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    L’Ue monitora l’accordo con Israele sugli aiuti umanitari a Gaza: “Segnali positivi, ma serve di più”

    Bruxelles – L’Unione europea cerca di salvare contemporaneamente la faccia e il prezioso rapporto con Israele. L‘accordo raggiunto in extremis, la scorsa settimana, tra Bruxelles e Tel Aviv per l’ingresso massiccio di aiuti umanitari a Gaza permette ai 27 di svincolarsi dall’urgenza di prendere misure più decise nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu. Così per ora Bruxelles accoglie con favore “i segnali positivi” che arrivano dalla Striscia e chiede “misure più concrete”, congelando le possibili azioni da sfoderare nel caso la situazione umanitaria non migliori.Sono queste le conclusioni a cui sono giunti oggi i ministri degli Esteri dei 27, riuniti nella capitale europea per l’ultimo Consiglio prima della pausa estiva. Dopo l’esercizio di revisione dell’Accordo di associazione Ue-Israele che ha certificato le violazioni da parte israeliana, erano stati gli stessi capi di stato e di governo Ue a chiedere all’Alta rappresentante, Kaja Kallas, di mettere sul tavolo un ventaglio di possibili misure da intraprendere contro Tel Aviv. “Manterremo aperte tutte le opzioni e saremo pronti ad agire se Israele non rispetterà i suoi impegni”, ha dichiarato al termine della riunione il capo della diplomazia europea.Kallas – ben consapevole delle profonde divisioni tra le capitali sul tema – si appiglia ai “segnali positivi” che arrivano dalla Striscia: “Vediamo entrare più camion e rifornimenti, più varchi aperti e riparazioni alle linee elettriche”. Insomma, abbastanza per sperare di aver mosso qualcosa. “Non è chiaramente abbastanza, l’Ue continuerà a seguire da vicino l’attuazione di questo accordo comune e fornirà aggiornamenti ogni due settimane“, ha garantito l’Alta rappresentante.L’esito appariva scontato, tant’è che lo stesso ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ieri sera a Bruxelles per un vertice dei Paesi del Mediterraneo, si era detto sicuro che “nessuna delle 10 proposte contenuta nel rapporto sarà applicata dai 27 Stati membri domani”.L’accordo strappato da Kallas lo scorso 10 luglio prevede che “gli aiuti su larga scala siano forniti direttamente alla popolazione” – tagliando fuori la controversa Gaza Humanitarian Foundation – e che Israele permetta un aumento sostanziale del numero di camion giornalieri per il trasporto di generi alimentari e beni non alimentari in entrata a Gaza, l’apertura di diversi altri valichi di frontiera nelle zone nord e sud, la riapertura delle rotte umanitarie giordano-egiziane, la distribuzione di generi alimentari attraverso panifici e mense pubbliche in tutta la Striscia, la ripresa delle forniture di carburante per le strutture umanitarie, la protezione degli operatori umanitari e la riparazione e l’agevolazione dei lavori sulle infrastrutture vitali.Se è vero che alcune misure sono state attuate già nel fine settimana da Tel Aviv, è altrettanto vero che i raid su Gaza sono continuati, uccidendo decine di civili palestinesi. “Per la prima volta in 130 giorni, questa settimana è entrata a Gaza una piccola quantità di carburante. Si tratta di uno sviluppo positivo, ma è solo una piccola parte di ciò che serve ogni giorno per garantire la vita quotidiana e le operazioni di soccorso”, hanno dichiarato in un comunicato congiunto diverse agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio. Ma nel frattempo oggi, in un attacco a Gaza City, sono morti 6 cittadini palestinesi.“L’unica garanzia che abbiamo è che tutte le opzioni sono sul tavolo e che se la situazione non migliora potremo usarle”, ha ammesso Kallas ai cronisti che sottolineavano le fragilità dei termini dell’intesa con Israele. A margine della riunione, il ministro degli Esteri irlandese, Thomas Byrne, ha affermato che “non abbiamo nulla di scritto, Kallas ci ha comunicato solo dellle previsioni”.La prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue sarà solamente ad ottobre, tra più di due mesi. Fino ad allora, qualsiasi saranno gli sviluppi sul terreno, sicuramente Bruxelles non si muoverà. Un rischio, sottolineato dall’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Danilo Della Valle: “Non possiamo accontentarci di un accordo sulla consegna degli aiuti umanitari e di un semplice monitoraggio, mentre poi Israele si macchia di genocidio e continua ad avere libertà di sterminare un’intera popolazione”, ha affermato in una nota.

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    Diritti umani, l’Ue sanziona l’Iran per la repressione transnazionale dei dissidenti

    Bruxelles – L’Unione europea ha imposto nuove sanzioni contro l’Iran per le continue violazioni dei diritti umani. Le misure restrittive colpiscono otto individui e una rete criminale, responsabili della repressione transnazionale portata avanti dalla Repubblica islamica, tramite cui gli ayatollah silenziano oppositori e dissidenti all’estero.Le nuove sanzioni sono state decise oggi (15 luglio) dai ministri degli Esteri dei Ventisette riuniti a Bruxelles, durante una sessione del Consiglio i cui piatti principali sono stati la guerra d’Ucraina – alla luce dell’apparente riallineamento della Casa Bianca dalla parte di Kiev e contro Mosca – e la crisi mediorientale, con le diplomazie europee che hanno accolto positivamente l’accordo sull’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza stipulato la scorsa settimana dall’Alta rappresentante Kaja Kallas col governo israeliano.Con le misure restrittive odierne, Bruxelles cerca di colpire la capacità di Teheran di praticare la cosiddetta repressione transnazionale, vale a dire di mettere a tacere le voci critiche nei confronti del regime iraniano al di fuori dei confini di quest’ultimo. Si tratta di un fenomeno preoccupante e in crescita, di cui si sta occupando anche l’Eurocamera (Eunews ha intervistato la relatrice dell’Aula, Chloé Ridel, per comprendere meglio questo argomento).L’eurodeputata Chloé Ridel (Ps/S&D), relatrice dell’Aula sulla repressione transnazionale (foto: Philippe Stirnweiss/Parlamento europeo)Nello specifico, l’Ue ha comminato sanzioni contro otto individui e un’entità iraniani, macchiatisi di gravi abusi ai danni di oppositori politici, dissidenti e attivisti in giro per il mondo, in particolare esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie, nonché sparizioni forzate. Le misure comprendono il congelamento dei beni e il divieto di fornire ai bersagli del pacchetto assistenza economica e finanziaria diretta o indiretta, nonché l’impossibilità per i soggetti coinvolti di entrare nel territorio dell’Unione.A fare le spese del regime sanzionatorio a dodici stelle sono la rete Zindashti, un’organizzazione collegata al ministero dell’Intelligence e della sicurezza di Teheran (Mois) e considerata un gruppo criminale dall’Ue, e diversi suoi membri: il capo Naji Ibrahim Sharifi-Zindashti e i suoi collaboratori Abdulvahap Kocak, Ali Esfanjani, Ali Kocak, Ekrem Oztunc e Nihat Asan. Costoro sarebbero implicati, tra le altre cose, nell’assassinio del dissidente iraniano Mas’ud Molavi Vardanjani e del proprietario dell’emittente televisiva iraniana Gem TV, Saeed Karimian, uccisi in Turchia rispettivamente nel 2019 e 2017.Oltre a loro, sono finiti nel mirino dell’Ue anche Mohammed Ansari, uno dei leader della Forza Quds del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, e Reza Hamidiravari, ufficiale d’intelligence che, secondo Bruxelles, supervisiona le operazioni portate avanti dalla rete Zindashti per conto del Mois.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Parlando ai giornalisti al termine della sessione odierna, Kallas ha ribadito per l’ennesima volta la linea dell’Ue rispetto alla recente escalation militare tra Israele e Iran, ribattezzata guerra dei 12 giorni: la Repubblica islamica “non deve possedere armi nucleari”, ha scandito, sottolineando che l’unica strada per raggiungere questo obiettivo è quella diplomatica.Il cessate il fuoco negoziato da Donald Trump “è fragile ma presenta un’opportunità per continuare il dialogo”, ha proseguito, aggiungendo che Teheran “dovrà accogliere di nuovo gli ispettori dell’Onu”. Un punto, quest’ultimo, su cui però la dirigenza iraniana non sembra voler cedere.

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    L’Armenia verso la liberalizzazione dei visti con l’Ue (ma sempre all’ombra di Mosca)

    Bruxelles – L’Ue e l’Armenia “non sono mai state così vicine”. È il messaggio di speranza consegnato dall’Alta rappresentante Kaja Kallas a Yerevan, dove ha condotto una visita di due giorni conclusasi oggi. Il Paese caucasico sta cercando di abbandonare l’orbita russa e di entrare in quella europea, ma il cammino da fare è ancora lungo. E passa per la normalizzazione dei rapporti col vicino Azerbaigian dopo decenni di guerra, nonché per la difesa dalle “minacce ibride” russe.Parlando accanto al suo omologo armeno Ararat Mirzoyan, il capo della diplomazia a dodici stelle ha annunciato ieri (30 giugno) che la Commissione europea ha “adottato la sua proposta per il piano d’azione per la liberalizzazione dei visti” coi Ventisette, un primo passo simbolico per continuare ad accorciare le distanze tra Yerevan e Bruxelles.Un passo richiesto a gran voce dallo stesso premier armeno Nikol Pashinyan, il cui governo a gennaio ha iniziato a muoversi nella direzione dell’adesione all’Ue, ottenendo lo scorso marzo il via libera del Parlamento nazionale. Nei prossimi mesi la popolazione dovrebbe esprimersi sulla questione tramite referendum.It was a great pleasure to welcome HR/VP @kajakallas to Yerevan both for a very timely & symbolic visit, with an enhanced agenda & important deliverables.We share the vision of deeper partnership & stronger engagement for more resilient democracy & peace. pic.twitter.com/7B4zlgfKzA— Ararat Mirzoyan (@AraratMirzoyan) June 30, 2025“L’Ue e l’Armenia non sono mai state così vicine, avete lanciato il processo di adesione all’Ue, e diamo il benvenuto alla vostra intenzione di approfondire la nostra partnership“, si è congratulata Kallas. L’Alta rappresentante ha svelato anche l’imminente lancio di un nuovo partenariato e l’avvio del piano di resilienza e crescita per il 2024-2027 da circa 270 milioni di euro (messo sul tavolo nell’aprile 2024), nonché la partecipazione dell’Armenia alle missioni Ue nel mondo.Il supporto di Bruxelles alla fragile democrazia caucasica comprende anche, tra le altre cose, il finanziamento dei media indipendenti, il sostegno agli sfollati del Nagorno-Karabakh – una provincia separatista dell’Azerbaigian a maggioranza armena, al centro di un conflitto decennale con Baku conclusosi nell’autunno 2023 con la riconquista dell’exclave armena da parte dell’esercito azero – e la cooperazione militare coi Ventisette.Ma il percorso di Yerevan verso l’ingresso in Ue è ancora lungo, accidentato e tutto in salita. C’è molto da fare a livello domestico per allineare l’Armenia all’acquis communautaire, il corpo giuridico dell’Unione cui tutti i Paesi candidati devono conformarsi in qualunque ambito, dall’energia al commercio passando per lo Stato di diritto.Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Leon Nea/Afp)Poi c’è la politica estera e di sicurezza. Sul Paese guidato da Pashinyan pendono almeno due grosse spade di Damocle, rappresentate dai rapporti con l’Azerbaigian e con la Russia. A detta di Mirzoyan, i colloqui per la normalizzazione con Baku stanno procedendo. L’obiettivo è la firma di un trattato di pace il prima possibile, magari entro la fine dell’anno.Bruxelles “sostiene” il processo, ha ribadito Kallas, che deve basarsi sul “rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini”. Lo sostiene anche, o forse soprattutto, “dal punto di vista dei progetti di connettività verso l’Asia Centrale“, cioè quelli recentemente messi nero su bianco dall’esecutivo comunitario con la Strategia per il Mar Nero che vede coinvolte, appunto, sia Baku sia Yerevan.Potrebbero essere ancora più problematici, invece, i legami con Mosca. La Federazione è l’alleato storico dell’Armenia (un’ex repubblica sovietica ancora dipendente dalla Russia soprattutto per le esportazioni e per l’approvvigionamento energetico), ma da tempo Pashinyan sta cercando di sganciare Yerevan dal Cremlino e di collocarla nell’orbita occidentale.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Soprattutto dopo che l’esercito russo non è intervenuto in Nagorno-Karabakh al fianco dei separatisti armeni, come avrebbe dovuto fare in base agli obblighi del trattato di difesa collettiva (Csto) di cui fanno parte diversi ex membri dell’Urss. Dal febbraio 2024, il Paese caucasico ha di fatto congelato la propria partecipazione nell’alleanza militare, annunciando di volerla abbandonare al più presto.Anche per questo, Kallas ha esortato il suo omologo a non abbassare la guardia e tenere d’occhio le “minacce ibride” poste dall’ingombrante vicino russo, incluse la disinformazione e le ingerenze del Cremlino nell’intera regione, come visto nei processi elettorali e politici in diversi Paesi dalla Georgia alla Moldova e fino alla Romania.Mirzoyan ha recepito il messaggio, ingiungendo a Mosca di tenersi alla larga dalle vicende domestiche dell’Armenia. A partire dall’arresto dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, figura di spicco della Chiesa apostolica armena e leader dell’opposizione antigovernativa, per il suo presunto coinvolgimento in un tentativo di colpo di Stato che Yerevan non esclude possa essere sostenuto proprio dal Cremlino.

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    Gaza, l’Ue certifica le violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Ma non è ancora il momento di agire

    Bruxelles – A venti mesi dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, il Servizio europeo di Azione esterna (Seae) mette nero su bianco che “vi sono indicazioni che Israele violerebbe i propri obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele”. A dire il vero, è la seconda volta che il rappresentante speciale dell’Ue per i diritti umani, Olof Skoog, trae le stesse conclusioni: la prima già nel novembre scorso, su richiesta dell’allora Alto rappresentante Josep Borrel. Come allora però, il rischio è che il rapporto venga dimenticato in un cassetto senza alcuna conseguenza.“Le misure a disposizione ci sono, ma la domanda è: su cosa siamo in grado di concordare?”, ha affermato oggi (23 giugno) Kaja Kallas, che ha ereditato il difficile ruolo di capo della diplomazia europea. I ministri degli Esteri dei 27 hanno ricevuto il rapporto di Skoog già nel fine settimana e ne hanno discusso questa mattina con Kallas a Bruxelles. Lo scorso 20 maggio, 19 Stati membri avevano finalmente chiesto all’Alta rappresentante di avviare un esercizio di revisione del vasto accordo politico-commerciale che lega l’Unione europea a Israele, le cui disposizioni “si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici”.Dopo oltre 55 mila vittime palestinesi, le uccisioni di giornalisti e operatori umanitari, il blocco totale dell’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia e i raid durante la distribuzione del cibo – tutto documentato e denunciato da media, organizzazioni e tribunali internazionali -, le conclusioni del rapporto erano facilmente prevedibili. Quasi quanto l’impasse che arriva ora che i 27 dovranno decidere se sospendere l’Accordo con Israele, o se prendere altre misure o sanzioni nei confronti dello Stato ebraico, oppure se limitarsi ad avvertimenti verbali, richieste o appelli senza conseguenze concrete.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)“Quello di oggi è stato solo l’inizio del dibattito, non la sua conclusione”, ha spiegato Kallas a margine dell’incontro. La prima mossa sarebbe valutare se quanto denunciato dal rapporto faccia sì che Israele modifichi spontaneamente il proprio modo di condurre la guerra. L’Alta rappresentante ha confermato di aver già ricevuto la diplomatica risposta di Israele al rapporto: “Oltraggioso e indecente”, secondo quanto riportato dalla testata Politico.“Se la situazione non migliora, potremo discutere ulteriori misure a luglio“, durante il prossimo Consiglio Affari Esteri previsto il 15 del mese, ha proseguito Kallas. Per rivedere tutti gli aspetti del partenariato con Israele legati alla politica commerciale, i Paesi membri potrebbero decidere a maggioranza qualificata. Per imporre sanzioni, sospendere il dialogo politico o l’intero accordo, serve l’unanimità dei 27. Una chimera, quest’ultima, a rileggere le dichiarazioni del vicepremier italiano, Antonio Tajani, che già a fine maggio si oppose alla revisione dell’articolo 2 dell’accordo: “La nostra posizione è di andare avanti con il rapporto con Israele, pur non condividendo le scelte fatte a Gaza, cioè la sproporzione della reazione, l’uso eccessivo della forza che ha provocato migliaia di morti in quella parte della Palestina”, ha affermato.All’opposto, la Spagna ha reiterato la richiesta di “una sospensione immediata dell’accordo di associazione, un embargo sulle vendite di armi da parte dell’Unione europea ad Israele e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono minare definitivamente la soluzione a due Stati”. Richieste che Tajani ha bollato come “velleitarie e utili per la politica interna”. In mezzo a questi due estremi, si collocano tutti gli altri Stati membri.Le conclusioni del rapporto redatto da Skoog finiranno giovedì sul tavolo del vertice dei capi di stato e di governo dei 27. “È inevitabile che i leader si troveranno di fronte al risultato della relazione”, ha confermato un alto funzionario dell’Ue. Ma il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, “non intende affatto sottoporre la questione ai leader per una decisione. Anche perché, siamo realistici, probabilmente non si raggiungerebbe l’unanimità”.

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    Medio Oriente: mentre Bruxelles chiede “moderazione”, l’Iran inizia a colpire le basi Usa in risposta agli attacchi di Washington sui suoi siti nucleari

    Bruxelles – All’indomani dei bombardamenti condotti dagli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani, i ministri degli Esteri dei Ventisette si sono riuniti per esortare nuovamente tutte le parti alla de-escalation e alla diplomazia. Ma proprio alla fine dell’incontro, mentre l’Alta rappresentante Kaja Kallas non riesce a condannare le azioni militari di Washington e Tel Aviv in Medio Oriente, da Teheran starebbe partendo la prima rappresaglia diretta contro le basi statunitensi in Qatar e in Iraq, in quella che potrebbe essere la temuta escalation capace di estendere il conflitto all’intera regione.Accanto alla revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, a tenere banco durante il Consiglio Affari esteri svoltosi oggi (23 giugno) a Bruxelles è stata soprattutto l’aggravarsi della crisi mediorientale, scatenata dallo Stato ebraico con l’aggressione dello scorso 13 giugno. Ai bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani avvenuti nel weekend, si sono aggiunti in giornata nuovi attacchi israeliani all’impianto sotterraneo di Fordo, costruito sotto le montagne a sud di Teheran, e contro altri obiettivi nella Repubblica islamica.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Mentre questo articolo viene pubblicato, le agenzie di stampa internazionali stanno segnalando esplosioni di missili iraniani in Qatar e in Iraq, in direzione delle basi militari statunitensi. Gli attacchi, rivendicati dalla Repubblica islamica come “una risposta potente e vincente delle forze armate iraniane all’aggressione americana”, costituiscono un ulteriore, grave salto di qualità nel conflitto tra Tel Aviv e Washington da un lato e Teheran dall’altro, che ora arriva a coinvolgere direttamente gli asset Usa nella regione e ha pertanto il potenziale di innescare una spirale di violenza incontrollabile. Il presidente Donald Trump si trova in questi istanti nella situation room della Casa Bianca.Eppure Bruxelles non riesce a richiamare né Washington né Tel Aviv alle loro responsabilità, anzi nemmeno a nominarle. “La nuova guerra è uno sviluppo pericoloso e le recenti azioni militari acuiscono le tensioni“, ha osservato Kaja Kallas al termine della riunione (conclusasi prima che partissero gli attacchi iraniani contro le basi Usa), notando che “le azioni militari sono sempre cariche di rischi e incertezze e quello che importa ora è minimizzare i rischi di escalation“.Il capo della diplomazia comunitaria si è tuttavia ben guardata dal condannare chi quelle azioni le sta conducendo da una decina di giorni, mettendo letteralmente a ferro e fuoco il Medio Oriente. Incalzata dai giornalisti su come l’Ue intenda agire concretamente per mettere pressione su Israele o gli Stati Uniti, oltre che sull’Iran, affinché si facciano tacere le armi e si dia spazio ai negoziati, Kallas si è nascosta dietro un vuoto giro di parole, assicurando che “stiamo parlando a tutti i partner regionali“, inclusi gli Usa, per segnalare che “quest’escalation non beneficia nessuno“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)A sentire l’Alta rappresentante, dalla riunione odierna è emerso “un ampio consenso tra gli Stati membri sulla necessità di continuare le discussioni con l’Iran perché la diplomazia è l’unica strada per raggiungere un accordo” e arrivare ad una composizione politica della crisi, che nel frattempo peggiora di ora in ora. Pertanto, assicura, “rimaniamo sicuramente in contatto” con la leadership della Repubblica islamica.Per il momento, gli sforzi negoziali della diplomazia europea non hanno portato ad alcun risultato. Lo scorso 20 giugno, Francia, Germania, Regno Unito e Ue – i membri europei del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), l’accordo del 2015 sul nucleare di Teheran, moribondo da quando Trump ha ritirato gli Usa nel 2018 – hanno incontrato a Ginevra il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, per cercare di riavviare il dialogo sulle velleità atomiche degli ayatollah.Ma quella timida iniziativa diplomatica (l’unica mai tentata dall’inizio della guerra) si è infranta contro la pioggia di ordigni anti-bunker rovesciata nelle ore successive dal Pentagono sugli stabilimenti di Fordo, Natanz e Isfahan. Da allora la Repubblica islamica ha irrigidito la propria posizione, rifiutandosi espressamente di sedersi al tavolo delle trattative sia con Israele sia con gli Stati Uniti (i suoi due più acerrimi nemici, che definisce notoriamente “piccolo Satana” e “grande Satana”).Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) accoglie al Cremlino il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto via Imagoeconomica)Araghchi si è recato oggi a Mosca, dove ha avuto un faccia a faccia con Vladimir Putin. Al termine del loro colloquio, l’inquilino del Cremlino ha riaffermato il sostegno della Russia all’alleato mediorientale, osservando che “l’aggressione assolutamente immotivata” degli Stati Uniti contro l’Iran “non ha alcuna base né alcuna giustificazione” e lamentando il mancato preavviso da parte dell’amministrazione a stelle e strisce.Una visione diametralmente opposta a quella espressa, sempre in giornata, dal capo della Nato Mark Rutte. Alla vigilia dell’importante summit dell’Aia, dal quale dovrebbe arrivare il disco verde dai membri dell’Alleanza all’aumento delle spese militari al 5 per cento del Pil (con l’unica eccezione, forse, della Spagna di Pedro Sánchez), l’ex premier olandese ha detto di non ritenere che “quello che hanno fatto gli Stati Uniti vada contro il diritto internazionale”.Linea condivisa anche dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, secondo il quale “non c’è ragione di criticare quello che l’America ha fatto durante il weekend“. “Certo, non è senza rischi” a livello di potenziali conseguenze, ha concesso, “ma lasciare le cose com’erano non era un’opzione“. Parole che suonano tristemente profetiche. E chissà che, all’Aia, non si parli di un altro 5: non la percentuale del Pil, ma l’articolo della Carta atlantica che sancisce il principio di difesa collettiva.

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    L’Ue tenta di mantenere aperto il dialogo con l’Iran dopo l’attacco degli Usa. Ma la strada è strettissima

    Bruxelles – Dopo i bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani, che aveva sperato di poter scongiurare, l’Ue cerca di tenere aperta la porta dei negoziati con Teheran. Ma rimane appiattita sulla linea dettata da Washington, mentre la clamorosa fuga in avanti dell’inquilino della Casa Bianca rischia di far precipitare l’intero Medio Oriente nell’ennesima escalation incontrollabile.Con l’operazione “martello di mezzanotte” ordinata da Donald Trump nelle primissime ore di domenica (22 giugno), i B-2 Spirit del Pentagono hanno fatto piovere 14 bombe bunker buster sugli impianti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan. Non è ancora chiaro quale sia la reale entità dei danni alle strutture e al programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, ma a sentire il tycoon si è trattato di un attacco mirato a cui non dovranno seguirne di nuovi, a patto che Teheran decida di abbandonare le sue velleità atomiche.È chiaro, invece, che quell’azione ha aumentato drammaticamente la tensione in un Medio Oriente già in fiamme e rischia di far saltare definitivamente i pochi argini rimasti ancora in piedi. “Non c’è una linea rossa che (gli Stati Uniti, ndr) non abbiano superato“, ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi immediatamente dopo i bombardamenti.pic.twitter.com/wu9mMkxtUg— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 21, 2025“L’amministrazione fuorilegge e guerrafondaia di Washington è l’unica e completa responsabile per le pericolose conseguenze e le implicazioni di vasta portata del suo atto di aggressione”, ha aggiunto, sottolineando che la “porta della diplomazia” in questo momento non può che rimanere chiusa da parte iraniana e addossando sull’attacco degli Stati Uniti (denunciato come un affronto “imperdonabile” alla Carta delle Nazioni Unite) il deragliamento delle delicate trattative che erano in corso con gli europei.La principale vittima collaterale dei bombardamenti di ieri notte rischia così di essere la pista negoziale, quella faticosamente aperta dagli europei a Ginevra lo scorso venerdì (20 giugno) quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito avevano incontrato Araghchi alla presenza dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas.Arrivando al Consiglio Affari esteri in corso oggi (23 giugno) a Bruxelles, l’ex premier estone ha riconosciuto che “l’Iran stava aprendo