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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    L’Ambasciatore dell’Autorità Palestinese a Bruxelles: “L’Ue è complice del massacro di Gaza, sta perdendo la propria credibilità”

    Bruxelles – Non sono l’autorità o gli strumenti che mancano, ma “la volontà politica”. Mentre nella Striscia di Gaza si scende ogni giorno un gradino verso l’inferno, con 20 mila vittime in poco più di due mesi a causa dei bombardamenti a tappeto israeliani e oltre un quarto della popolazione che rischia la fame, l’Unione Europea non si schioda da un supporto all’azione militare di Tel Aviv che nel resto del mondo risulta sempre più ambiguo.“Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”, si chiede Adel Atieh, ambasciatore dell’Autorità Nazionale Palestinese presso l’Ue. In un’intervista a Eunews, il diplomatico palestinese ha spiegato la frustrazione di un popolo che “non ha più un orizzonte politico” e che sta vivendo una delle pagine più drammatiche della sua storia.Eunews: Ambasciatore Atieh, cosa ne pensa della posizione espressa dai Paesi Ue sul conflitto tra Israele e Hamas all’ultimo Consiglio europeo?Adel Atieh: “Sono rimasto sorpreso che non ci fossero conclusioni sul Medio Oriente. La situazione sul campo si è evoluta in modo drammatico e davanti ai bombardamenti massivi sui civili a Gaza mi aspettavo che l’Ue adottasse quanto meno delle conclusioni per chiedere un cessate il fuoco. La situazione è drammatica e la crisi umanitaria necessita di una presa di posizione chiara da parte dell’Unione europea. Se non c’è un appello per il cessate il fuoco, significa che si è d’accordo con quello che fa Israele sul campo”.Eunews: Ma lei vede una qualche evoluzione nelle dichiarazioni dell’Ue sul conflitto dal 7 ottobre a oggi?Il campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, devastato dai bombardamenti israeliani (credits: Yahya Hassouna / Afp)Atieh: “Se misuriamo la posizione attuale dell’Ue in rapporto a quella iniziale, si nota effettivamente un’evoluzione: all’inizio un supporto incondizionato a Israele e al suo diritto di difendersi, poi un sì ma rispettando il diritto internazionale umanitario. Ma non è sufficiente, vista la dimensione del massacro. Oggi siamo vicini a 20 mila morti, l’1 per cento della popolazione di Gaza, e più di 7 mila dispersi sotto le macerie. La posizione dell’Ue non è all’altezza della sua responsabilità politica e morale.È inaccettabile che nel 21esimo secolo l’Unione europea chiuda gli occhi sul genocidio in corso a Gaza. Fino ad oggi l’Ue ha scelto di seguire la posizione americana. Bisogna che l’Ue si smarchi dagli Stati Uniti e provi a parlare con una voce ragionevole. L’Ue ha l’autorità e i mezzi per fare pressione su Israele, ma non ha la volontà politica”.Eunews: Lei parla di mancanza di volontà politica. Non è che l’Unione europea è diventata insignificante in Medio Oriente?Atieh: “Israele ha imparato a disprezzare le posizioni della comunità internazionale e dell’Ue perché sa che sono dichiarazioni senza azioni. Per questo Israele se ne frega, perché sa bene che l’Ue adotterà dichiarazioni ma non misure concrete per imporre qualcosa. Al contrario, l’Ue è complice di quel che fa Israele, perché non solo non chiede un cessate il fuoco, ma fornisce la protezione politica e diplomatica a Israele nelle istituzioni internazionali”.Crediamo che l’Ue ha le possibilità e gli strumenti di impattare sul comportamento dello stato di Israele. l’Ue è il primo partner commerciale per Israele: se minacciasse di sospendere l’accordo di associazione, Israele reagirebbe immediatamente. Se incoraggiasse il lavoro della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra commessi da Israele, Israele si fermerebbe a riflettere”.Eunews: Quindi lei è d’accordo con l’accusa mossa all’Ue di utilizzare doppi standard in Ucraina e a Gaza?Atieh: “C’è una politica di doppi standard politici e morali. L’Ue ha degli strumenti potenti per sanzionare Israele, sul piano economico, politico e diplomatico. Ma non solo non fa niente per fermare la guerra, incoraggia anche Israele a continuare il massacro. Per sostenere l’Ucraina l’Ue si è mobilitata in difesa del diritto internazionale, mentre dall’altra parte si mette dietro una potenza occupante che viola tutte le regole del diritto internazionale. L’Ue sta perdendo la propria credibilità e legittimità come attore politico globale che pretende di difendere la legge, è vittima del disequilibrio delle sue posizioni. Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”Eunews: Però Gaza è governata da un gruppo estremista che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica.Atieh: “È completamente ridicolo dire che non si può chiedere un cessate il fuoco perché bisogna eliminare Hamas. È la quinta guerra di Israele a Hamas e non c’è mai riuscita. E anche se riuscisse a eliminare le sue infrastrutture militari, non significa che Hamas scomparirà. Hamas è un’idea, un’ideologia che trova la sua credibilità nel fallimento del processo di pace. La sola fonte di legittimazione di Hamas oggi è il fallimento della soluzione a due Stati: da trent’anni cerchiamo di negoziare con Israele per mettere fine all’occupazione, ma Israele l’ha solo rinforzata. Nel 1993 c’erano 250 mila coloni, ora sono 750 mila. Dal momento che Israele ha portato al fallimento il processo di pace, le persone cominciano a riflettere su altri modi per mettere fine all’occupazione. Non amiamo questi altri modi, non siamo d’accordo con Hamas, ma quel che fa Israele da 75 anni è mille volte più grave”.Eunews: Ha provato a spiegarsi il perché dell’attacco messo in atto da Hamas il 7 ottobre?Ursula von der Leyen e Roberta Metsola al kibbutz di Kfar Azza, dove Hamas ha massacrato oltre 100 civili israeliani il 7 ottobreAtieh: “Da quattro anni dico agli ambasciatori dei 27 al Comitato politico e di sicurezza di fare attenzione: le provocazioni sistematiche del governo israeliano e dei suoi estremisti, le violazioni dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme, i prigionieri palestinesi, i pogrom e le aggressioni dei coloni, la politica di confisca della terra, la repressione quotidiana dell’esercito israeliano nei villaggi palestinesi. Tutto questo porterà ad un’esplosione. Non si può pensare che la popolazione palestinese possa accettare tutto questo. Questo ha provocato la reazione di Hamas. Chiunque sotto questa pressione reagirebbe. Non sono per niente d’accordo con la reazione, ma come esigere da un popolo sotto occupazione da 75 anni di continuare a essere umiliato?Io avevo avvertito che l’assenza di un orizzonte politico avrebbe portato qualcun altro con un’alternativa, qualcuno che dice che lanciando razzi si potrà cacciare gli occupanti. Anche Israele sa che la soluzione a Gaza non è una soluzione militare, e il solo modo di delegittimare l’altra parte e rinforzare la credibilità dell’Anp è creare un orizzonte credibile per la soluzione a due Stati”.Eunews: Se l’Unione europea non sta facendo abbastanza, cosa pensa della posizione dei Paesi arabi della Regione? Atieh: “È una posizione responsabile perché evita l’escalation del conflitto. Ma sul piano politico sono molto attivi, bisogna riconoscerlo. E sul piano popolare c’è una grande mobilitazione e solidarietà nel mondo arabo. Alcuni rimproverano ai Paesi arabi di non dichiarare guerra a Israele, ma cosa dovrebbero fare? Mettere un embargo sul petrolio contro il mondo occidentale? Sostenere o inviare munizioni a Hamas? Sicuramente non possiamo chiedere ai Paesi arabi di aprire le frontiere e accogliere i rifugiati palestinesi. No. Sarebbe un altra Nakba”.Eunews: E l’Autorità Nazionale Palestinese, sta facendo abbastanza?Bill Clinton, il leader dell’OLP Yasser Arafat (R) e il primo ministro israeliano Yitzahk Rabin alla Casa Bianca dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993 (Photo by J. DAVID AKE / AFP)Atieh: “La nostra preoccupazione è come preservare e portare ad un applicazione la soluzione a due Stati. È il nostro progetto e la nostra priorità. Si può accusare l’Anp di qualsiasi cosa, ma chi sta uccidendo la soluzione a due Stati è chi sta costruendo insediamenti, facendo apartheid, bombardando la popolazione civile. È Israele. Oggi Netanyahu non smette di ripetere di essere fiero di aver sabotato la soluzione a due Stati. Non è l’azione o il comportamento dell’Anp che stanno rovinando la soluzione a due Stati. Se siamo d’accordo su questo, possiamo andare oltre e parlare di alcune cose, la performance delle nostre istituzioni, la democratizzazione, quello che volete. Ma non è questo che distrugge la soluzione a due Stati.Anche la soluzione a Gaza passa per la Soluzione a due stati. Non c’è separazione tra Gaza e Cisgiordania, l’Anp può controllare tutte e due, ma serve un piano d’azione e delle tempistiche chiare per mettere fine all’occupazione”.Eunews: A proposito della West Bank, la Commissione europea è al lavoro su una proposta di sanzioni contro i coloni israeliani ritenuti violenti. È d’accordo?Atieh: “È una proposta molto buona, ma bisognerebbe sanzionare tutti i coloni che stanno illegalmente nei territori palestinesi. È da quattro anni che ne parlo e che spingo i Paesi membri a prendere azioni concrete. Non hanno mai fatto niente, ma ora hanno visto che