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    Attesa per il vertice UE-Balcani Occidentali: impegno per l’allargamento, ma nessuno si sbilancia sulle tempistiche

    Dall’inviato
    Kranj –  Sotto l’acqua battente di una giornata d’autunno in Slovenia c’è appena il tempo di una passerella veloce per i leader europei e balcanici, prima dell’inizio del vertice UE-Balcani occidentali. “Buongiorno! Tutto bene, grazie”, ha tagliato corto Mario Draghi, percorrendo in velocità il tappeto rosso ormai pieno di pozzanghere. Il premier italiano non si è sbottonato, tenendo la stessa linea di “no comment” verso la stampa mostrata ieri sera (martedì 5 ottobre), all’arrivo al castello di Brdo per il vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’UE.
    In verità, sono stati pochi i leader disponibili a parlare con i giornalisti. Non Angela Merkel, nascosta sotto l’ombrello nero con il logo della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, non Emmanuel Macron, che ha schivato con un sorriso beffardo le domande sulle prospettive dell’autonomia militare dell’Unione, dopo le discussioni alla cena dei Ventisette. Hanno fatto eccezione il primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel – protagonista di un scambio di pacche sulle spalle con l’omologo albanese, Edi Rama – e il premier del Kosovo, Albin Kurti, che ha richiamato l’Unione Europea a “rispettare gli impegni presi” sia sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, sia sull’allargamento dell’UE nei Balcani”. Riguardo alle ultime difficoltà del dialogo Pristina-Belgrado, Kurti ha indicato nel reciproco riconoscimento “l’unica soluzione credibile, giusta e sostenibile” per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia (il presidente serbo, Aleksander Vučić, non ha rilasciato dichiarazioni), mentre ai cinque Paesi UE che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia) il premier Kurti ha chiesto che “si allineino al più presto agli altri”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Più inclini a rilasciare dichiarazioni i leader delle istituzioni europee, a partire dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Oggi lanciamo un messaggio molto chiaro, che vogliamo i Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, perché siamo un’unica famiglia“, ha sottolineato con forza, ricalcando le rassicurazioni fornite nel corso del suo viaggio della settimana scorsa nella regione. La capa dell’esecutivo comunitario aveva indicato nel 31 dicembre 2021 la data entro cui dovranno iniziare i negoziati per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord, ma al momento nessun leader europeo si è voluto sbilanciare su una data certa, né per i due Paesi bloccati dal veto della Bulgaria, né per l’intero processo di allargamento ai Sei balcanici.
    “Per noi questo vertice sarà l’occasione di confermare la prospettiva europea dei Balcani”, ha confermato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ma anche per “ribadire che siamo pronti a mobilitare grossi investimenti per sostenere le loro riforme economiche e la lotta alla corruzione”. Michel ha definito quello di oggi “uno scambio di vedute aperto e libero”, finalizzato a “capire i prossimi passi” sulla strada dell’allargamento UE. Commenti in perfetto stile diplomatico, che nascondo incertezze e divisioni sulle tempistiche di questo processo. Sembra improbabile che nei prossimi mesi si assisterà a un’accelerazione, anche considerata la situazione interna dei due Paesi che ‘pesano’ di più a Bruxelles: la Francia è prossima alle elezioni presidenziali e difficilmente Macron si esporrà troppo su questo tema delicato, la Germania è impegnata nella formazione del nuovo governo e per il momento non spingerà più di quanto già fatto.
    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Nemmeno l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è voluto sbilanciare sul tema dell’ostacolo bulgaro sulla strada dell’adesione UE della Macedonia del Nord (e di rimando dell’Albania, dal momento in cui i quadri negoziali di Skopje e Tirana sono affrontati da Bruxelles come un unico pacchetto). L’alto rappresentante ha però esortato tutti i Paesi membri a mantenere il processo di allargamento “una strada credibile e di cui ci si può fidare”, una volta soddisfatti i criteri per avviare i negoziati. Nel frattempo, il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha esortato i convenuti a Kranj a  a impegnarsi a fondo nel dialogo: “Serve nuovo e forte impulso, è giunto il momento di superare i ritardi e gli attuali blocchi”, si legge nella lettera inviata al presidente del Consiglio Europeo prima dell’inizio del vertice UE-Balcani Occidentali. “Questo nuovo slancio non può che avere un effetto positivo nella regione e potrebbe contribuire alla sua trasformazione democratica e alle relazioni di buon vicinato”, ha ricordato Sassoli, avvertendo che “ogni ulteriore esitazione rischia di incoraggiare altri attori che desiderano acquisire influenza nella regione”.

