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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    Medio Oriente, l’Europa tenta la carta negoziale. Convocati a Ginevra colloqui diretti con l’Iran sul programma nucleare

    Bruxelles – La diplomazia prova a battere un colpo. A una settimana dall’inizio della guerra di Israele contro l’Iran, gli europei cercano di far ripartire le trattative sul nucleare di Teheran, convocando a Ginevra un round di negoziati con gli emissari della Repubblica islamica. È una corsa contro il tempo per scongiurare il rischio, sempre più reale, che l’intero Medio Oriente esploda nuovamente in un’escalation incontrollabile.La notizia è arrivata nel cuore della notte, nelle prime ore di oggi (19 giugno): i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino e Londra (rispettivamente Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul e David Lammy) hanno dato appuntamento al loro omologo iraniano Abbas Araghchi per domani a Ginevra, nel tentativo di riportare la Repubblica islamica al tavolo delle trattative e ridare vita al processo negoziale sul suo programma nucleare. Ai colloqui, confermati da Teheran in mattinata, prenderà parte anche Kaja Kallas, la responsabile dell’azione esterna dell’Ue.L’Europa cerca uno spazio diplomaticoSi tratta della prima iniziativa diplomatica dall’inizio della guerra, innescata dall’aggressione israeliana dello scorso 13 giugno. “La diplomazia europea è completamente mobilitata“, affermano i portavoce dell’esecutivo comunitario, i quali fanno sapere che l’Alta rappresentante è in contatto costante con tutti gli interlocutori regionali, inclusi i Paesi arabi del Golfo. “L’Ue contribuirà a tutti gli sforzi diplomatici volti a ridurre le tensioni e a trovare una soluzione duratura alla questione nucleare iraniana, che potrà essere raggiunta solo attraverso un accordo negoziato”, ripetono dal Berlaymont.Kallas, insieme ai suoi omologhi francese, tedesco e britannico, ha sentito al telefono Araghchi lunedì (16 giugno) per ribadirgli le “preoccupazioni di lunga data” riguardo al programma di arricchimento dell’uranio degli ayatollah, che “supera ampiamente qualsiasi scopo civile credibile, e al continuo mancato rispetto da parte dell’Iran dei suoi obblighi” nel quadro degli accordi multilaterali cui si è vincolato, nello specifico il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) e il trattato di non-proliferazione nucleare.Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto: Anwar Amro/Afp)Il confronto è avvenuto il giorno prima del Consiglio Affari esteri straordinario dedicato specificamente all’escalation in Medio Oriente. Secondo l’ex premier estone una composizione politica della crisi è l’unica possibilità, poiché una continuazione delle operazioni militari – o peggio ancora un loro allargamento, nel caso di un coinvolgimento statunitense – diventerebbe incontrollabile e “non è nell’interesse di nessuno”. La posizione ufficiale di Bruxelles rimane dunque la stessa: no ad un Iran con la bomba atomica, sì alla de-escalation.Il dialogo sul programma atomico di Teheran procedeva con alti e bassi da un paio di decenni – dopo che la guida spirituale iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, vietò tramite fatwa lo sviluppo di ordigni nucleari – e sembrava essere giunto ad una svolta storica nel 2015, quando gli Stati Uniti di Barack Obama stipularono con la Repubblica islamica il Jcpoa, mediato dagli europei (Francia, Germania e Regno Unito, nel cosiddetto formato E3, più l’Ue) insieme a Russia e Cina. Fu proprio Donald Trump, nel 2018, a ritirare Washington dall’accordo. Le trattative con l’Iran entrarono a quel punto in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Il fattore TrumpIn questa fase, tuttavia, Trump non sembra particolarmente interessato a riprendere il dialogo con Teheran. Stando alle ricostruzioni mediatiche circolate nelle ultime ore, il presidente (trinceratosi nella situation room della Casa Bianca per una serie di incontri col suo Stato maggiore) starebbe valutando un potenziale intervento militare al fianco di Israele.Sarebbe dubbioso, pare, circa l’utilizzo degli ordigni cosiddetti bunker buster (nome tecnico GBU-57A/B MOP) per colpire gli impianti sotterranei di Fordo, ad una sessantina di metri di profondità in mezzo alle montagne a sud di Teheran. Gli Usa sono i soli al mondo a possederli e a poterli trasportare, tramite i bombardieri stealth B-2 Spirit, quelli già visti in azione in Iraq nel 2003.