gli Usa imporranno sanzioni e le vogliono imporre. È ancora la politica del seguire gli Stati Uniti: l’Ue non ha una politica estera indipendente, almeno in Medio Oriente”.Eunews: Ma le cifre sulle vittime rese pubbliche dal Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, vanno messe in dubbio?Atieh: “Siamo noi, l’Anp, che gestiamo il sistema della sanità a Gaza. E come in tutti i Paesi del mondo contiamo i morti e attestiamo i decessi. L’educazione e la sanità sono ancora in mano a funzionari dell’Anp, che ricevono salari dall’Anp. E comunque penso che le cifre sulle vittime fornite dagli ospedali siano troppo basse, si vedrà una volta che la guerra sarà finita e si conteranno i dispersi”.Eunews: Ambasciatore, un’ultima domanda. Cosa ne pensa della posizione del governo italiano?Giorgia Meloni con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Palazzo Chigi nel marzo 2023 (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)Atieh: “La posizione attuale dell’Italia non aiuta né gli israeliani né i palestinesi. Aiuta solo gli estremisti e allontana ancora di più israeliani e palestinesi. La signora Meloni può continuare a dire che Israele ha il diritto di difendersi, ma dov’è l’assoluto diritto di difendersi del popolo sotto occupazione? Non fa onore all’Italia e al popolo italiano. È molto deludente, perché storicamente l’Italia ha sempre tenuto una posizione equilibrata che ha aiutato entrambe le parti. Ma oggi la posizione del governo è un ostacolo alla fine della guerra”.

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    L’Unione europea mette da parte il Medio Oriente. Dai 27 nessuna richiesta di cessate il fuoco a Gaza

    Bruxelles – Nessuna richiesta di cessate il fuoco: sul conflitto tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza l’Unione europea è un disco rotto, incapace di intonare una musica nonostante le oltre 18 mila vittime civili tra la popolazione palestinese e un appello forte e chiaro per il cessate il fuoco lanciato dalle Nazioni Unite il 12 dicembre.Il paragrafo dedicato al Medio Oriente delle conclusioni del vertice dei leader Ue è emblematico: “Il Consiglio Europeo ha tenuto un profondo dibattito strategico”, niente di più. La sintesi perfetta la fornisce la premier Giorgia Meloni, a margine dei lavori: “Si è preferito ribadire le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo perché se avessimo in qualche maniera rinnovato quelle conclusioni probabilmente alcune divergenze avrebbero reso il lavoro difficile“.La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni [Bruxelles, 15 dicembre 2023 Foto: European Council]Condanna totale all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, liberazione immediata di tutti gli ostaggi, diritto di Israele a difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria e accesso continuo di aiuti nella Striscia garantito dall’istituzione di pause umanitarie. Questo era stato partorito gli scorsi 25-26 ottobre. A distanza di quasi due mesi, le Forze di Difesa Israeliane non hanno in alcun modo cambiato la loro strategia militare, di pause umanitarie se n’è vista solamente una e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato senza sosta l’accesso insufficiente di aiuti umanitari nella Striscia.Dopo la risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu, con il voto positivo di 17 Paesi dell’Ue e l’opposizione delle sole Austria e Repubblica Ceca, era filtrato un po’ di ottimismo sulla possibilità che la posizione comune dei 27 potesse evolvere. “È un fatto che molte più persone propendono per la richiesta del cessate il fuoco”, aveva sottolineato ieri l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur constatando che sulla questione “non c’è una posizione comune”. Parole forti sono arrivate dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulidīs, che in mattinata aveva definito “un fallimento per l’Unione europea” l’eventualità di non arrivare a conclusioni forti e unitarie sul conflitto.L’esito della votazione all’Assemblea Onu il 12 dicembreCi hanno provato anche Spagna, Irlanda e Belgio, a convincere i dieci Paesi ancora reticenti (all’Onu, oltre al no di Austria e Repubblica Ceca, si sono astenute Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Romania e Slovacchia). Ma hanno dovuto alzare bandiera bianca. “È vero che tra i membri del Consiglio europeo ci sono diverse sensibilità sulla pausa umanitaria o il cessate il fuoco, ma questo tema non deve nascondere l’essenziale, che è la determinazione comune e condivisa di essere mobilitati sul piano umanitario” e “sul processo politico per arrivare alla soluzione dei due Stati”, ha provato a salvare il salvabile il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.“L’obiettivo di oggi non era di discutere su conclusioni scritte”, ha chiarito inoltre il leader europeo. Ma il paragrafo sul Medio Oriente è presente nel testo definitivo dei messaggi politici del vertice, ed era previsto anche nelle sue versioni dei giorni precedenti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha preferito focalizzarsi sulla “priorità immediata di fornire il massimo possibile di aiuto umanitario” a Gaza, annunciando che a oggi la Commissione europea è riuscita a coordinare 28 ponti aerei per un totale di 1.200 tonnellate di aiuti per gli oltre 1,9 milioni di sfollati interni. E che ulteriori 5 voli sono stati pianificati.Von der Leyen ha poi dichiarato che “entrambe le parti devono fare il massimo per proteggere le vite dei civili”. Se è vero che – come confermato dai bollettini giornalieri dell’Unrwa, proseguono i lanci di razzi indiscriminati da parte di gruppi armati palestinesi verso Israele, è sempre più pesante la sproporzione del triste bilancio delle vittime: Israele piange 1400 cittadini (quasi tutti risalenti al 7 ottobre), mentre tra la popolazione della striscia di Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Salute e rilanciati dall’Unrwa, a ieri sono stati uccisi almeno 18.787 palestinesi. Di cui circa il 70 per cento sarebbero donne e minori. Con 50.589 feriti e solo 11 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti.Pochissimo anche sulla possibilità, su cui è al lavoro la Commissione europea, di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani che si macchiano di violenze contro la popolazione civile nella West Bank. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opt, dal 7 ottobre ci sono stati almeno 343 attacchi di coloni in Cisgiordania, con 10 vittime e 263 casi di danneggiamenti a proprietà palestinesi. “Condanniamo le recrudescenze degli attacchi dei coloni in Cisgiordania”, ha accennato Michel.

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    Tajani frena su possibili sanzioni Ue contro i coloni estremisti israeliani: “Non sono terroristi”

    Bruxelles – Le violenze sistematiche dei coloni israeliani nei territori palestinesi occupati non sono atti terroristici. Non ha alcun dubbio il vicepremier Antonio Tajani, che dalla capitale Ue dice la sua sulla possibilità di vietare l’ingresso nell’area Schengen ai coloni estremisti che si macchiano di violenze contro la popolazione civile palestinese.“Condanno le violenze, ma i coloni non sono un’organizzazione terroristica”, ha dichiarato il ministro degli Esteri a margine del vertice con gli omologhi dei 27 Paesi Ue. La questione è stata portata sul tavolo dei ministri europei – e dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – dal governo belga, pronto a vietare l’ingresso sul territorio nazionale ai coloni che commettono crimini nella West Bank. “Perché questa misura sia efficace, ho chiesto di vietarlo in tutto lo spazio Schengen”, ha spiegato la ministra belga, Hadja Lahbib, citando gli ultimi dati raccolti dall’ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha): “Sette atti violenza al giorno commessi da coloni violenti, una situazione estremamente inquietante”.Dal 7 ottobre, Ocha-Opt ha registrato 331 attacchi di coloni israeliani contro le comunità palestinesi. Con un bilancio di 8 vittime, 35 episodi di violenza con almeno un ferito e 251 episodi in cui sono state danneggiate proprietà della comunità locale. La media settimanale degli attacchi è aumentata da 21 episodi, registrata tra gennaio e settembre 2023, a 36 episodi dopo il 7 ottobre.Ampliamento dell’insediamento israeliano di Har Homa nella Cisgiordania Occupata, 7/12/23 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)Tajani ha tuttavia rispedito immediatamente al mittente la proposta: “Quella di usare violenza o di aggredire la popolazione palestinese in Cisgiordania è una scelta che non condivido, ma non possiamo equiparare Hamas ai coloni ebrei“, ha chiosato il ministro. Perché l’organizzazione terroristica palestinese “si è macchiata di crimini immondi” che “gridano vendetta”. Hamas ha “cercato la gente casa per casa, ucciso bambini di tre mesi, violentato donne per poi ucciderle e giocare a calcio con i loro seni”.Italia, Francia e Germania hanno indirizzato una lettera a Borrell per esprimere “il loro forte sostegno” all’istituzione di un regime di sanzioni ad hoc per i militanti di Hamas, i gruppi affiliati e i suoi sostenitori, “al fine di stigmatizzare politicamente gli attacchi del 7 ottobre scorso, isolare Hamas a livello internazionale e privarlo del sostegno finanziario e logistico da parte di terzi”. I tre maggiori Paesi del blocco guidano l’azione Ue contro i terroristi palestinesi, ma reagiscono in modo diverso alla proposta belga di sanzionare i coloni israeliani. Idea che oltretutto ha messo sul piatto a Washington anche il segretario di stato americano, Anthony Blinken. “La situazione in Cisgiordiania ci preoccupa, a causa dei troppi casi di violenze commesse da coloni estremisti. La Francia sta riflettendo sull’adozione di misure nazionali“, ha ammesso la ministra degli Esteri Catherine Colonna.

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    Sul cessate il fuoco a Gaza Borrell sta con il segretario generale dell’Onu. Silenzio dai leader Ue

    Bruxelles – A due mesi dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e dall’inizio della furiosa risposta israeliana, il segretario generale dell’Onu gioca un’altra carta dal suo mazzo e rilancia l’appello per un cessate il fuoco umanitario. Un appello condiviso immediatamente dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.António Guterres si è aggrappato alla Carta delle Nazioni Unite e all’articolo 99, che prevede che il Segretario generale possa richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che a suo avviso costituisca una minaccia per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. In una lettera al presidente di turno dell’organo di governo dell’Onu, l’ecuadoregno José Javier de la Gasca Lopez Dominguez, Guterres ha condannato ancora il “ripugnante atto di terrore di Hamas”, prima di elencare i numeri che descrivono il dramma della Striscia di Gaza. Più di 15 mila morti, di cui il 40 per cento minori. Oltre metà della case distrutte. L’80 per cento dei 2.2 milioni di palestinesi di Gaza sfollati. E solo 14 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti. “Non c’è nessun posto sicuro a Gaza”, ha commentato Guterres.Una foto di Gaza dal confine con Israele, 6/12/23 (Photo by JACK GUEZ / AFP)Una situazione che “sta rapidamente deteriorando in una catastrofe” e che secondo il diplomatico portoghese è ormai sull’orlo del “collasso umanitario“. Quanto basta per poter invocare – per la prima volta da quando è alla guida delle Nazioni Unite – l’articolo 99. “Mi aspetto che presto l’ordine pubblico crolli definitivamente a causa della condizioni disperate. Potrebbe presentarsi una situazione ancora peggiore, con malattie epidemiche e un aumento di pressione nei paesi vicini per uno sfollamento di massa”, ha spiegato Guterres lanciando il disperato appello ai membri del Consiglio di Sicurezza perché chiedano alle parti in conflitto un cessate il fuoco umanitario.Perché la richiesta di Guterres sarà oggetto di una risoluzione e di un voto dei 15 membri – permanenti e non – del Consiglio di Sicurezza. “Chiedo ai Paesi membri dell’Ue e ai like-minded partners (partner con la stessa visione, ndr) di sostenere l’appello”, ha rilanciato immediatamente l’Alto rappresentante Ue. Oltre ai membri permanenti -Stati Uniti, Cina, Francia, Russia e Regno Unito-, siedono attualmente al Consiglio di Sicurezza Onu Albania, Brasile, Ecuador, Gabon, Ghana, Giappone, Malta, Mozambico, Svizzera e Emirati Arabi Uniti. A loro la responsabilità di modificare l’appello per “pause umanitarie urgenti ed estese” contenuto nella risoluzione del 15 novembre in una formula più decisa. Quella del “cessate il fuoco”.I ministri degli Esteri dei 27 “preoccupati” per le violenze dei coloni in CisgiordaniaPiù o meno lo stesso dibattito lo avranno i ministri degli Esteri dell’Ue e Josep Borrell il prossimo 11 dicembre, quando si riuniranno a Bruxelles per il Consiglio Affari Esteri. Come ribadito dal portavoce del Servizio europeo di Azione Esterna, Peter Stano, sarà lì che i 27 decideranno se sia venuto il momento di chiedere anche dall’Ue la fine delle ostilità, visto l’immane numero di vittime civili del conflitto. In agenda ci sarà anche un altro punto importante: la possibilità di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani implicati in atti di violenza nella West Bank. Come già annunciato dagli Stati Uniti e dal primo ministro del Belgio, Alexander De Croo.La corda potrebbe essersi spezzata con la demolizione da parte di gruppi di coloni della scuola del villaggio di Zamuta, che era stata costruita grazie a fondi comunitari. Una distruzione “intollerabile”, ha commentato il commissario Ue per la Gestione delle Crisi, Janez Lenarcic. “La violenza dei coloni contro le comunità palestinesi deve fermarsi”, è il commento di Borrell. Dopo centinaia di demolizioni di strutture finanziate dall’Ue in Cisgiordania, quella di Zamuta è forse il punto di non ritorno.

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    L’ambasciatore di Israele in Italia: la soluzione “due popoli due Stati” è tra quelle possibili, ma Ue e Usa non tentino di imporre nulla

    Roma – Nei rapporti con Gaza “abbiamo tentato tutte le strade possibili”, ma alla fine la risposta militare all’attacco del 7 ottobre “non l’abbiamo scelta noi”. Mentre il conflitto tra Israele e Hamas è in uno dei suoi momenti più duri, abbiamo parlato con l’ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar, per capire, in particolare, quali sono i rapporti con i Paesi europei e, soprattutto quale può essere la strada da seguire nel “dopo Gaza” e che ruolo può avere l’Unione Europea, che non deve, spiega il diplomatico, tentare di “imporre” le sue soluzioni, ma deve avviare un dialogo aperto con tutti gli attori nella Regione.Eunews: Ambasciatore Bar, lei rappresenta Israele in Italia, conosce bene però la realtà europea più in generale. Che rapporti ha Israele con l’Europa?Bar: Siete una Regione amica, un importante partner politico, economico, scientifico e culturale per Israele. Abbiamo grandi relazioni commerciali, tanto che abbiamo anche adottato la gran parte delle regole interne dell’Unione Europea e partecipiamo a moltissimi strumenti UE. Le relazioni non sono le stesse con ogni Paese dell’Unione, è una realtà complessa, ma in generale, al di là delle relazioni commerciali, condividiamo molti valori politici e culturali, come la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali.E.: In particolare con le istituzioni dell’Unione Europea quali sono le relazioni?B.: In questo momento difficile abbiamo trovato prevalentemente molta solidarietà e comprensione nel Parlamento europeo e nel Consiglio. Con la Commissione abbiamo avuto grande solidarietà, ma anche qualche disaccordo, abbiamo visto alcune dichiarazioni di Borrell (Josep Borrell, l’alto rappresentante per la Politica estera, ndr) molto critiche nei confronti di Israele, che però non necessariamente riflettono le posizioni di numerosi Stati Membri. Ci sono alcuni Paesi, come Spagna e Irlanda, che sembrano essere più solidali con le posizioni dei palestinesi, ma in generale posso affermare che c’è un dialogo e che lavoriamo per trovare intese positive.E.: E con l’Italia, qual è lo stato delle relazioni, come giudica le posizioni del governo, del Parlamento, e anche della società civile?B.: Abbiamo ottime relazioni con il governo, che ha mostrato grande solidarietà, sia da parte del primo ministro Giorgia Meloni sia da importanti ministri come Antonio Tajani o Guido Crosetto, che la settimana scorsa è andato in visita in Israele. Abbiamo trovato comprensione anche da parte di molti altri ministri, che hanno mostrato sostegno verso Israele anche partecipando alla recente manifestazione contro l’antisemitismo. Anche in Parlamento troviamo solidarietà, ed in Senato è stata approvata una mozione importante che condanna l’attacco di Hamas e le uccisioni compiute, lo riconosce come responsabile delle morti di civili israeliani e civili di Gaza usati come scudi umani, e riconosce il diritto di autodifesa di Israele. Vediamo anche critiche nei confronti di Israele nel vostro Paese, ovviamente, ma in generale devo dire che le relazioni sono molto buone.E.: Una domanda che in molti si fanno, dando le risposte più diverse, è perché Hamas abbia scatenato l’attacco del 7 ottobre, così violento, di dimensioni enormi. Lei che spiegazione ha?B.: Non esiste una ragione che possa giustificare quanto commesso da Hamas. E non è mio compito capire perché hanno fatto questa scelta. Stiamo parlando di terroristi fondamentalisti il cui obiettivo dichiarato nella Carta fondativa è distruggere Israele e gli ebrei. Hanno usato i soldi arrivati dalla solidarietà degli organismi internazionali e di Israele per Gaza per finanziare i loro attacchi, che vanno avanti da anni. Sono persone molto crudeli, che vogliono trasformare il territorio israeliano e quello palestinese in un califfato islamico.E.: Israele, uno Stato che vanta di appartenere al consesso degli Stati democratici, non aveva un’altra via per rispondere all’attacco del 7 ottobre?B.: Per quindici anni abbiamo provato di tutto. Siamo completamente usciti da Gaza, il loro confine con l’Egitto era aperto, decine di migliaia persone da Gaza venivano ogni giorno a lavorare in Israele, abbiamo provato a difenderci dai missili con il sistema Iron Dome e dalle penetrazioni fisiche con una barriera. Ma Hamas ha sempre preferito la strada dell’attacco militare, del lancio dei missili.Noi non abbiamo scelto questo tipo di risposta, negli anni, in particolare negli ultimi 15, abbiamo tentato ogni via alternativa di convivenza, ma non ha funzionato.Ora l’emergenza è eliminare la capacità di Hamas di attaccarci da Gaza. In questo sforzo noi facciamo tutto il possibile per distinguere i civili dai terroristi di Hamas, mentre questi ultimi non solo non fanno distinzioni, ma usano i civili di Gaza, compresi donne e bambini, come scudi umani per proteggere se stessi, si nascondono nelle le scuole, anche quelle dell’ONU, negli edifici degli organismi internazionali come l’UNRWA, negli ospedali, nelle moschee, tra la gente. E noi dobbiamo fermare la violenza di Hamas, che ha ucciso, mutilato, decapitato, stuprato e preso in ostaggio civili israeliani inermi. Non abbiamo altro obiettivo che questo.E.: Questo momento di guerra finirà. Cosa succederà dopo, ed in particolare, quale ruolo può avere l’Unione Europea nel futuro, quando si arriverà al momento della ricostruzione di Gaza?B.: Il punto di partenza è che l’Unione Europea ci deve consultare, noi israeliani come anche gli altri attori della regione – i Paesi arabi – e i rappresentanti dei palestinesi, ovviamente. L’obiettivo deve essere la ricostruzione di una Gaza che non sia una minaccia per Israele. Se l’Unione Europea è disponibile a partecipare a questo sforzo, noi saremmo molto lieti di cooperare con essa. Ma l’Unione europea non deve pensare che i suoi 27 membri possano decidere cosa succederà qui, e pretendere di imporlo né a noi né ai palestinesi. Bisogna che si avvii un dialogo nel quale non si imponga nulla a nessuno. Per questo l’Ue deve riconquistare la sua credibilità nella disponibilità a lavorare in coordinamento con noi, e diventerà un partner importante per creare un nuovo regime per una Gaza che viva in pace e che non abbia come obiettivo di essere una minaccia per Israele.E.: L’Unione ha ribadito la sua posizione dei “due popoli e due Stati”. Lei cosa ne pensa di questo obiettivo?B.: Il dibattito sulla questione è aperto in Israele. Alcuni dei nostri politici sono a favore, altri contro. Indubbiamente, noi non vogliamo controllare Gaza, e riteniamo debba esservi istituita un’amministrazione civile con la quale poter dialogare. Certamente non può essere con Hamas che si discute, anche perché loro sono contrari alla soluzione dei “due popoli due Stati”.Noi non possiamo accettare soluzioni imposte dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea, ma quella due “due popoli e due Stati” è certamente una di quelle possibili. Dobbiamo parlarne, dobbiamo avere un confronto che possa portare a dei progressi. Una volta eliminato il pericolo costituito da Hamas e istituito un ambiente sicuro, sarà più facile fare progressi.

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    Nella notte l’accordo tra Israele e Hamas per una pausa delle ostilità e la liberazione degli ostaggi. Von der Leyen: “Fare il possibile per azione umanitaria a Gaza”

    Bruxelles – Dopo 45 giorni di bombardamenti incessanti, nella notte è arrivato il primo accordo tra Israele e Hamas per una tregua nelle ostilità. La pausa durerà quattro o cinque giorni, il tempo necessario per il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas lo scorso 7 ottobre e la contemporanea liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi dalle carceri israeliani. Una finestra cruciale per l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari per la popolazione della Striscia di Gaza.All’annuncio dell’accordo, mediato da Egitto e Qatar, hanno gioito anche a Bruxelles. La liberazione degli ostaggi e l’istituzione di pause umanitarie sono da oltre un mese gli unici punti fermi della posizione dell’Unione europea sul conflitto. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ringraziato il Cairo e Doha per gli sforzi diplomatici e ha ribadito che “Hamas deve liberare tutti gli ostaggi”, indicando al contempo la necessità di utilizzare questi giorni per “consentire che il massimo degli aiuti umanitari” raggiunga coloro che ne hanno bisogno.“Accolgo con tutto il cuore l’accordo raggiunto”, ha dichiarato in mattinata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha subito indicato l’urgenza di sfruttare al meglio l’opportunità: “La Commissione europea farà tutto il possibile per sfruttare questa pausa per un’azione umanitaria a Gaza. Ho chiesto al Commissario Janez Lenarčič di aumentare ulteriormente le spedizioni a Gaza il più rapidamente possibile per alleviare la crisi umanitaria”.Il commissario sloveno, responsabile per la Gestione delle crisi, ha informato sull’azione Ue dal Parlamento europeo di Strasburgo: finora 15 aerei carichi di cibo, medicine e materiale da campo hanno già raggiunto l’Egitto e “altri sono in allestimento”. L’accordo di questa notte potrà facilitare l’accesso umanitario, che dall’inizio del conflitto è stato “estremamente complicato” e “inadeguato”. Dal varco di Rafah, al confine con l’Egitto, sono entrati nella Striscia meno di 50 camion al giorno, e la scorsa settimana “per diversi giorni neanche uno”.Nell’enclave palestinese mancano non solo cibo e acqua, ma anche medicine, anestetici, e soprattutto carburante. Secondo le stime delle Nazioni Unite, l’assistenza alimentare distribuita finora copre solo il 10 per cento del fabbisogno quotidiano di ciascun individuo, e i 120 mila litri di carburante che Israele si è detta disposta a lasciar entrare a Gaza non bastano: “Coprono solo un terzo del bisogno giornaliero – ha commentato Lenarčič -, il carburante è vitale per far funzionare gli ospedali e per l’acqua potabile”.L’Alto rappresentante Ue Borrell: a Gaza “un disastro causato dall’uomo”All’emiciclo di Strasburgo è intervenuto anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che ha garantito che l’Ue “farà la sua parte” nel garantire “quanto più aiuto necessario ai civili palestinesi” durante queste 96 ore di tregua. Il capo della diplomazia europea ha voluto sottolineare che quel che sta accadendo a Gaza non è un “disastro naturale, ma un disastro causato dall’uomo e da un embargo che non permette l’accesso di aiuti umanitari“.Borrell, che la settimana scorsa si è recato a Tel Aviv e a Ramallah, ha ammesso la difficoltà di rappresentare i 27 Stati membri in questa vicenda, “perché in diverse occasioni non si sono allineati”. La prova lampante è stata la risoluzione dell’Onu del 27 ottobre scorso, che chiedeva una tregua umanitaria nel conflitto, in cui i Paesi Ue si sono spaccati. Per l’Alto rappresentante “dovrebbe essere possibile riconoscere il diritto di autodifesa di Israele e essere indignati per quello che sta accadendo alla popolazione di Gaza e della Cisgiordania, dovrebbe essere possibile difendere i diritti dei palestinesi senza che questo comporti essere definiti antisemiti, dovrebbe essere possibile criticare le politiche del governo israeliano senza che questo porti all’accusa di odio verso gli ebrei”.
    Egitto e Qatar mediano l’accordo che prevede il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas il 7 ottobre, in cambio della liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi. L’Ue pronta a sfruttare i quattro giorni di tregua per distribuire gli aiuti a Gaza