    We call on leaders at the #EUWBSummit2021 to give new impetus to the accession process.
    Enlargement, based on common values, benefits us all – it is time to move forward.
    Further delay risks encouraging others who wish to gain influence in the region. https://t.co/450JxorPdd
    — David Sassoli (@EP_President) October 6, 2021

    Si è aperto in Slovenia il summit tra i leader UE e balcanici, per rafforzare le prospettive europee dei Paesi della regione e il loro processo di adesione. Rimane però difficile un’accelerazione entro la fine dell’anno

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    Afghanistan, Borrell: “Serve una presenza UE a Kabul. Non c’è altra possibilità se non impegnarci con i talebani”

    Bruxelles – È passato un mese dall’ingresso dei talebani a Kabul e l’Unione Europea sta iniziando a fare i conti con il nuovo assetto politico e sociale in Afghanistan. “Non abbiamo altra possibilità se non impegnarci con i talebani, parlare, discutere e accordarci qualora possibile”: le parole dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante il dibattito di oggi (martedì 14 settembre) alla plenaria del Parlamento Europeo spazzano via ogni dubbio sulle intenzioni dell’Unione.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Bruxelles sta considerando “come impostare una presenza UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna“, ha specificato Borrell, dal momento in cui “la sede non è mai stata chiusa e la nostra delegazione potrebbe essere sfruttata se le condizioni di sicurezza saranno garantite”. Per i Ventisette sarà cruciale stare sul campo per valutare la natura delle azioni del nuovo governo, “da cui dipenderà il tipo di impegno con i talebani, anche se non significa che li riconosceremo”. Un rapporto che comunque non potrà prescindere dal rispetto di cinque criteri: non diventare terreno di proliferazione del terrorismo, rispetto dei diritti umani, costituzione di un governo inclusivo e rappresentativo, libertà di azione per l’aiuto umanitario e facilitazione dell’uscita dal Paese per chi vuole farlo.
    “Abbiamo visto che il nuovo governo non è inclusivo né partecipativo, ora sappiamo cosa possiamo aspettarci”, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell, e “parlare di diritti umani con i talebani sembra un ossimoro”. Tuttavia, l’Unione dovrà cercare un compromesso per “aiutare gli afghani che non sono riusciti a fuggire e sostenere chi rimarrà nel Paese“. All’orizzonte c’è una situazione umanitaria “drammatica”, un sistema finanziario “in caduta libera” e “un’ondata migratoria che dipenderà dalle evoluzioni nel Paese”.
    È proprio la questione migratoria a scaldare gli animi nelle capitali europee, dove “si teme che la questione del favorire l’uscita dal Paese per chi rischia di essere perseguitato diventi un appello al confluire in massa in Europa”. L’alto rappresentante ha concluso il suo intervento ricordando che “le persone si muoveranno solo quando i talebani lo permetteranno, ma non sarà un’ondata come quella del 2015”. Intanto l’UE dovrà cercare di parlare “con una sola voce, non con 27 diverse” e per questo motivo è stato indicato il Servizio europeo per l’azione esterna come lo strumento per un “impegno coordinato”.
    Il dibattito in Aula
    È stato particolarmente acceso il confronto tra gli eurodeputati, in particolare sul tema della possibile ondata migratoria dall’Afghanistan. L’asse S&D-Verdi ha insistito sulla necessità di garantire la protezione internazionale e di raggiungere un accordo tra i Paesi membri sull’accoglienza per chi fuggirà dal Paese, mentre le destre si sono scagliate contro chi vuole replicare scenari simili a quelli della crisi migratoria del 2015.
    “Tutte le parole di sostegno al popolo afghano non hanno valore se non le traduciamo in fatti e se tutti i Paesi europei non accettano di creare corridoi umanitari, mostrando umanità e solidarietà“, è stato il monito della presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez. Le ha fatto eco l’eurodeputata olandese Tineke Strik (Verdi/ALE): “Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con visti umanitari, ricongiungimenti familiari e la piena applicazione della direttiva sulla protezione temporanea“. Spazio anche per lo sviluppo di “una politica estera comune che garantisca sovranità e forza operativa internazionale”, mentre García Pérez ha proposto simbolicamente di “riconoscere la resistenza delle donne afghane con l’assegnazione del Premio Sakharov 2021“.
    L’europarlamentare del Partito Democratico, Simona Bonafè (S&D)
    Anche l’europarlamentare in quota PD Simona Bonafè (S&D) ha ricordato il ruolo delle donne, “a cui abbiamo promesso un futuro migliore” e che ora “non possono essere lasciate sole”. Di qui la necessità di una “strategia per l’accoglienza”, che sia diversa dalle conclusioni “deludenti” dell’ultimo Consiglio Affari Esteri. Il vicepresidente del Parlamento UE Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle) ha portato in Aula la lettera firmata da 76 eurodeputati per chiedere alla Commissione Europea per chiedere l’apertura di corridoi umanitari con l’Afghanistan, applicando la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea. “Serve coerenza, serve coraggio e serve ora, perché il tempo scorre veloce e contro di noi“, ha incalzato Castaldo.
    Il francese Jérôme Rivière (ID) si è invece scagliato contro “le sinistre aperturiste”, ha denunciato il fatto che “ad approfittare della nostra mancanza di coesione saranno Russia e Cina”, mentre “noi come sempre dovremo proteggerci da un’ondata di migrazioni”. Massimiliano Salini (PPE) ha insistito sulla prospettiva di “sviluppare una strategia geopolitica per fare dell’Europa una grande potenza”, mentre il collega tedesco Michael Gahler ha avvertito che “sarà necessario piuttosto appoggiare i Paesi vicini all’Afghanistan per garantire un’accoglienza dignitosa nella regione”.

    L’alto rappresentante UE è intervenuto durante la plenaria del Parlamento Europeo per spiegare l’approccio dell’Unione al nuovo governo afghano. Scontro tra S&D-Verdi e le destre sulla politica di accoglienza dei rifugiati

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    L’UE invierà una missione di osservazione in Iraq per le elezioni del 10 ottobre

    Bruxelles – L’Unione Europea invierà una Missione di osservazione elettorale in Iraq per sorvegliare le elezioni legislative del Paese, che si terranno il prossimo 10 ottobre. L’alto rappresentate per gli Affari esteri e la sicurezza Josep Borrell ha nominato l’europarlamentare Viola Von Cramon-Taubadel come Capo missione.
    La rappresentanza dell’UE si occuperà di assicurare che il processo elettorale sia corretto nei confronti di tutti i candidati e rispettoso dei diritti degli attivisti e della stampa. 12 osservatori si trovano già in Iraq dal 28 agosto. A questi si aggiungeranno altri 20 funzionari nel mese di settembre. La missione, supportata anche dal personale diplomatico degli Stati membri dell’Unione in Iraq, opererà nei punti nevralgici del Paese e resterà in loco fino all’esaurimento del processo elettorale, incuso lo spoglio e gli eventuali ricorsi.
    La presenza europea, richiesta dall’Alta commissione elettorale indipendente dell’Iraq, segue la recente visita di Josep Borrel a Baghdad, che ha definito l’iniziativa “una chiara manifestazione della solidarietà e del supporto al popolo iracheno e della solida cooperazione con l’Iraq”

    Josep Borrel ha nominato Viola Von Cramon-Taubadel per guidare la commissione che si occuperà di vigilare sul corretto svolgimento del voto legislativo

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    Afghanistan, Borrell: “Presenza dell’UE a Kabul necessaria, ma in sicurezza”

    Bruxelles – Come impostare il dialogo con l’Afghanistan in mano ai talebani e come fare a evacuare tutte le persone che l’UE vuole e deve ancora evacuare. Su queste due questioni i ministri europei degli Esteri cercano la quadra, riuniti oggi (3 settembre) in un vertice informale di Gymnich a Kranj, in Slovenia, ospitato dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE.
    La crisi in Afghanistan irrompe nell’agenda e costringe l’alto rappresentate UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ad ammettere che l’UE è decisa a impostare un dialogo “operativo” e costruttivo con i talebani, con la necessità di instaurare una “presenza” congiunta dell’UE a Kabul per coordinare e monitorare le operazioni. Il dialogo sarà basato su un “impegno operativo”, spiega Borrell, che in altre parole significa che sarà finalizzato ad ottenere una serie di condizioni: Kabul non potrà essere terreno fertile per lo sviluppo o la protezione di cellule terroristiche; serviranno progressi sul rispetto diritti umani, “in particolare per le donne” (sostiene Borrell) e sullo stato di diritto e la libertà dei media; la formazione di un governo di transizione attraverso negoziati con le altre forze politiche, che consenta anche libero accesso agli aiuti umanitari. C’è poi l’ultimo impegno richiesto ai talebani sul lasciar partire persone afgane e di nazionalità straniere che sono a rischio e sono rimaste lì. Cinque condizioni che elenca Borrell in una conferenza stampa improvvisata quando il Consiglio Gymnich non è ancora finito. Ben consapevole che se queste sono le “condizioni” messe sul tavolo da Bruxelles non è scontato che i talebani abbiano la stessa idea di come saranno le future relazioni con il Continente.
    Se un dialogo “mirato” è percepito come necessario, altrettanto dovuta è la presenza europea a Kabul per coordinare le operazioni e in qualche modo monitorare che queste condizioni siano rispettate. Lo dice chiaramente Borrell, confermando una serie di indiscrezioni uscite nei giorni scorsi su una “ambasciata” europea a Kabul. Il capo della diplomazia europea non parla espressamente di ambasciata, ma di “presenza congiunta dell’Unione Europea coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna” di cui è al timone. Per coordinare gli sforzi di evacuazione di chi resta da evacuare, “gli Stati membri decideranno su base volontaria se accogliere le persone” ma “abbiamo deciso di lavorare in coordinamento, per coordinare i nostri contatti con i Talebani, anche attraverso una presenza congiunta dell’UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) se le condizioni della sicurezza sono soddisfatte”, ha precisato Borrell.

    Dialogo necessario e finalizzato “a un impegno operativo”, dice l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, a margine della riunione Gymnich. Accordo tra i ministri degli Esteri per una presenza europea in loco per coordinare le operazioni di evacuazione, “se saranno soddisfatte le condizioni di sicurezza”

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    Afghanistan, Borrell: “L’UE deve imparare la lezione. A novembre presenteremo le nuove forze a impiego rapido”

    Bruxelles – “La crisi e l’evacuazione dall’Afghanistan hanno dimostrato che non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo“. Le parole dell’alto rappresentanti UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono il riassunto di una giornata di discussioni tra i 27 ministri della Difesa europei. Dalla riunione informale di oggi (2 settembre) a Kranj, in Slovenia, è emersa la necessità di “imparare la lezione e unire le nostre forze e la nostra volontà di agire”. Tradotto: bisogna accelerare sulla preparazione delle forze europee di impiego rapido.
    “Se non fossimo stati costretti a dipendere da decisioni di altri attori, anche se alleati, avremmo potuto sviluppare la nostra strategia e le nostre azioni per l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul”, ha sottolineato Borrell. “Abbiamo le risorse e dobbiamo metterle insieme, altrimenti non potremo mai seguire una nostra strada autonoma”. Lo strumento delineato dall’alto rappresentante è quello della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, che “sarà presentata e spero approvata non oltre il 16 novembre dal Consiglio Affari Esteri”.
    Da sinistra: il ministro della Difesa sloveno, Matej Tonin, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (2 settembre 2021)
    Nonostante oggi in Slovenia non sia stata trovata l’unanimità sulla formazione delle forze europee di impiego rapido, sono state poste le basi per una discussione strutturata. Si tratterà di “alzare il livello di preparazione con esercitazioni militari comuni” e “implementare nuove missioni che coinvolgano circa 5 mila soldati“. Ai giornalisti che in conferenza stampa hanno chiesto spiegazioni sulle voci di una forza da 50 mila unità, l’alto rappresentante UE ha risposto che “non è mai stato nella nostra agenda, 5 mila è un numero realistico e sufficiente”.
    Per quanto riguarda la situazione in Afghanistan, Borrell ha ricordato i numeri dell’evacuazione: 17.500 persone, di cui 520 dello staff UE e relative famiglie. “Tutti i Paesi membri sono stati coinvolti, ma ora è necessario aumentare il nostro impegno a supporto dei cittadini afghani che non hanno potuto lasciare il Paese“. Persone che, ha specificato Borrell, “sono richiedenti asilo, non migranti. Dobbiamo usare le parole giuste e comportarci di conseguenza”. In questo senso si inserisce la volontà di “impegnarsi con il governo dei talebani in una discussione basata su condizioni“, vale a dire uno sforzo diplomatico per lo sviluppo dell’assistenza umanitaria e il rispetto dei diritti umani.
    Le reazioni
    A dare i dettagli sulla discussione di oggi è stato il ministro della Difesa sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Matej Tonin: “L’iniziativa non è stata attivata perché manca l’unanimità, ma stiamo discutendo di un meccanismo a maggioranza“. Dopo un lungo stallo, l’accelerazione è stata frutto della “lezione afghana”, ha confermato Tonin: la forza di 5 mila unità “sarà composta dai Paesi membri più volenterosi, ma potrà agire a nome dell’intera Unione“. Secondo quanto spiegato dal ministro, “sarebbero le istituzioni europee a decidere quando attivare le truppe”. La presidenza di turno slovena sostiene la visione di un’Unione “che sia attore globale attraverso una difesa efficace e una diplomazia unita, non solo con un’economia forte”.

    Alla riunione dei Ministri della Difesa UE. È il momento di accelerare su autonomia strategica Europa. Epilogo impegno in #Afghanistan ci spinge ad agire su #Difesa comune e attraverso lo #StrategicCompass è necessario definire azione concreta #UE in sinergia con #NATO pic.twitter.com/lMWxfsRTeH
    — Lorenzo Guerini (@guerini_lorenzo) September 2, 2021

    Tra i favorevoli al progetto c’è l’Italia, rappresentata oggi dal ministro Lorenzo Guerini. “La crisi afghana rappresenta per l’Unione Europea un nuovo monito a compiere l’auspicato salto di qualità nella sua dimensione di difesa e nella gestione delle crisi”, ha comunicato attraverso una nota al termine dell’incontro in Slovenia. “Sono convinto che lo Strategic Compass debba essere un documento ambizioso e concreto“.
    In conferenza stampa a Roma dedicate alle misure di prevenzione del COVID, oggi il premier Mario Draghi ha anche sottolineato che “l’Unione Europea indubbiamente è stata abbastanza assente in Afghanistan, perché su certi piani non è organizzata”. Per questo motivo “c’è molto da fare”, in un momento storico in cui “si ripensano tutte le relazioni internazionali”, ha aggiunto il capo del governo. “Io non credo all’abbandono e nell’isolazionismo”.
    Anche la Germania sostiene l’idea di un rafforzamento della sicurezza e della difesa dell’UE: “Se stiamo affrontando un indebolimento permanente dell’Occidente dipende dalle conclusioni che possiamo trarre dalla pesante sconfitta in Afghanistan”, ha commentato senza mezzi termini la ministra tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer. “La nostra credibilità dipenderà dall’essere in grado di agire in modo più indipendente in futuro, anche e soprattutto come europei”.

    Alla riunione informale dei ministri UE della Difesa l’alto rappresentante UE ha ricordato che “non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo”. Si cerca l’approvazione della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa anche senza unanimità

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    La crisi in Afghanistan riaccende il dibattito sulla difesa comune europea

    Bruxelles – La crisi afghana è il filo rosso che lega i due appuntamenti strategici che l’Unione Europea ha in programma per questa settimana: la riunione informale dei ministri della Difesa che si terrà domani e dopodomani (1°e 2 settembre) e quella sempre informale dei ministri degli Esteri (chiamata Gymnich) che si terrà giovedì 2 e venerdì 3 settembre. Non mancherà “una discussione comprensiva” su quanto è accaduto dopo il rapido ritiro delle truppe occidentali da Kabul la scorsa settimana e su quali opzioni sono oggi sul tavolo dell’Unione Europea che si dice pronta a un dialogo necessario con i talebani, che, nel bene e nel male, faranno parte del futuro dell’Afghanistan.
    Entrambe le riunioni dei ministri europei si terranno a Kranj, in Slovenia, ospitate dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE e saranno presiedute dall’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. La crisi in Afghanistan e gli sviluppi delle relazioni dell’UE saranno sul tavolo del vertice Gymnich, ma la discussione si interseca alla questione su come dare all’Unione Europea una difesa comune, che non significa solo un proprio contingente militare, forze armate a disposizione degli Stati membri, ma anche una comune visione strategica delle minacce dell’UE. Cosa che finora non è riuscita proprio perché gli Stati membri hanno opinioni diverse su quali siano le minacce per l’UE, ognuno con le proprie priorità strategiche.
    La riflessione innescata dalla crisi afghana farà breccia domani e dopodomani nella riunione dei ministri della Difesa, nel quadro della discussione sullo ‘Strategic compass’, la cosiddetta ‘bussola strategica’ a cui gli Stati membri stanno lavorando per orientare la rotta comune sulle minacce prioritarie alla sicurezza europea nell’arco del prossimo decennio. La crisi afghana e l’evidente disimpegno di Washington nelle dinamiche internazionali costringono a un’accelerazione della discussione e hanno riaperto a Bruxelles e dintorni il dibattito sulla necessità di rafforzare la capacità militare dell’UE e della propria autonomia strategica.
    E’ una delle lezioni dalla crisi in Afghanistan che l’UE dovrebbe imparare, ha affermato Borrell in una recente intervista al Corriere della Sera, parlando di “fallimento del mondo occidentale” ma anche di un momento spartiacque per le relazioni internazionali. Spartiacque perché costringe a una riflessione e porterà a dei cambiamenti. I lavori sulla bussola strategica “sono in corso” e si concluderanno durante il semestre di presidenza francese, presumibilmente a marzo del 2022, anche se “una prima bozza sarà disponibile già a novembre”, assicura un funzionario dell’UE che si occupa dei lavori.
    La posizione del capo della diplomazia europea è chiara: Borrell crede che i governi dell’UE debbano portare avanti una forza di reazione rapida europea per essere meglio preparati alle crisi future, come è successo in Afghanistan. La discussione va avanti da tempo: dal 2007 l’UE si è dotata di una capacità di intervento rapido per la gestione delle crisi, il cosiddetto ‘EU battle group’, che consiste in gruppi tattici o unità militari multinazionali, generalmente composte da 1.500 persone ciascuna. Come ogni decisione relativa alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE, il loro dispiegamento però è soggetto a una decisione unanime del Consiglio e quindi non sono mai stati dispiegati perché di fatto manca l’unanimità in Consiglio su quali siano le priorità di dispiegamento. Oltre a una chiara mancanza di una cultura della difesa europea, c’è il tema dei numeri. Borrell ha proposto di portare a 5.000 unità il numero, perché l’Unione Europea “dovrebbe essere in grado di sviluppare una forza militare europea”: l’aumento della capacità è una delle possibili modifiche sul tavolo dei negoziati tra gli Stati membri, di cui vedremo una prima bozza già a novembre.
    La capitolazione di Kabul nelle mani dei talebani sarà dominante, ma non l’unico argomento all’ordine del giorno. Sul tavolo dei ministri degli Esteri ci sarà anche una discussione sull’Iran e sui rapporti di Bruxelles con la Cina, mentre al centro dei colloqui tra i ministri della Difesa ci saranno anche gli altri impegni geostrategici dell’UE (in Libia, nei Balcani Occidentali e in Mozambico, per citare qualche priorità indicata da funzionari europei) e infine uno scambio di vedute con la NATO e l’ONU sulle future “aree comuni” di interesse strategico.

    Il futuro delle relazioni dell’UE con Kabul in mano ai talebani e il rafforzamento dell’autonomia strategica del Continente irrompono nell’agenda della riunione informale dei ministri europei della Difesa (1° e 2 settembre) e dei ministri degli Esteri Gymnich (2 e 3 settembre). Per il capo della diplomazia europea non c’è dubbio che sia arrivato il tempo di dotarsi di una propria forza militare comune

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    Mattarella, atto d’accusa ai Paesi UE: sconcertante negare accoglienza agli afgani

    Roma – Sconcertante. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è diretto e mette i Paesi europei di fronte alle responsabilità e rispetto dei principi dell’Unione, togliendo quel velo di ipocrisia che in questi giorni ha accompagnato la crisi afgana vista da Bruxelles.
    E ciò che si registra “appare sconcertante” dice il capo dello Stato, riferendosi alla “grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione”.
    Parole pesanti pronunciate a Ventotene dove sono le radici dell’Unione europea e dove in questo fine settimana è stato celebrato l’ottantesimo anniversario del manifesto che dall’isola prende il nome, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941. Un evento organizzato come di consueto insieme al seminario dei federalisti europei e che coinvolge decine di studenti e giovani oggi impegnati anche nel dibattito della Conferenza del futuro dell’Europa.
    Mattarella a Ventotene rende omaggio alla tomba di Altiero Spinelli
    L’atto d’accusa di Mattarella non passerà inosservato nelle cancellerie europee nei giorni in cui i limiti e i vincoli della politica estera dell’Ue appaiono in tutta la loro sconsolante chiarezza. La crisi in Afghanistan ha rimesso in agenda ciò che viene sistematicamente negato sulle politiche migratorie e Mattarella invoca un’UE “che deve avere finalmente una voce unica, sviluppare un dialogo collaborativo con le altre parti del mondo e particolarmente con l’Africa”. Risponde ai giovani del seminario federalista e spiega la necessità di governare e gestire il fenomeno “in maniera ordinata, accettabile e legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile”.
    La sostanza del messaggio è che diritti umani e democrazia non possono essere evocati a corrente alternata ed è appunto “sconcertante” l’indifferenza di fronte al dramma causato dal ritiro dell’alleanza e delle istantanee di un gigantesco esodo di civili afgani.  Un punto su cui oltre al tema delle migrazioni si innesta “la scarsa capacità di incidenza dell’UE, totalmente assente degli eventi e invece servono strumenti reali ed efficaci di politica estera e di difesa”. Ancora parole molto nette, arrivate in diretta alle orecchie di Josep Borrell, alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, e Guy Verhofstadt, co presidente della Conferenza per il futuro dell’Europa.
    Bene la Nato ma “all’Europa è richiesta una maggiore presenza e una voce sola nella politica estera e di difesa”, dice Mattarella che di questi temi con Borrell ha parlato dopo l’incontro pubblico anche a pranzo.
    In un’intervista al Corriere della Sera, l’alto rappresentante torna sul punto, sui rapporti tra UE e la Nato e gli Stati Uniti, spiegando che quella in Afghanistan “non è stata una guerra solo americana” e che dunque anche l’Europa ha una parte delle responsabilità. Quanto ai rapporti con l’Alleanza atlantica, Borrell spiega che “come europei dobbiamo imparare da questa crisi a lavorare di più insieme e rafforzare l’idea dell’autonomia strategica”. Poi ricorda che Biden è stato chiaro, “gli Stati uniti non sono più disposti a combattere guerre di altri” e dunque l’Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti”.

    Il capo dello Stato ospite delle celebrazioni per l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene, sferza l’Europa sulle politiche migratorie e chiede impegno concreto sulla politica esterea e di difesa. Borrell: “Impariamo dalla crisi, dobbiamo rafforzare l’autonomia strategica per poter intervenire da soli”

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    Afghanistan, eurodeputati invocano corridoi umanitari. Ma Grecia, Bulgaria e Polonia militarizzano le frontiere

    Bruxelles – A quattro giorni dalla scadenza per le operazioni di evacuazione straniere in Afghanistan – in ore di concitazione dopo gli attacchi suicidi di ieri (26 agosto) all’aeroporto internazionale di Kabul – e con i Paesi occidentali che stanno chiudendo in tutta fretta i ponti aerei, una domanda è rimasta in sospeso: che ne sarà dei cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi e di quelli che cercheranno di fuggire dal regime dei talebani?
    I Paesi occidentali avevano promesso a tutti coloro che negli ultimi 20 anni avevano collaborato col le forze statunitensi, europee e della NATO che sarebbero stati evacuati con le rispettive famiglie dal Paese. Promessa estesa poi anche ai gruppi che potrebbero diventare un bersaglio del nuovo regime, come donne, studenti universitari e membri di associazioni internazionali (come quelli di Friday’s For Future, per la cui evacuazione l’attivista Greta Thunberg ha lanciato un appello urgente).
    Sembra però quasi impossibile rispettare l’impegno, anche a causa della volontà del presidente statunitense, Joe Biden, di rispettare tassativamente la scadenza del 31 agosto per il ritiro completo delle truppe. Ma come riporta The New York Times, sarebbero ancora almeno 250 mila gli afghani che hanno lavorato con gli Stati Uniti che devono ancora essere evacuati, mentre i Paesi europei si stanno ritirando uno dopo l’altro ben prima del termine ultimo fissato dai talebani per lasciare l’aeroporto di Kabul.
    Evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul
    Una soluzione per chi non ce la farà, potrebbero essere i corridoi umanitari. A Bruxelles se ne sta parlando da giorni, nonostante l’opposizione di diversi Stati membri UE e della presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE. A chiederlo con forza in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono stati 76 membri del Parlamento UE. Tra loro, 22 eurodeputati italiani: 9 del Partito Democratico (Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino, Massimiliano Smeriglio, Patrizia Toia, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Giuliano Pisapia e Pietro Bartolo), 8 del Movimento 5 Stelle (i promotori Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara, Tiziana Beghin, Chiara Gemma, Daniela Rondinelli, Mario Furore, Dino Giarrusso e Sabrina Pignedoli) e 3 di Europa Verde (Eleonora Evi, Rosa D’Amato e Ignazio Corrao) oltre alle firme di Salvatore De Meo (Forza Italia) e Anna Bonfrisco (Lega).
    “È fondamentale attivare immediatamente i corridoi umanitari”, si legge nella lettera, che fa riferimento all’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001: “Abbiamo già una base legislativa e normativa, ma non l’abbiamo mai usata”. La direttiva “stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo, come quella attualmente in corso in Afghanistan”. In questo caso viene stabilito un meccanismo di emergenza “per fornire protezione immediata e temporanea a sfollati che sono impossibilitati a tornare nel proprio Paese d’origine”. Tutti criteri “perfettamente applicabili” nel caso dei cittadini afghani in fuga.
    Nonostante la direttiva non sia mai stata sfruttata da quando è entrata in vigore, “è arrivato il momento di mettere fine a questa inazione e l’Afghanistan rappresenterebbe l’occasione perfetta per farlo“. La Commissione UE dovrebbe svolgere un ruolo di “mediatore umanitario”, cercando di “incoraggiare i Paesi membri ad attuare programmi vasti ed efficaci per proteggere i rifugiati afghani”, spiegano i firmatari. “Non possiamo voltare loro le spalle nel momento in cui hanno più bisogno di noi“, anche considerate le responsabilità “non trascurabili” dell’Occidente nell’aver determinato la situazione attuale nel Paese, ma anche il supporto “sostanziale” offerto dagli afghani negli ultimi 20 anni. Insieme ai “partner storici” di Washington e Londra, è necessario “aprire discussioni diplomatiche per implementare misure a garanzia della loro protezione”.
    Secondo il vicepresidente dell’Eurocamera, Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), “al Parlamento è possibile arrivare a una chiara e forte maggioranza in favore dei corridoi umanitari europei”, già a partire dalla plenaria di settembre: “Siamo pronti a fare la nostra parte, mettendo al centro solidarietà e responsabilità”. Una risposta all’atteggiamento “di chiusura” di alcuni Paesi membri UE (tra cui Austria, Slovenia e Ungheria), che “non rappresenta la posizione ufficiale delle istituzioni europee e siamo certi essere in minoranza anche in Consiglio”, attacca Castaldo. Nella lettera dei 76 eurodeputati viene sottolineato che “è in gioco la nostra credibilità come attore coinvolto nella protezione e nella promozione dei diritti umani” e per questo motivo “è essenziale utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per alleviare il più possibile le sofferenze del popolo afghano”.

