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    La relatrice Onu per i diritti umani del popolo palestinese a Bruxelles: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Il Parlamento europeo di fronte al durissimo rapporto di Francesca Albanese sul genocidio perpetrato dallo Stato di Israele a Gaza. La relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, invitata a Bruxelles da Manu Pineda, eurodeputato spagnolo e presidente della delegazione dell’Eurocamera per le relazioni con la Palestina, ha tirato le somme di cinque mesi di dati, analisi e studi sull’offensiva di Tel Aviv: con la conclusione che “ci sono ragionevoli motivi per credere che la soglia che indica che Israele abbia commesso un genocidio è stata raggiunta“.Per stendere il rapporto, Albanese si è basata sul lavoro delle delle organizzazioni sul campo, sulla giurisprudenza internazionale, sui rapporti investigativi e sulle consultazioni con le persone colpite, le autorità, la società civile e gli esperti. Perché a lei, Israele vieta l’ingresso a Gaza. Dei cinque atti specifici “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, che costituiscono il crimine di genocidio secondo la Convenzione internazionale del 1948, Israele ne avrebbe perpetrati tre: “uccidere membri del gruppo, causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo e infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica totale o parziale“.

    (credits: Yahya Hassouna / Afp)I dati a supporto della tesi di Albanese sono agghiaccianti. In cinque mesi di operazioni militari, Israele ha sganciato su Gaza 25 mila tonnellate di esplosivo, l’equivalente di due bombe nucleari. Oltre 30 mila palestinesi uccisi, tra cui più di 13 mila minori. Più di 12 mila presunti morti e 71 mila feriti, molti dei quali con mutilazioni che cambiano la vita. Il 70 per cento delle aree residenziali è stato distrutto. L’80 per cento dell’intera popolazione è stata sfollata con la forza. “L’incalcolabile trauma collettivo sarà eredità delle generazioni a venire”, scrive la Relatrice delle Nazioni Unite.Secondo Albanese “gli atti di genocidio sono stati approvati e resi effettivi a seguito di dichiarazioni di intenti genocidari rilasciate da alti funzionari militari e governativi”. Le accuse sono pesantissime: lo stato di Israele e gli alti gradi delle Idf hanno “cercato di nascondere la propria condotta eliminazionista“, distorcendo le regole del diritto internazionale umanitario e trattando un intero gruppo protetto e le sue infrastrutture vitali come “terroristi” o “sostenitori del terrorismo”. Trasformando così “tutto e tutti in un bersaglio o in un danno collaterale”.La giurista e docente specializzata in diritti umani ripercorre anche le cause profonde, andando ben al di là dell’atroce attacco di Hamas del 7 ottobre. “Il genocidio di Israele sui palestinesi di Gaza è una fase di escalation di un processo di cancellazione coloniale di lunga data. Per oltre sette decenni questo processo ha soffocato il popolo palestinese come gruppo – demograficamente, culturalmente, economicamente e politicamente, cercando di spostarlo e di espropriare e controllare la sua terra e le sue risorse”, scrive ancora Albanese.Alla luce delle evidenze elencate nel rapporto, la Relatrice dell’Onu lancia l’appello a tutti gli Stati membri per “attuare immediatamente un embargo sulle armi nei confronti di Israele“. Perché lo Stato ebraico e i Paesi “che si sono resi complici di ciò che può essere ragionevolmente concluso come genocidio, dovranno essere chiamati a rispondere e a fornire risarcimenti commisurati alla distruzione, morte e ai danni inflitti al popolo palestinese”. Albanese chiede anche alla comunità internazionale di sostenere il Sudafrica, che ha fatto ricorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a seguito del mancato rispetto da parte di Israele delle misure imposte dalla Corte internazionale di giustizia per prevenire il crimine di genocidio.

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    Dal CeSpi uno strumento per verificare come vengono effettivamente utilizzati gli aiuti allo sviluppo europei

    Bruxelles – Usare il machine learning e l’intelligenza artificiale per verificare come i finanziamenti europei per gli aiuti allo sviluppo influiscono effettivamente negli Stati beneficiari. È questo lo studio che il CeSpi (Centro studi di politica internazionale) ha elaborato su incarico del gruppo parlamentare europeo dei socialisti e dei democratici (S&D), con l’obiettivo di avere dati precisi e “super partes” sugli effetti della spesa europea in questo settore, presentandolo ieri a Bruxelles con il suo direttore Daniele Frigeri e il deputato europeo Udo Bullmann.Ogni anno l’Ue attraverso la Commissione e la Bei (Banca europea per gli investimenti) finanzia progetti per miliardi di euro in Paesi terzi, con lo scopo di aiutarli nella crescita o nel miglioramento delle condizioni di vita. Povertà, salute, istruzione, parità di genere e transizione verde sono alcuni dei settori in cui l’Ue investe. Per ogni progetto, è previsto un finanziamento che permetta il raggiungimento degli obiettivi previsti. Quello che succede però, è che a volte questi soldi erogati dall’Ue producano risultati non strettamente collegati agli obiettivi per cui sono stati assegnati.“L’obiettivo – spiega Bullmann – era quello di sviluppare una metodologia che consentisse al Parlamento europeo di svolgere il suo ruolo di controllo nei confronti della Commissione europea e di proporre miglioramenti in vista della revisione intermedia della NDICI (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument)”.Marco Zupi, che ha coordinato il team e curato il rapporto, con la collaborazione di Christian Morabito, sostiene che “integrando Machine Learning (ML), Intelligenza Artificiale (AI) e metodologie qualitative, il CeSPI si è posto l’obiettivo di sezionare e comprendere le azioni della CE nell’ambito della NDICI, la loro coerenza con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e l’allineamento con le priorità del Gruppo Socialisti e Democratici (S&D)”.“Questo approccio innovativo – continua Zupi – non solo modernizza l’esame delle politiche di sviluppo dell’UE, ma fornisce anche agli eurodeputati un quadro solido per valutare i Piani d’azione annuali (PAA) della NDICI. La metodologia del CeSPI facilita l’elaborazione di politiche informate e d’impatto, garantendo l’allineamento con le priorità e i valori progressisti”.Lo studio ha esaminato 176 PAA, che guidano le azioni della CE in 89 Paesi, e ha condotto un’analisi dettagliata in El Salvador, Giordania, Kenya, Nigeria e Senegal. Nonostante l’allineamento dichiarato dei PAA con gli SDG, come lo sviluppo umano, la riduzione della povertà e l’uguaglianza di genere, l’analisi rivela una discrepanza tra gli obiettivi dichiarati e le iniziative effettive.Le raccomandazioni includono la specificazione degli obiettivi, il miglioramento del coordinamento, l’implementazione degli obiettivi di riduzione della povertà, la collaborazione per la trasparenza, la creazione di un gruppo di alto livello e l’incoraggiamento di ulteriori ricerche utilizzando tecniche di TM e ML per un controllo efficace.Lo studio del CeSpi mette alla luce come le aree di finanziamento dove si verifica più spesso che la finalità effettiva è diversa da quella programmata sono istruzione e parità di genere. Questo è dovuto al fatto che sono tematiche ampie e prevedono vari tipi di intervento possibile. Per esempio se i soldi dell’Ue stanziati per l’istruzione vengono usati per la costruzione di una scuola il loro impatto diretto è sull’edilizia, meno sull’educazione.Il CeSpi, per testare questo nuovo strumento ha inserito nella macchina tutte le documentazioni disponibili dei finanziamenti relativi al periodo 2021-2023. Sono numeri esorbitanti di carte, migliaia di documenti, che una persona non sarebbe mai in grado di verificare da sola ma l’intelligenza artificiale sì. Nello specifico Il think tank italiano, ha studiato i dati sia per macroaree globali che Stato per Stato.Uno strumento come questo non sarebbe comunque utile solo al gruppo S&D, che in fase di negoziazione dei fondi con la Commissione potrebbe far valere con più forza le proprie ragioni, ma anche alle Ong e anche alla Commissione stessa, che avrebbe un controllo più ampio sui propri finanziamenti.Anche se si tratta di uno strumento basato sull’intelligenza artificiale il supporto umano rimane fondamentale. CeSpi ha evidenziato che per implementare il funzionamento di questo mezzo servirebbe che tutti i documenti venissero redatti secondo un format unico. Un altro punto di debolezza riguarda la lingua, al momento la macchina riesce a leggere solo i documenti in inglese, ma essendo ancora nelle prime fasi sperimentali, questo limite potrà essere superato.

