategico sulle materie prime sostenibili, le batterie e l’idrogeno, oltre a un accordo orizzontale sui servizi aerei e un altro di finanziamento per lo strumento di cooperazione bilaterale.
    Anche nel confronto con il presidente Tokayev è emersa la questione della sicurezza dell’Europa e dell’Asia Centrale, di fronte alle “gravi violazioni del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite” da parte della Russia di Putin. Un punto che riguarda da vicino Astana, il principale alleato del Cremlino nella regione e sul cui allentamento dei legami Bruxelles sta scommettendo. “L’Ue sottolinea l’importanza di un’indagine completa, equa e trasparente sugli eventi di gennaio“, che avevano visto un’ondata di violenze per reprimere le proteste ad Almaty e nella capitale Astana (per due anni ribattezzata Nur-Sultan). Bruxelles “sostiene le riforme volte a rafforzare la democrazia“, ha esortato il presidente Michel, compreso il piano presentato dal governo kazako dopo il referendum costituzionale dello scorso giugno. Per l’Unione è cruciale il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali dei cittadini, in un momento cruciale per la storia dei rapporti con l’Asia Centrale.

    Prima riunione di alto livello ad Astana tra il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Focus su Stato di diritto, connettività regionale, rispetto del diritto internazionale e partenariato acqua-energia

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    Dai russi in fuga dalla mobilitazione agli scontri Azerbaigian-Armenia. L’Asia centrale rischia di diventare una polveriera

    Bruxelles – Ora l’Ue deve guardare sempre più a Est, anche oltre il conflitto russo sul territorio dell’Ucraina. Perché se l’Asia centrale e il Caucaso da anni sono teatro di un’instabilità cronica, gli sconvolgimenti dell’equilibrio e dell’ordine internazionale degli ultimi sette mesi di guerra in Europa potrebbero rendere le due regioni delle polveriere pronte a scoppiare. Dalla Georgia al Kazakistan, dall’Armenia all’Azerbaigian, le tensioni militari e le pressioni migratorie determinate dalla mobilitazione dei riservisti dell’esercito russo rischiano di aumentare le tensioni anche nei Paesi più vicini politicamente all’Unione Europea.
    Uno dei potenziali detonatori dell’instabilità nel Caucaso e nell’Asia centrale è la decisione del 21 settembre dell’autocrate russo, Vladimir Putin, di richiamare alle armi 300 mila riservisti per proseguire una guerra in Ucraina che sta fallendo su quasi tutti gli obiettivi per cui è stata scatenata. Nemmeno la reazione della popolazione russa è stata in linea con quanto prospettato dal Cremlino, con le prime crepe di dissenso che si sono aperte in reazione alla mobilitazione parziale: oltre alle proteste in piazza soffocate dalle autorità, è iniziato un piccolo esodo (non per le dimensioni in sé, ma in rapporto ai 144 milioni di abitanti della Federazione Russa) di cittadini fuori dalle frontiere nazionali, per evitare di essere arruolati e finire sul fronte in Ucraina. Mettendo insieme le cifre riportate dai Paesi confinanti, si arriva a contare oltre 370 mila persone fuggite oltreconfine, più del numero dei riservisti richiamati alle armi.
    In Kazakistan sono già arrivati più di 200 mila russi, in Georgia oltre 90 mila, in Mongolia circa 15 mila e 66 mila nell’Unione Europea – di cui 53 mila solo nell’ultima settimana, come riporta Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) – in particolare nei valichi di frontiera di Finlandia, Estonia e Lettonia, ma anche di Polonia e Lituania dall’exclave russa di Kaliningrad. Le nuove politiche restrittive di Bruxelles per la concessione di visti ai cittadini della Federazione Russa rischiano ora di creare ulteriore pressione sui Paesi dell’Asia centrale e del Caucaso che contano pochi milioni di abitanti (fatta eccezione per il Kazakistan, con 18 milioni). In Georgia fanno ingresso quasi 10 mila russi al giorno, creando difficoltà nella gestione della solidarietà sul territorio di uno Stato da 3,7 milioni di abitanti (la migrazione russa rappresenta già il 2,5 per cento della popolazione), che guarda verso l’adesione all’Unione Europea ma che nel frattempo si trova ad affrontare una secessione di due autoproclamate Repubbliche – l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia – sostenute da migliaia di soldati di Mosca dopo l’operazione militare del 2008.
    Una pressione migratoria avvertita non solo nel Caucaso, ma anche in Asia centrale. Il Kirghizistan (6,6 milioni di abitanti, non confinante con la Russia) ha accolto oltre 30 mila cittadini russi – più i lavoratori kirghisi di ritorno – dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e con la mobilitazione militare di Putin il numero è destinato ad aumentare ulteriormente. Per quanto riguarda il Kazakistan, invece, si rischia una nuova destabilizzazione dopo le proteste di inizio gennaio contro il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev, represse con l’intervento proprio di Mosca attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan). La questione è legata soprattutto alle richieste che oggi il Cremlino potrebbe fare agli alleati ex-sovietici e il loro impatto sulle società dell’Asia centrale: temendo ripercussioni sulla stabilità, al momento non è stato chiesto loro di riconoscere l’annessione delle quattro regioni occupate in Ucraina né di sostenere la guerra. Ma la mobilitazione parziale rischia di stracciare l’equilibrio di neutralità mantenuto per sette mesi, dal momento in cui anche i kazaki, uzbeki, tagiki o kirghisi con un passaporto russo potrebbero essere arruolati dal Cremlino, ma in patria andrebbero incontro alla giustizia penale (combattere per un Paese straniero è un reato). Un’altra fonte di preoccupazione è dettata dal fatto che non sembra più inverosimile che Putin decida di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti in cui si sono rifugiati i renitenti alla leva.
    Dall’Asia centrale al Caucaso, a rendere ancora più tesa la situazione geopolitica ai confini meridionali della Russia c’è la nuova ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che prosegue ininterrottamente dal 13 settembre scorso, quando Erevan e Baku si sono accusate a vicenda di bombardamenti alle postazioni e alle infrastrutture militari. Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio, si tratta della prima vera violazione cessate il fuoco negoziato nel novembre del 2020. I nuovi combattimenti tra i due Paesi caucasici rappresentano un grosso problema anche per i tentativi di mediazione di Bruxelles. Dallo scorso 22 maggio sono iniziati i contatti di alto livello tra il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, che oggi (giovedì 6 ottobre) si incontreranno a Praga nel corso della prima riunione della Comunità Politica Europea.
    Le tregue temporanee finora negoziate non sono riuscite a porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (che invece è a maggioranza musulmana). Da quest’anno l’Ue è subentrata alla Russia come mediatrice tra le due parti, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Ma nelle ultime settimane, mentre l’Ue ha stretto accordi strategici con l’Azerbaigian per affrontare le conseguenze energetiche della guerra in Ucraina, l’Armenia si è appellata alla Russia per affrontare l’aggravarsi della crisi armata, in virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra i due Paesi.

    Alla vigilia della prima riunione della Comunità Politica Europea a Praga (a cui parteciperanno anche Armenia, Azerbaigian e Georgia), l’Ue deve fare attenzione alla situazione incandescente nella regione asiatica determinata dalle pressioni migratorie e militari

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare