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    Israele, giovedì 11 a l’Aia la prima udienza sul possibile genocidio in corso a Gaza

    Bruxelles – La questione è complessa, potrebbe richiedere parecchio tempo. A partire da domani (11 gennaio), quando prenderà il via il procedimento immediato invocato dal Sudafrica presso la Corte di Giustizia Internazionale de l’Aia (ICJ), per stabilire se Israele si sta macchiando del crimine di genocidio con la sua azione militare nella Striscia di Gaza.L’accusa di Johannesburg, giunta a l’Aia lo scorso 29 dicembre, sostiene che Israele avrebbe violato la Convenzione sul genocidio, trattato internazionale approvato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1948 e ratificato da Tel Aviv nel 1950. La convenzione, che conferisce all’ICJ – il massimo organo giuridico delle Nazioni Unite – la giurisdizione per pronunciarsi sulle controversie sul trattato, definisce il genocidio come gli “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.Nella documentazione di 84 pagine depositata alla Corte si legge che “gli atti e le omissioni di Israele denunciati dal Sudafrica sono di tipo genocida perché volti a provocare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese“. Un’accusa pesante, formulata alla luce delle ormai 23 mila vittime dei bombardamenti su Gaza, di cui il 70 per cento donne e bambini. E su diverse ricostruzioni che hanno rivelato che negli ultimi mesi l’esercito israeliano ha sganciato oltre 200 bombe particolarmente distruttive in zone della Striscia che in precedenza aveva indicato come sicure, e dove aveva quindi suggerito ai civili di rifugiarsi.Per arrivare a una sentenza potrebbe volerci molto tempo, a causa dell’impossibilità di accedere alla Striscia di Gaza e portare avanti indagini indipendenti. Israele ha immediatamente “rifiutato con disgusto” le accuse “senza fondamenti fattuali e legali” del Sudafrica, forte del sostegno americano, secondo cui il procedimento è “controproducente e completamente privo di fondamento“. Ma i 57 membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica e alcuni altri governi nel mondo – la Bolivia, la Namibia – hanno sposato l’accusa a Israele.A loro potrebbe presto aggiungersi il Belgio: ieri la vicepremier Petra De Sutter ha dichiarato in un tweet che “il Belgio non può restare a guardare l’immensa sofferenza umana a Gaza” e che è necessario “agire contro la minaccia di genocidio”. De Sutter ha assicurato che proporrà al governo belga di “agire presso la Corte internazionale di giustizia, seguendo l’esempio del Sudafrica“. Una goccia nel mare di indifferenza dei 27 Paesi dell’Ue, che per ora hanno preferito non prendere posizioni nette. Mentre da Bruxelles, il portavoce della Commissione europea Peter Stano ha commentato che “l’Ue supporta l’operato dell’ICJ” ma “non fa parte di questa causa, non spetta a noi commentarla, è ancora un caso in corso“.Raggiunto da Eunews, Stano ha spiegato che “l’Ue non è e non può essere parte o intervenire in un cosiddetto ‘caso controverso’ davanti alla Corte internazionale di giustizia”, cioè un caso che rappresenta una disputa legale tra Stati. Sono gli Stati membri dell’Ue, in quanto Stati parte della Convenzione sul genocidio, ad avere la possibilità di intervenire. “Al momento non ci risulta che nessuno Paese membro abbia espresso l’intenzione di farlo”, ha concluso il portavoce dell’esecutivo Ue.

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    La missione di Borrell in Libano per capire come allentare le tensioni in Medio Oriente

    Bruxelles – Inizia oggi (5 gennaio) la missione di tre giorni di Josep Borrell in Libano, dove incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, il primo ministro Najib Mikati, il ministro degli Affari esteri, Abdallah Bou Habib, e il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun.La visita – che durerà fino a domenica – vedrà inoltre l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza impegnato a colloquio con il capo della missione e il comandante della forza delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), il generale Aroldo Lazaro.Secondo una nota del Servizio europeo per l’azione esterna, la missione sarà un’occasione per “discutere tutti gli aspetti della situazione a Gaza e dintorni, compreso il suo impatto sulla regione, in particolare la situazione al confine israelo-libanese, nonché l’importanza di evitare un’escalation regionale e di sostenere il flusso di assistenza umanitaria ai civili, che l’Unione Europea ha quadruplicato portandola a 100 milioni di euro”. Borrell – si legge ancora – sottolineerà nuovamente la necessità di portare avanti gli sforzi diplomatici con i leader regionali al fine di creare le condizioni per raggiungere “una pace giusta e duratura tra Israele, Palestina e nella regione”.Allentare le tensioni. La missione del capo della diplomazia europea arriva in un momento particolarmente delicato delle tensioni in Medio Oriente tra Israele e Hamas, dopo che nel pomeriggio di martedì in una grossa esplosione a Beirut, la capitale del Libano, attribuita a un bombardamento israeliano mirato contro un ufficio del gruppo armato palestinese Hamas, è rimasto ucciso Saleh al-Arouri, vice capo di Hamas. L’uccisione di Arouri ha acuito le tensioni tra Hezbollah, stretto alleato di Hamas in Libano, e Israele. La guerra tra Israele e Hamas e l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza vanno avanti dallo scorso 7 ottobre, dopo un attacco di Hamas considerato da molti senza precedenti in territorio israeliano in cui hanno perso la vita oltre mille civili e oltre 200 sono stati rapiti, in risposta al quale Israele ha lanciato bombardamenti e assedio via terra della Striscia di Gaza, in cui si contano oltre 20 mila persone uccise.

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    Borrell condanna il presunto piano di Israele per il trasferimento forzato dei Palestinesi da Gaza

    Bruxelles – La comunità internazionale contro i presunti colloqui che lo Stato di Israele starebbe conducendo con il Congo e altri Paesi per sondare la possibilità di trasferirvi migliaia di palestinesi, legittimi abitanti della Striscia di Gaza.Sono in particolare le solite “dichiarazioni provocatorie e irresponsabili” dei ministri israeliani di estrema destra Ben Gvir e Smotrich, come le ha definite l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a destare preoccupazione. Perché Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, ha ribadito nella giornata di ieri (3 gennaio) che “incoraggiare l’emigrazione di massa da Gaza consentirà agli israeliani che vivono al confine di tornare a casa in sicurezza”. A cui ha fatto eco il ministro della Finanze, Bezalel Smotrich: il leader del partito Sionismo religioso ha dichiarato che “più del 70 per cento dell’opinione pubblica israeliana” sostiene la necessità di incoraggiare il trasferimento dei palestinesi dall’enclave di Gaza.I ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Immediate le critiche: “Gli spostamenti forzati sono severamente vietati in quanto grave violazione del diritto internazionale umanitario“, ha commentato Borrell, aggiungendo un laconico “e le parole contano”. Anche il dipartimento di Stato americano ha bollato le dichiarazioni dei due ministri di Tel Aviv come “retorica infiammatoria e irresponsabile“. Ma Smotrich, rigettando le critiche dell’alleato a stelle e strisce, avrebbe insistito che una politica di reinsediamento è necessaria, perché “a quattro minuti dalle nostre comunità c’è un focolaio di odio e terrorismo, dove due milioni di persone si svegliano ogni mattina con l’aspirazione alla distruzione di dello Stato di Israele e con il desiderio di massacrare, violentare e uccidere gli ebrei ovunque si trovino”.D’altronde – come riportato dal Times of Israel – lo stesso Benjamin Netanyahu, durante una riunione del Likud, il suo partito, avrebbe ammesso di essere al lavoro per facilitare la migrazione volontaria dei palestinesi. “Il nostro problema è solo trovare chi sia disposto ad assorbirli”, avrebbe confidato al suo partito. Ma questa mattina un altro autorevole quotidiano israeliano, Haaretz, ha smentito le voci di contatti segreti tra Netanyahu e il governo del Congo, oltre ad altre nazioni, per l’accoglienza di migliaia di immigrati da Gaza. Una fonte di Tel Aviv avrebbe definito “illusioni infondate” gli appelli dei ministri di estrema destra, perché “non sappiamo come trasportare persone da qua al Congo e nessun Paese accetterebbe di accogliere abitanti di Gaza, non un milione e nemmeno 5.000″.Una zona residenziale di Gaza devastata dai bombardamenti israeliani(credits: Yahya Hassouna / Afp)Al di là del camuffamento dei piani della destra più estremista israeliana sotto il nome di “reinsediamenti volontari”, è chiaro che quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza lascia numerosi dubbi sul futuro che Israele immagina per quella terra. Secondo gli ultimi bollettini diffusi da Ocha-Opt, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari nei territori palestinesi occupati, le forze di difesa israeliane hanno distrutto – almeno parzialmente – più del 60 per cento delle unità abitative della Striscia. E reso l’85 per cento dei suoi abitanti, quasi 2 milioni di persone, sfollati interni.

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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    L’Ambasciatore dell’Autorità Palestinese a Bruxelles: “L’Ue è complice del massacro di Gaza, sta perdendo la propria credibilità”

    Bruxelles – Non sono l’autorità o gli strumenti che mancano, ma “la volontà politica”. Mentre nella Striscia di Gaza si scende ogni giorno un gradino verso l’inferno, con 20 mila vittime in poco più di due mesi a causa dei bombardamenti a tappeto israeliani e oltre un quarto della popolazione che rischia la fame, l’Unione Europea non si schioda da un supporto all’azione militare di Tel Aviv che nel resto del mondo risulta sempre più ambiguo.“Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”, si chiede Adel Atieh, ambasciatore dell’Autorità Nazionale Palestinese presso l’Ue. In un’intervista a Eunews, il diplomatico palestinese ha spiegato la frustrazione di un popolo che “non ha più un orizzonte politico” e che sta vivendo una delle pagine più drammatiche della sua storia.Eunews: Ambasciatore Atieh, cosa ne pensa della posizione espressa dai Paesi Ue sul conflitto tra Israele e Hamas all’ultimo Consiglio europeo?Adel Atieh: “Sono rimasto sorpreso che non ci fossero conclusioni sul Medio Oriente. La situazione sul campo si è evoluta in modo drammatico e davanti ai bombardamenti massivi sui civili a Gaza mi aspettavo che l’Ue adottasse quanto meno delle conclusioni per chiedere un cessate il fuoco. La situazione è drammatica e la crisi umanitaria necessita di una presa di posizione chiara da parte dell’Unione europea. Se non c’è un appello per il cessate il fuoco, significa che si è d’accordo con quello che fa Israele sul campo”.Eunews: Ma lei vede una qualche evoluzione nelle dichiarazioni dell’Ue sul conflitto dal 7 ottobre a oggi?Il campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, devastato dai bombardamenti israeliani (credits: Yahya Hassouna / Afp)Atieh: “Se misuriamo la posizione attuale dell’Ue in rapporto a quella iniziale, si nota effettivamente un’evoluzione: all’inizio un supporto incondizionato a Israele e al suo diritto di difendersi, poi un sì ma rispettando il diritto internazionale umanitario. Ma non è sufficiente, vista la dimensione del massacro. Oggi siamo vicini a 20 mila morti, l’1 per cento della popolazione di Gaza, e più di 7 mila dispersi sotto le macerie. La posizione dell’Ue non è all’altezza della sua responsabilità politica e morale.È inaccettabile che nel 21esimo secolo l’Unione europea chiuda gli occhi sul genocidio in corso a Gaza. Fino ad oggi l’Ue ha scelto di seguire la posizione americana. Bisogna che l’Ue si smarchi dagli Stati Uniti e provi a parlare con una voce ragionevole. L’Ue ha l’autorità e i mezzi per fare pressione su Israele, ma non ha la volontà politica”.Eunews: Lei parla di mancanza di volontà politica. Non è che l’Unione europea è diventata insignificante in Medio Oriente?Atieh: “Israele ha imparato a disprezzare le posizioni della comunità internazionale e dell’Ue perché sa che sono dichiarazioni senza azioni. Per questo Israele se ne frega, perché sa bene che l’Ue adotterà dichiarazioni ma non misure concrete per imporre qualcosa. Al contrario, l’Ue è complice di quel che fa Israele, perché non solo non chiede un cessate il fuoco, ma fornisce la protezione politica e diplomatica a Israele nelle istituzioni internazionali”.Crediamo che l’Ue ha le possibilità e gli strumenti di impattare sul comportamento dello stato di Israele. l’Ue è il primo partner commerciale per Israele: se minacciasse di sospendere l’accordo di associazione, Israele reagirebbe immediatamente. Se incoraggiasse il lavoro della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra commessi da Israele, Israele si fermerebbe a riflettere”.Eunews: Quindi lei è d’accordo con l’accusa mossa all’Ue di utilizzare doppi standard in Ucraina e a Gaza?Atieh: “C’è una politica di doppi standard politici e morali. L’Ue ha degli strumenti potenti per sanzionare Israele, sul piano economico, politico e diplomatico. Ma non solo non fa niente per fermare la guerra, incoraggia anche Israele a continuare il massacro. Per sostenere l’Ucraina l’Ue si è mobilitata in difesa del diritto internazionale, mentre dall’altra parte si mette dietro una potenza occupante che viola tutte le regole del diritto internazionale. L’Ue sta perdendo la propria credibilità e legittimità come attore politico globale che pretende di difendere la legge, è vittima del disequilibrio delle sue posizioni. Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”Eunews: Però Gaza è governata da un gruppo estremista che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica.Atieh: “È completamente ridicolo dire che non si può chiedere un cessate il fuoco perché bisogna eliminare Hamas. È la quinta guerra di Israele a Hamas e non c’è mai riuscita. E anche se riuscisse a eliminare le sue infrastrutture militari, non significa che Hamas scomparirà. Hamas è un’idea, un’ideologia che trova la sua credibilità nel fallimento del processo di pace. La sola fonte di legittimazione di Hamas oggi è il fallimento della soluzione a due Stati: da trent’anni cerchiamo di negoziare con Israele per mettere fine all’occupazione, ma Israele l’ha solo rinforzata. Nel 1993 c’erano 250 mila coloni, ora sono 750 mila. Dal momento che Israele ha portato al fallimento il processo di pace, le persone cominciano a riflettere su altri modi per mettere fine all’occupazione. Non amiamo questi altri modi, non siamo d’accordo con Hamas, ma quel che fa Israele da 75 anni è mille volte più grave”.Eunews: Ha provato a spiegarsi il perché dell’attacco messo in atto da Hamas il 7 ottobre?Ursula von der Leyen e Roberta Metsola al kibbutz di Kfar Azza, dove Hamas ha massacrato oltre 100 civili israeliani il 7 ottobreAtieh: “Da quattro anni dico agli ambasciatori dei 27 al Comitato politico e di sicurezza di fare attenzione: le provocazioni sistematiche del governo israeliano e dei suoi estremisti, le violazioni dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme, i prigionieri palestinesi, i pogrom e le aggressioni dei coloni, la politica di confisca della terra, la repressione quotidiana dell’esercito israeliano nei villaggi palestinesi. Tutto questo porterà ad un’esplosione. Non si può pensare che la popolazione palestinese possa accettare tutto questo. Questo ha provocato la reazione di Hamas. Chiunque sotto questa pressione reagirebbe. Non sono per niente d’accordo con la reazione, ma come esigere da un popolo sotto occupazione da 75 anni di continuare a essere umiliato?Io avevo avvertito che l’assenza di un orizzonte politico avrebbe portato qualcun altro con un’alternativa, qualcuno che dice che lanciando razzi si potrà cacciare gli occupanti. Anche Israele sa che la soluzione a Gaza non è una soluzione militare, e il solo modo di delegittimare l’altra parte e rinforzare la credibilità dell’Anp è creare un orizzonte credibile per la soluzione a due Stati”.Eunews: Se l’Unione europea non sta facendo abbastanza, cosa pensa della posizione dei Paesi arabi della Regione? Atieh: “È una posizione responsabile perché evita l’escalation del conflitto. Ma sul piano politico sono molto attivi, bisogna riconoscerlo. E sul piano popolare c’è una grande mobilitazione e solidarietà nel mondo arabo. Alcuni rimproverano ai Paesi arabi di non dichiarare guerra a Israele, ma cosa dovrebbero fare? Mettere un embargo sul petrolio contro il mondo occidentale? Sostenere o inviare munizioni a Hamas? Sicuramente non possiamo chiedere ai Paesi arabi di aprire le frontiere e accogliere i rifugiati palestinesi. No. Sarebbe un altra Nakba”.Eunews: E l’Autorità Nazionale Palestinese, sta facendo abbastanza?Bill Clinton, il leader dell’OLP Yasser Arafat (R) e il primo ministro israeliano Yitzahk Rabin alla Casa Bianca dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993 (Photo by J. DAVID AKE / AFP)Atieh: “La nostra preoccupazione è come preservare e portare ad un applicazione la soluzione a due Stati. È il nostro progetto e la nostra priorità. Si può accusare l’Anp di qualsiasi cosa, ma chi sta uccidendo la soluzione a due Stati è chi sta costruendo insediamenti, facendo apartheid, bombardando la popolazione civile. È Israele. Oggi Netanyahu non smette di ripetere di essere fiero di aver sabotato la soluzione a due Stati. Non è l’azione o il comportamento dell’Anp che stanno rovinando la soluzione a due Stati. Se siamo d’accordo su questo, possiamo andare oltre e parlare di alcune cose, la performance delle nostre istituzioni, la democratizzazione, quello che volete. Ma non è questo che distrugge la soluzione a due Stati.Anche la soluzione a Gaza passa per la Soluzione a due stati. Non c’è separazione tra Gaza e Cisgiordania, l’Anp può controllare tutte e due, ma serve un piano d’azione e delle tempistiche chiare per mettere fine all’occupazione”.Eunews: A proposito della West Bank, la Commissione europea è al lavoro su una proposta di sanzioni contro i coloni israeliani ritenuti violenti. È d’accordo?Atieh: “È una proposta molto buona, ma bisognerebbe sanzionare tutti i coloni che stanno illegalmente nei territori palestinesi. È da quattro anni che ne parlo e che spingo i Paesi membri a prendere azioni concrete. Non hanno mai fatto niente, ma ora hanno visto che gli Usa imporranno sanzioni e le vogliono imporre. È ancora la politica del seguire gli Stati Uniti: l’Ue non ha una politica estera indipendente, almeno in Medio Oriente”.Eunews: Ma le cifre sulle vittime rese pubbliche dal Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, vanno messe in dubbio?Atieh: “Siamo noi, l’Anp, che gestiamo il sistema della sanità a Gaza. E come in tutti i Paesi del mondo contiamo i morti e attestiamo i decessi. L’educazione e la sanità sono ancora in mano a funzionari dell’Anp, che ricevono salari dall’Anp. E comunque penso che le cifre sulle vittime fornite dagli ospedali siano troppo basse, si vedrà una volta che la guerra sarà finita e si conteranno i dispersi”.Eunews: Ambasciatore, un’ultima domanda. Cosa ne pensa della posizione del governo italiano?Giorgia Meloni con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Palazzo Chigi nel marzo 2023 (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)Atieh: “La posizione attuale dell’Italia non aiuta né gli israeliani né i palestinesi. Aiuta solo gli estremisti e allontana ancora di più israeliani e palestinesi. La signora Meloni può continuare a dire che Israele ha il diritto di difendersi, ma dov’è l’assoluto diritto di difendersi del popolo sotto occupazione? Non fa onore all’Italia e al popolo italiano. È molto deludente, perché storicamente l’Italia ha sempre tenuto una posizione equilibrata che ha aiutato entrambe le parti. Ma oggi la posizione del governo è un ostacolo alla fine della guerra”.

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    L’Unione europea mette da parte il Medio Oriente. Dai 27 nessuna richiesta di cessate il fuoco a Gaza

    Bruxelles – Nessuna richiesta di cessate il fuoco: sul conflitto tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza l’Unione europea è un disco rotto, incapace di intonare una musica nonostante le oltre 18 mila vittime civili tra la popolazione palestinese e un appello forte e chiaro per il cessate il fuoco lanciato dalle Nazioni Unite il 12 dicembre.Il paragrafo dedicato al Medio Oriente delle conclusioni del vertice dei leader Ue è emblematico: “Il Consiglio Europeo ha tenuto un profondo dibattito strategico”, niente di più. La sintesi perfetta la fornisce la premier Giorgia Meloni, a margine dei lavori: “Si è preferito ribadire le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo perché se avessimo in qualche maniera rinnovato quelle conclusioni probabilmente alcune divergenze avrebbero reso il lavoro difficile“.La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni [Bruxelles, 15 dicembre 2023 Foto: European Council]Condanna totale all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, liberazione immediata di tutti gli ostaggi, diritto di Israele a difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria e accesso continuo di aiuti nella Striscia garantito dall’istituzione di pause umanitarie. Questo era stato partorito gli scorsi 25-26 ottobre. A distanza di quasi due mesi, le Forze di Difesa Israeliane non hanno in alcun modo cambiato la loro strategia militare, di pause umanitarie se n’è vista solamente una e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato senza sosta l’accesso insufficiente di aiuti umanitari nella Striscia.Dopo la risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu, con il voto positivo di 17 Paesi dell’Ue e l’opposizione delle sole Austria e Repubblica Ceca, era filtrato un po’ di ottimismo sulla possibilità che la posizione comune dei 27 potesse evolvere. “È un fatto che molte più persone propendono per la richiesta del cessate il fuoco”, aveva sottolineato ieri l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur constatando che sulla questione “non c’è una posizione comune”. Parole forti sono arrivate dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulidīs, che in mattinata aveva definito “un fallimento per l’Unione europea” l’eventualità di non arrivare a conclusioni forti e unitarie sul conflitto.L’esito della votazione all’Assemblea Onu il 12 dicembreCi hanno provato anche Spagna, Irlanda e Belgio, a convincere i dieci Paesi ancora reticenti (all’Onu, oltre al no di Austria e Repubblica Ceca, si sono astenute Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Romania e Slovacchia). Ma hanno dovuto alzare bandiera bianca. “È vero che tra i membri del Consiglio europeo ci sono diverse sensibilità sulla pausa umanitaria o il cessate il fuoco, ma questo tema non deve nascondere l’essenziale, che è la determinazione comune e condivisa di essere mobilitati sul piano umanitario” e “sul processo politico per arrivare alla soluzione dei due Stati”, ha provato a salvare il salvabile il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.“L’obiettivo di oggi non era di discutere su conclusioni scritte”, ha chiarito inoltre il leader europeo. Ma il paragrafo sul Medio Oriente è presente nel testo definitivo dei messaggi politici del vertice, ed era previsto anche nelle sue versioni dei giorni precedenti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha preferito focalizzarsi sulla “priorità immediata di fornire il massimo possibile di aiuto umanitario” a Gaza, annunciando che a oggi la Commissione europea è riuscita a coordinare 28 ponti aerei per un totale di 1.200 tonnellate di aiuti per gli oltre 1,9 milioni di sfollati interni. E che ulteriori 5 voli sono stati pianificati.Von der Leyen ha poi dichiarato che “entrambe le parti devono fare il massimo per proteggere le vite dei civili”. Se è vero che – come confermato dai bollettini giornalieri dell’Unrwa, proseguono i lanci di razzi indiscriminati da parte di gruppi armati palestinesi verso Israele, è sempre più pesante la sproporzione del triste bilancio delle vittime: Israele piange 1400 cittadini (quasi tutti risalenti al 7 ottobre), mentre tra la popolazione della striscia di Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Salute e rilanciati dall’Unrwa, a ieri sono stati uccisi almeno 18.787 palestinesi. Di cui circa il 70 per cento sarebbero donne e minori. Con 50.589 feriti e solo 11 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti.Pochissimo anche sulla possibilità, su cui è al lavoro la Commissione europea, di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani che si macchiano di violenze contro la popolazione civile nella West Bank. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opt, dal 7 ottobre ci sono stati almeno 343 attacchi di coloni in Cisgiordania, con 10 vittime e 263 casi di danneggiamenti a proprietà palestinesi. “Condanniamo le recrudescenze degli attacchi dei coloni in Cisgiordania”, ha accennato Michel.

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    Tajani frena su possibili sanzioni Ue contro i coloni estremisti israeliani: “Non sono terroristi”

    Bruxelles – Le violenze sistematiche dei coloni israeliani nei territori palestinesi occupati non sono atti terroristici. Non ha alcun dubbio il vicepremier Antonio Tajani, che dalla capitale Ue dice la sua sulla possibilità di vietare l’ingresso nell’area Schengen ai coloni estremisti che si macchiano di violenze contro la popolazione civile palestinese.“Condanno le violenze, ma i coloni non sono un’organizzazione terroristica”, ha dichiarato il ministro degli Esteri a margine del vertice con gli omologhi dei 27 Paesi Ue. La questione è stata portata sul tavolo dei ministri europei – e dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – dal governo belga, pronto a vietare l’ingresso sul territorio nazionale ai coloni che commettono crimini nella West Bank. “Perché questa misura sia efficace, ho chiesto di vietarlo in tutto lo spazio Schengen”, ha spiegato la ministra belga, Hadja Lahbib, citando gli ultimi dati raccolti dall’ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha): “Sette atti violenza al giorno commessi da coloni violenti, una situazione estremamente inquietante”.Dal 7 ottobre, Ocha-Opt ha registrato 331 attacchi di coloni israeliani contro le comunità palestinesi. Con un bilancio di 8 vittime, 35 episodi di violenza con almeno un ferito e 251 episodi in cui sono state danneggiate proprietà della comunità locale. La media settimanale degli attacchi è aumentata da 21 episodi, registrata tra gennaio e settembre 2023, a 36 episodi dopo il 7 ottobre.Ampliamento dell’insediamento israeliano di Har Homa nella Cisgiordania Occupata, 7/12/23 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)Tajani ha tuttavia rispedito immediatamente al mittente la proposta: “Quella di usare violenza o di aggredire la popolazione palestinese in Cisgiordania è una scelta che non condivido, ma non possiamo equiparare Hamas ai coloni ebrei“, ha chiosato il ministro. Perché l’organizzazione terroristica palestinese “si è macchiata di crimini immondi” che “gridano vendetta”. Hamas ha “cercato la gente casa per casa, ucciso bambini di tre mesi, violentato donne per poi ucciderle e giocare a calcio con i loro seni”.Italia, Francia e Germania hanno indirizzato una lettera a Borrell per esprimere “il loro forte sostegno” all’istituzione di un regime di sanzioni ad hoc per i militanti di Hamas, i gruppi affiliati e i suoi sostenitori, “al fine di stigmatizzare politicamente gli attacchi del 7 ottobre scorso, isolare Hamas a livello internazionale e privarlo del sostegno finanziario e logistico da parte di terzi”. I tre maggiori Paesi del blocco guidano l’azione Ue contro i terroristi palestinesi, ma reagiscono in modo diverso alla proposta belga di sanzionare i coloni israeliani. Idea che oltretutto ha messo sul piatto a Washington anche il segretario di stato americano, Anthony Blinken. “La situazione in Cisgiordiania ci preoccupa, a causa dei troppi casi di violenze commesse da coloni estremisti. La Francia sta riflettendo sull’adozione di misure nazionali“, ha ammesso la ministra degli Esteri Catherine Colonna.

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    Sul cessate il fuoco a Gaza Borrell sta con il segretario generale dell’Onu. Silenzio dai leader Ue

    Bruxelles – A due mesi dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e dall’inizio della furiosa risposta israeliana, il segretario generale dell’Onu gioca un’altra carta dal suo mazzo e rilancia l’appello per un cessate il fuoco umanitario. Un appello condiviso immediatamente dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.António Guterres si è aggrappato alla Carta delle Nazioni Unite e all’articolo 99, che prevede che il Segretario generale possa richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che a suo avviso costituisca una minaccia per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. In una lettera al presidente di turno dell’organo di governo dell’Onu, l’ecuadoregno José Javier de la Gasca Lopez Dominguez, Guterres ha condannato ancora il “ripugnante atto di terrore di Hamas”, prima di elencare i numeri che descrivono il dramma della Striscia di Gaza. Più di 15 mila morti, di cui il 40 per cento minori. Oltre metà della case distrutte. L’80 per cento dei 2.2 milioni di palestinesi di Gaza sfollati. E solo 14 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti. “Non c’è nessun posto sicuro a Gaza”, ha commentato Guterres.Una foto di Gaza dal confine con Israele, 6/12/23 (Photo by JACK GUEZ / AFP)Una situazione che “sta rapidamente deteriorando in una catastrofe” e che secondo il diplomatico portoghese è ormai sull’orlo del “collasso umanitario“. Quanto basta per poter invocare – per la prima volta da quando è alla guida delle Nazioni Unite – l’articolo 99. “Mi aspetto che presto l’ordine pubblico crolli definitivamente a causa della condizioni disperate. Potrebbe presentarsi una situazione ancora peggiore, con malattie epidemiche e un aumento di pressione nei paesi vicini per uno sfollamento di massa”, ha spiegato Guterres lanciando il disperato appello ai membri del Consiglio di Sicurezza perché chiedano alle parti in conflitto un cessate il fuoco umanitario.Perché la richiesta di Guterres sarà oggetto di una risoluzione e di un voto dei 15 membri – permanenti e non – del Consiglio di Sicurezza. “Chiedo ai Paesi membri dell’Ue e ai like-minded partners (partner con la stessa visione, ndr) di sostenere l’appello”, ha rilanciato immediatamente l’Alto rappresentante Ue. Oltre ai membri permanenti -Stati Uniti, Cina, Francia, Russia e Regno Unito-, siedono attualmente al Consiglio di Sicurezza Onu Albania, Brasile, Ecuador, Gabon, Ghana, Giappone, Malta, Mozambico, Svizzera e Emirati Arabi Uniti. A loro la responsabilità di modificare l’appello per “pause umanitarie urgenti ed estese” contenuto nella risoluzione del 15 novembre in una formula più decisa. Quella del “cessate il fuoco”.I ministri degli Esteri dei 27 “preoccupati” per le violenze dei coloni in CisgiordaniaPiù o meno lo stesso dibattito lo avranno i ministri degli Esteri dell’Ue e Josep Borrell il prossimo 11 dicembre, quando si riuniranno a Bruxelles per il Consiglio Affari Esteri. Come ribadito dal portavoce del Servizio europeo di Azione Esterna, Peter Stano, sarà lì che i 27 decideranno se sia venuto il momento di chiedere anche dall’Ue la fine delle ostilità, visto l’immane numero di vittime civili del conflitto. In agenda ci sarà anche un altro punto importante: la possibilità di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani implicati in atti di violenza nella West Bank. Come già annunciato dagli Stati Uniti e dal primo ministro del Belgio, Alexander De Croo.La corda potrebbe essersi spezzata con la demolizione da parte di gruppi di coloni della scuola del villaggio di Zamuta, che era stata costruita grazie a fondi comunitari. Una distruzione “intollerabile”, ha commentato il commissario Ue per la Gestione delle Crisi, Janez Lenarcic. “La violenza dei coloni contro le comunità palestinesi deve fermarsi”, è il commento di Borrell. Dopo centinaia di demolizioni di strutture finanziate dall’Ue in Cisgiordania, quella di Zamuta è forse il punto di non ritorno.