More stories

  • in

    Ucraina, si avvita la crisi interna: Zelensky firma la legge sull’anticorruzione e innesca la protesta popolare

    Questo articolo è stato aggiornatoBruxelles – Si alza la temperatura dello scontro politico domestico in Ucraina. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza ieri sera in tutto il Paese per protestare contro le controverse norme approvate dal Parlamento, considerate una stretta autoritaria ai danni delle infrastrutture anticorruzione, nella prima manifestazione antigovernativa dal 2022. Ma il presidente Volodymyr Zelensky tira dritto e promulga lo stesso la legge, rischiando una pericolosa frattura interna in una società già stremata da quasi tre anni e mezzo di guerra.Nel frattempo, si moltiplicano gli allarmi da parte della comunità internazionale, in particolare tra gli alleati europei. L’Ue richiama Kiev ai suoi impegni su garanzie democratiche e Stato di diritto, mentre l’Ocse avverte: se si prosegue su questa china scivolosa, si mettono a rischio gli investimenti esteri nell’industria della difesa ucraina e nella ricostruzione post-bellica del Paese.La legge 12414 entra in vigoreAlla fine, l’esito che tanti in Ucraina avevano temuto, dalle opposizioni parlamentari alle organizzazioni della società civile, è diventato realtà. Nella tarda serata di ieri (22 luglio), il capo dello Stato Volodymyr Zelensky ha apposto la sua firma sulla controversa legge approvata poche ore prima in tutta fretta dal legislativo monocamerale di Kiev, la Verchovna Rada, facendola entrare formalmente in vigore.Durante l’accesa sessione in Aula, il partito del presidente Servitore del popolo (Sn), che controlla l’emiciclo ed esprime il governo, aveva inserito nel disegno di legge 12414 sulla modifica del codice penale alcuni emendamenti che portano de facto sotto l’autorità del procuratore generale – una figura di nomina presidenziale (l’incarico è ora nelle mani di Ruslan Kravchenko, considerato molto vicino a Zelensky) – i due principali organi indipendenti per il contrasto alla corruzione: l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e l’Ufficio del procuratore speciale anticorruzione (Sapo).Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Genya Savilov/Afp)La mossa è stata aspramente criticata dalle due istituzioni in questione, finite negli scorsi giorni nel mirino dei servizi di sicurezza ucraini (Sbu) per presunte infiltrazioni di spie del Cremlino. Il mandato dei due organismi, creati nell’ambito delle riforme post-Euromaidan (quella che gli ucraini chiamano “rivoluzione della Dignità” e che portò alla fuga del presidente filorusso Viktor Yanukovych), è quello di investigare casi di alto livello di corruzione.Le crepe nel fronte internoSecondo i critici di Zelensky, gli attivisti, le ong e una parte consistente dell’opinione pubblica, i raid dell’Sbu sarebbero una ritorsione politicamente motivata contro le indagini a carico dell’ex vicepremier Oleksiy Chernyshov, un altro alleato del presidente. Stando alle ricostruzioni della stampa locale, il clima nel Paese si starebbe scaldando rapidamente. Il timore diffuso è che la picconata sferrata dal governo all’indipendenza degli organi di controllo, una condizione alla base dello Stato di diritto, metta a repentaglio in un colpo solo la solidità della giovane democrazia ucraina e le sue prospettive di aderire all’Ue.Non appena la Rada ha approvato le nuove norme, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nella capitale e in altre città (da Leopoli a Kharkiv, da Odessa a Sumy, su cui pure continuano a piovere le bombe russe) sfidando i divieti e i coprifuoco imposti dalla legge marziale nella prima protesta antigovernativa dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022.A preoccupare la folla, composta soprattutto da giovani, è quella che viene descritta come una più ampia campagna di pressione contro le infrastrutture democratiche nazionali. In cui rientra anche il breve arresto dell’attivista Vitaliy Shabunin, co-fondatore del Centro d’azione anticorruzione (AntAC), l’ong più in vista nel Paese nella lotta alla corruzione.Manifestanti a Kiev nella serata del 22 luglio 2025 (foto: Tetiana Dzhafarova/Afp)I cittadini vorrebbero la fine della corruzione endemica che affligge gli apparati statali fin dall’epoca sovietica e percepiscono la mossa del presidente come un grave tradimento delle promesse di rinnovamento democratico, un ritorno ad una gestione della cosa pubblica reminiscente dell’era di Yanukovych nonché una sconfessione della retorica che da anni dipinge la resistenza ucraina come una battaglia esistenziale della civiltà occidentale contro l’aggressione neo-imperialista della Federazione.A livello politico, le forze dell’opposizione parlamentare stanno raccogliendo le firme necessarie per adire la Corte costituzionale sulla base di presunti vizi procedurali nell’adozione della legge 12414, sperando che i giudici possano dichiarare le nuove norme invalide in tutto o in parte. La soglia minima per avviare la revisione di costituzionalità è di 45 deputati.Ad ogni modo, compromettere l’unità del fronte interno in una fase così delicata della guerra – tra la crescente stanchezza degli alleati occidentali e i rapporti su un’imminente offensiva russa, mentre i rappresentanti dei due Paesi belligeranti si stanno incontrando in queste ore a Istanbul – rischia di tramutarsi in un boomerang molto pericoloso per Zelensky, forse addirittura al punto da influenzare le sorti del conflitto. Lo stesso esercito ucraino, in evidente difficoltà sul campo, sarebbe generalmente contrario alla riforma approvata dal presidente.Le preoccupazioni degli alleati (e la risposta di Zelensky)Del resto, sembra unanime anche la condanna dei partner internazionali di Kiev. In prospettiva, la stretta sugli organi anticorruzione rischia di minare tanto il sostegno militare alla resistenza ucraina (c’è chi, come Donald Trump , potrebbe approfittarne per ritardare ulteriormente la fornitura dei patriot) quanto quello politico all‘integrazione della nazione aggredita nella famiglia euro-atlantica, a cominciare dalla sua adesione al club a dodici stelle (contro cui rema da tempo soprattutto il premier ungherese Viktor Orbán).Dall’Ue si stanno moltiplicando i commenti apertamente critici rispetto alla leadership ucraina, per la prima volta dall’inizio della guerra. Già ieri Guillaume Mercier, un portavoce dell’esecutivo comunitario, aveva sottolineato che l’assistenza finanziaria di Bruxelles è “subordinata ai progressi in materia di trasparenza, riforma giudiziaria e governance democratica“.Oggi, Mercier ha spiegato a Eunews che gli organismi anticorruzione finiti al centro della bufera “sono fondamentali per il programma di riforme dell’Ucraina e devono operare in modo indipendente“. Ursula von der Leyen ha parlato direttamente con Zelensky, ci ha detto il portavoce, per esprimere “forte preoccupazione per le conseguenze degli emendamenti (al codice penale, ndr) e ha chiesto spiegazioni al governo ucraino“. In qualità di Paese candidato, ha concluso, “l’Ucraina è tenuta a rispettare pienamente” gli standard comunitari sullo Stato di diritto e la lotta alla corruzione, reiterando che sul tema “non possono esserci compromessi“.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos (foto: Lukasz Kobus via Imagoeconomica)La commissaria all’Allargamento, Marta Kos, si è detta “seriamente preoccupata” per gli ultimi sviluppi, ribadendo che “lo smantellamento delle garanzie fondamentali che tutelano l’indipendenza del Nabu è un grave passo indietro“. Kos ha dichiarato di aver avuto “discussioni franche” con la premier ucraina Yulia Svyrydenko e il ministro all’Integrazione europea Taras Kachka, sostenendo che continua il lavoro congiunto con le autorità nazionali “sulle necessarie riforme dello Stato di diritto e sui progressi” nel percorso verso l’Ue.Il commissario alla Difesa, Andrius Kubilius, che si trovava a Washington ieri (22 luglio) proprio per spronare l’amministrazione a stelle e strisce ad aumentare sia il supporto alla difesa di Kiev sia la pressione su Mosca tramite sanzioni più stringenti (i Ventisette hanno da poco approvato il 18esimo round di misure restrittive), ha affermato che “in guerra, la fiducia tra la nazione che combatte e la sua leadership è più importante delle armi moderne: difficile da costruire e mantenere, ma facile da perdere con un solo errore significativo da parte della dirigenza”, aggiungendo che “la trasparenza e il dialogo europeo aperto sono l’unico modo per riparare la fiducia danneggiata“.In una lettera inviata all’ufficio di Zelensky, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha evidenziato che il giro di vite contro il Nabu e il Sapo potrebbero risultare in un flusso più modesto di investimenti dall’estero verso l’industria della difesa ucraina e nella ricostruzione post-bellica.I gathered all heads of Ukraine’s law enforcement and anti-corruption agencies, along with the Prosecutor General. It was a much-needed meeting — a frank and constructive conversation that truly helps. We all share a common enemy: the Russian occupiers. And defending the… pic.twitter.com/GNIA585mGR— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) July 23, 2025In risposta alle reazioni interne ed esterne al Paese, Zelensky ha convocato in mattinata i capi delle agenzie anticorruzione e dei servizi per fare il punto sulla situazione. “È stato un incontro molto necessario, una conversazione franca e costruttiva”, ha commentato, rimarcando che il “nemico comune” è l’invasore russo e che “difendere lo Stato ucraino richiede un sistema di applicazione della legge e di lotta alla corruzione sufficientemente forte, che garantisca un vero senso di giustizia“.“Tutti noi ascoltiamo ciò che dice la società“, ha assicurato il presidente riferendosi ai manifestanti, e sostenendo di voler garantire “giustizia sicura e funzionamento efficace di ogni istituzione“. Infine l’annuncio dell’inizio di un nuovo corso per porre fine all’impunità, alle infiltrazioni e alle inefficienze: “La prossima settimana si terrà una riunione di lavoro approfondita sul piano d’azione congiunto” per rinvigorire le infrastrutture dell’anticorruzione, ha promesso, fissando “entro due settimane” la scadenza per la presentazione della roadmap sul futuro assetto delle agenzie statali.

  • in

    Ucraina, la Slovacchia continua a mettersi di traverso sulle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Fumata nera per il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. A ritardare l’adozione delle nuove misure restrittive, che l’Alta rappresentante Kaja Kallas sperava di finalizzare durante il Consiglio Affari esteri di ieri, è ancora una volta la Slovacchia di Robert Fico. Bratislava non è soddisfatta delle rassicurazioni offerte dalla Commissione sulle forniture di gas russo, che l’esecutivo comunitario vuole bandire entro la fine del 2027.La lettera inviata ieri (15 luglio) dal Berlaymont, e firmata da Ursula von der Leyen in persona, “non offre alla Slovacchia garanzie sufficienti” rispetto alla questione cruciale dell’approvvigionamento di gas a basso costo dalla Russia. Con queste parole, condivise sui social il giorno stesso, il primo ministro Robert Fico ha chiuso la porta alle discussioni sul 18esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, allungando un braccio di ferro politico che si trascina da mesi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, sperava che l’adozione del nuovo round di misure restrittive – presentato dall’esecutivo a dodici stelle a inizio giugno – potesse avvenire durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette svoltasi ieri a Bruxelles. Ma dovrà aspettare ancora.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Fico giustifica l’opposizione slovacca sulla base di preoccupazioni per la sicurezza energetica di Bratislava. Di fatto, il premier nazional-populista (uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin in Europa, insieme all’omologo ungherese Viktor Orbán) sta legando l’adozione delle sanzioni contro Mosca – che richiedono l’unanimità – alla transizione energetica dell’Ue nel quadro della strategia RePower Eu.Il piano di Bruxelles – definito “assurdo” da Fico – prevede il graduale abbandono (phase out) delle fonti fossili importate dalla Federazione entro il 2028, incluso il gas naturale, con una decisione che andrà presa a maggioranza qualificata dagli Stati membri (e che, pertanto, Fico non riuscirebbe a bloccare).Il premier slovacco ha puntato i piedi durante il vertice Ue di giugno, chiedendo garanzie per tutelare la sua economia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo. Ma continua a dichiararsi aperto a negoziare un accordo che possa “garantire un certo livello di comfort” al Paese mitteleuropeo. Se Bratislava riceverà rassicurazioni accettabili circa la mitigazione dell’impatto del phase out, dice, non bloccherà più l’adozione delle sanzioni.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La soluzione preferita da Fico sarebbe un’esenzione nazionale fino al 2034, data in cui scadrà il contratto di forniture a lungo termine siglato con Gazprom, il colosso dell’energia russo di proprietà statale. In caso contrario, sostiene, Bratislava dovrà affrontare una causa legale e potrebbe dover pagare una multa fino a 20 miliardi di euro. Ma la Commissione non ne vuole sapere e fa notare che i divieti legali imposti a livello Ue possono essere fatti valere come cause di forza maggiore in sede di contenzioso con Gazprom.Per tendere una mano verso il governo slovacco, von der Leyen ha proposto di creare una task force per esaminare le necessità del Paese e monitorarne la transizione verde, coadiuvando Bratislava nell’escogitare e implementare soluzioni tecniche, economiche e normative di vario genere, inclusi un utilizzo più flessibile degli aiuti di Stato ed il ricorso ai fondi europei per compensare le perdite dovute al phase out e alla diversificazione energetica. Inoltre, ha ribadito la possibilità di ricorrere ad un “freno d’emergenza” per sospendere temporaneamente l’applicazione del divieto d’importazione del gas nel caso in cui si raggiungano picchi estremi dei prezzi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Tutte proposte rispedite al mittente da Fico, i cui partner di coalizione in patria si sarebbero categoricamente opposti alle aperture di Bruxelles, per la frustrazione di von der Leyen e Kallas. L’ex premier estone ha dichiarato ieri di essere “davvero triste” di non aver raggiunto l’accordo e ribadito che “eravamo davvero vicini a convincere la Slovacchia“, sottolineando che “questi negoziati vanno avanti da parecchio tempo” e puntando il dito contro l’atteggiamento ostruzionista del governo di Bratislava che, lamenta, presenta continuamente nuove condizioni. “Ora la palla è nel campo della Slovacchia”, ha aggiunto.Le discussioni tecniche, a livello di ambasciatori al Coreper, stanno proseguendo oggi. La speranza è di trovare una quadra entro la fine della settimana: “Sono ottimista e ancora fiduciosa” che si raggiungerà una conclusione oggi, ha affermato ieri Kallas. Forse una spinta al premier slovacco potrebbe arrivare dall’annunciata intenzione della Casa Bianca di Donald Trump di imporre pesanti “tariffe secondarie” a tutti i partner commerciali di Mosca se non ci saranno progressi nei negoziati con l’Ucraina nei prossimi 50 giorni.