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per ora si tiene strette le sue carte, il tycoon, mantenendo l’ambiguità strategica attraverso una comunicazione volutamente contraddittoria. Del resto, lo stesso popolo Maga è spaccato sulla questione. Ma il tempo stringe e aumenta la pressione sull’uomo più potente del mondo perché prenda una decisione. “Potrei farlo, potrei non farlo. Nessuno sa cosa farò“, ha tagliato corto Trump rispondendo ai giornalisti che ieri gli chiedevano se intendesse unirsi ai bombardamenti dello Stato ebraico.D’altra parte, la dirigenza iraniana ha minacciato cruenti rappresaglie contro le basi Usa nella regione se Washington prenderà parte al conflitto: “Se gli Stati Uniti intendono entrare in campo al fianco del regime sionista”, ha ammonito il viceministro degli Esteri Kazem Gharibabadi, Teheran “insegnerà una lezione agli aggressori e difenderà la propria sicurezza nazionale”. Un’altra opzione sul tavolo della Repubblica islamica potrebbe essere la chiusura dello Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl, ma sarebbe probabilmente un’extrema ratio che finirebbe per danneggiare la stessa economia iraniana.Teheran verso la bomba?Per il sesto giorno di fila, intanto, i due belligeranti continuano a scambiarsi missili colpendo obiettivi militari, infrastrutture strategiche e strutture civili. La fine delle ostilità non appare in vista, mentre il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz, esce allo scoperto e conferma esplicitamente che l’eliminazione del leader supremo Khamenei “fa parte della campagna militare” dello Stato ebraico: “Quest’uomo, che intende attaccarci, non deve restare vivo“, ha detto.Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha giustificato l’attacco preventivo – una pratica estremamente controversa sotto il profilo del diritto internazionale – sostenendo che l’Iran, acerrimo nemico di Israele, fosse prossimo a costruire (almeno) un ordigno nucleare, senza fornire alcuna prova. Richiamando pertanto il parallelo con la fialetta di antrace agitata all’Onu 22 anni fa dall’allora segretario di Stato Usa Colin Powell, mentre accusava l’Iraq di Saddam Hussein di possedere armi chimiche di distruzione di massa. Che in realtà, come si scoprì in seguito, non erano mai esistite.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), si sta sperticando da giorni precisando di non aver mai asserito che l’Iran stesse assemblando testate atomiche. “Non abbiamo prove di un programma sistematico per una bomba”, ha dichiarato. Gli ispettori Onu avevano rilevato che la percentuale di arricchimento dell’uranio stava superando il 60 per cento e si avvicinava al 90 per cento (la soglia fatidica per produrre le testate nucleari), ha concesso Grossi, “ma per l’arma servono altri passaggi”. “Non è questione di giorni, ma di anni, forse non pochi“, osserva.Peraltro, le dichiarazioni del premier israeliano erano state smentite mesi fa dagli stessi servizi a stelle e strisce. La direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard aveva riferito lo scorso marzo di non essere a conoscenza di piani operativi della Repubblica islamica per costruire la bomba, e che se anche ci fossero stati ci sarebbero voluti, appunto, diversi anni per realizzarli. Trump, che ha spalleggiato Netanyahu sulla questione, ha liquidato il rapporto di Gabbard in questi termini: “Non m’interessa cos’ha detto, io credo che (gli iraniani, ndr) fossero molto vicini” a confezionare l’ordigno.

