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    A Gaza la carestia è imminente. Borrell attacca Israele: “Usa la fame come arma di guerra”

    Bruxelles – Secondo l’ultima valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), l’intera popolazione della Striscia di Gaza è in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma nel Nord dell’enclave palestinese, il 70 per cento di chi è rimasto sta già affrontando la carestia. E nei governatorati centrali e meridionali, la metà della popolazione soffre un’insicurezza alimentare catastrofica. Alla luce del rapporto, l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, rilancia l’accusa a Israele: “Usa la fame come arma di guerra”.Un’accusa durissima: affamare volontariamente una popolazione è un crimine di guerra, e rientra nelle azioni deliberate che costituiscono un atto di genocidio. Questa volta, accanto a Borrell – che aveva già lanciato l’accusa di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. I due hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui, commentando l’analisi degli esperti dell’Ipc, ribadiscono che “la fame non può essere usata come arma di guerra” e che “quello a cui stiamo assistendo non è un rischio naturale, ma un disastro provocato dall’uomo, ed è nostro dovere morale fermarlo“.

    Josep Borrell al Consiglio Ue Affari Esteri, 18/03/24Nel frattempo, a Bruxelles è in corso la riunione dei ministri degli Esteri dei 27, e la crisi umanitaria a Gaza è in agenda. Borrell, arrivando in Consiglio, ha rincarato la dose. Perché “ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame”. Per il capo della diplomazia europea “prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quello che riguarda il rispetto delle regole internazionali”.A far rabbrividire non è solo la situazione attuale fotografata dall’Ipc, in cui 2,2 milioni di persone affrontano “alti livelli di insicurezza alimentare”, ma le proiezioni per i prossimi mesi: “Da metà marzo a metà luglio, nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto che includa un’offensiva di terra a Rafah, metà della popolazione si troverà ad affrontare il rischio di carestia“. Nella scala da 1 a 5 utilizzata dall’Ipc, la carestia rappresenta il livello più grave dell’insicurezza alimentare acuta.

    [Fonte: Integrated Food Security Phase Classification]“È una situazione senza precedenti. Nessuna analisi dell’Ipc ha mai registrato tali livelli di insicurezza alimentare in nessuna parte del mondo“, sottolineano Borrell e Lenarčič . Nella Striscia il 50 per cento degli edifici sono stati danneggiati o distrutti. Abitazioni, negozi, ospedali e scuole, ma anche impianti idrici, igienici e le infrastrutture necessarie per la produzione e la distribuzione di cibo. Limitando notevolmente la funzionalità del sistema alimentare. Il rapporto dell’Icp snocciola anche le cifre degli ingressi di aiuti via terra: “Da una media pre-escalation di 500 camion al giorno, di cui 150 che trasportavano cibo, nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 24 febbraio 2024, solo 90 camion al giorno, di cui solo 60 che trasportavano cibo, sono entrati nella Striscia di Gaza”.Dopo cinque mesi e mezzo di conflitto, Israele non ha ancora aperto tutti i varchi ai convogli umanitari e anzi, di aiuti ne entrano sempre meno. Le responsabilità di Tel Aviv sono sotto gli occhi di tutti: anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz – uno dei più prudenti sul denunciare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – ha sottolineato al premier israeliano Netanyahu che “non possiamo stare a guardare i palestinesi morire di fame”, precisando la situazione “è interamente opera dell’uomo” e deriva “da chi impedisce che il sostegno umanitario entri a Gaza“.Tajani: “Posizione non concordata”. Israele nega le accuseMa l’accusa lanciata dal capo della diplomazia europea non è condivisa da tutti a Bruxelles. A partire dal vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che ha commentato: “È una posizione di Borrell, non l’ha concordata con nessuno”. A Tel Aviv invece, non l’hanno presa proprio bene: Borrell “la smetta di attaccare Israele e riconosca il nostro diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas”, ha replicato con un post su X il ministro degli Esteri, Israel Katz.

    Il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, e Josep BorrellIn un documento che le autorità israeliane hanno sottomesso alla Corte di Giustizia Internazionale relativamente al procedimento intentato dal Sudafrica per il possibile genocidio a Gaza, Israele nega con fermezza di ostacolare l’arrivo di beni di prima necessità per la popolazione palestinese. L’insicurezza alimentare a Gaza “è una sfida seria” ma “non è una questione semplice”, sostengono i legali di Tel Aviv, ribandendo che “Israele si è impegnata, insieme a una serie di parti interessate, a compiere sforzi costanti ed estesi per affrontare questa sfida”. Un impegno che dimostrerebbe “l’esatto contrario di un intento genocida o di un tentativo di affamare la popolazione”.Anzi: Israele si starebbe prodigando per la “continua facilitazione dell’ingresso dei carichi di aiuti umanitari a Gaza e l’utilizzo di ulteriori vie di comunicazione a tale scopo e il rafforzamento della capacità di quelle esistenti”. Le autorità israeliane puntano il dito contro la “spregevole strategia di Hamas”, che “assume il controllo delle forniture umanitarie” e le “devia dalla loro destinazione civile”.

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    Le famiglie degli ostaggi israeliani a Bruxelles. L’ambasciatore presso l’Ue: “Non ci fermeremo finché non saranno rilasciati”

    Bruxelles – Due numeri che quasi si equivalgono: 134 ostaggi, detenuti da 137 giorni nella rete di tunnel di Hamas nella Striscia di Gaza. “Il tempo sta per scadere”, urla in coro dalla capitale europea la delegazione dei familiari dei cittadini israeliani rapiti negli attacchi del 7 ottobre. Cinque famiglie, con la vita sospesa da oltre quattro mesi, hanno lanciato un appello all’Unione europea per fare tutto il possibile perché i loro cari tornino a casa.In una conferenza stampa organizzata dalla Europe Israel Press Association, i familiari di Omri Miran, Arbel e Dolev Yehud, Rom Breslavsky e Oz Daniel hanno preso la parola uno alla volta, per raccontare l’incubo che hanno vissuto e stanno ancora vivendo. Prima di loro, l’appello dell’Ambasciatore israeliano presso l’Unione europea e la Nato, Haim Regev: “Abbiamo avuto un grande supporto da parte dell’Ue, l’abbiamo visto fin dal primo giorno. Ma ora abbiamo bisogno di più sostegno, di più pressione per far tornare gli ostaggi“.L’ambasciatore israeliano presso l’Ue, Haim RegevUna richiesta che arriva nel momento in cui la comunità internazionale è sempre più critica nei confronti dell’efferata offensiva israeliana a Gaza. Dopo quasi trentamila vittime palestinesi in quattro mesi e mezzo, riportare l’attenzione sui 134 israeliani detenuti nella Striscia non è impresa facile. Anche perché il governo Netanyahu, dopo il fallimento delle trattative mediate dall’Egitto a causa delle “richieste deliranti di Hamas”, insiste sull’idea che solo la pressione militare porterà alla liberazione degli ostaggi.L’Ue proprio ieri ha chiesto a Israele di non intraprendere alcuna operazione militare a Rafah, dove sono ammassati oltre un milione e mezzo di sfollati palestinesi, ma Regev ha risposto che “non ci fermeremo finché gli ostaggi non saranno rilasciati”. E ha aggiunto: “La nostra guerra non è contro i palestinesi, ma contro Hamas. Questa guerra può finire in un’ora, devono solo rilasciare tutti gli ostaggi“.L’ultima richiesta di Hamas è stata ritenuta inaccettabile: la contemporanea liberazione di 1500 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, tra cui personaggi condannati a più ergastoli per aver partecipato ad attentati terroristici in Israele. Ma aver abbandonato le trattative non è andato giù ai familiari degli ostaggi, che in patria hanno definito la decisione di Netanyahu come “una condanna a morte” per i propri cari. E anche oggi la delegazione ha lanciato un appello al proprio governo che “non sta facendo abbastanza” per riportare a casa i propri connazionali, ricordando che nelle principali città israeliane “stiamo manifestando giorno e notte”.Anche ieri sera centinaia di persone hanno marciato fino all’ufficio di Netanyahu a Gerusalemme per chiedere un accordo immediato per il rilascio degli ostaggi. “Ma noi siamo in Europea perché metà degli ostaggi sono anche europei“, ha denunciato la moglie di Omri Miran, cittadino israelo-ungherese che viveva con la famiglia in un kibbutz a poche centinaia di metri da Gaza e che la mattina del 7 ottobre è stato trascinato nella Striscia. Mentre la compagna, con cittadinanza portoghese, e le due figlie, sono state incredibilmente risparmiate dai terroristi.

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    L’Ue avvia una revisione dei fondi all’Unrwa, diversi Stati membri li hanno già sospesi. A rischio l’assistenza a Gaza

    Bruxelles – È cominciata la reazione a catena dopo le accuse mosse da Israele sul presunto coinvolgimento di 12 dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nell’attacco terroristico di Hamas dello scorso 7 ottobre. Uno dopo l’altro, diversi governi hanno già annunciato la sospensione dei finanziamenti. L’Ue attende l’esito dell’indagine annunciata dall’Onu. E l’Unrwa fa sapere che così non sarà più in grado di garantire l’assistenza a Gaza oltre il mese di febbraio.Finora sono 13 i Paesi che si sono sfilati dagli impegni con l’Unrwa: Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Romania e Giappone. Più cauta invece l’Unione europea, la cui cooperazione con l’Agenzia dell’Onu per la Palestina risale addirittura al 1971. La Commissione europea – che nel 2023 ha mobilitato 92 milioni di euro per l’Unrwa – ha fatto sapere che “attualmente non sono previsti ulteriori finanziamenti fino alla fine di febbraio” e che riesaminerà la questione “alla luce dell’esito dell’indagine annunciata dall’Onu e delle azioni che intraprenderà”.Nel frattempo, Bruxelles ha richiesto all’Unrwa di “effettuare un audit dell’agenzia che sarà condotto da esperti esterni indipendenti nominati dall’Ue”. In sostanza – ha spiegato il portavoce capo dell’escutivo Ue, Eric Mamer -, quando la Commissione “lavora intensamente come fa con l’Unrwa”, esistono diversi meccanismi di controllo e la possibilità di chiedere un audit “in qualsiasi momento”. Non si tratta di un’indagine sull’accaduto, ma riguarda la “rivalutazione dei pilastri concentrandosi in particolare sui sistemi di controllo con cui l’Unrwa previene il possibile coinvolgimento del suo personale in attività terroristiche”.

    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell (R) con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Non si è fatta attendere nemmeno la risposta del Palazzo di vetro. L’Onu ha immediatamente lanciato un’indagine da parte dell’Office of Internal Oversight Services (OIOS), il massimo organo investigativo delle Nazioni Unite, anche se il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, aveva già annunciato l’avvio di un’indagine interna. Delle 12 persone implicate, nove sono state immediatamente identificate e licenziate, uno è stato confermato morto e le identità dei restanti due sono “in fase di chiarimento”.“Qualsiasi dipendente delle Nazioni Unite coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha affermato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Riconoscendo le preoccupazioni dei paesi che hanno sospeso i fondi ed esprimendo il proprio orrore per le accuse, Guterres ha tuttavia lanciato un forte appello per garantire almeno la continuità delle operazioni dell’Unrwa. “I presunti atti ripugnanti di questi membri dello staff devono avere delle conseguenze. Ma le decine di migliaia di uomini e donne che lavorano per l’Unrwa, molti dei quali si trovano in alcune delle situazioni più pericolose per gli operatori umanitari, non dovrebbero essere penalizzate”, ha affermato. E con loro naturalmente la popolazione civile di Gaza, i cui “disperati bisogni devono essere soddisfatti”.Secondo i dati dell’Unrwa aggiornati al 27 gennaio, circa 1,7 milioni di sfollati interni stanno trovando riparo nei rifugi di emergenza dell’Agenzia. Delle 21.881 tonnellate metriche di farine distribuite dal 21 ottobre alla popolazione, più della metà (12.987) provenivano dall’Unrwa. Che nello stesso periodo ha consegnato a Gaza medicinali e forniture mediche per un valore totale di oltre 6,2 milioni di dollari, quasi 19 milioni di litri d’acqua, 2,7 milioni di unità di biscotti e biscotti ad alto contenuto energetico, quasi 4,7 milioni di scatole di cibo a base di proteine, oltre 6,5 milioni di unità di prodotti caseari e altri alimenti, tra cui datteri, dolci e succhi di frutta. E quasi 100.000 materassi, 80.000 kit per l’igiene familiare, oltre 3,1 milioni di pannolini, circa 144.000 coperte e oltre 1,9 milioni di articoli per la pulizia.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Ma l’Agenzia ha dichiarato che non sarà in grado di continuare le operazioni a Gaza e in tutta la regione oltre la fine di febbraio, se non riprenderanno i finanziamenti a suo favore. Anche se l’Ue ha già affermato che “gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania continueranno senza sosta attraverso altre organizzazioni partner”, è difficile immaginare di poter rimpiazzare il lavoro degli oltre 13 mila dipendenti dell’Unrwa residenti a Gaza, in gran parte essi stessi profughi palestinesi.Tutto questo a pochi giorni dal pronunciamento della Corte di giustizia internazionale, che ha chiesto a Israele che vengano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”. E che, per le accuse mosse allo 0,09 per cento dell’Unrwa, rischia ora tragicamente di interrompersi.

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    L’Ue chiede all’Unrwa “piena trasparenza” sulle accuse di coinvolgimento negli attacchi di Hamas del 7 ottobre

    Bruxelles – “Siamo estremamente preoccupati per le accuse di coinvolgimento del personale dell’Unrwa negli attacchi terroristici del 7 ottobre in Israele”. L’Ue prende nota delle informazioni fornite dalle autorità israeliane sulla presunta partecipazione di diversi dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi all’operazione condotta da Hamas che ha portato alla morte di oltre 1200 cittadini israeliani.In una nota, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha dichiarato di essere in contatto con l’Unrwa e di aspettarsi che “fornisca piena trasparenza sulle accuse e che prenda misure immediate contro il personale coinvolto”. La Commissione europea – ha assicurato Borrell – “valuterà gli ulteriori passi da compiere e trarrà insegnamenti in base ai risultati di un’indagine completa ed esaustiva”.L’Unrwa è una dei maggiori partner dell’Ue in Cisgiordania e a Gaza. “L’Unrwa ha svolto per molti anni un ruolo fondamentale nel sostenere i rifugiati palestinesi vulnerabili nell’accesso a servizi vitali come l’istruzione e la salute, ed è un partner cruciale della comunità internazionale”, ha spiegato Borrell. La cooperazione tra l’Ue e l’Unrwa risale addirittura al 1971, e solo nel 2023 Bruxelles ha contribuito al lavoro dell’Agenzia con 92 milioni di euro.Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha definito “scioccanti” le accuse delle autorità israeliane e ha annunciato di aver preso la decisione di “rescindere immediatamente i contratti di questi membri e di avviare un’indagine per stabilire senza indugio la verità”. Qualsiasi dipendente coinvolto in atti di terrorismo “sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”, ha promesso l’alto funzionario.

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    La Corte de l’Aia ha ordinato a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio a Gaza

    Bruxelles – Un’occasione persa per chiedere a Israele di interrompere le operazioni militari a Gaza. O “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale”, come l’ha definita il ministero degli Esteri del Sudafrica. Tutto sta nel voler vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dalla Corte de l’Aia esce il primo verdetto: Israele deve “adottare tutte le misure in suo potere” per impedire un genocidio contro il popolo palestinese.C’era grande attesa per le misure provvisorie che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe ordinato di intraprendere a Tel Aviv, portata a giudizio dal Sudafrica con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, alla luce delle oltre 26 mila vittime dei bombardamenti su Gaza. Ma prima ancora, il primo punto fermo che esce dall’aula è che i giudici non hanno archiviato il caso, perché hanno ritenuto che alcune delle denunce presentate dal Sudafrica sono giustificate.Messo nero su bianco questo, l’aspettativa era alta perché il tribunale aveva la possibilità di chiedere – o meglio imporre, essendo le sue decisioni vincolanti – a Israele di porre fine immediatamente alla devastante risposta militare all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. E di spostare dunque le sorti della guerra. Ma dalla giuria, presieduta dalla statunitense Joan Donoghue, non è arrivato l’ordine di un cessate il fuoco. Israele dovrà però riferire alla corte entro un mese le precauzioni adottate per prevenire gli atti di genocidio nella Striscia, e dovrà conservare le prove di queste misure e renderle accessibili a missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

    La giudice Joan E. Donoghue [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Oltre a “garantire con effetto immediato che il suo esercito non commetta nessuno degli atti” che il Trattato internazionale del 1948 riconosce come genocidio, la Corte ha chiesto ad Israele di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i membri della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza”. In linea con quanto gli appelli della comunità internazionale, l’Aia chiede che siano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”.La giuria internazionale ha sottolineato infine che “tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario” e ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” ancora prigionieri di Hamas.Le reazioni di Israele e Palestina al verdetto della Corte de l’AiaVedono il bicchiere mezzo pieno il Sudafrica, che ha definito la giornata di oggi “una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese“, e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), il cui ministro degli Esteri, Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza ricordando che le decisioni del tribunale che fa capo alle Nazioni Unite sono vincolanti.Sospiro di sollievo a Bruxelles, dove le istituzioni europee si sarebbero trovate in difficoltà – dopo tre mesi di supporto a Israele e le recenti dichiarazioni di sostegno incondizionato alla Corte de l’Aia – in caso di una sentenza più dura nei confronti di Tel Aviv. “L’Ue si aspetta una piena, immediata ed effettiva implementazione” delle misure provvisorie richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale, si legge in una nota congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell.Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato che “l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile, così come incrollabile è il nostro sacro impegno a continuare a difendere il nostro Paese”. Secondo Netanyahu la Corte ha “giustamente respinto” il “vile tentativo di negare a Israele il suo diritto fondamentale” all’autodifesa. Ma la stessa “volontà della Corte di discutere” del possibile genocidio contro i palestinesi “è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Secondo media locali, il premier israeliano avrebbe chiesto ai suoi ministri di non commentare la sentenza, per paura di uscite sopra le righe. Che sono puntualmente arrivate: il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito la corte de l’Aia “antisemita“, perché “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”. E ha invitato “non ascoltare decisioni che mettono in pericolo la sopravvivenza dello Stato di Israele”.

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    L’Ue ha aggiunto alla lista dei terroristi il leader politico di Hamas nella Striscia di Gaza. Chi è Yahya Sinwar

    Bruxelles – Il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (16 gennaio) di aggiungere Yahya Sinwar, leader politico di Hamas nella Striscia di Gaza, alla lista dei terroristi dell’Unione europea. Uno dei principali obiettivi dei bombardamenti israeliani, lo scorso 9 gennaio Tel Aviv aveva posto su di lui una taglia di 400 mila dollari.Da oggi il “macellaio di Khan Yunis”, com’è soprannominato Sinwar, sarà ​​soggetto al congelamento dei fondi e di altre attività finanziarie negli Stati membri dell’Ue. Parallelamente, a tutti gli operatori comunitari sarà vietato mettergli a disposizione fondi e risorse economiche. Con l’aggiunta del leader dell’organizzazione che governa la Striscia di Gaza, la lista dei terroristi Ue conta ora 15 persone e 21 gruppi ed entità.Yahya Sinwar si unì ad Hamas già negli anni Ottanta. Ha più di 60 anni, nato e cresciuto in un campo profughi a Khan Yunis, nel sud della Striscia. Venne arrestato dall’esercito israeliano nel 1988, con l’accusa di aver ucciso due soldati delle Forze di Difesa Israeliane. Nei 23 anni che ha trascorso in prigione, Sinwar ha imparato l’ebraico e studiato a fondo “il modo in cui pensa e agisce il nemico”.Nel 2011 fu liberato, insieme a oltre mille prigionieri palestinesi, in cambio di un solo soldato israeliano, Gilad Shalit. Tornato a Gaza, nel 2017 fu nominato capo politico di Hamas all’interno della Striscia. Assieme a Mohammed Deif, capo delle brigate al Qassam, il braccio militare di Hamas, è ritenuto uno dei principali ideatori dell’attacco terroristico del 7 ottobre. Sinwar e Deif non sono gli unici leader dell’organizzazione: in esilio a Doha, in Qatar, vive Ismail Haniyeh, ritenuto la figura politica più importante di Hamas, così come il suo vice, Saleh Arouri, che si trova a Beirut, in Libano.

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    La missione di Borrell in Libano per capire come allentare le tensioni in Medio Oriente

    Bruxelles – Inizia oggi (5 gennaio) la missione di tre giorni di Josep Borrell in Libano, dove incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, il primo ministro Najib Mikati, il ministro degli Affari esteri, Abdallah Bou Habib, e il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun.La visita – che durerà fino a domenica – vedrà inoltre l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza impegnato a colloquio con il capo della missione e il comandante della forza delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), il generale Aroldo Lazaro.Secondo una nota del Servizio europeo per l’azione esterna, la missione sarà un’occasione per “discutere tutti gli aspetti della situazione a Gaza e dintorni, compreso il suo impatto sulla regione, in particolare la situazione al confine israelo-libanese, nonché l’importanza di evitare un’escalation regionale e di sostenere il flusso di assistenza umanitaria ai civili, che l’Unione Europea ha quadruplicato portandola a 100 milioni di euro”. Borrell – si legge ancora – sottolineerà nuovamente la necessità di portare avanti gli sforzi diplomatici con i leader regionali al fine di creare le condizioni per raggiungere “una pace giusta e duratura tra Israele, Palestina e nella regione”.Allentare le tensioni. La missione del capo della diplomazia europea arriva in un momento particolarmente delicato delle tensioni in Medio Oriente tra Israele e Hamas, dopo che nel pomeriggio di martedì in una grossa esplosione a Beirut, la capitale del Libano, attribuita a un bombardamento israeliano mirato contro un ufficio del gruppo armato palestinese Hamas, è rimasto ucciso Saleh al-Arouri, vice capo di Hamas. L’uccisione di Arouri ha acuito le tensioni tra Hezbollah, stretto alleato di Hamas in Libano, e Israele. La guerra tra Israele e Hamas e l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza vanno avanti dallo scorso 7 ottobre, dopo un attacco di Hamas considerato da molti senza precedenti in territorio israeliano in cui hanno perso la vita oltre mille civili e oltre 200 sono stati rapiti, in risposta al quale Israele ha lanciato bombardamenti e assedio via terra della Striscia di Gaza, in cui si contano oltre 20 mila persone uccise.

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    A Gaza lo spettro della fame. L’Ue chiede un “accesso umanitario continuo”, ma senza nominare Israele

    Bruxelles – “Profondamente scioccati” dai risultati della valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) sulla crisi alimentare a Gaza. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, parlano di un “campanello d’allarme per il mondo intero affinché agisca ora per prevenire una catastrofe umana mortale“. Ma non chiamano mai in causa Israele.Secondo il sistema di  classificazione sviluppato nel 2004 dalla Fao, l’Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, tra l’8 dicembre 2023 e il 7 febbraio 2024, l’intera popolazione della Striscia di Gaza – circa 2,2 milioni di persone – si trova almeno nella Fase 3 dell’Ipc, quella che viene chiamata fase di crisi. “Si tratta della percentuale più alta di persone che affrontano livelli elevati di insicurezza alimentare acuta che l’Ipc abbia mai classificato per una determinata area o paese”, viene sottolineato nella valutazione.La scala del rischio alimentare utilizzata nelle valutazioni dell’IpcMa lo scenario è ancora più drammatico. Perché circa il 50 per cento della popolazione (1,17 milioni di persone) è già nella Fase 4, in una situazione di emergenza e almeno una famiglia su quattro – più di mezzo milione di persone – è al gradino finale della scala: chi è nella fase 5 si trova ad affrontare “condizioni catastrofiche” e  “un’estrema mancanza di cibo”.Non è frutto di un disastro naturale, di un’estrema siccità o di un impressionante alluvione: “Le ostilità, i bombardamenti, le operazioni di terra e l’assedio dell’intera popolazione, la riduzione dell’accesso al cibo, ai servizi di base e all’assistenza salvavita, e l’estrema concentrazione o isolamento delle persone in rifugi inadeguati o in aree prive di servizi di base sono i principali fattori” che contribuiscono a raggiungere questi livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta in tutta la Striscia di Gaza, con un rischio sempre più palpabile di carestia.(Photo by MOHAMMED ABED / AFP)È dunque la strategia militare messa in campo da Israele che ha ridotto gli abitanti di Gaza alla fame, denuncia l’IPC. Eppure, nonostante ciò, l’Unione europea sceglie di non chiamare direttamente in causa Israele.  La dichiarazione congiunta di Borrell e Lenarčič, che nel gabinetto di Ursula von der Leyen sono comunque le voci più critiche sul trattamento che Israele sta riservando alla popolazione palestinese, lo dimostra un’altra volta.“Abbiamo urgentemente bisogno di un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli per evitare un ulteriore peggioramento di una situazione già catastrofica – avvertono Borrell e Lenarčič –. Ribadiamo l’urgente appello al rispetto del diritto internazionale umanitario. Gli aiuti devono raggiungere coloro che ne hanno bisogno attraverso tutti i mezzi necessari, compresi corridoi e pause umanitarie“. Non una volta la responsabilità è attribuita a Israele.I due passano poi in rassegna i numeri della mobilitazione europea: 100 milioni di euro di aiuti umanitari a Gaza, di cui 46 milioni “specificamente destinati all’assistenza alimentare e alla copertura sanitaria e di altri bisogni primari”. E 125 milioni già stanziati per il 2024. Risorse mobilitate per la sopravvivenza di un popolo che forse avrebbe altrettanto bisogno di parole più dure nei confronti di Israele.