    The EU must not overlook what is happening in Kabul & Afghanistan and stand up for #HumanRights! 🇦🇫
    With ~80 MEPs, we call on @vonderleyen, @JosepBorrellF & @YlvaJohansson to act & to activate humanitarian corridors immediately by using the #TemporaryProtectionDirective. pic.twitter.com/IwcqT4b5ih
    — Tilly Metz MEP (@MetzTilly) August 26, 2021

    Filo spinato e soldati alla frontiera
    La situazione alle frontiere esterne dell’UE dice però tutt’altro. Nelle ultime 48 ore Grecia, Bulgaria e Polonia hanno iniziato a militarizzare i propri confini, anticipando una possibile crisi migratoria. Da Sofia è arrivato l’annuncio che saranno inviati tra i 400 e i 700 soldati lungo le frontiere con Grecia e Turchia, punto d’ingresso via terra della rotta balcanica. “La pressione sul confine bulgaro sta aumentando e questo richiede al governo di agire”, ha spiegato Georgi Panayotov, ministro della Difesa. “I soldati aiuteranno la polizia per la sorveglianza e la costruzione di barriere“.
    Da Atene sono invece arrivate le dichiarazioni del ministro dell’Immigrazione, Notis Mitarachi, e del capo della protezione civile, Michalis Chrisochoidis, che hanno ribadito “l’inviolabilità dei confini della Grecia, perché non possiamo aspettare passivamente l’impatto di un flusso simile a quello del 2015”. Il governo ha già terminato i lavori di estensione di 40 chilometri del muro di confine con la Turchia, mentre nuove pattuglie sono state attivate per le operazioni di controllo. L’arsenale della polizia di frontiera è stato ulteriormente rafforzato con gas lacrimogeni, granate stordenti, telecamere e radar con una copertura di 15 chilometri in territorio turco.
    E poi c’è la Polonia, che ha iniziato ufficialmente i lavori di costruzione della recinzione di filo spinato al confine con la Bielorussia. In questo caso la questione migratoria si intreccia con il deterioramento dei rapporti dell’Unione Europea con la Bielorussia di Alexander Lukashenko e l’aumento esponenziale degli ingressi irregolari di persone migranti, provenienti dal Medioriente e dall’Africa lungo rotta bielorussa. L’ultimo dittatore d’Europa sta agevolando il flusso come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles al Paese e la Lituania è stato il primo Paese membro UE a iniziare la costruzione di una barriera per bloccarlo.
    Dopo aver annunciato l’intenzione di fare lo stesso, il governo di Varsavia ha dato il via alle operazioni di installazione di una rete di filo spinato lungo i 399 chilometri di confine tra Polonia e Bielorussia: “Da mercoledì sono stati eretti quasi tre chilometri di recinzione”, ha scritto su Twitter il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, aggiungendo che sono stati mobilitati oltre 1.800 soldati per dare aiuto alla polizia di frontiera.

    Wzmacniamy granice! Żołnierze rozpoczęli budowę ogrodzenia na granicy polsko-białoruskiej. Płot zwiększy jej szczelność i znacznie utrudni próby nielegalnego przekraczania. pic.twitter.com/QRZMzK2CZI
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 25, 2021