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    Israele-Iran, Kallas predica “de-escalation” e “diplomazia”. Ma l’Ue non ha una vera strategia

    Bruxelles – Mentre non accenna a fermarsi l’escalation in Medio Oriente, l’Ue tenta di trovare un punto di caduta. Ma non c’è nulla di nuovo sul piatto dei ministri degli Esteri, riunitisi oggi per una sessione d’emergenza, oltre alle solite dichiarazioni trite e ritrite. Kaja Kallas parla di de-escalation e moderazione nello stesso momento in cui Benjamin Netanyahu minaccia di assassinare il leader iraniano Ali Khamenei e Donald Trump ingiunge alla Repubblica islamica di abbandonare completamente qualsiasi programma nucleare.Parlando ai giornalisti al termine del Consiglio Affari esteri straordinario riunitosi stamattina (17 giugno) in formato virtuale per discutere della guerra scatenata da Israele contro l’Iran, l’Alta rappresentante Kaja Kallas ha reiterato per l’ennesima volta le stesse formule, ormai quasi stucchevoli, che i vertici comunitari, gli Stati membri e i leader del G7 stanno ripetendo da giorni.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)L’Ue, ha detto l’ex premier estone, “chiede a entrambe le parti di rispettare il diritto internazionale e dare prova di moderazione“. La riunione odierna è stata utile, ha spiegato Kallas, anche per “coordinare gli Stati membri nell’evacuazione dei nostri cittadini dalla regione“, scopo per cui l’Ue ha attivato il meccanismo di protezione civile.La pista negoziale: il nodo del nucleare iranianoLe discussioni si sono incentrate “su cosa possiamo fare per facilitare la de-escalation“, ha spiegato. Bruxelles, sottolinea Kallas, “sostiene una soluzione diplomatica” su tutti i fronti: sia per quel che riguarda la guerra in corso, ormai al suo quinto giorno, sia per riportare in carreggiata il processo negoziale relativo al programma nucleare di Teheran. “Ora che i colloqui tra Iran e Stati Uniti si sono interrotti, l’Ue ha un ruolo da giocare“, dice, annunciando di essere in contatto con le controparti israeliana e iraniana nonché coi partner locali, poiché “la stabilità della regione è nell’interesse di tutti“. E tale stabilità, osserva, passa per un Iran senza bomba atomica.Sul tema, l’approccio di Bruxelles pare meno tranchant rispetto a quello di Washington. Se l’inquilino della Casa Bianca ha intimato alla dirigenza di Teheran di rinunciare completamente a qualunque forma di arricchimento dell’uranio (incluso per scopi civili), Kallas ammette di aver “avuto discussioni con l’Iran riguardo al suo programma nucleare“, dando conto delle diverse sensibilità sulle due sponde dell’Atlantico: “Gli Stati Uniti parlano per sé“, rimarca, e non anche per i Ventisette.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)L’Alta rappresentante ha definito “deplorevole” il ritiro degli Usa dal Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) nel 2018, deciso dallo stesso Donald Trump durante il suo primo mandato. Le trattative bilaterali tra Washington e Teheran per trovare una nuova intesa, in sostituzione dello storico accordo del 2015 (mediato proprio dall’Ue), erano giunte ad un punto morto nelle scorse settimane. Un paio di mesi fa, il presidente statunitense aveva lanciato un ultimatum alla dirigenza iraniana, allo scadere del quale sono arrivate, puntuali, le bombe dello Stato ebraico.Il fronte militareBenjamin Netanyahu ha giustificato quell’attacco preventivo – una pratica controversa sotto il profilo del diritto internazionale – sostenendo che la Repubblica islamica sarebbe stata ad un passo dalla bomba atomica, con la quale avrebbe minacciato direttamente l’esistenza di Israele. Ma la stessa intelligence a stelle e strisce segnalava da mesi che sarebbero serviti almeno tre anni agli ayatollah per costruire un ordigno e usarlo contro i propri nemici.Ad ogni modo, l’Alta rappresentante considera che un intervento diretto degli Stati Uniti a fianco dello Stato ebraico “trascinerebbe l’intera regione in un conflitto più ampio e questo non è nell’interesse di nessuno“, ricordando che da Teheran è giunta la disponibilità a fermare i missili se Israele sospende i bombardamenti.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Ma Kallas non è stata in grado di definire nello specifico quali iniziative diplomatiche l’Ue abbia in programma, o in quali modi intenda “esercitare pressione” sui belligeranti per ottenere la conclamata de-escalation. Nel frattempo, nonostante il “veto” che Trump sostiene di aver posto su un’operazione simile, le alte sfere di Tel Aviv continuano ad accarezzare l’idea di assassinare la guida suprema iraniana Ali Khamenei.Per quest’ultimo, dicono, potrebbe essere in serbo una sorte simile a quella di Saddam Hussein, il dittatore iracheno deposto e giustiziato in seguito all’invasione del 2003 del Paese del Golfo ad opera della coalizione dei volenterosi – l’originale – guidata dagli Stati Uniti. Un parallelo interessante, considerato che quella guerra fu giustificata con il presunto possesso da parte di Baghdad di armi di distruzione di massa che in realtà non erano mai esistite.Da Gaza a Kiev (e Mosca)I ministri degli Esteri hanno anche discusso, brevemente, della catastrofe umanitaria che continua a consumarsi nella Striscia, messa in secondo piano dall’escalation militare ordinata da Netanyahu. “Non lasceremo cadere l’attenzione su Gaza“, ha ribadito il capo della diplomazia a dodici stelle, ripetendo la necessità che venga “garantito immediatamente l’ingresso degli aiuti umanitari e messo in piedi un cessate il fuoco completo” che includa il rilascio di tutti gli ostaggi. La revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, su cui stanno lavorando i servizi della Commissione, sarà invece sul tavolo del Consiglio Affari esteri di lunedì prossimo (23 giugno).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Infine, c’è stato tempo anche per menzionare la guerra in Ucraina. Nelle scorse ore, ha detto Kallas, la Russia ha condotto su Kiev uno dei raid più devastanti da oltre tre anni a questa parte, dimostrando di non essere interessata ad alcuna tregua. Pertanto, taglia corto l’Alta rappresentante, Vladimir Putin non può in alcun modo essere investito del ruolo di mediatore nel conflitto tra Tel Aviv e Teheran, come recentemente suggerito da Trump e, anzi “dobbiamo mantenere la pressione” sul Cremlino.Tradotto: avanti tutta con l’approvazione del 18esimo pacchetto di sanzioni. Che però è destinato a rimanere zoppo, dato che il tycoon ha confermato di non appoggiare una delle sue componenti centrali, cioè l’abbassamento del tetto al prezzo del greggio russo da 60 a 45 dollari al barile (sul quale devono essere d’accordo tutti i partner G7). Secondo Kallas, “dovremmo andare avanti” sul price cap, e l’escalation mediorientale fornisce una ragione in più: “Proteggere la stabilità dei mercati globali dell’energia“. Non è chiaro, tuttavia, come i Ventisette possano implementare autonomamente una misura del genere senza coordinarsi con Washington.