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    Bruxelles chiama Washington nella corsa alle materie critiche. E avvia un’indagine sulle turbine eoliche dalla Cina

    Bruxelles – Catapultata in un ordine economico mondiale che fa sempre più paura, l’Ue si rivolge all’alleato di sempre. La commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, ha scelto la prestigiosa università di Princeton per lanciare l’appello agli Stati Uniti: nella corsa geopolitica alla tecnologia – con la Cina che la fa da padrone – “avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”.Sull’altare della storica amicizia che lega le due sponde dell’atlantico, la commissione Ue è pronta a mettere il sempre più complicato rapporto con Pechino, “partner, concorrente economico e rivale sistemico”. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea, invitata nella prestigiosa università americana, è stata durissima sulla Repubblica Popolare Cinese, che “non sempre gioca in modo corretto” quando si parla del mercato delle tecnologie critiche.Oltre le parole, i fatti, per convincere Washington – e il prossimo inquilino della Casa Bianca – che l’Ue non ha alcun dubbio su che parte stare. Le indagini sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina lanciata in ottobre, su cui “se dovessimo stabilire che queste auto elettriche sono state sovvenzionate illegalmente, imporremmo dei rimedi”, e su “offerte sospette” in diverse gare d’appalto in Bulgaria e in Romania, con aziende cinesi che “potrebbero essere state indebitamente avvantaggiate”.

    Margrethe Vestager al Consiglio Commercio e Tecnologia Ue-Usa (Photo by Johanna Geron / POOL / AFP)Ma Vestager ha rilanciato ancora, annunciando l’avvio di una nuova indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche. “Stiamo indagando sulle condizioni per lo sviluppo di parchi eolici in Spagna, Grecia, Francia, Romania e Bulgaria”, ha dichiarato la commissaria. Annuncio che arriva proprio nel momento in cui il ministro per il Commercio cinese è in viaggio in Europa, con l’obiettivo di – secondo quanto riportato da Reuters – di respingere l’indagine Ue sulle auto elettriche.Davanti alla platea di Princeton, Vestager ha smascherato il metodo utilizzato da Pechino per “dominare” l’industria dei pannelli solari: “In primo luogo, attirando investimenti stranieri nel suo grande mercato interno, di solito richiedendo joint venture. In secondo luogo, acquisendo la tecnologia, e non sempre in modo trasparente. Terzo, concedendo massicci sussidi ai fornitori nazionali, chiudendo contemporaneamente e progressivamente il mercato nazionale. E quarto, esportando la capacità in eccesso nel resto del mondo a prezzi bassi”.Con il risultato che solo il 3 per cento dei pannelli solari utilizzati oggi nell’Unione europea sono stati prodotti nei 27 Paesi membri. La commissaria è stata perentoria: “Non possiamo permetterci che ciò che è successo per i pannelli solari si ripeta per i veicoli elettrici, l’eolico o i chip essenziali”. Ma l’Ue ha bisogno di avere le spalle coperte, schiacciata tra i due giganti Usa e Cina. “Mentre sviluppiamo ulteriormente la strategia per le tecnologie pulite, dobbiamo riflettere sulla questione dell’affidabilità”, ha incalzato Vestager.L’Ue alla ricerca di “partner affidabili”La proposta lanciata dalla responsabile per la Concorrenza del gabinetto von der Leyen è quella di “sviluppare – a livello di G7 – un elenco di criteri di affidabilità per le tecnologie pulite critiche“. Che vanno dall’impronta ambientale nella loro produzione, ai diritti dei lavoratori fino alla sicurezza informatica. E che possano essere usati “come condizioni per determinati incentivi” o come “criteri” negli appalti pubblici.Un approccio concertato tra partner che “condividono gli stessi valori”, agli antipodi di quanto successo con l’approvazione da parte del governo di Joe Biden dell’Inflation Reduction Act, l’enorme piano di sostegno all’industria nazionale che nell’agosto del 2022 ha messo in crisi la competitività delle aziende europee. “Legando i criteri alla produzione locale invece dell’affidabilità, gli Stati Uniti hanno limitato il potenziale di scala dei produttori occidentali. E ci hanno costretti a reagire con la concessione di sussidi corrispondenti”, ha pungolato Vestager, sottolineando che in questo modo “ognuno di noi utilizza il denaro dei contribuenti per attirare o trattenere i progetti dell’altro, invece di usarlo per dare alle nostre aziende un vantaggio innovativo o competitivo in questa corsa globale”.Ma Bruxelles sembra pronta a lasciarsi alle spalle lo sgarbo di Washington, in nome di una causa comune. Che dovrà essere rinnovata dai prossimi leader sulle due sponde dell’Atlantico. Con lo spauracchio di un ritorno al potere di Donald Trump. “Mentre sia l’Ue che gli Usa entrano in periodo elettorale, vediamo l’incertezza che ci attende. Ma una cosa rimane certa: in questa corsa geopolitica alla tecnologia, avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”, ha concluso Vestager.

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    La Commissione europea adotta un piano da 500 milioni per aiutare la Giordania

    Bruxelles – La Commissione europea ha adottato oggi (8 aprile) una proposta per un nuovo finanziamento da 500 milioni di euro alla Giordania. I soldi andrebbero al governo di Amman sottoforma di prestiti a lungo termine con condizioni vantaggiose condizionati al raggiungimento di obbiettivi prestabiliti. L’Ue con questo nuovo prestito vuole aiutare la Giordania nel suo processo di modernizzazione cercando anche di stabilizzare il Paese, vista la complicata situazione geopolitica dell’area. Ora spetta a Parlamento e Consiglio dare il via libera al finanziamento.Non sono i primi finanziamenti che l’Ue vara verso la Giordania: a partire dal 2011 Amman ha già ricevuto più di 4 miliardi di euro dall’Ue. I nuovi fondi serviranno per sostenere l’ambizioso programma di riforme, promuovendo l’occupazione e la crescita degli investimenti. Il finanziamento è parte della MFA, l’assistenza macro-finanziaria, che l’Unione europea concede ai Paesi vicini (geograficamente e politicamente) che attraversano una crisi della bilancia dei pagamenti.Per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen il prestito sosterrà “Gli sforzi della Giordania nel proseguire riforme che garantiscono crescita, lavoro e investimenti continuino”. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha sottolineato l’utilità del piano di finanziamenti: “Riflette l’importanza del nostro rapporto con la Giordania, un partner importante e un attore chiave in Medio Oriente.”

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    Mar Rosso, la missione Aspides ha respinto 11 attacchi in meno di due mesi. L’Ue punta ad “aumentarne le capacità”

    Bruxelles – Una media di quasi due attacchi sventati alla settimana. Dal 19 febbraio – giorno del lancio di Aspides – a oggi, la missione navale europea nel Mar Rosso ha respinto undici volte le offensive delle milizie yemenite filo-iraniane degli Houthi. Finora, le 4 fregate dispiegate nell’area hanno scortato 68 navi mercantili lungo l’arteria commerciale che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano. Tutte le richieste di protezione sono state raccolte, ma “se il numero aumenta, dovranno crescere anche i nostri asset presenti nell’area“, avvertono i vertici dell’operazione.Dalla capitale Ue, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il comandante strategico di Aspides, il contrammiraglio Vasileos Gryparis, hanno tirato le prime somme della missione a guida greco-italiana a salvaguardia delle compagnie di navigazione e del commercio internazionale. Messo a repentaglio dagli Houthi, che in risposta allo scoppio del conflitto a Gaza hanno dichiarato guerra a tutte le navi mercantili che si dirigono verso Israele.L’Alto rappresentante Ue Josep Borrell con il contrammiraglio Vasileios Gryparis, 8/04/24 (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Le azioni militari del gruppo sciita che governa parte dello Yemen hanno costretto molte navi a circumnavigare l’Africa e doppiare il Capo di Buona Speranza per raggiungere l’Oriente, rendendo i viaggi per l’Oriente più lunghi di quasi due settimane. “Il costo di un container dalla Cina all’Europa è raddoppiato. L’assicurazione sulle spedizioni è aumentata del 60 per cento”, ha ricordato Borrell. E così, mentre prima della crisi il 13 per cento del commercio mondiale passava per il Mar Rosso, “oggi solo la metà delle 70 navi al giorno che normalmente utilizzavano il canale di Suez” sceglie ancora quella rotta.In totale, 19 Paesi dell’Ue stanno contribuendo alla missione con personale impiegato nel quartier generale a Larissa, in Grecia, o nell’area delle operazioni, sotto la guida del contrammiraglio della Marina militare italiana, Stefano Costantino. Un’area vastissima, “due volte il territorio dei 27 Stati membri”, ha dichiarato Gryparis. Dal Mar Rosso, passando per il Golfo di Aden, il Mare Arabico, il Mare di Oman e parte dell’Oceano Indiano. “Per andare da un estremo all’altro dell’area ci vogliono dieci giorni, per oltrepassare la zona più rischiosa due giorni”, ha spiegato il contrammiraglio greco. Impossibile per quattro fregate batterla tutta: ecco perché per ora Aspides si è concentrata “nell’area ad alto rischio”, nella parte meridionale del Mar Rosso.Ma intanto, come sottolineato da Borrell, Aspides coopera con altre operazioni già dispiegate sul posto. Le altre missioni Ue Agenor e Atalanta, con cui “collabora strettamente”, ma anche con Prosperity Guardian, la missione statunitense sostenuta anche da alcune capitali Ue. Borrell ha rimarcato ancora una volta il mandato prettamente difensivo di Aspides: “Non è impegnata in alcuna operazione contro gli Houthi a terra”, ha dichiarato, come a voler prendere ancora una volta le distanze dai raid che la coalizione internazionale guidata da Washington aveva lanciato su diverse basi Houthi quest’inverno. Per Borrell la missione Ue è “la prova evidente della nostra volontà e capacità di rafforzare la sicurezza internazionale, un esempio concreto di come l’Ue agisca come fornitore di sicurezza”.Secodo Gryparis c’è già stata una “piccola riduzione degli attacchi”, ma è “ancora presto per dire se Aspides abbia avuto un impatto sulla situazione”. Sicuramente, se le compagnie marittime riprendessero fiducia, aumenterebbero le richieste di protezione. Ecco perché è già stata avviata una riflessione sulla necessità di “aumentare la capacità” dell’operazione, con il contrammiraglio che ha precisato di aver già avanzato “richieste di capacità specifiche” agli Stati membri dell’Ue, in particolare sul “supporto logistico“. A cui Borrell ha aggiunto la volontà di aumentare le capacità mediche, “in caso di necessità”. Per il mandato iniziale di un anno, il Consiglio dell’Ue ha stanziato 8 milioni di euro per coprire i costi comuni della missione.

