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    È pronto il 15esimo pacchetto di sanzioni Ue alla Russia

    Bruxelles – La presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue ha annunciato che gli ambasciatori dei Paesi membri hanno definito e dato il via libera al quindicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. L’adozione formale prevista già lunedì prossimo, il 16 dicembre, in occasione del Consiglio Ue Affari Esteri.Il nuovo pacchetto aggiungerà altre persone ed entità all’elenco di sanzioni già esistente “e prende di mira entità in Russia e in Paesi terzi diversi che contribuiscono indirettamente al potenziamento militare e tecnologico della Russia eludendo le restrizioni all’esportazione”, ha anticipato la presidenza ungherese. Inoltre, “le sanzioni adottate limitano l’attività di ulteriori navi di Paesi terzi che operano per contribuire o supportare azioni o politiche a sostegno delle azioni della Russia contro l’Ucraina”.Esultano la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, per un accordo “contenente misure per contrastare la flotta fantasma”, soprattutto petroliere, con cui Mosca aggira le restrizioni occidentali sul commercio di petrolio, fonte di reddito fondamentale per finanziare la guerra contro l’Ucraina. “L’Ue e i suoi partner del G7 sono impegnati a continuare a esercitare pressione sul Cremlino”, ha rivendicato von der Leyen. “Dobbiamo continuare a esercitare una forte pressione sulla Russia”, è l’indicazione dell’Alta rappresentante UE per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, convinta che il nuovo pacchetto “indebolirà ulteriormente la macchina da guerra di Putin”.Si tratta del primo pacchetto di sanzioni concordate dai 27 durante i sei mesi di presidenza di Budapest – l’unico Paese membro che ha mantenuto saldi i legami con Mosca – al Consiglio dell’Ue. L’ultimo, il quattordicesimo, risale al 27 giugno scorso.‼️ Ambassadors have just agreed on the 15th package of sanctions in reaction to Russia’s aggression against Ukraine.️ The package adds more persons and entities to the already existing sanctions list, and targets entities in Russia and in third countries other than Russia that… pic.twitter.com/DMUoMhRYTH— Hungarian Presidency of the Council of the EU 2024 (@HU24EU) December 11, 2024

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    L’Ue finanzierà con 170 milioni di euro il controllo delle frontiere (e i respingimenti) con Russia e Bielorussia

    Bruxelles – La Commissione europea in soccorso dei Paesi baltici, della Finlandia e della Polonia, alle prese con un aumento degli ingressi irregolari di persone migranti da Russia e Bielorussia. Bruxelles mette a disposizione 170 milioni di euro per far fronte alla “natura grave e persistente” delle minacce ibride da Mosca e Minsk, colpevoli di un “inaccettabile armamento della migrazione”.Nella comunicazione adottata oggi (11 dicembre) dalla Commissione europea, si afferma che “per garantire la sicurezza e l’integrità territoriale in questo contesto eccezionale, gli Stati membri confinanti con la Russia e la Bielorussia devono essere in grado di agire con decisione“. L’Ue ha già messo a terre diverse misure per contrastare la strumentalizzazione dei migranti da parte della Bielorussia in Lettonia, Lituania e Polonia nel 2021 e da parte della Russia al confine con la Finlandia. In termini finanziari, operativi e diplomatici. Ora, per migliorare ulteriormente la sorveglianza delle frontiere, Bruxelles mette a disposizione 170 milioni per aggiornare le apparecchiature di sorveglianza elettronica, migliorare le reti di telecomunicazione, distribuire apparecchiature mobili di rilevamento e contrastare le intrusioni dei droni.Fondi che verranno distribuiti nei vari Paesi coinvolti: 19,4 milioni all’Estonia, 50 milioni alla Finlandia, 17 milioni alla Lettonia, 15,4 milioni alla Lituania, 52 milioni alla Polonia e 16,4 milioni alla Norvegia. “I Paesi confinanti con la Russia e la Bielorussia, come la Finlandia con i suoi 1.340 chilometri di confine con la Russia, stanno affrontando la pesante sfida di garantire la sicurezza dell’Unione e l’integrità territoriale degli Stati membri”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Secondo i dati diffusi da Bruxelles, finora nel 2024 gli arrivi irregolari alla frontiera tra l’Ue e la Bielorussia – in particolare alla frontiera polacco-bielorussa – sono aumentati del 66 per cento rispetto al 2023. E nove persone migranti su dieci attraversano illegalmente il confine polacco-bielorusso possiede un visto russo da studente o da turista. “Non si deve mai permettere agli autocrati di usare i nostri valori europei contro di noi”, ha affermato von der Leyen. Ma la questione è complessa, perché se gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere le frontiere esterne dell’Ue, allo stesso tempo, devono rispettare i diritti fondamentali delle persone e il principio di non respingimento.Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutivo Ue per la sovranità tecnica, la sicurezza e la democraziaGià a metà ottobre, il primo ministro polacco Donald Tusk ha annunciato la sospensione del diritto di asilo per far fronte al tentativo di destabilizzazione ibrida al confine. Oggi Bruxelles ha delineato le condizioni per l’adozione di misure “che possono comportare gravi interferenze con i diritti fondamentali, come il diritto di asilo e le relative garanzie”. In sostanza per la Commissione devono essere “proporzionate, limitate allo stretto necessario in casi chiaramente definiti e temporanee”.La vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica e alla sicurezza, Henna Virkkunen, ha affermato che “i diritti dell’uomo devono essere sempre rispettati quando vengono introdotte misure eccezionali, ma al tempo stesso sappiamo che la Russia e la Bielorussia stanno organizzando flussi di migranti verso le nostre frontiere perché stanno cercando di destabilizzare le nostre società” ed “è una cosa che non possiamo accettare”.In sostanza, per Virkkunen “occorrono delle misure eccezionali a carattere temporaneo negli Stati membri”, e pace se queste potrebbero ledere i diritti fondamentali delle persone migranti che Mosca e Minsk spingono al confine europeo. Le vere vittime rischiano di essere loro. Solo nella seconda metà dello scorso anno, il governo polacco – al tempo presieduto dall’ultra conservatore Mateusz Morawiecki, ha respinto più di 6 mila persone. In un rapporto pubblicato ieri (10 dicembre) da Human Rights Watch, l’ong ha accusato le forze dell’ordine polacche di “respingimenti illegali e a volte violenti” di persone che “rischiano di subire gravi abusi da parte dei funzionari bielorussi o di rimanere intrappolati in condizioni difficili” nel Paese fantoccio di Mosca.

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    Georgia, l’Ue studia “ulteriori misure” contro la repressione delle proteste. Ma l’Ungheria avverte: “Porremo il veto”

    Bruxelles – A Bruxelles, l’alleato forte del partito filo-russo al potere in Georgia, Sogno Georgiano, è l’Ungheria di Viktor Orbán. Mentre per le strade di Tbilisi – ormai al quattordicesimo giorno consecutivo di proteste contro la decisione del governo di sospendere il processo di adesione all’Ue – continuano le violenze delle forze dell’ordine, l’Unione europea avverte che “prenderà in considerazione ulteriori misure” nei confronti dei responsabili dell’arretramento democratico e della repressione. Ma Budapest promette: “Porremo il veto” a eventuali sanzioni a funzionari georgiani.La tensione nella Repubblica caucasica è alle stelle da quando, lo scorso 26 ottobre, il partito al governo dal 2012 ha vinto le elezioni, denunciate dagli osservatori locali e internazionali come irregolari e dal capo dello Stato, l’europeista Salomé Zourabichvili, come illegittime. La situazione è precipitata definitivamente due settimane fa, il 28 novembre, a seguito della decisione del primo ministro Irakli Kobakhidze di non inserire nell’agenda governativa la questione dei negoziati per entrare in Ue “prima della fine del 2028”.Secondo il bollettino diffuso ieri (10 dicembre) da Transparency International Georgia, in tredici giorni di proteste sono state arrestate 450 persone e più di 300 manifestanti hanno subito violenze e maltrattamenti. Oltre 80 hanno richiesto cure ospedaliere. Sia per le accuse amministrative che per quelle penali, i giudici “prendono le decisioni esclusivamente sulla base delle testimonianze degli agenti di polizia”. Diversi rapporti di organizzazioni internazionali – corredati da materiale audiovisivo – indicano che “gruppi mascherati affiliati al partito Sogno Georgiano sono stati impiegati per attaccare manifestanti e giornalisti”. Dal 28 novembre, sono stati documentati 92 episodi di violenza contro i giornalisti. La scorsa settimana, il Difensore civico della Georgia, Levan Ioseliani, ha accusato la polizia di “usare la violenza contro i cittadini come misura punitiva”, il che “costituisce un atto di tortura”.Fuochi artificiai sparati contro la polizia durante le proteste antigovernative a Tbilisi, il 3 dicembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)Denunce prontamente accolte da Bruxelles, che anzi “incoraggia le organizzazioni locali e internazionali e il Difensore civico a continuare a documentare le diffuse violazioni dei diritti umani”: in un comunicato diffuso dalla portavoce del Servizio europeo di Azione esterne (Seae), l’Ue ha accusato la polizia georgiana di aver represso le manifestazioni con “forza brutale e illegale”, attraverso “detenzioni arbitrarie di manifestanti e leader dell’opposizione” e prendendo di mira “specificatamente” lavoratori dei media. Il Seae ha chiesto “l’immediato rilascio di tutte le persone detenute” e di “porre fine alle intimidazioni diffuse, alle persecuzioni politiche, alle torture e ai maltrattamenti di cui sono vittime i cittadini”.La ministra degli Esteri georgiana, Maka Botchorishvili, il suo omologo ungherese Péter SzijjártóIl Servizio europeo d’Azione esterna ha esortato Sogno georgiano “a smorzare i toni”, e ricordato che è stata “la linea d’azione” del partito di governo a “portare all’arresto de facto del processo di adesione all’Ue”. Ed ora, il “persistente arretramento democratico e i recenti mezzi repressivi utilizzati dalle autorità georgiane hanno conseguenze sulle nostre relazioni bilaterali“. Le “ulteriori misure” da adottare verranno messe sul tavolo dei ministri degli Esteri Ue dall’Alta rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas, all’incontro previsto lunedì 16 dicembre. Due giorni dopo il prossimo appuntamento caldo previsto a Tbilisi, la successione tra Salomé Zourabichvili e il candidato di estrema destra Mikheil Kavelashvili alla guida della Repubblica.Un eventuale inserimento di funzionari georgiani nel regime di sanzioni Ue in materia di diritti umani richiederebbe un via libera all’unanimità da parte dei 27. Ma Kallas difficilmente potrà contare su Budapest per richiamare il governo di Tbilisi. A margine di un incontro bilaterale con la ministra degli Esteri georgiana, Maka Botchorishvili, il suo omologo ungherese Péter Szijjártó ha avvertito: “Ci opponiamo all’aggiunta di funzionari georgiani a qualsiasi lista di sanzioni. Se si presenterà una proposta del genere, l’Ungheria la bloccherà, questo è certo”. Il ministro di Orbán ha poi attaccato l’Unione europea, definendo le critiche alla Georgia “ipocrite, stanche e ripugnanti”.

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    Kallas, la priorità Ue è la stabilizzazione della Siria: “Non vogliamo nuove ondate di rifugiati”

    Bruxelles – A pochi giorni dal suo insediamento a capo della diplomazia europea, il primo banco di prova di Kaja Kallas è uno dei più complessi: coordinare la strategia di Bruxelles nei confronti della nuova Siria che sorgerà dal crollo del regime di Bashar al Assad. In un confronto convocato d’urgenza con la commissione Affari Esteri (Afet) del Parlamento europeo, l’Alta rappresentante Ue ha tracciato quello che sarà il posizionamento iniziale. Fatto di sostegno al popolo siriano e alle sue minoranze, di rispetto per l’integrità e la sovranità della Siria, di attesa per capire che direzione prenderà il nuovo potere instaurato a Damasco. Per Kallas, l’azione Ue dovrà essere mirata alla stabilizzazione del Paese, la vera priorità. Perché Bruxelles “non vuole vedere nuove ondate di rifugiati dalla Siria”.In attesa del Consiglio Affari esteri del 16 dicembre, in cui i ministri dei 27 proveranno a fare il punto della situazione, a tenere banco ieri era stata soprattutto la decisione unilaterale presa da Germania, Austria, Italia, Grecia, Belgio, Svezia e Danimarca di sospendere l’esame delle richieste d’asilo dei cittadini siriani. E lo spiraglio che la caduta di Assad apre al ritorno dei rifugiati accolti in Europa dal 2011 a oggi, oltre un milione. “Quando parliamo di rimpatri, abbiamo bisogno di una stabilizzazione del Paese”, ha dichiarato Kallas. “Non ci siamo ancora, tutto è appena accaduto, ma dobbiamo supportare il Paese in modo che vada nella giusta direzione e che i rifugiati possano ritornare”, ha aggiunto.Nessuna parola riguardo la sospensione delle richieste d’asilo in corso in sette Paesi membri. Sul tema, è invece intervenuto oggi l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), attraverso le parole della portavoce Shabia Mantoo. “Alla luce della situazione incerta e molto fluida, la sospensione dell’esame delle domande di asilo dei siriani è accettabile finché le persone possono fare domanda di asilo e sono in grado di presentarla“, ha dichiarato Mantoo. Fermo restando che “chiunque cerchi protezione internazionale deve poter accedere alle procedure di asilo e vedere la propria domanda esaminata pienamente e individualmente nel merito“.L’Unhcr assicura che, “una volta che le condizioni in Siria saranno più chiare”, fornirà nuove indicazione agli Stati sulle “esigenze di protezione internazionale dei profili rilevanti di siriani a rischio”. Nel frattempo, i richiedenti asilo messi in attesa “devono continuare a godere degli stessi diritti di tutti gli altri richiedenti asilo, anche in termini di condizioni di accoglienza“.il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham(HTS), Abu Mohammed al-Jolani  (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)A Damasco, nel frattempo, il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) che ha guidato il rovesciamento del regime, Abu Mohammed al-Jolani (che ha dismesso il nome da battaglia e si fa ora chiamare con il vero nome, Ahmad al Sharaa), ha incaricato formalmente l’ex capo del Governo di salvezza di Idlib, Mohammed al Bashir, di guidare un governo di transizione fino a marzo 2025. Secondo l’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “le prossime settimane saranno cruciali per vedere la direzione” che imboccherà Damasco e per smentire le “preoccupazioni legittime che riguardano il rischio di violenza settaria, di recrudescenze estremiste e di vuoto di governance“. HTS “non è stata l’organizzazione più pacifica – ha ammesso la leader Ue -, la domanda per molti attori della regione è se ora siano veramente cambiati”.Per ora, Kallas non ha intavolato alcun contatto diretto con HTS e il suo leader. Ma ha concordato un messaggio unitario con i principali ministri degli Esteri della regione: HTS “sia giudicato dalle azioni” che intraprenderà ora che è al potere. Azioni che non possono prescindere dalla tutela dei diritti di tutti i cittadini siriani e che dovranno passare per un “processo di ricostruzione inclusivo che coinvolga tutte le minoranze, le donne e le ragazze”. E nella regione, è fondamentale che “nessun Paese tiri la coperta dalla propria parte”. La Turchia e Israele su tutti, i due Stati forti nell’area dopo la caduta del regime sostenuto dall’Iran.Sull’azione militare israeliana in territorio siriano, con bombardamenti sull’arsenale militare di Assad e l’occupazione dell’area demilitarizzata sulle Alture del Golan, Kaja Kallas però non ha alzato i toni. “Il ministro israeliano ha informato il Consiglio di sicurezza dell’Onu su ciò che sta facendo. Naturalmente tutti nella regione sono preoccupati per la propria sicurezza“, ha affermato l’Alta rappresentante Ue.

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    Trump a Putin: sei indebolito, lavoriamo subito ad un cessate il fuoco in Ucraina

    Bruxelles – Non si è ancora insediato ufficialmente, ma il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha già iniziato a chiedere al suo (futuro) omologo russo Vladimir Putin di sedersi al tavolo delle trattative per stipulare al più presto un cessate al fuoco in Ucraina. Anche perché Putin “è indebolito”, per via della guerra e “del cattivo stato dell’economia”, continuare l’invasione potrebbe avere “effetti molto più grandi e molto peggiori”, ha detto Trump in un’intervista al New York Post.Anche per gli alleati della Nato il messaggio è sempre lo stesso: se non fate la vostra parte in termini di spesa militare, non contate sulla protezione di Washington.Il presidente ucraino Volodymyr “Zelensky e l’Ucraina vorrebbero fare un accordo e fermare la follia”, ha scritto il tycoon newyorkese sulla sua piattaforma Truth, dopo aver suggerito in un’intervista andata in onda lo scorso weekend che è “probabile” che la sua amministrazione – il cui insediamento formale è in calendario per il 20 gennaio – riduca gli aiuti militari a Kiev. “Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati”, ha scritto sul social, aggiungendo: “Conosco bene Vladimir (Putin, ndr). È il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando”.Sempre lo scorso weekend, Trump ha incontrato a Parigi (dove si trovava per assistere alla riapertura della cattedrale di Notre-Dame dopo l’incendio che l’ha devastata nel 2019) Zelensky alla presenza del padrone di casa, il presidente francese Emmanuel Macron. Durante un trilaterale all’Eliseo, il capo dello Stato transalpino ha cercato di proporsi come facilitatore tra i due, tra i quali non si è ancora instaurato un canale diretto e stabile nonostante i contatti siano già avviati almeno dalla scorsa estate.Il presidente ucraino ha descritto i colloqui con il futuro inquilino della Casa Bianca come “costruttivi” ma ha voluto ribadire per l’ennesima volta che la pace con la Russia dovrà essere “giusta e solida”, una pace “che i russi non possano distruggere in pochi anni come hanno fatto prima”, ha dichiarato all’indomani dell’incontro. Il punto è sempre lo stesso: “Dobbiamo parlare prima di tutto di garanzie di pace efficaci”, ha ribadito Zelensky, per il quale la migliore garanzia di sicurezza per l’ex repubblica sovietica continua a rimanere l’adesione alla Nato.Da sinistra: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente-eletto statunitense Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, il 7 dicembre 2024 (foto: Julien De Rosa/Afp)Nella sua intervista, Trump si è addirittura spinto a ventilare l’ipotesi di ritirare Washington dalla Nato, segnalando che la partecipazione statunitense durante il suo prossimo mandato non potrà essere data per scontato se gli altri Stati membri non terranno fede agli impegni presi in termini di spesa per la difesa, cui in base agli obiettivi decisi nel 2014 dovrebbe andare almeno il 2 per cento del Pil nazionale. “Se pagano i loro conti e se penso che ci trattino in modo equo”, ha detto il presidente-eletto, “resterei assolutamente nella Nato”.Queste esternazioni hanno messo in allarme la leadership ucraina, gli altri membri dell’Alleanza nordatlantica e gli stessi esperti di sicurezza negli Usa. Il futuro presidente non ha rivelato se è già entrato in contatto personalmente con Putin (“perché non voglio fare nulla che possa ostacolare i negoziati”, ha spiegato) ma è evidente che, almeno nei circoli di quella che sarà la prossima amministrazione, i preparativi per arrivare al più presto ad una cessazione delle ostilità sono già in atto, almeno a giudicare dalla leggerezza con cui l’argomento viene affrontato dal prossimo presidente degli States.Tuttavia, almeno ufficialmente, non sono stati diffusi piani concreti su come si potrebbe arrivare a un esito del genere. Considerando sia l’impazienza che sembra avere Trump sia le recenti osservazioni di Zelensky, il quale ha ammesso per la prima volta dall’inizio della guerra nel febbraio 2022 che sarà impossibile per l’Ucraina riprendere militarmente il controllo delle regioni occupate, molti osservatori immaginano che qualunque piano negoziale per la fine del conflitto comporti una cessione (perlomeno temporanea) di una parte delle oblast’ finite sotto occupazione russa – senza considerare la Crimea, annessa unilateralmente da Mosca nel 2014.

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    L’Ue saluta la caduta della dittatura in Siria: “Opportunità di libertà e pace”

    Bruxelles – L’Unione europea sorride alla fine del regime di Bashar al-Assad, rovesciato con un’improvvisa offensiva di dodici giorni da gruppi di ribelli guidati dalla milizia islamista, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). E con una buona dose di ottimismo, i leader delle istituzioni Ue parlano di “un’opportunità di libertà e pace” per la Siria. “Non priva di rischi”, avverte Ursula von der Leyen.La clamorosa caduta di Assad e la sua fuga a Mosca, che mette fine ad una dinastia sanguinaria di oltre mezzo secolo, è avvenuta per mano di HTS e da una serie di gruppi armati riuniti sotto il nome di Esercito Nazionale Siriano. Il leader di HTS, Abu Mohammed al-Jolani, ha incaricato l’ex primo ministro Mohammed Ghazi al-Jalali di supervisionare le istituzioni statali e garantire la continuità dei servizi sociali fino alla fine del periodo di transizione. Sulla rete televisiva nazionale, domenica pomeriggio (8 dicembre) un portavoce dei ribelli ha dichiarato: “A coloro che hanno scommesso su di noi e a coloro che non l’hanno fatto, a coloro che un giorno hanno pensato che fossimo distrutti, vi annunciamo la vittoria della grande rivoluzione siriana dopo 13 anni di pazienza e sacrificio”.Profughi siriani in un campo nel sud della TurchiaTredici anni di atroce guerra civile, durante i quali sono state uccise almeno 300 mila persone e 100 mila sono scomparse. Metà del Paese – circa 12 milioni di persone – è stata sfollata dalle proprie case e circa 5,4 milioni hanno cercato rifugio all’estero. La maggior parte nei Paesi vicini, Turchia, Libano e Giordania, ma secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani.Anche per questo motivo sulle due sponde dell’Atlantico, le reazioni sono differenti. A Washington, dove il gruppo islamista una volta noto con il nome di Fronte al-Nusra è considerato un’organizzazione terroristica, il presidente uscente Joe Biden ha avvertito che gli Usa “non permetteranno all’Isis di ristabilire le proprie capacità in Siria“. Il suo omologo eletto, Donald Trump, si è sfilato senza tanti giri di parole: “Gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra guerra, lasciate che si svolga“, ha dichiarato in un post sul suo account X il prossimo inquilino della Casa Bianca.A Bruxelles, la preoccupazione è palpabile e i commenti sono più cauti. I leader Ue provano a lanciare un segnale ad al-Jolani, gli tendono la mano. “L’Europa è pronta a sostenere la salvaguardia dell’unità nazionale e la ricostruzione di uno Stato siriano che protegga tutte le minoranze”, ha affermato Ursula von der Leyen. “L’Ue è pronta a collaborare con il popolo siriano per un futuro migliore”, le ha fatto eco il neo presidente del Consiglio europeo, António Costa. Per Kaja Kallas, subentrata a Josep Borrell nel ruolo di Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “la fine della dittatura di Assad è uno sviluppo positivo e atteso da tempo”, che “mostra anche la debolezza dei sostenitori di Assad, Russia e Iran“. In una nota a nome dell’Ue, Kallas ha esortato “tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale”.The cruel Assad dictatorship has collapsed.This historic change in the region offers opportunities but is not without risks.Europe is ready to support safeguarding national unity and rebuilding a Syrian state that protects all minorities.We are engaging with European and…— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 8, 2024In un Medio Oriente logorato da tensioni locali e regionali, sui quali il conflitto tra Israele e Hamas ha funzionato come benzina sul fuoco, il timore principale dei Paesi europei è il rischio della ‘cancrenizzazione’ di una catastrofe umanitaria iniziata con l’arrivo del terzo millennio e mai realmente interrotta. Di fronte all’escalation tra Israele ed Hezbollah in Libano e alle potenziali conseguenze sulla gestione dei profughi siriani nel sud del Paese, negli scorsi mesi Bruxelles si era messa al lavoro per ipotizzare una pragmatica revisione della Strategia Ue sulla Siria, con l’obiettivo di creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Ma senza “legittimare in alcun modo il regime” di Assad.Il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), Abu Mohammed al-Jolani, tiene un discorso a Damasco, 8/12/2024 (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)Il golpe dei ribelli islamisti a Damasco cambia tutto, e i leader europei osservano con attenzione se al-Jolani manterrà le sue promesse di una transizione pacifica. In passato la milizia HTS è stata affiliata ad al-Qaeda, per poi prenderne le distanze nel 2016. È attualmente la fazione ribelle più potente in Siria e – prima dell’offensiva che ha rovesciato Assad – controllava già un vasto territorio nella provincia di Idlib, al confine con la Turchia. Nell’area sono state denunciate gravi violazioni di diritti umani, tra cui le esecuzioni di persone accusate di affiliazione a gruppi rivali e per accuse di blasfemia e adulterio.In un comunicato pubblicato nella giornata di ieri, l’ong Human Rights Watch ha ricordato a tutti che “anche i gruppi armati non statali che operano in Siria, tra cui Hay’at Tahrir al Sham e le fazioni dell’Esercito nazionale siriano che hanno lanciato l’offensiva del 27 novembre, sono responsabili di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra“. Insomma, non è detto che la Siria del dopo Assad sia il ‘Paese sicuro’ che le capitali europee vorrebbero, in modo da poter facilitare un rientro in patria dei milioni di profughi della guerra civile. Ne è consapevole il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, che in un intervento su France Info ha assicurato che il sostegno della Francia alla transizione politica in Siria “dipenderà dal rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e del diritto internazionale“.Sui possibili rientri di profughi siriani che la caduta di Assad potrebbe innescare, il portavoce del Servizio Ue per l’Azione esterna, Anouar El Anouni, ha dichiarato: “Spetterà a ogni individuo e a ogni famiglia decidere cosa desidera fare, tuttavia, per il momento, sosteniamo, in linea con l’Unhcr, che non ci sono le condizioni per rimpatri sicuri, volontari e dignitosi in Siria“.

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    Tra proteste e repressione continua la spirale di violenze in Georgia

    Bruxelles – Anziché diminuire, le tensioni in Georgia stanno salendo ogni giorno di più e non si intravede all’orizzonte uno spiraglio per ricomporle pacificamente. Mentre le proteste di piazza entrano nel loro ottavo giorno consecutivo, la violenza è in aumento sia dalla parte dei manifestanti sia, soprattutto, da parte degli apparati di sicurezza che stanno continuando a rispondere in maniera sproporzionata con la copertura del governo. L’episodio più eclatante è stato l’aggressione fisica nei confronti di uno dei leader dell’opposizione parlamentare, Nika Gvaramia, poi arrestato e portato via dalla polizia in stato di incoscienza. Il mediatore civico nazionale ha definito “sconcertanti” i comportamenti delle forze dell’ordine e ha accostato il trattamento dei detenuti ad atti di tortura.L’aggressione a Nika GvaramiaDurante le manifestazioni di ieri (4 dicembre) nella capitale Nika Gvaramia, uno dei leader di Coalizione per il cambiamento (Cfc), un’alleanza elettorale che riunisce diversi partiti di opposizione presentatisi uniti alle urne lo scorso 26 ottobre contro Sogno georgiano (il partito di governo al potere dal 2012), è stato aggredito fisicamente dalla polizia, che – almeno a quanto si vede nei filmati girati sul momento – lo ha gettato violentemente a terra per poi procedere con quello che ha tutta l’aria di un pestaggio.Nelle immagini concitate disponibili online si vede Gvaramia discutere animatamente con le forze dell’ordine, probabilmente lamentandosi dei raid nei locali dei partiti dell’opposizione, finché l’alterco verbale degenera in un attacco nei suoi confronti. Il leader 48enne di Ahali (“nuovo” in georgiano), un partito liberale confluito lo scorso luglio nella Cfc, viene strattonato dai poliziotti che, agguantatolo e scaraventatolo su un marciapiede, vengono poi immortalati mentre lo colpiscono ripetutamente con calci e pugni. Altri fotogrammi ritraggono le forze dell’ordine trasportare Gvaramia di peso, mentre questi appare privo di coscienza, verso un’automobile e allontanarsi con lui a bordo dopo averlo tratto in arresto.Footage – @NikaGvaramia212, one of our Coalition leaders, was dragged by the police and thrown into a detention car after getting physically assaulted and falling unconscious.He verbally insisted to be allowed into the search of our members parties’ office, as he’s a lawyer. pic.twitter.com/U5yTCGZqPo— Coalition 4 Change (@CoalitionGEO) December 4, 2024Non si tratta certo del primo arresto in quest’ultima, tesa fase delle proteste antigovernative che da oltre un mese stanno scuotendo la nazione caucasica – i fermi sono già arrivati a quota 300 – né di un’istanza isolata di violenza e di uso sproporzionato della forza da parte degli apparati di sicurezza georgiani. Tra gli arrestati delle ultime ore c’è anche un altro leader dell’opposizione, Aleko Elisashvili, insieme ad almeno altri sei politici appartenenti a partiti critici contro il governo, mentre sarebbe stato detenuto anche uno dei capi del movimento giovanile di protesta Dafioni.Maltrattamenti dei detenutiIl mediatore civico georgiano Levan Ioseliani ha dichiarato di aver visitato almeno 260 manifestanti, tra centri di detenzione e cliniche mediche, sottolineando che “188 di loro hanno denunciato maltrattamenti da parte della polizia” e che “i metodi usati dalle forze dell’ordine nell’arrestare i cittadini sono sconcertanti”.“Un numero allarmante di detenuti denuncia pestaggi e maltrattamenti”, ha spiegato, aggiungendo che “molti di loro hanno riportato ferite gravi al volto, agli occhi e alla testa, il che porta ad escludere l’eventualità che la polizia abbia utilizzato una forza proporzionata contro di loro ogni volta”. Le evidenze, ha concluso, portano a ritenere “che la polizia stia ricorrendo a metodi violenti contro i cittadini allo scopo di punirli”, e ha ricordato che “la violenza severa e intenzionale con intenti punitivi costituisce un atto di tortura”.Proteste ad alta tensioneDa giorni, le manifestazioni scatenate dalla decisione del governo di sospendere i negoziati di adesione all’Ue fino al 2028 stanno venendo represse dai reparti antisommossa della polizia con proiettili di gomma, granate stordenti e idranti. Dal ministero dell’Interno fanno sapere che almeno sette persone sono state arrestate con l’accusa di guidare violenze organizzate, un crimine per il quale sono previsti fino a nove anni di carcere, e che durante le perquisizioni in alcune abitazioni private sono stati rinvenuti fucili ad aria compressa, fuochi artificiali (che i manifestanti impiegano contro la polizia in risposta agli idranti e le granate nella guerriglia urbana) e delle bombe Molotov.Manifestanti con le bandiere della Georgia e dell’Ue fuori del Parlamento nazionale a Tbilisi, il 5 dicembre 2024 (foto: Karen Minasyan/Afp)Le autorità georgiane hanno accusato i manifestanti di complottare per il sovvertimento dell’ordine pubblico, con l’intenzione di mettere in scena un colpo di Stato sulla falsariga delle proteste ucraine dell’Euromaidan, che hanno insanguinato Kiev tra il novembre 2013 e il febbraio 2014 e hanno portato alla cacciata del presidente filorusso Viktor Janukovyc e, successivamente, all’annessione unilaterale della Crimea da parte di Mosca e all’inizio della guerra nel Donbass.Del resto, le azioni delle forze dell’ordine continuano a essere coperte dalla compiacenza del governo: “Non la chiamerei repressione, è più che altro prevenzione” ha dichiarato il premier Irakli Kobakhidze, che si è complimentato con la gestione delle proteste da parte della polizia. Il primo ministro ha suggerito, senza fornire prove, che siano i partiti dell’opposizione – i quali stanno boicottando il nuovo Parlamento, rifiutando di prendere parte ai lavori dell’Aula – a rifornire i manifestanti di “materiale pirotecnico e altri mezzi” con cui attaccare la polizia.

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    Amnesty International: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele “ha scatenato l’inferno e la distruzione sui palestinesi di Gaza in modo sfacciato, continuo e nella più totale impunità”. Amnesty International ha pubblicato oggi (5 dicembre) un rapporto in cui sostiene che Israele ha commesso e continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza. Confermando le accuse già formulate mesi fa dalla relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.Un tassello in più che si aggiunge all’orrore ampiamente documentato della controffensiva israeliana nell’enclave palestinese. Non solo crimini di guerra e contro l’umanità, di cui sono stati accusati dalla Corte Penale Internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro per la Difesa Yoav Gallant. Dopo aver esaminato nel dettaglio le violazioni compiute da Israele nell’enclave palestinese tra l’ottobre 2023 e il luglio 2024, intervistato 212 persone a Gaza, analizzato prove visive e digitali e le dichiarazione di alti funzionari governativi e militari israeliani, Amnesty International “ha trovato basi sufficienti” per concludere che quello in corso a Gaza è un vero e proprio genocidio.Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, soggetti ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)“Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo subumano indegno di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha commentato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, secondo cui i risultati “sconvolgenti” contenuti nel rapporto “devono servire da campanello d’allarme” per una comunità internazionale impotente di fronte alla tragedia di Gaza. Callamard ha sottolineato – in linea con le osservazioni della Corte Internazionale di Giustizia relative all’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica ad Israele – che “gli Stati che continuano a trasferire armi a Israele stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici”.I dati citati nel rapporto sono quelli che le Agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio riportano ogni settimana nei loro bollettini. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha-Opt), si parla di almeno 44.502 palestinesi uccisi e 105.454 feriti dal 7 ottobre 2023. Nell’ultima settimana – dal 26 novembre al 3 dicembre – i bombardamenti israeliani avrebbero causato altre 253 vittime e 708 feriti. Va sottolineato che il rapporto di Amnesty International è stato redatto prendendo in considerazione gli eventi fino a luglio 2024, ed esclude quindi la terribile offensiva che l’esercito israeliano ha lanciato ad ottobre sul Nord di Gaza, sotto assedio permanente e dove l’assistenza umanitaria “è stata in gran parte negata per circa 60 giorni, lasciando tra le 65 mila e le 75 mila persone senza accesso a cibo, acqua, elettricità o assistenza sanitaria affidabile”.La distruzione deliberata e indiscriminata di intere città, infrastrutture critiche, terreni agricoli, siti culturali e religiosi, ha “reso inabitabili ampie zone di Gaza”. Ed è stata spesso preceduta da “funzionari che ne hanno sollecitato l’attuazione”. Amnesty ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani che “disumanizzavano i palestinesi, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro”. Un linguaggio condiviso e rilanciato anche dai soldati israeliani sul campo, come dimostrano diversi contenuti audiovisivi che mostrano militari che celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.Una donna palestinese, sfollata da Beit Lahia, arriva a Jabalia nel nord della Striscia di Gaza, 4/12/24 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Amnesty International si è concentrata su 15 attacchi aerei israeliani, che hanno ucciso almeno 334 civili, tra cui 141 minori, e ferito centinaia di altri. E per nessuno di questi raid ha trovato prove che fossero diretti ad obiettivi militari. Il rapporto ha identificato uno schema ricorrente nell’azione genocidaria di Israele: il danneggiamento e la distruzione di infrastrutture vitali, l’uso ripetuto di ordini di “evacuazione” di massa, arbitrari e confusi, per sfollare con la forza quasi tutta la popolazione di Gaza, la negazione e l’ostruzione della fornitura di servizi essenziali, di assistenza umanitaria e di altri rifornimenti salvavita a Gaza e al suo interno. Israele ha sfollato quasi 1,9 milioni di palestinesi – il 90 per cento della popolazione di Gaza – in sacche di terra sempre più piccole e insicure, in condizioni disumane.“Chiediamo all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di prendere urgentemente in considerazione l’aggiunta del genocidio all’elenco dei crimini su cui sta indagando e a tutti gli Stati di utilizzare ogni via legale per assicurare i responsabili alla giustizia”, conclude il rapporto di Amnesty International. Un appello rivolto anche a Bruxelles, dove regna il silenzio dopo l’avvicendamento tra Josep Borrell e Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, e alle capitali dei 27, troppo prudenti finora nel confermare la propria lealtà al Tribunale de l’Aia e al mandato d’arresto per il primo ministro di Israele.