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    Israele attacca l’Iran: “Stanno costruendo la bomba”. L’Ue non condanna Tel Aviv ma esorta alla de-escalation

    Bruxelles – Israele alza la posta e allarga la già acuta crisi in Medio Oriente, attaccando direttamente l’Iran. La notte scorsa, Tel Aviv ha avviato un’azione militare su larga scala contro il suo storico rivale regionale che, nelle parole dello stesso Benjamin Netanyahu, durerà per tutto il tempo necessario. Con i suoi “attacchi preventivi”, lo Stato ebraico starebbe puntando ad impedire alla Repubblica islamica di costruire la bomba nucleare. Dall’Ue arrivano reazioni miste, ma tutti esortano le parti ad impegnarsi nella de-escalation.L’attacco di Tel Aviv (e la risposta di Teheran)Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, le forze armate israeliane (Idf) hanno avviato una pesante campagna di bombardamenti sull’Iran, allargando pericolosamente l’escalation militare all’intera regione mediorientale. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato l’operazione Leone rampante come un’azione preventiva per garantire la sicurezza dello Stato ebraico, che sarebbe minacciata dall’avanzamento del programma nucleare militare di Teheran.Moments ago, Israel launched Operation “Rising Lion”, a targeted military operation to roll back the Iranian threat to Israel’s very survival.This operation will continue for as many days as it takes to remove this threat.——Statement by Prime Minister Benjamin Netanyahu: pic.twitter.com/XgUTy90g1S— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) June 13, 2025L’operazione continuerà “per tutti i giorni necessari”, ha dichiarato Netanyahu (sul cui capo pende dallo scorso novembre un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale): se lasciata incontrollata, sostiene, “la crescente gittata dei missili balistici iraniani porterebbe l’incubo nucleare nelle città europee e, alla fine, anche in America“.L’esercito di Tel Aviv ha fatto alzare in volo più di 200 aerei, colpendo un centinaio di obiettivi tra siti nucleari (incluso quello di Natanz, il più grande del Paese), impianti missilistici e della contraerea, depositi di armi ma anche zone residenziali in tutta la Repubblica islamica. L’Idf ha confermato di aver assassinato “i tre più alti comandanti militari” di Teheran, tra cui il comandante delle Guardie rivoluzionarie Hossein Salami e il capo di Stato maggiore dell’esercito Mohammad Bagheri, nonché una mezza dozzina di scienziati sospettati di avere un ruolo chiave nell’arricchimento dell’uranio degli ayatollah.Per l’ennesima volta, Tel Aviv aumenta così drasticamente la tensione nell’intera regione, dopo oltre un anno e mezzo di crimini di guerra e contro l’umanità portati avanti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania accompagnati da bombardamenti a tappeto e incursioni terrestri in Libano e Siria.Uno degli edifici colpiti dagli attacchi israeliani a Teheran, il 13 giugno 2025 (foto: Atta Kenare/Afp)In risposta ai bombardamenti notturni, Teheran ha promesso un’immediata rappresaglia che è in effetti già in corso, affidata ad almeno un centinaio di droni. Il leader supremo Ali Khamenei ha annunciato “una punizione severa”, mentre l’esercito iraniano ha parlato di una risposta “letale”. Israele è entrato stamattina in lockdown, con le strade delle principali città deserte e le autorità che suggeriscono agli abitanti di rimanere chiusi in casa e dotarsi di scorte di cibo sufficienti per un paio di settimane. Lo Stato ebraico e la vicina Giordania stanno al momento intercettando i droni iraniani nei rispettivi spazi aerei.Le reazioni dai leader mondiali e dall’UeNelle ultime ore si sono moltiplicate le reazioni da parte dei leader mondiali, che richiamano entrambi i Paesi alla moderazione per prevenire l’ennesima, devastante escalation. La Turchia condanna le “azioni aggressive” di Israele, mentre il premier britannico Keir Starmer (il cui governo ha recentemente sanzionato due membri dell’esecutivo israeliano) ha definito “preoccupanti” gli attacchi.Dai vertici dell’Ue arrivano commenti decisamente più indulgenti. Per la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, tutte le parti devono “dare prova di massima moderazione, allentare immediatamente la tensione e astenersi da ritorsioni“. Un messaggio replicato anche dal presidente del Consiglio europeo, António Costa, secondo cui “è necessario evitare un’ulteriore pericolosa escalation“, mentre l’Alta rappresentante Kaja Kallas si dice “pronta a sostenere qualsiasi sforzo diplomatico volto a ridurre la tensione“. I portavoce della Commissione e del Servizio di azione esterna (Seae) hanno confermato di essere in contatto con entrambe le parti (Kallas avrebbe avuto un colloquio in mattinata con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar), ma si sono rifiutati di fornire “qualsiasi valutazione sulla compatibilità degli attacchi israeliani con il diritto internazionale“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Più critici gli eurodeputati italiani di centro-sinistra, che da qualche tempo stanno alzando la voce sulla necessità che Bruxelles sospenda l’accordo di associazione con Tel Aviv: quest’ultimo si trova attualmente in fase di revisione, ma per metterlo in pausa serve l’unanimità dei Ventisette, che rimane una chimera. Pierfrancesco Maran (Pd) suggerisce di “interrompere le forniture militari ad Israele“, mentre il suo gruppo (S&D) si limita a chiedere la sospensione delle relazioni commerciali con lo Stato ebraico. Leoluca Orlando (Avs) predice “effetti più imprevedibili ed estesi di quelli della guerra in Ucraina“, bollando l’esecutivo di Netanyahu come “un insulto alla cultura ebraica”.Per la delegazione del M5s, “Israele usa le bombe (metà delle quali sono prodotte in Europa, ndr) per sfidare il diritto internazionale e mettere in pericolo la sicurezza globale“, e Bruxelles dovrebbe smettere “di tollerare l’arroganza del governo Netanyahu“. Il gruppo dei pentastellati a Strasburgo, la Sinistra, chiede l’embargo sulle armi, la sospensione immediata dell’accordo di associazione Ue-Israele e di dare seguito al mandato di arresto emesso dalla Cpi.La posizione di Washington (e gli avvertimenti dell’Aiea)Diversamente dal solito, l’amministrazione statunitense – avvertita in anticipo dell’attacco – ha cercato di distanziarsi dalle azioni di Tel Aviv, sottolineando che si è trattato di una decisione unilaterale. “Non siamo coinvolti in attacchi contro l’Iran e la nostra priorità è proteggere le forze americane nella regione”, si legge in una nota diffusa da Marco Rubio, il capo della diplomazia a stelle e strisce, che insolitamente non include nessuna generica formula di sostegno allo Stato ebraico.La relativa freddezza dello zio Sam (tradizionalmente il più solido alleato dello Stato ebraico) sarebbe dovuta al fatto che Donald Trump nutriva ancora delle speranze di poter raggiungere un accordo con la dirigenza iraniana sul suo programma nucleare. I colloqui tra le parti vanno avanti da mesi ma si stavano arenando nelle ultime settimane, anche se il tycoon sembra sperare ancora in una ripresa delle trattative con la Repubblica islamica. Il sesto round di negoziati era previsto per questo weekend, ma gli eventi di stanotte hanno probabilmente azzerato ogni possibilità di raggiungere una svolta in tempi brevi.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Roberto Schmidt/Afp)Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ha reiterato gli appelli alla moderazione per evitare un disastro nucleare nella regione e si è reso disponibile “a recarmi sul posto al più presto per valutare la situazione e garantire la sicurezza, la protezione e la non proliferazione in Iran”. Giusto ieri, l’agenzia dell’Onu ha censurato per la prima volta in 20 anni il governo di Teheran, sostenendo che le autorità iraniane non stanno rispettando i loro impegni per quanto riguarda le “salvaguardie nucleari internazionali“.Nel 2015, l’Iran aveva siglato uno storico accordo multilaterale mediato dall’Ue sul proprio programma nucleare, noto come Joint common plan of action (Jcpoa), che prevedeva tra le altre cose un controllo internazionale sull’arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, permesso unicamente per usi civili. Il trattato è poi saltato nel 2018, durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca. Dal Berlaymont si ribadisce che “l’Ue non abbandona il Jcpoa“.