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    L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro

    Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

    Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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    Gaza, l’Ue prende nota degli annunci di Netanyahu su nuovi corridoi umanitari. “Attuare tutto e in fretta”

    Bruxelles – Ben vengano gli annunci sull’apertura di nuovi corridoi umanitari per la popolazione palestinese a Gaza, ma “occorre attuarli in pieno e rapidamente”. La Commissione europea accoglie con favore le intenzioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netahyahu, di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire il flusso diretto degli aiuti nel nord di Gaza. Ma pretende che non restino parole vuote. Per il momento, dunque, a Bruxelles “si prende nota” delle parole del leader israeliano, ma non ci si limita a quello.Certo, il ruolo dell’Unione europea risulta ridimensionato, visto che l’annuncio di Netanyahu arriva dopo una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a riprova di ruolo e peso diversi nella regione e nella gestione della crisi in Medio Oriente.L’esecutivo comunitario coglie comunque l’occasione per tornare a fare pressioni sullo Stato ebraico, rinnovando l’appello a “proteggere i civili innocenti e gli operatori umanitari, in linea con il diritto umanitario internazionale“. Un richiamo che si aggiunge alla condanna per l’uccisione, in un raid condotto dalle forze armate israeliane, di sette operatori della Ong World Central Kitchen. Un episodio che ha probabilmente segnato il punto più basso nelle relazioni tra Israele e i suoi partner.Proprio la prospettiva di nuove vie di aiuti umanitari spiega la Commissione europea a ricordare come e quanto siano fondamentali organizzazione non governative e Nazioni Unite, inclusa l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) che Israele ha rimesso in discussione dopo il sospetto che funzionari abbiano partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. “La Commissione europea continuerà il suo intenso lavoro con i partner regionali e globali, le Nazioni Unite e le ONG partner”, fa sapere l’esecutivo comunitario. Un modo per mandare un messaggio a Tel Aviv.

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    C’è l’accordo tra i co-legislatori Ue sul nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi

    Bruxelles – Il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali prende sempre più forma e con la legislatura europea agli sgoccioli si indirizza verso la sua conclusione anche l’iter legislativo per la messa a terra dello Strumento che dovrebbe portare all’erogazione di 6 miliardi di euro a supporto delle economie di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Il Parlamento e il Consiglio dell’Ue hanno trovato oggi (4 aprile) l’intesa provvisoria sulla proposta della Commissione Europea per lo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali, composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti agevolati.

    “Accolgo con favore il fatto che questo mandato parlamentare abbia rafforzato l’allargamento, riportandolo in agenda, e questo accordo lo conferma”, ha sottolineato il co-relatore croato per il Parlamento Europeo Tonino Picula (S&D), rimarcando con forza che i negoziati hanno portato all’inclusione tra gli obiettivi-chiave per l’erogazione dei finanziamenti anche “il pieno allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, comprese le misure restrittive“, un segnale “chiaro” per Paesi come la Serbia. A confermare la portata dell’intesa con la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue anche il collega – anche lui croato – Karlo Ressler (Ppe), che ha messo in evidenza come questo sia “un ulteriore importante strumento che avvicinerà questi Paesi all’Ue” a strettissimo giro dalla “storica apertura dei colloqui di adesione con la Bosnia ed Erzegovina” durante l’ultimo Consiglio Europeo.Anche considerate alcune perplessità evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, è stato incluso nel Piano di crescita per i Balcani Occidentali l’approccio ‘prima i fondamentali’, vale a dire il collegamento tra Stato di diritto, lotta alla corruzione e diritti fondamentali con le altre due aree cruciali del processo di adesione Ue: la governance economica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della riforma della pubblica amministrazione. Inoltre è stata rafforzata la supervisione parlamentare con un dialogo regolare ad alto livello con la Commissione Europea per monitorare i progressi dello Strumento, mentre sul piano della trasparenza i dati aggiornati sui destinatari finali che ricevono finanziamenti superiori a 50 mila euro cumulativamente per un periodo di quattro anni dovranno essere resi disponibili su una pagina web apposita. A questo punto l’intesa provvisoria deve essere solo approvata dalla plenaria del Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Ue, prima dell’entrata in vigore.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.

    Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (31 ottobre 2023)Va infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare: “Devono impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo sulla normalizzazione delle relazioni”, ha specificato la presidente von der Leyen. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews