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    La Corte de l’Aia ha ordinato a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio a Gaza

    Bruxelles – Un’occasione persa per chiedere a Israele di interrompere le operazioni militari a Gaza. O “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale”, come l’ha definita il ministero degli Esteri del Sudafrica. Tutto sta nel voler vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dalla Corte de l’Aia esce il primo verdetto: Israele deve “adottare tutte le misure in suo potere” per impedire un genocidio contro il popolo palestinese.C’era grande attesa per le misure provvisorie che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe ordinato di intraprendere a Tel Aviv, portata a giudizio dal Sudafrica con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, alla luce delle oltre 26 mila vittime dei bombardamenti su Gaza. Ma prima ancora, il primo punto fermo che esce dall’aula è che i giudici non hanno archiviato il caso, perché hanno ritenuto che alcune delle denunce presentate dal Sudafrica sono giustificate.Messo nero su bianco questo, l’aspettativa era alta perché il tribunale aveva la possibilità di chiedere – o meglio imporre, essendo le sue decisioni vincolanti – a Israele di porre fine immediatamente alla devastante risposta militare all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. E di spostare dunque le sorti della guerra. Ma dalla giuria, presieduta dalla statunitense Joan Donoghue, non è arrivato l’ordine di un cessate il fuoco. Israele dovrà però riferire alla corte entro un mese le precauzioni adottate per prevenire gli atti di genocidio nella Striscia, e dovrà conservare le prove di queste misure e renderle accessibili a missioni internazionali e altri organismi che operano a Gaza.

    La giudice Joan E. Donoghue [Photograph: UN Photo/ICJ-CIJ/Frank van Beek]Oltre a “garantire con effetto immediato che il suo esercito non commetta nessuno degli atti” che il Trattato internazionale del 1948 riconosce come genocidio, la Corte ha chiesto ad Israele di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i membri della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza”. In linea con quanto gli appelli della comunità internazionale, l’Aia chiede che siano consentite “senza indugi” la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria “urgentemente necessari per alleviare le difficili condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi della Striscia di Gaza”.La giuria internazionale ha sottolineato infine che “tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario” e ha chiesto “il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” ancora prigionieri di Hamas.Le reazioni di Israele e Palestina al verdetto della Corte de l’AiaVedono il bicchiere mezzo pieno il Sudafrica, che ha definito la giornata di oggi “una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese“, e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), il cui ministro degli Esteri, Riyad al Maliki, ha celebrato la sentenza ricordando che le decisioni del tribunale che fa capo alle Nazioni Unite sono vincolanti.Sospiro di sollievo a Bruxelles, dove le istituzioni europee si sarebbero trovate in difficoltà – dopo tre mesi di supporto a Israele e le recenti dichiarazioni di sostegno incondizionato alla Corte de l’Aia – in caso di una sentenza più dura nei confronti di Tel Aviv. “L’Ue si aspetta una piena, immediata ed effettiva implementazione” delle misure provvisorie richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale, si legge in una nota congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell.Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato che “l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile, così come incrollabile è il nostro sacro impegno a continuare a difendere il nostro Paese”. Secondo Netanyahu la Corte ha “giustamente respinto” il “vile tentativo di negare a Israele il suo diritto fondamentale” all’autodifesa. Ma la stessa “volontà della Corte di discutere” del possibile genocidio contro i palestinesi “è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Secondo media locali, il premier israeliano avrebbe chiesto ai suoi ministri di non commentare la sentenza, per paura di uscite sopra le righe. Che sono puntualmente arrivate: il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha definito la corte de l’Aia “antisemita“, perché “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”. E ha invitato “non ascoltare decisioni che mettono in pericolo la sopravvivenza dello Stato di Israele”.

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    L’Ue ha aggiunto alla lista dei terroristi il leader politico di Hamas nella Striscia di Gaza. Chi è Yahya Sinwar

    Bruxelles – Il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (16 gennaio) di aggiungere Yahya Sinwar, leader politico di Hamas nella Striscia di Gaza, alla lista dei terroristi dell’Unione europea. Uno dei principali obiettivi dei bombardamenti israeliani, lo scorso 9 gennaio Tel Aviv aveva posto su di lui una taglia di 400 mila dollari.Da oggi il “macellaio di Khan Yunis”, com’è soprannominato Sinwar, sarà ​​soggetto al congelamento dei fondi e di altre attività finanziarie negli Stati membri dell’Ue. Parallelamente, a tutti gli operatori comunitari sarà vietato mettergli a disposizione fondi e risorse economiche. Con l’aggiunta del leader dell’organizzazione che governa la Striscia di Gaza, la lista dei terroristi Ue conta ora 15 persone e 21 gruppi ed entità.Yahya Sinwar si unì ad Hamas già negli anni Ottanta. Ha più di 60 anni, nato e cresciuto in un campo profughi a Khan Yunis, nel sud della Striscia. Venne arrestato dall’esercito israeliano nel 1988, con l’accusa di aver ucciso due soldati delle Forze di Difesa Israeliane. Nei 23 anni che ha trascorso in prigione, Sinwar ha imparato l’ebraico e studiato a fondo “il modo in cui pensa e agisce il nemico”.Nel 2011 fu liberato, insieme a oltre mille prigionieri palestinesi, in cambio di un solo soldato israeliano, Gilad Shalit. Tornato a Gaza, nel 2017 fu nominato capo politico di Hamas all’interno della Striscia. Assieme a Mohammed Deif, capo delle brigate al Qassam, il braccio militare di Hamas, è ritenuto uno dei principali ideatori dell’attacco terroristico del 7 ottobre. Sinwar e Deif non sono gli unici leader dell’organizzazione: in esilio a Doha, in Qatar, vive Ismail Haniyeh, ritenuto la figura politica più importante di Hamas, così come il suo vice, Saleh Arouri, che si trova a Beirut, in Libano.

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    La missione di Borrell in Libano per capire come allentare le tensioni in Medio Oriente

    Bruxelles – Inizia oggi (5 gennaio) la missione di tre giorni di Josep Borrell in Libano, dove incontrerà il presidente del Parlamento Nabih Berri, il primo ministro Najib Mikati, il ministro degli Affari esteri, Abdallah Bou Habib, e il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun.La visita – che durerà fino a domenica – vedrà inoltre l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza impegnato a colloquio con il capo della missione e il comandante della forza delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), il generale Aroldo Lazaro.Secondo una nota del Servizio europeo per l’azione esterna, la missione sarà un’occasione per “discutere tutti gli aspetti della situazione a Gaza e dintorni, compreso il suo impatto sulla regione, in particolare la situazione al confine israelo-libanese, nonché l’importanza di evitare un’escalation regionale e di sostenere il flusso di assistenza umanitaria ai civili, che l’Unione Europea ha quadruplicato portandola a 100 milioni di euro”. Borrell – si legge ancora – sottolineerà nuovamente la necessità di portare avanti gli sforzi diplomatici con i leader regionali al fine di creare le condizioni per raggiungere “una pace giusta e duratura tra Israele, Palestina e nella regione”.Allentare le tensioni. La missione del capo della diplomazia europea arriva in un momento particolarmente delicato delle tensioni in Medio Oriente tra Israele e Hamas, dopo che nel pomeriggio di martedì in una grossa esplosione a Beirut, la capitale del Libano, attribuita a un bombardamento israeliano mirato contro un ufficio del gruppo armato palestinese Hamas, è rimasto ucciso Saleh al-Arouri, vice capo di Hamas. L’uccisione di Arouri ha acuito le tensioni tra Hezbollah, stretto alleato di Hamas in Libano, e Israele. La guerra tra Israele e Hamas e l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza vanno avanti dallo scorso 7 ottobre, dopo un attacco di Hamas considerato da molti senza precedenti in territorio israeliano in cui hanno perso la vita oltre mille civili e oltre 200 sono stati rapiti, in risposta al quale Israele ha lanciato bombardamenti e assedio via terra della Striscia di Gaza, in cui si contano oltre 20 mila persone uccise.

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    A Gaza lo spettro della fame. L’Ue chiede un “accesso umanitario continuo”, ma senza nominare Israele

    Bruxelles – “Profondamente scioccati” dai risultati della valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) sulla crisi alimentare a Gaza. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, parlano di un “campanello d’allarme per il mondo intero affinché agisca ora per prevenire una catastrofe umana mortale“. Ma non chiamano mai in causa Israele.Secondo il sistema di  classificazione sviluppato nel 2004 dalla Fao, l’Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, tra l’8 dicembre 2023 e il 7 febbraio 2024, l’intera popolazione della Striscia di Gaza – circa 2,2 milioni di persone – si trova almeno nella Fase 3 dell’Ipc, quella che viene chiamata fase di crisi. “Si tratta della percentuale più alta di persone che affrontano livelli elevati di insicurezza alimentare acuta che l’Ipc abbia mai classificato per una determinata area o paese”, viene sottolineato nella valutazione.La scala del rischio alimentare utilizzata nelle valutazioni dell’IpcMa lo scenario è ancora più drammatico. Perché circa il 50 per cento della popolazione (1,17 milioni di persone) è già nella Fase 4, in una situazione di emergenza e almeno una famiglia su quattro – più di mezzo milione di persone – è al gradino finale della scala: chi è nella fase 5 si trova ad affrontare “condizioni catastrofiche” e  “un’estrema mancanza di cibo”.Non è frutto di un disastro naturale, di un’estrema siccità o di un impressionante alluvione: “Le ostilità, i bombardamenti, le operazioni di terra e l’assedio dell’intera popolazione, la riduzione dell’accesso al cibo, ai servizi di base e all’assistenza salvavita, e l’estrema concentrazione o isolamento delle persone in rifugi inadeguati o in aree prive di servizi di base sono i principali fattori” che contribuiscono a raggiungere questi livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta in tutta la Striscia di Gaza, con un rischio sempre più palpabile di carestia.(Photo by MOHAMMED ABED / AFP)È dunque la strategia militare messa in campo da Israele che ha ridotto gli abitanti di Gaza alla fame, denuncia l’IPC. Eppure, nonostante ciò, l’Unione europea sceglie di non chiamare direttamente in causa Israele.  La dichiarazione congiunta di Borrell e Lenarčič, che nel gabinetto di Ursula von der Leyen sono comunque le voci più critiche sul trattamento che Israele sta riservando alla popolazione palestinese, lo dimostra un’altra volta.“Abbiamo urgentemente bisogno di un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli per evitare un ulteriore peggioramento di una situazione già catastrofica – avvertono Borrell e Lenarčič –. Ribadiamo l’urgente appello al rispetto del diritto internazionale umanitario. Gli aiuti devono raggiungere coloro che ne hanno bisogno attraverso tutti i mezzi necessari, compresi corridoi e pause umanitarie“. Non una volta la responsabilità è attribuita a Israele.I due passano poi in rassegna i numeri della mobilitazione europea: 100 milioni di euro di aiuti umanitari a Gaza, di cui 46 milioni “specificamente destinati all’assistenza alimentare e alla copertura sanitaria e di altri bisogni primari”. E 125 milioni già stanziati per il 2024. Risorse mobilitate per la sopravvivenza di un popolo che forse avrebbe altrettanto bisogno di parole più dure nei confronti di Israele.

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    L’ambasciatore di Israele in Italia: la soluzione “due popoli due Stati” è tra quelle possibili, ma Ue e Usa non tentino di imporre nulla

    Roma – Nei rapporti con Gaza “abbiamo tentato tutte le strade possibili”, ma alla fine la risposta militare all’attacco del 7 ottobre “non l’abbiamo scelta noi”. Mentre il conflitto tra Israele e Hamas è in uno dei suoi momenti più duri, abbiamo parlato con l’ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar, per capire, in particolare, quali sono i rapporti con i Paesi europei e, soprattutto quale può essere la strada da seguire nel “dopo Gaza” e che ruolo può avere l’Unione Europea, che non deve, spiega il diplomatico, tentare di “imporre” le sue soluzioni, ma deve avviare un dialogo aperto con tutti gli attori nella Regione.Eunews: Ambasciatore Bar, lei rappresenta Israele in Italia, conosce bene però la realtà europea più in generale. Che rapporti ha Israele con l’Europa?Bar: Siete una Regione amica, un importante partner politico, economico, scientifico e culturale per Israele. Abbiamo grandi relazioni commerciali, tanto che abbiamo anche adottato la gran parte delle regole interne dell’Unione Europea e partecipiamo a moltissimi strumenti UE. Le relazioni non sono le stesse con ogni Paese dell’Unione, è una realtà complessa, ma in generale, al di là delle relazioni commerciali, condividiamo molti valori politici e culturali, come la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali.E.: In particolare con le istituzioni dell’Unione Europea quali sono le relazioni?B.: In questo momento difficile abbiamo trovato prevalentemente molta solidarietà e comprensione nel Parlamento europeo e nel Consiglio. Con la Commissione abbiamo avuto grande solidarietà, ma anche qualche disaccordo, abbiamo visto alcune dichiarazioni di Borrell (Josep Borrell, l’alto rappresentante per la Politica estera, ndr) molto critiche nei confronti di Israele, che però non necessariamente riflettono le posizioni di numerosi Stati Membri. Ci sono alcuni Paesi, come Spagna e Irlanda, che sembrano essere più solidali con le posizioni dei palestinesi, ma in generale posso affermare che c’è un dialogo e che lavoriamo per trovare intese positive.E.: E con l’Italia, qual è lo stato delle relazioni, come giudica le posizioni del governo, del Parlamento, e anche della società civile?B.: Abbiamo ottime relazioni con il governo, che ha mostrato grande solidarietà, sia da parte del primo ministro Giorgia Meloni sia da importanti ministri come Antonio Tajani o Guido Crosetto, che la settimana scorsa è andato in visita in Israele. Abbiamo trovato comprensione anche da parte di molti altri ministri, che hanno mostrato sostegno verso Israele anche partecipando alla recente manifestazione contro l’antisemitismo. Anche in Parlamento troviamo solidarietà, ed in Senato è stata approvata una mozione importante che condanna l’attacco di Hamas e le uccisioni compiute, lo riconosce come responsabile delle morti di civili israeliani e civili di Gaza usati come scudi umani, e riconosce il diritto di autodifesa di Israele. Vediamo anche critiche nei confronti di Israele nel vostro Paese, ovviamente, ma in generale devo dire che le relazioni sono molto buone.E.: Una domanda che in molti si fanno, dando le risposte più diverse, è perché Hamas abbia scatenato l’attacco del 7 ottobre, così violento, di dimensioni enormi. Lei che spiegazione ha?B.: Non esiste una ragione che possa giustificare quanto commesso da Hamas. E non è mio compito capire perché hanno fatto questa scelta. Stiamo parlando di terroristi fondamentalisti il cui obiettivo dichiarato nella Carta fondativa è distruggere Israele e gli ebrei. Hanno usato i soldi arrivati dalla solidarietà degli organismi internazionali e di Israele per Gaza per finanziare i loro attacchi, che vanno avanti da anni. Sono persone molto crudeli, che vogliono trasformare il territorio israeliano e quello palestinese in un califfato islamico.E.: Israele, uno Stato che vanta di appartenere al consesso degli Stati democratici, non aveva un’altra via per rispondere all’attacco del 7 ottobre?B.: Per quindici anni abbiamo provato di tutto. Siamo completamente usciti da Gaza, il loro confine con l’Egitto era aperto, decine di migliaia persone da Gaza venivano ogni giorno a lavorare in Israele, abbiamo provato a difenderci dai missili con il sistema Iron Dome e dalle penetrazioni fisiche con una barriera. Ma Hamas ha sempre preferito la strada dell’attacco militare, del lancio dei missili.Noi non abbiamo scelto questo tipo di risposta, negli anni, in particolare negli ultimi 15, abbiamo tentato ogni via alternativa di convivenza, ma non ha funzionato.Ora l’emergenza è eliminare la capacità di Hamas di attaccarci da Gaza. In questo sforzo noi facciamo tutto il possibile per distinguere i civili dai terroristi di Hamas, mentre questi ultimi non solo non fanno distinzioni, ma usano i civili di Gaza, compresi donne e bambini, come scudi umani per proteggere se stessi, si nascondono nelle le scuole, anche quelle dell’ONU, negli edifici degli organismi internazionali come l’UNRWA, negli ospedali, nelle moschee, tra la gente. E noi dobbiamo fermare la violenza di Hamas, che ha ucciso, mutilato, decapitato, stuprato e preso in ostaggio civili israeliani inermi. Non abbiamo altro obiettivo che questo.E.: Questo momento di guerra finirà. Cosa succederà dopo, ed in particolare, quale ruolo può avere l’Unione Europea nel futuro, quando si arriverà al momento della ricostruzione di Gaza?B.: Il punto di partenza è che l’Unione Europea ci deve consultare, noi israeliani come anche gli altri attori della regione – i Paesi arabi – e i rappresentanti dei palestinesi, ovviamente. L’obiettivo deve essere la ricostruzione di una Gaza che non sia una minaccia per Israele. Se l’Unione Europea è disponibile a partecipare a questo sforzo, noi saremmo molto lieti di cooperare con essa. Ma l’Unione europea non deve pensare che i suoi 27 membri possano decidere cosa succederà qui, e pretendere di imporlo né a noi né ai palestinesi. Bisogna che si avvii un dialogo nel quale non si imponga nulla a nessuno. Per questo l’Ue deve riconquistare la sua credibilità nella disponibilità a lavorare in coordinamento con noi, e diventerà un partner importante per creare un nuovo regime per una Gaza che viva in pace e che non abbia come obiettivo di essere una minaccia per Israele.E.: L’Unione ha ribadito la sua posizione dei “due popoli e due Stati”. Lei cosa ne pensa di questo obiettivo?B.: Il dibattito sulla questione è aperto in Israele. Alcuni dei nostri politici sono a favore, altri contro. Indubbiamente, noi non vogliamo controllare Gaza, e riteniamo debba esservi istituita un’amministrazione civile con la quale poter dialogare. Certamente non può essere con Hamas che si discute, anche perché loro sono contrari alla soluzione dei “due popoli due Stati”.Noi non possiamo accettare soluzioni imposte dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea, ma quella due “due popoli e due Stati” è certamente una di quelle possibili. Dobbiamo parlarne, dobbiamo avere un confronto che possa portare a dei progressi. Una volta eliminato il pericolo costituito da Hamas e istituito un ambiente sicuro, sarà più facile fare progressi.

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”