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    Afghanistan, Borrell: “Presenza dell’UE a Kabul necessaria, ma in sicurezza”

    Bruxelles – Come impostare il dialogo con l’Afghanistan in mano ai talebani e come fare a evacuare tutte le persone che l’UE vuole e deve ancora evacuare. Su queste due questioni i ministri europei degli Esteri cercano la quadra, riuniti oggi (3 settembre) in un vertice informale di Gymnich a Kranj, in Slovenia, ospitato dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE.
    La crisi in Afghanistan irrompe nell’agenda e costringe l’alto rappresentate UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ad ammettere che l’UE è decisa a impostare un dialogo “operativo” e costruttivo con i talebani, con la necessità di instaurare una “presenza” congiunta dell’UE a Kabul per coordinare e monitorare le operazioni. Il dialogo sarà basato su un “impegno operativo”, spiega Borrell, che in altre parole significa che sarà finalizzato ad ottenere una serie di condizioni: Kabul non potrà essere terreno fertile per lo sviluppo o la protezione di cellule terroristiche; serviranno progressi sul rispetto diritti umani, “in particolare per le donne” (sostiene Borrell) e sullo stato di diritto e la libertà dei media; la formazione di un governo di transizione attraverso negoziati con le altre forze politiche, che consenta anche libero accesso agli aiuti umanitari. C’è poi l’ultimo impegno richiesto ai talebani sul lasciar partire persone afgane e di nazionalità straniere che sono a rischio e sono rimaste lì. Cinque condizioni che elenca Borrell in una conferenza stampa improvvisata quando il Consiglio Gymnich non è ancora finito. Ben consapevole che se queste sono le “condizioni” messe sul tavolo da Bruxelles non è scontato che i talebani abbiano la stessa idea di come saranno le future relazioni con il Continente.
    Se un dialogo “mirato” è percepito come necessario, altrettanto dovuta è la presenza europea a Kabul per coordinare le operazioni e in qualche modo monitorare che queste condizioni siano rispettate. Lo dice chiaramente Borrell, confermando una serie di indiscrezioni uscite nei giorni scorsi su una “ambasciata” europea a Kabul. Il capo della diplomazia europea non parla espressamente di ambasciata, ma di “presenza congiunta dell’Unione Europea coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna” di cui è al timone. Per coordinare gli sforzi di evacuazione di chi resta da evacuare, “gli Stati membri decideranno su base volontaria se accogliere le persone” ma “abbiamo deciso di lavorare in coordinamento, per coordinare i nostri contatti con i Talebani, anche attraverso una presenza congiunta dell’UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) se le condizioni della sicurezza sono soddisfatte”, ha precisato Borrell.

    Dialogo necessario e finalizzato “a un impegno operativo”, dice l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, a margine della riunione Gymnich. Accordo tra i ministri degli Esteri per una presenza europea in loco per coordinare le operazioni di evacuazione, “se saranno soddisfatte le condizioni di sicurezza”

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    Afghanistan, Borrell: “L’UE deve imparare la lezione. A novembre presenteremo le nuove forze a impiego rapido”

    Bruxelles – “La crisi e l’evacuazione dall’Afghanistan hanno dimostrato che non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo“. Le parole dell’alto rappresentanti UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono il riassunto di una giornata di discussioni tra i 27 ministri della Difesa europei. Dalla riunione informale di oggi (2 settembre) a Kranj, in Slovenia, è emersa la necessità di “imparare la lezione e unire le nostre forze e la nostra volontà di agire”. Tradotto: bisogna accelerare sulla preparazione delle forze europee di impiego rapido.
    “Se non fossimo stati costretti a dipendere da decisioni di altri attori, anche se alleati, avremmo potuto sviluppare la nostra strategia e le nostre azioni per l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul”, ha sottolineato Borrell. “Abbiamo le risorse e dobbiamo metterle insieme, altrimenti non potremo mai seguire una nostra strada autonoma”. Lo strumento delineato dall’alto rappresentante è quello della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, che “sarà presentata e spero approvata non oltre il 16 novembre dal Consiglio Affari Esteri”.
    Da sinistra: il ministro della Difesa sloveno, Matej Tonin, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (2 settembre 2021)
    Nonostante oggi in Slovenia non sia stata trovata l’unanimità sulla formazione delle forze europee di impiego rapido, sono state poste le basi per una discussione strutturata. Si tratterà di “alzare il livello di preparazione con esercitazioni militari comuni” e “implementare nuove missioni che coinvolgano circa 5 mila soldati“. Ai giornalisti che in conferenza stampa hanno chiesto spiegazioni sulle voci di una forza da 50 mila unità, l’alto rappresentante UE ha risposto che “non è mai stato nella nostra agenda, 5 mila è un numero realistico e sufficiente”.
    Per quanto riguarda la situazione in Afghanistan, Borrell ha ricordato i numeri dell’evacuazione: 17.500 persone, di cui 520 dello staff UE e relative famiglie. “Tutti i Paesi membri sono stati coinvolti, ma ora è necessario aumentare il nostro impegno a supporto dei cittadini afghani che non hanno potuto lasciare il Paese“. Persone che, ha specificato Borrell, “sono richiedenti asilo, non migranti. Dobbiamo usare le parole giuste e comportarci di conseguenza”. In questo senso si inserisce la volontà di “impegnarsi con il governo dei talebani in una discussione basata su condizioni“, vale a dire uno sforzo diplomatico per lo sviluppo dell’assistenza umanitaria e il rispetto dei diritti umani.
    Le reazioni
    A dare i dettagli sulla discussione di oggi è stato il ministro della Difesa sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Matej Tonin: “L’iniziativa non è stata attivata perché manca l’unanimità, ma stiamo discutendo di un meccanismo a maggioranza“. Dopo un lungo stallo, l’accelerazione è stata frutto della “lezione afghana”, ha confermato Tonin: la forza di 5 mila unità “sarà composta dai Paesi membri più volenterosi, ma potrà agire a nome dell’intera Unione“. Secondo quanto spiegato dal ministro, “sarebbero le istituzioni europee a decidere quando attivare le truppe”. La presidenza di turno slovena sostiene la visione di un’Unione “che sia attore globale attraverso una difesa efficace e una diplomazia unita, non solo con un’economia forte”.

    Alla riunione dei Ministri della Difesa UE. È il momento di accelerare su autonomia strategica Europa. Epilogo impegno in #Afghanistan ci spinge ad agire su #Difesa comune e attraverso lo #StrategicCompass è necessario definire azione concreta #UE in sinergia con #NATO pic.twitter.com/lMWxfsRTeH
    — Lorenzo Guerini (@guerini_lorenzo) September 2, 2021

    Tra i favorevoli al progetto c’è l’Italia, rappresentata oggi dal ministro Lorenzo Guerini. “La crisi afghana rappresenta per l’Unione Europea un nuovo monito a compiere l’auspicato salto di qualità nella sua dimensione di difesa e nella gestione delle crisi”, ha comunicato attraverso una nota al termine dell’incontro in Slovenia. “Sono convinto che lo Strategic Compass debba essere un documento ambizioso e concreto“.
    In conferenza stampa a Roma dedicate alle misure di prevenzione del COVID, oggi il premier Mario Draghi ha anche sottolineato che “l’Unione Europea indubbiamente è stata abbastanza assente in Afghanistan, perché su certi piani non è organizzata”. Per questo motivo “c’è molto da fare”, in un momento storico in cui “si ripensano tutte le relazioni internazionali”, ha aggiunto il capo del governo. “Io non credo all’abbandono e nell’isolazionismo”.
    Anche la Germania sostiene l’idea di un rafforzamento della sicurezza e della difesa dell’UE: “Se stiamo affrontando un indebolimento permanente dell’Occidente dipende dalle conclusioni che possiamo trarre dalla pesante sconfitta in Afghanistan”, ha commentato senza mezzi termini la ministra tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer. “La nostra credibilità dipenderà dall’essere in grado di agire in modo più indipendente in futuro, anche e soprattutto come europei”.

    Alla riunione informale dei ministri UE della Difesa l’alto rappresentante UE ha ricordato che “non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo”. Si cerca l’approvazione della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa anche senza unanimità

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    La crisi in Afghanistan riaccende il dibattito sulla difesa comune europea

    Bruxelles – La crisi afghana è il filo rosso che lega i due appuntamenti strategici che l’Unione Europea ha in programma per questa settimana: la riunione informale dei ministri della Difesa che si terrà domani e dopodomani (1°e 2 settembre) e quella sempre informale dei ministri degli Esteri (chiamata Gymnich) che si terrà giovedì 2 e venerdì 3 settembre. Non mancherà “una discussione comprensiva” su quanto è accaduto dopo il rapido ritiro delle truppe occidentali da Kabul la scorsa settimana e su quali opzioni sono oggi sul tavolo dell’Unione Europea che si dice pronta a un dialogo necessario con i talebani, che, nel bene e nel male, faranno parte del futuro dell’Afghanistan.
    Entrambe le riunioni dei ministri europei si terranno a Kranj, in Slovenia, ospitate dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE e saranno presiedute dall’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. La crisi in Afghanistan e gli sviluppi delle relazioni dell’UE saranno sul tavolo del vertice Gymnich, ma la discussione si interseca alla questione su come dare all’Unione Europea una difesa comune, che non significa solo un proprio contingente militare, forze armate a disposizione degli Stati membri, ma anche una comune visione strategica delle minacce dell’UE. Cosa che finora non è riuscita proprio perché gli Stati membri hanno opinioni diverse su quali siano le minacce per l’UE, ognuno con le proprie priorità strategiche.
    La riflessione innescata dalla crisi afghana farà breccia domani e dopodomani nella riunione dei ministri della Difesa, nel quadro della discussione sullo ‘Strategic compass’, la cosiddetta ‘bussola strategica’ a cui gli Stati membri stanno lavorando per orientare la rotta comune sulle minacce prioritarie alla sicurezza europea nell’arco del prossimo decennio. La crisi afghana e l’evidente disimpegno di Washington nelle dinamiche internazionali costringono a un’accelerazione della discussione e hanno riaperto a Bruxelles e dintorni il dibattito sulla necessità di rafforzare la capacità militare dell’UE e della propria autonomia strategica.
    E’ una delle lezioni dalla crisi in Afghanistan che l’UE dovrebbe imparare, ha affermato Borrell in una recente intervista al Corriere della Sera, parlando di “fallimento del mondo occidentale” ma anche di un momento spartiacque per le relazioni internazionali. Spartiacque perché costringe a una riflessione e porterà a dei cambiamenti. I lavori sulla bussola strategica “sono in corso” e si concluderanno durante il semestre di presidenza francese, presumibilmente a marzo del 2022, anche se “una prima bozza sarà disponibile già a novembre”, assicura un funzionario dell’UE che si occupa dei lavori.
    La posizione del capo della diplomazia europea è chiara: Borrell crede che i governi dell’UE debbano portare avanti una forza di reazione rapida europea per essere meglio preparati alle crisi future, come è successo in Afghanistan. La discussione va avanti da tempo: dal 2007 l’UE si è dotata di una capacità di intervento rapido per la gestione delle crisi, il cosiddetto ‘EU battle group’, che consiste in gruppi tattici o unità militari multinazionali, generalmente composte da 1.500 persone ciascuna. Come ogni decisione relativa alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE, il loro dispiegamento però è soggetto a una decisione unanime del Consiglio e quindi non sono mai stati dispiegati perché di fatto manca l’unanimità in Consiglio su quali siano le priorità di dispiegamento. Oltre a una chiara mancanza di una cultura della difesa europea, c’è il tema dei numeri. Borrell ha proposto di portare a 5.000 unità il numero, perché l’Unione Europea “dovrebbe essere in grado di sviluppare una forza militare europea”: l’aumento della capacità è una delle possibili modifiche sul tavolo dei negoziati tra gli Stati membri, di cui vedremo una prima bozza già a novembre.
    La capitolazione di Kabul nelle mani dei talebani sarà dominante, ma non l’unico argomento all’ordine del giorno. Sul tavolo dei ministri degli Esteri ci sarà anche una discussione sull’Iran e sui rapporti di Bruxelles con la Cina, mentre al centro dei colloqui tra i ministri della Difesa ci saranno anche gli altri impegni geostrategici dell’UE (in Libia, nei Balcani Occidentali e in Mozambico, per citare qualche priorità indicata da funzionari europei) e infine uno scambio di vedute con la NATO e l’ONU sulle future “aree comuni” di interesse strategico.

    Il futuro delle relazioni dell’UE con Kabul in mano ai talebani e il rafforzamento dell’autonomia strategica del Continente irrompono nell’agenda della riunione informale dei ministri europei della Difesa (1° e 2 settembre) e dei ministri degli Esteri Gymnich (2 e 3 settembre). Per il capo della diplomazia europea non c’è dubbio che sia arrivato il tempo di dotarsi di una propria forza militare comune

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    Mattarella, atto d’accusa ai Paesi UE: sconcertante negare accoglienza agli afgani

    Roma – Sconcertante. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è diretto e mette i Paesi europei di fronte alle responsabilità e rispetto dei principi dell’Unione, togliendo quel velo di ipocrisia che in questi giorni ha accompagnato la crisi afgana vista da Bruxelles.
    E ciò che si registra “appare sconcertante” dice il capo dello Stato, riferendosi alla “grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione”.
    Parole pesanti pronunciate a Ventotene dove sono le radici dell’Unione europea e dove in questo fine settimana è stato celebrato l’ottantesimo anniversario del manifesto che dall’isola prende il nome, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941. Un evento organizzato come di consueto insieme al seminario dei federalisti europei e che coinvolge decine di studenti e giovani oggi impegnati anche nel dibattito della Conferenza del futuro dell’Europa.
    Mattarella a Ventotene rende omaggio alla tomba di Altiero Spinelli
    L’atto d’accusa di Mattarella non passerà inosservato nelle cancellerie europee nei giorni in cui i limiti e i vincoli della politica estera dell’Ue appaiono in tutta la loro sconsolante chiarezza. La crisi in Afghanistan ha rimesso in agenda ciò che viene sistematicamente negato sulle politiche migratorie e Mattarella invoca un’UE “che deve avere finalmente una voce unica, sviluppare un dialogo collaborativo con le altre parti del mondo e particolarmente con l’Africa”. Risponde ai giovani del seminario federalista e spiega la necessità di governare e gestire il fenomeno “in maniera ordinata, accettabile e legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile”.
    La sostanza del messaggio è che diritti umani e democrazia non possono essere evocati a corrente alternata ed è appunto “sconcertante” l’indifferenza di fronte al dramma causato dal ritiro dell’alleanza e delle istantanee di un gigantesco esodo di civili afgani.  Un punto su cui oltre al tema delle migrazioni si innesta “la scarsa capacità di incidenza dell’UE, totalmente assente degli eventi e invece servono strumenti reali ed efficaci di politica estera e di difesa”. Ancora parole molto nette, arrivate in diretta alle orecchie di Josep Borrell, alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, e Guy Verhofstadt, co presidente della Conferenza per il futuro dell’Europa.
    Bene la Nato ma “all’Europa è richiesta una maggiore presenza e una voce sola nella politica estera e di difesa”, dice Mattarella che di questi temi con Borrell ha parlato dopo l’incontro pubblico anche a pranzo.
    In un’intervista al Corriere della Sera, l’alto rappresentante torna sul punto, sui rapporti tra UE e la Nato e gli Stati Uniti, spiegando che quella in Afghanistan “non è stata una guerra solo americana” e che dunque anche l’Europa ha una parte delle responsabilità. Quanto ai rapporti con l’Alleanza atlantica, Borrell spiega che “come europei dobbiamo imparare da questa crisi a lavorare di più insieme e rafforzare l’idea dell’autonomia strategica”. Poi ricorda che Biden è stato chiaro, “gli Stati uniti non sono più disposti a combattere guerre di altri” e dunque l’Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti”.