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    A Ginevra si cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano (prima che torni Trump)

    Bruxelles – A Ginevra si corre contro il tempo per non far naufragare definitivamente l’accordo sul nucleare iraniano prima che Donald Trump entri in carica il prossimo gennaio. I rappresentanti di Francia, Germania, Regno Unito ed Unione europea si sono incontrati nella città elvetica con gli inviati della Repubblica islamica per cercare di sbloccare i complessi negoziati sul programma nucleare civile di Teheran. Alla fine si è scelto di mantenere aperto il dialogo, ma non ci sono state grandi svolte.Il clima, già all’avvio dei colloqui, non era dei più distesi. Il viceministro degli Esteri iraniano Kazem Gharibabadi si è lamentato dell’atteggiamento europeo, sostenendo che Bruxelles “dovrebbe abbandonare il suo comportamento egocentrico e irresponsabile” per quanto riguarda una serie di questioni internazionali, come appunto il programma nucleare del suo Paese ma anche la guerra in Ucraina.Tutto si tiene negli incontri tra i diplomatici in Svizzera. Da tempo, l’Ue sta facendo pressione sull’Iran affinché smetta di sostenere lo sforzo bellico del Cremlino, rifornendo la Federazione con missili balistici e droni. Ma Teheran ha fatto finora orecchi da mercante, ricevendo in cambio nuove sanzioni da parte dei Ventisette.Quanto al nucleare degli ayatollah, il Vecchio continente lamenta la mancanza di cooperazione con l’agenzia Onu dell’energia atomica (Aiea), ed alcuni Paesi europei temono che l’Iran sia intenzionato a costruire la bomba atomica – un timore giustificato, dicono, dalle crescenti scorte di uranio altamente arricchito che Teheran starebbe accumulando. I capi delle intelligence britannica e francese hanno dichiarato oggi (29 novembre) che il rischio di una proliferazione nucleare iraniana potrebbe rappresentare la “minaccia più critica” nei prossimi mesi, e che le ambizioni di Teheran “continuano a minacciare tutti noi”.La sfiducia si era già percepita lo scorso 21 novembre, quando Berlino, Londra e Parigi hanno chiesto all’ispettorato dell’Aiea di stilare un rapporto completo sulle attività nucleari dell’Iran, che è un passo preliminare per l’imposizione di nuove sanzioni sul Paese mediorientale. L’agenzia Onu ha dichiarato che Teheran ha intenzione di installare 6mila nuove centrifughe per portare il programma di arricchimento dell’uranio al 5 per cento, mentre il limite fissato dagli accordi internazionali è del 3,67 per cento.Il capo dell’Aiea Rafael Grossi (foto: Atta Kenare/Afp)D’altro canto, la Repubblica islamica sostiene che gli europei abbiano ignorato alcuni segnali di apertura come la disponibilità di limitare l’arricchimento al 60 per cento e di consentire il ritorno degli ispettori dell’Aiea in Iran. Quanto alla guerra in Ucraina, la linea ufficiale è che nemmeno un missile balistico sia stato fornito alla Russia. Il ministro degli Esteri Seyed Abbas Araghchi ha dichiarato nei giorni scorsi che un eventuale ritorno al regime sanzionatorio dell’Onu potrebbe mettere in discussione l’opposizione (fissata tramite fatwa) di Teheran allo sviluppo di armi atomiche.Alla fine, si è deciso di continuare il dialogo, ma non è stata raggiunta alcuna svolta negoziale cruciale. A Ginevra, i rappresentanti europei dovevano valutare la solidità dell’offerta iraniana, cercando nel contempo di convincere Teheran a ridurre il suo sostegno a Mosca nel conflitto ucraino, magari revocando alcune sanzioni economiche.Ma i rapporti tra le parti continuano a non essere particolarmente distesi. In un incontro preliminare tra Gharibabadi e il capo negoziatore dell’Ue, Enrique Mora, non si è riuscito a trovare molto terreno comune. “L’Europa non dovrebbe proiettare i propri problemi ed errori sugli altri”, ha scritto l’inviato iraniano su X. Rispetto alla guerra in Ucraina, secondo Gharibabadi Bruxelles “non ha alcun terreno morale per predicare agli altri sui diritti umani” dato il “comportamento complice nei confronti del genocidio in corso a Gaza”, mentre sul nucleare “l’Europa non è riuscita ad essere un attore serio per mancanza di fiducia in se stessa e di responsabilità”, ha aggiunto.Soprattutto, a pendere sui colloqui come una spada di Damocle c’era l’inaugurazione della seconda presidenza Trump dall’altra parte dell’Atlantico, in calendario per il prossimo 20 gennaio. Durante il suo primo mandato, il tycoon newyorkese aveva assunto una posizione da “falco” nei confronti del regime degli ayatollah, facendo uscire gli Stati Uniti dal Jcpoa (l’accordo risalente al 2015 e negoziato, oltre che da Washington e Teheran, dal gruppo cosiddetto E3 che comprende Francia, Germania e Regno Unito) e imponendo sull’Iran la “massima pressione” tramite la reintroduzione delle sanzioni economiche.