alle discussioni” sul suo programma nucleare. “Dobbiamo assolutamente continuare su questa strada“, ha avvertito, perché “dev’esserci una soluzione diplomatica per avere una prospettiva di lungo termine” e risolvere la crisi che continua ad avvitarsi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Secondo la responsabile della diplomazia a dodici stelle, “l’Europa ha un ruolo molto concreto” nel quadro degli accordi multilaterali sul programma atomico di Teheran, il Joint comprehensive plan of action del 2015: “L’Europa ha sempre avuto un ruolo – sostiene – e quando l’Iran è pronto a parlarci dobbiamo sfruttare questa opportunità“.Il Jcpoa, aggiunge Kallas, prevede “il meccanismo snapback per rimettere in piedi tutte le sanzioni se non ci sono progressi” da parte della Repubblica islamica, che dieci anni fa si è formalmente impegnata a limitare il proprio programma atomico a soli scopi civili. “Tutti sono d’accordo che l’Iran non deve possedere armi nucleari e stiamo lavorando verso quell’obiettivo”, ha ribadito ai giornalisti.Un messaggio condiviso anche dai ministri degli Esteri dei Ventisette. Antonio Tajani ha annunciato di aver contattato direttamente Araghchi “per cercare di riattivare un dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti“, proponendo di ospitare i negoziati a Roma come già avvenuto nel recente passato. Secondo il responsabile della Farnesina, Teheran “può procedere con la ricerca sul nucleare civile ma non col nucleare militare”: “Ho trovato orecchi attenti”, ha detto, garantendo tra l’altro che “le basi italiane non sono state utilizzate” per l’attacco condotto dallo zio Sam.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Il vicepremier forzista ha inoltre dichiarato di aver chiesto all’Iran di non colpire le basi militari statunitensi come rappresaglia e di aver espresso “preoccupazione” per la minacciata chiusura dello stretto di Hormuz, il collo di bottiglia che separa il Golfo Persico dall’Oceano Indiano da cui passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl (eventualità definita dalla stessa Kallas “estremamente pericolosa”).A ritagliarsi una posizione relativamente più critica nei confronti della Casa Bianca è Parigi. Il titolare degli Esteri Jean-Noël Barrot ha tenuto il punto sul fatto che il “rischio esistenziale” di una Repubblica islamica dotata di un ordigno nucleare va scongiurato attraverso il dialogo e non coi bombardamenti: “Non esiste una soluzione duratura” alla questione “con mezzi militari, solo la negoziazione consentirà di inquadrare in modo rigoroso e duraturo il programma nucleare iraniano e di fornire risposte durature a queste questioni”, ha spiegato.Per Barrot, inoltre, vanno respinti senza indugio “tutti i tentativi di organizzare un cambio di regime con la forza”, come ripetutamente ventilato negli scorsi giorni tanto da Trump quanto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Crediamo nel diritto dei popoli all’autodeterminazione e confidiamo nel popolo iraniano che ha eroicamente resistito al regime“, ha ragionato, ma “sarebbe illusorio e pericoloso pensare che con la forza e con le bombe possiamo realizzare un tale cambiamento“.Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot (foto: Benedikt von Loebell via Imagoeconomica)D’accordo anche lo spagnolo José Manuel Albares: “L’Europa deve avere il coraggio di issare la bandiera della pace, di difendere il diritto internazionale, di dire no alla guerra e sì alla diplomazia e al negoziato”, ha dichiarato.Ma il diritto internazionale, per avere un senso, dev’essere rispettato da tutti: non solo da nemici ed avversari, ma anche da amici ed alleati. Una considerazione che non sembra condivisa tra i corridoi del potere di Bruxelles, almeno a giudicare dalle comunicazioni pubbliche dei vertici comunitari.Ursula von der Leyen, ad esempio, sottolinea che “il rispetto per il diritto internazionale è critico” e che “il tavolo negoziale è l’unico posto per porre fine a questa crisi”. Peccato che la presidente dell’esecutivo Ue chieda solo all’Iran di “impegnarsi in una soluzione diplomatica credibile”, senza menzionare l’attacco statunitense sulle strutture nucleari di un Paese sovrano. Per risolvere il problema, il presidente del Consiglio europeo António Costa evita direttamente di fare nomi, ed esorta “tutte le parti a dare prova di moderazione“.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.