    Il capo dello Stato ospite delle celebrazioni per l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene, sferza l’Europa sulle politiche migratorie e chiede impegno concreto sulla politica esterea e di difesa. Borrell: “Impariamo dalla crisi, dobbiamo rafforzare l’autonomia strategica per poter intervenire da soli”

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    Afghanistan, eurodeputati invocano corridoi umanitari. Ma Grecia, Bulgaria e Polonia militarizzano le frontiere

    Bruxelles – A quattro giorni dalla scadenza per le operazioni di evacuazione straniere in Afghanistan – in ore di concitazione dopo gli attacchi suicidi di ieri (26 agosto) all’aeroporto internazionale di Kabul – e con i Paesi occidentali che stanno chiudendo in tutta fretta i ponti aerei, una domanda è rimasta in sospeso: che ne sarà dei cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi e di quelli che cercheranno di fuggire dal regime dei talebani?
    I Paesi occidentali avevano promesso a tutti coloro che negli ultimi 20 anni avevano collaborato col le forze statunitensi, europee e della NATO che sarebbero stati evacuati con le rispettive famiglie dal Paese. Promessa estesa poi anche ai gruppi che potrebbero diventare un bersaglio del nuovo regime, come donne, studenti universitari e membri di associazioni internazionali (come quelli di Friday’s For Future, per la cui evacuazione l’attivista Greta Thunberg ha lanciato un appello urgente).
    Sembra però quasi impossibile rispettare l’impegno, anche a causa della volontà del presidente statunitense, Joe Biden, di rispettare tassativamente la scadenza del 31 agosto per il ritiro completo delle truppe. Ma come riporta The New York Times, sarebbero ancora almeno 250 mila gli afghani che hanno lavorato con gli Stati Uniti che devono ancora essere evacuati, mentre i Paesi europei si stanno ritirando uno dopo l’altro ben prima del termine ultimo fissato dai talebani per lasciare l’aeroporto di Kabul.
    Evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul
    Una soluzione per chi non ce la farà, potrebbero essere i corridoi umanitari. A Bruxelles se ne sta parlando da giorni, nonostante l’opposizione di diversi Stati membri UE e della presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE. A chiederlo con forza in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono stati 76 membri del Parlamento UE. Tra loro, 22 eurodeputati italiani: 9 del Partito Democratico (Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino, Massimiliano Smeriglio, Patrizia Toia, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Giuliano Pisapia e Pietro Bartolo), 8 del Movimento 5 Stelle (i promotori Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara, Tiziana Beghin, Chiara Gemma, Daniela Rondinelli, Mario Furore, Dino Giarrusso e Sabrina Pignedoli) e 3 di Europa Verde (Eleonora Evi, Rosa D’Amato e Ignazio Corrao) oltre alle firme di Salvatore De Meo (Forza Italia) e Anna Bonfrisco (Lega).
    “È fondamentale attivare immediatamente i corridoi umanitari”, si legge nella lettera, che fa riferimento all’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001: “Abbiamo già una base legislativa e normativa, ma non l’abbiamo mai usata”. La direttiva “stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo, come quella attualmente in corso in Afghanistan”. In questo caso viene stabilito un meccanismo di emergenza “per fornire protezione immediata e temporanea a sfollati che sono impossibilitati a tornare nel proprio Paese d’origine”. Tutti criteri “perfettamente applicabili” nel caso dei cittadini afghani in fuga.
    Nonostante la direttiva non sia mai stata sfruttata da quando è entrata in vigore, “è arrivato il momento di mettere fine a questa inazione e l’Afghanistan rappresenterebbe l’occasione perfetta per farlo“. La Commissione UE dovrebbe svolgere un ruolo di “mediatore umanitario”, cercando di “incoraggiare i Paesi membri ad attuare programmi vasti ed efficaci per proteggere i rifugiati afghani”, spiegano i firmatari. “Non possiamo voltare loro le spalle nel momento in cui hanno più bisogno di noi“, anche considerate le responsabilità “non trascurabili” dell’Occidente nell’aver determinato la situazione attuale nel Paese, ma anche il supporto “sostanziale” offerto dagli afghani negli ultimi 20 anni. Insieme ai “partner storici” di Washington e Londra, è necessario “aprire discussioni diplomatiche per implementare misure a garanzia della loro protezione”.
    Secondo il vicepresidente dell’Eurocamera, Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), “al Parlamento è possibile arrivare a una chiara e forte maggioranza in favore dei corridoi umanitari europei”, già a partire dalla plenaria di settembre: “Siamo pronti a fare la nostra parte, mettendo al centro solidarietà e responsabilità”. Una risposta all’atteggiamento “di chiusura” di alcuni Paesi membri UE (tra cui Austria, Slovenia e Ungheria), che “non rappresenta la posizione ufficiale delle istituzioni europee e siamo certi essere in minoranza anche in Consiglio”, attacca Castaldo. Nella lettera dei 76 eurodeputati viene sottolineato che “è in gioco la nostra credibilità come attore coinvolto nella protezione e nella promozione dei diritti umani” e per questo motivo “è essenziale utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per alleviare il più possibile le sofferenze del popolo afghano”.

    The EU must not overlook what is happening in Kabul & Afghanistan and stand up for #HumanRights! 🇦🇫
    With ~80 MEPs, we call on @vonderleyen, @JosepBorrellF & @YlvaJohansson to act & to activate humanitarian corridors immediately by using the #TemporaryProtectionDirective. pic.twitter.com/IwcqT4b5ih
    — Tilly Metz MEP (@MetzTilly) August 26, 2021

    Filo spinato e soldati alla frontiera
    La situazione alle frontiere esterne dell’UE dice però tutt’altro. Nelle ultime 48 ore Grecia, Bulgaria e Polonia hanno iniziato a militarizzare i propri confini, anticipando una possibile crisi migratoria. Da Sofia è arrivato l’annuncio che saranno inviati tra i 400 e i 700 soldati lungo le frontiere con Grecia e Turchia, punto d’ingresso via terra della rotta balcanica. “La pressione sul confine bulgaro sta aumentando e questo richiede al governo di agire”, ha spiegato Georgi Panayotov, ministro della Difesa. “I soldati aiuteranno la polizia per la sorveglianza e la costruzione di barriere“.
    Da Atene sono invece arrivate le dichiarazioni del ministro dell’Immigrazione, Notis Mitarachi, e del capo della protezione civile, Michalis Chrisochoidis, che hanno ribadito “l’inviolabilità dei confini della Grecia, perché non possiamo aspettare passivamente l’impatto di un flusso simile a quello del 2015”. Il governo ha già terminato i lavori di estensione di 40 chilometri del muro di confine con la Turchia, mentre nuove pattuglie sono state attivate per le operazioni di controllo. L’arsenale della polizia di frontiera è stato ulteriormente rafforzato con gas lacrimogeni, granate stordenti, telecamere e radar con una copertura di 15 chilometri in territorio turco.
    E poi c’è la Polonia, che ha iniziato ufficialmente i lavori di costruzione della recinzione di filo spinato al confine con la Bielorussia. In questo caso la questione migratoria si intreccia con il deterioramento dei rapporti dell’Unione Europea con la Bielorussia di Alexander Lukashenko e l’aumento esponenziale degli ingressi irregolari di persone migranti, provenienti dal Medioriente e dall’Africa lungo rotta bielorussa. L’ultimo dittatore d’Europa sta agevolando il flusso come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles al Paese e la Lituania è stato il primo Paese membro UE a iniziare la costruzione di una barriera per bloccarlo.
    Dopo aver annunciato l’intenzione di fare lo stesso, il governo di Varsavia ha dato il via alle operazioni di installazione di una rete di filo spinato lungo i 399 chilometri di confine tra Polonia e Bielorussia: “Da mercoledì sono stati eretti quasi tre chilometri di recinzione”, ha scritto su Twitter il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, aggiungendo che sono stati mobilitati oltre 1.800 soldati per dare aiuto alla polizia di frontiera.

    Wzmacniamy granice! Żołnierze rozpoczęli budowę ogrodzenia na granicy polsko-białoruskiej. Płot zwiększy jej szczelność i znacznie utrudni próby nielegalnego przekraczania. pic.twitter.com/QRZMzK2CZI
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 25, 2021

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    Afghanistan, i corridoi umanitari UE restano un tabù: Austria, Slovenia e Ungheria vogliono frontiere chiuse ai profughi

    Bruxelles – L’Unione Europea si spacca e per l’ennesima volta dimostra di non essere in grado di trovare una linea comune sulla politica migratoria, anche quando si tratta di emergenze di portata storica. Si fanno sempre più insistenti le richieste di cittadini, di organizzazioni non governative e di deputati dei Paesi membri alle istituzioni europee di attivare corridoi umanitari per i profughi in arrivo dall’Afghanistan, a una settimana dalla presa di Kabul da parte dei talebani. Ma l’asse Lubiana-Vienna-Budapest fa muro contro quella che viene classificata come una riedizione della crisi migratoria di sei anni fa lungo la rotta balcanica.
    A sollevare le polemiche era stato ieri (22 agosto) il primo ministro sloveno, Janez Janša: “Non ripeteremo gli errori strategici del 2015, aiuteremo solo coloro che ci hanno supportato durante la missione NATO e i Paesi membri dell’UE che difendono i nostri confini esterni”. L’opposizione di Janša ha assunto particolare rilievo anche per il fatto che attualmente ricopre la carica di presidente di turno del Consiglio dell’UE (dal primo luglio fino a fine anno). “Non è compito dell’Unione o della Slovenia aiutare e pagare per tutti coloro che fuggono nel mondo“, ha rincarato la dose il premier sloveno, confermando di essersi completamente allineato alle posizioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per quanto riguarda le questioni migratorie.
    A nemmeno ventiquattr’ore di distanza è arrivata la sponda austriaca e ungherese, con un copione molto simile a quello del presidente di turno del Consiglio dell’UE. “Gli eventi in Afghanistan sono drammatici, ma non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini”, ha commentato su Twitter il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. Per Vienna la priorità dell’UE deve essere “proteggere le frontiere esterne e combattere la migrazione illegale e i trafficanti di esseri umani“, anche considerata la situazione interna del Paese: “L’Austria ha accolto 44mila afghani, abbiamo una delle più grandi comunità pro-capite al mondo”, ha aggiunto il cancelliere. “Ci sono ancora grossi problemi con l’integrazione e siamo quindi contrari all’arrivo di altri profughi”.
    Da Budapest il premier ungherese, Viktor Orbán, ha fatto sapere che “proteggeremo l’Ungheria dalla crisi dei migranti” e che “deve essere evitato che i profughi lascino la regione”. Oltre a ciò, sarà poi necessario sostenere il ruolo “fondamentale” della Turchia e dei Paesi dei Balcani occidentali, per “evitare l’ingresso dei migranti nell’Unione Europea”.

    Österreich hat mit der Aufnahme von 44.000 Afghanen sehr viel geleistet. Wir haben pro Kopf eine der größten afghanischen Communities der Welt nach Iran, Pakistan & Schweden. Bei der Integration gibt es noch große Probleme & wir sind daher gegen eine zusätzliche Aufnahme.
    — Sebastian Kurz (@sebastiankurz) August 22, 2021

    In vista della riunione straordinaria del G7 convocata dal premier britannico, Boris Johnson, per domani (24 agosto), sembrano andare in frantumi le speranze dell’Unione Europea di presentarsi compatta di fronte agli interlocutori internazionali sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel corso dell’audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo di lunedì scorso (16 agosto), l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva aperto alla possibilità di applicare per la prima volta la Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001. Prima di essere immediatamente sconfessato proprio da un portavoce dell’esecutivo comunitario.
    Due giorni più tardi (mercoledì 18 agosto), al termine del vertice straordinario con i 27 ministri UE, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, aveva però ammesso che Bruxelles si sta preparando “a tutti gli scenari”. Durante il vertice si era parlato della “priorità immediata”, ovvero l’evacuazione del personale e dei cittadini comunitari e del personale locale che ha lavorato con gli Stati membri in Afghanistan (è notizia dell’ultim’ora l’imbarco di oltre 170 collaboratori UE all’aeroporto di Kabul grazie alle forze speciali francesi).
    Ma è anche stata considerata “l’instabilità che porterà probabilmente a un aumento della pressione migratoria”. In questo senso sarà necessario un sostegno ai Paesi vicini (Iran e Pakistan) e trovare una quadra a livello comunitario per i richiedenti asilo: “Allo stato attuale la situazione nel Paese non è sicura e non lo sarà per un po’ di tempo”, erano state le parole di apertura della commissaria Johansson. “Non possiamo costringere le persone a tornare in Afghanistan“.
    Reazioni da Bruxelles
    Le prese di posizione dei governi di Lubiana, Vienna e Budapest sono state accolte da durissime critiche a Bruxelles. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, dai microfoni di Rainews24 ha risposto seccamente a Janša, ricordandogli che “non spetta all’attuale presidenza del Consiglio dire cosa farà l’Unione Europea“. Dal momento in cui “tutte le nostre istituzioni stanno lavorando per vedere quale solidarietà è necessaria per coloro che sono a rischio dal nuovo regime”, il presidente del Parlamento UE ha invitato il premier sloveno a “discutere con le istituzioni europee” per decidere insieme a riguardo. “Tutti i nostri Paesi si sentono coinvolti nella situazione in corso in Afghanistan“.

    It is not up to the Slovenian Presidency to say what the position of the EU is on the humanitarian crisis in Afghanistan.
    We invite PM Janša to discuss with the EU institutions what the next steps should be but it’s clear we need to show solidarity. https://t.co/sK15X3Q2fZ
    — David Sassoli (@EP_President) August 22, 2021

    Posizione ribadita anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha ricordato che il presidente di turno “coordina l’attività, non ha poteri decisionali di alcun tipo” a livello di politica estera europea (un incidente tra Lubiana e Bruxelles a riguardo si era già consumato a pochi giorni dall’avvio del semestre sloveno). Ma c’è di più: “L’Unione deve lavorare sull’accoglienza e sulle quote di immigrazione legale di rifugiati afghani e deve farlo anche togliendosi l’alibi della unanimità nelle decisioni“. Considerato il fatto che “so che l’unanimità non ci sarà mai”, il Consiglio dovrà agire “a maggioranza, se si vuole dare una mano ai rifugiati”.
    Dall’Italia, il presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino, ha fatto appello al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, perché “richiami immediatamente il premier sloveno ad attenersi rigorosamente ed esclusivamente alle sue titolarità”. Ma dal Consiglio, per il momento, tutto tace e le uniche notizie che trapelano sono di una discussione con con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. “Si tratta di una sfida comune per la Turchia e l’Unione Europea”, ha commentato Michel su Twitter.
    Tuttavia, Ankara ha più volte ribadito che non diventerà il “deposito dell’UE per i rifugiati” e nega di aver ricevuto richieste per la creazione di hub per la prima accoglienza dei richiedenti asilo afghani sul suo territorio. A causa delle sue divisioni interne, l’Unione Europea sta rischiando di rimanere sempre più isolata sullo scacchiere internazionale.

    Credo che l’#UnioneEuropea abbia il dovere di lavorare sull’accoglienza e su quote di immigrazione legale dei rifugiati #afghani e abbia il dovere di farlo anche togliendosi l’alibi dell’unanimità nelle decisioni.@PaoloGentiloni al #meeting21. pic.twitter.com/WlNUqWWEAB
    — Meeting Rimini (@MeetingRimini) August 23, 2021

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    In vista del vertice straordinario del G7 di domani, i primi ministri Janša (presidente di turno del Consiglio dell’UE) e Orbán e il cancelliere Kurz si sono opposti all’accoglienza per chi fugge dal regime dei talebani: “Non ripeteremo gli errori del 2015”

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    Bielorussia, tutti contro Lukashenko: UE e Stati Uniti tengono alta l’attenzione su repressioni interne e flussi migratori

    Bruxelles – Prosegue su due binari, quello della repressione dell’opposizione interna e quello della facilitazione del flussi migratori, la strategia del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, per rafforzare la sua posizione nel Paese e sullo scacchiere internazionale. Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea e le condanne internazionali per la violenze nei confronti di attivisti e giornalisti indipendenti, l’ultimo dittatore d’Europa cerca di non mollare la presa, giocandosi le ultime carte per mettere a tacere le voci critiche.
    Da mesi si sta stringendo sempre più il cappio al collo dei media, come dimostrato anche dallo scandalo internazionale del dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista Roman Protasevich, e la compagna, Sofia Sapega. Ieri (mercoledì 28 luglio) un tribunale della Bielorussia ha dichiarato “estremista” Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia, dopo la minaccia del ministero dell’Interno di multare e incarcerare chiunque condivida informazioni provenienti da questo canale d’informazione.
    L’ingiunzione del Tribunale, che ha bloccato il sito web Belsat e tutti i suoi account social in Bielorussia, è l’ultimo atto di un’intensa azione di repressione dei media e della società civile: lo stesso Lukashenko ha affermato di voler “ripulire” il Paese da attivisti e media indipendenti, che a suo avviso hanno l’unico obiettivo di sovvertire l’ordine pubblico. Il vicedirettore della testata, Aleksy Dzikawicki, ha annunciato che il canale continuerà il suo lavoro in ogni caso: “Continueremo a portare informazioni indipendenti in bielorusso e senza censura”. Con un affondo al regime: “Chi detiene il potere in Bielorussia chiama ‘estremisti’ tutti coloro che si oppongono alla violenza e al terrore imposto dopo le elezioni truccate, cioè la stragrande maggioranza dei propri cittadini”.
    La situazione tragica del giornalismo bielorusso è stata recentemente descritta alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, ma risale già a cinque mesi fa la condanna a due anni di carcere per due colleghe della stessa emittente, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, per aver ripreso la manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka nel novembre dello scorso anno. Senza dimenticare il blocco di Tut.by, uno dei più importanti siti di informazione bielorussi, e l’arresto dei giornalisti della redazione lo scorso 18 maggio.
    Da Bruxelles è arrivata la ferma condanna della decisione del tribunale bielorusso: “È un altro esempio della repressione della libertà di espressione e di informazione sotto il regime di Lukashenko, che mira a mettere a tacere tutte le voci indipendenti”, ha accusato la portavoce della Commissione UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali. Da Washington invece è arrivata la reazione della leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya: “I giornalisti sanno che stanno facendo la cosa giusta e stanno combattendo per la libertà del nostro Paese”.

    Belarus: EU deplores recent court decision declaring Belsat TV channel “extremist”. Another example of the crackdown on freedom of expression and freedom of information under the Lukashenko regime, aiming to silence all independent voices.
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) July 28, 2021

    La dichiarazione di Tsikhanouskaya è arrivata durante il suo viaggio negli Stati Uniti, che l’ha portata a incontrare il presidente democratico, Joe Biden, il segretario di Stato, Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. L’obiettivo è quello di raccogliere sostegno per un’azione più decisa contro il presidente Lukashenko, oltre a quello attuato – le sanzioni economiche – e promesso – il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro democratico del Paese – dall’Unione Europea. La leader dell’opposizione bielorussa ha esortato Washington a imporre misure restrittive alle aziende petrolifere, di potassio, dell’acciaio e del legno legate al regime. “Lukashenko capisce solo il linguaggio della forza. Ecco perché le sanzioni devono essere estremamente dure”.
    Il presidente Biden ha ribadito il suo sostegno alla società civile in Bielorussia nel corso del colloquio di ieri con Tsikhanouskaya alla Casa Bianca, definendosi “onorato” dell’incontro con la leader dell’opposizione: “Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo bielorusso nella sua ricerca della democrazia e dei diritti umani universali”, ha fatto sapere via Twitter. Da parte sua, Tsikhanouskaya ha ringraziato Biden per il “potente segno di solidarietà con milioni di impavidi bielorussi” che stanno combattendo “pacificamente per la libertà”. Il Paese dell’Est Europa in questo momento “è in prima linea nella battaglia tra democrazia e autocrazia”, ha aggiunto su Twitter: “Il mondo è con noi, la Bielorussia sarà una storia di successo”.

    I was honored to meet with @Tsihanouskaya at the White House this morning. The United States stands with the people of Belarus in their quest for democracy and universal human rights. pic.twitter.com/SdR6w4IBNZ
    — President Biden (@POTUS) July 28, 2021

    Ma intanto a Bruxelles c’è apprensione anche su un altro fronte, quello del ricatto di Lukashenko all’Unione attraverso l’apertura della rotta bielorussa alle persone migranti verso la Lituania. La Commissione UE ha attivato il meccanismo europeo di protezione civile per aiutate il Paese membro ad affrontare un flusso che dall’inizio dell’anno conta oltre 2.100 migranti e richiedenti asilo, quasi tre volte in più di tutto lo scorso anno. I Paesi di provenienza sono soprattutto africani (Repubblica del Congo, Gambia, Guinea, Mali e Senegal) e mediorientali (Iraq, Iran e Siria).
    Non a caso l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è messo in contatto con il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein. “Ho avuto una buona conversazione su come affrontare l’aumento del numero di cittadini iracheni che attraversano irregolarmente la Bielorussia verso la Lituania”, ha fatto sapere su Twitter. “Questo è motivo di preoccupazione per l’intera UE. Contiamo sul sostegno dell’Iraq“. In aggiunta, la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha comunicato che sarà in visita in Lituania il primo e il 2 agosto, per ribadire l’opposizione del gabinetto von der Leyen “all’ondata di aggressione” di Minsk.
    Durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce per gli Affari interni, la migrazione e la sicurezza interna, Adalbert Jahnz, ha confermato il supporto dell’esecutivo UE alla Lituania, negando qualsiasi tentativo di pushback alla frontiera con la Bielorussia (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). “Dalla composizione dei gruppi di migranti arrivati è evidente che non si tratta di aventi il diritto di richiedere l’asilo e perciò diventa centrale il tema del rimpatrio di queste persone“. Desta però particolare perplessità tra i giornalisti a Bruxelles la decisione del governo lituano – non ostacolato nemmeno a parole dall’esecutivo comunitario – di costruire un muro lungo i 678,8 chilometri di confine tra la Lituania e la Bielorussia, per una spesa pari a circa 48 milioni di euro.

    Good conversation w/ Iraqi Foreign Minister @Fuad_Hussein1 yesterday on how to tackle increased number of Iraqi citizens irregularly crossing from Belarus into Lithuania.
    This is an issue of concern not only for one Member State but for the entire EU. We count on Iraq’s support.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 28, 2021

    Mentre il sito di informazione indipendente Belsat è stato dichiarato “estremista” da Minsk, la leader dell’opposizione Tsikhanouskaya ha incontrato il presidente Biden a Washington. Bruxelles preoccupata per l’aumento dei migranti iracheni verso la Lituania

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    Tunisia, nel pieno della crisi politica scatenata dal presidente Saïed, l’UE predica calma: “Ripristinare stabilità istituzionale”

    Bruxelles – L’Unione Europea segue “con la massima attenzione” la situazione in Tunisia, dopo gli eventi che hanno portato domenica (25 luglio) alla rimozione del capo del governo e la sospensione dei lavori del Parlamento nazionale da parte del presidente della Repubblica, Kaïs Saïed.
    Attraverso una dichiarazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, l’UE ha espresso le proprie preoccupazioni senza sbilanciarsi – per il momento – su condanne o messaggi di sostegno: “Chiediamo il ripristino della stabilità istituzionale” e in particolare “la ripresa dell’attività parlamentare, il rispetto dei diritti fondamentali e l’astensione da ogni forma di violenza”.
    Quella che è a tutti gli effetti la più grave crisi politica nel Paese dalla rivoluzione del 2011 rappresenta anche il punto culminante di un duro scontro tra il presidente Saïed, eletto nell’ottobre 2019, e il governo guidato dal partito islamista moderato Ennahda: Hichem Mechichi è il terzo primo ministro destituito in poco più di un anno. La paralisi politica non sta aiutando a sbloccare le riforme necessarie per rilanciare un’economia stagnante, mentre la Tunisia si trova a fare i conti anche con le conseguenze economiche e sociali di una gestione disastrosa della pandemia COVID-19 (su 11,6 milioni di abitanti, 573 mila persone sono state contagiate e quasi 19 mila sono decedute, mentre solo il 10 per cento della popolazione è stato vaccinato).
    Dopo la mossa del presidente della Repubblica, il leader di Ennahda – e fino a domenica presidente del Parlamento – Rached Ghannouchi, ha chiamato i sostenitori a scendere nelle strade per difendere il governo democraticamente eletto da un “colpo di Stato”. Da parte sua, Saïed ha rivendicato l’esercizio dell’articolo 80 della Costituzione, che permette alla presidenza della Repubblica di “prendere misure eccezionali” in caso di “pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione e il funzionamento regolare dei poteri pubblici”. Tuttavia, su questo punto ci sono diversi dubbi interpretativi, dal momento in cui dall’entrata in vigore della Carta (nel 2014) a oggi non è mai stata istituita la Corte Costituzionale, che dovrebbe autorizzare le “misure eccezionali” del presidente.
    Dopo aver silurato anche il ministro della Difesa, Brahim Berteji, e la ministra della Giustizia, Hasna Ben Slimane, il presidente Saïed ha voluto rassicurare i tunisini, rivolgendo un appello alla non-violenza e affermando che “lo Stato c’è, non ci saranno violazioni di diritti e libertà”. In realtà sembra più trattarsi di una comunicazione al Fondo monetario internazionale, con cui da giugno Tunisi sta trattando un nuovo piano di aiuti per evitare il default, e all’Unione Europea, che lo scorso 31 maggio ha approvato un’assistenza macro-finanziaria da 300 milioni di euro complessivi per affrontare la crisi post-COVID.
    Non è un caso se nella dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell è stato ricordato il “notevole sostegno” alla Tunisia da parte dei Ventisette. Anche per questo motivo Bruxelles “segue con la massima attenzione gli sviluppi in Tunisia”, richiamando le “radici democratiche” del Paese, ma anche il “rispetto dello Stato di diritto, della Costituzione e del quadro legislativo”. Per Borrell “la salvaguardia della democrazia e la stabilità del Paese sono prioritarie“.
    Per il momento Bruxelles predica la calma e non si sbilancia oltre. Incalzata dalle domande dei giornalisti durante il punto quotidiano con la stampa, la portavoce per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, ha spiegato che “a questo stadio della crisi, è opportuno attenerci e non andare oltre il contenuto della dichiarazione” dell’alto rappresentante Borrell, che proprio nel pomeriggio di ieri “si è confrontato con il ministro degli Esteri tunisino, Othman Jerandi“.

    Dopo la rimozione del premier e la sospensione dei lavori del Parlamento per volontà del capo dello Stato, l’alto rappresentante Borrell ha avvertito che Bruxelles seguirà “con la massima attenzione” gli sviluppi nel Paese