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    Iran, Borrell attacca la presidenza slovena del Consiglio: “Il premier Janša non ci rappresenta in politica estera”

    Bruxelles – È un gancio destro in pieno volto quello sferrato da Josep Borrell, alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: “Il primo ministro sloveno, Janez Janša, non rappresenta l’Unione Europea in politica estera“. Una dichiarazione durissima che, a nemmeno due settimane dall’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE, approfondisce il distacco tra Bruxelles e Lubiana e alimenta le polemiche sulla figura del nuovo presidente di turno.
    La reazione del capo diplomatico dell’Unione è arrivata a seguito di alcune esternazioni del primo ministro sloveno sull’Iran. In un discorso di sabato scorso (10 luglio) al Free Iran World Summit, evento annuale organizzato dal Consiglio nazionale della resistenza iraniana, Janša aveva esplicitato la necessità di avviare un’inchiesta internazionale sulle esecuzioni dei prigionieri politici iraniani nel 1988 (almeno duemila secondo Amnesty International): “Per quasi 33 anni il mondo ha dimenticato le vittime del massacro, è ora che questo cambi“.
    Il polverone diplomatico che si è alzato da Teheran nel corso del fine settimana ha coinvolto Janša non tanto in qualità di capo del gabinetto sloveno, ma soprattutto per la carica che riveste per i prossimi sei mesi all’interno dell’istituzione comunitaria. Il controverso nuovo presidente di turno del Consiglio dell’UE ha ricordato quanto sia facile scatenare confusione tra i messaggi inviati a Paesi terzi e come i diversi livelli di leadership spesso non rendono chiaro chi stia parlando a nome del proprio governo o per l’intera Unione.
    A dimostrazione di questa problematica, Borrell ha confermato di aver ricevuto una telefonata dal ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che voleva essere messo al corrente “se le dichiarazioni del primo ministro sloveno rappresentano la posizione ufficiale dell’Unione Europea”. L’alto rappresentante UE ha parlato proprio di “una certa confusione“, legata al fatto che la Slovenia è attualmente il Paese membro che detiene la presidenza di turno del Consiglio. Il ministro iraniano è stato rassicurato sul fatto che, anche in questo frangente, “la posizione di un primo ministro non rappresenta la posizione dell’Unione Europea” e che solo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può rappresentare i Ventisette a livello di capi di Stato e di governo.
    In merito alla complessa situazione iraniana, Borrell ha affermato che l’Unione ha “una posizione equilibrata“, fatta di un mix di “pressioni politiche, quando necessario” e di “cooperazione, quando possibile”. In questo contesto si inserisce l’impegno dell’Unione Europea – attraverso la figura dell’alto rappresentante – per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano (il Piano di azione congiunto globale, JCPOA). Allo stesso tempo, “la politica estera rimane una competenza degli Stati membri, che possono avere l’opinione che ritengono adatta per ogni questione internazionale“, ha precisato Borrell alla stampa di Bruxelles. “Se mi chiedete se la posizione di Janša rappresenta quella dell’Unione Europea, devo ribadire che di certo non è così”.

    L’alto rappresentante UE reagisce alle polemiche nate dopo la richiesta del primo ministro di Lubiana di avviare un’inchiesta internazionale sull’esecuzione di prigionieri politici nel 1988. “Ogni Paese membro ha le proprie opinioni, ma la nostra è una posizione equilibrata”