  • in

    L’Ue dei “Ventisette meno uno” rinnova il sostegno all’Ucraina. E tiene dentro la Slovacchia sulle sanzioni

    Bruxelles – Per l’ennesima volta, sull’Ucraina i Ventisette diventano Ventisei. È una “divergenza strategica” quella con l’Ungheria di Viktor Orbán, ribadiscono fonti comunitarie. L’uomo forte di Budapest ha da tempo puntato i piedi sull’apertura dei cluster negoziali per far entrare Kiev nel club a dodici stelle. Per quello serve l’unanimità, e dunque il percorso dell’adesione non parte.“Il problema è la guerra“, ha ribadito stamattina (26 giugno) il premier magiaro arrivando al Consiglio europeo in corso a Bruxelles. “Se integrassimo l’Ucraina in Ue integreremmo anche la guerra“, ragiona. E se la guerra finisse? Orbán non ci vuole nemmeno pensare: “Non c’è alcun cessate il fuoco“, taglia corto, quindi è inutile fantasticare al riguardo. E vanta il risultato di quello che chiama “referendum” (in realtà un questionario inviato ai cittadini, privo di alcun valore legale) sull’ingresso di Kiev nel club europeo: dei poco più di 2 milioni di risposte, il 95 per cento è contrario, dice.❌ The Hungarian people have spoken: 95% said NO to dragging Ukraine into the EU! ❌They said NO to war, NO to economic ruin, and NO to Brussels’ delusions. With over 2 million votes cast, we’re taking our people’s mandate for peace and common sense to Brussels. pic.twitter.com/PaD0jQqBfy— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) June 26, 2025Così, i Ventisette hanno approvato delle conclusioni estremamente snelle, che rimandano ad un documento separato approvato a 26 per rinnovare il loro appoggio al Paese aggredito. Come al solito, c’è il sostegno per il raggiungimento di una tregua incondizionata e immediata e una pace giusta e duratura, per continuare a inviare a Kiev aiuti militari e per mantenere alta la pressione sulla Russia di Vladimir Putin.Prima della discussione, i capi di Stato e di governo hanno avuto uno scambio telematico con Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino avrebbe dovuto partecipare in presenza al vertice, ma i pesanti bombardamenti russi lo hanno costretto in patria. La drammatica situazione a Kiev ha poi imposto, prima dell’inizio del summit, un ulteriore cambio di scaletta, facendo scalare il punto dell’agenda dalla mattina al pomeriggio.Il dibattito tra i leader è stato piuttosto rapido, ma il nodo che ha creato qualche problema intorno al tavolo è stato quello delle sanzioni contro Mosca. La Commissione sta lavorando per mettere insieme il 18esimo pacchetto, che dovrà colpire in particolare le esportazioni energetiche della Federazione e la sua flotta ombra.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) incontra al Cremlino il presidente russo Vladimir Putin, il 22 dicembre 2024 (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Vanno ancora limati alcuni dettagli, a partire dall’abbassamento del tetto al prezzo del greggio di Mosca dagli attuali 60 a 45 dollari al barile. Una misura che, in realtà, dovrebbe venire decisa in sede G7, dato che l’oil price cap originale era stato deciso lì.Non è del tutto chiaro cosa ne sarà di quel “dettaglio”, ma per ora il presidente del Consiglio europeo, António Costa, è riuscito ad aggirare il potenziale veto del primo ministro slovacco Robert Fico (preoccupato dallo stop all’afflusso di gas russo) inserendo una menzione generica all’inclusione, nel prossimo round di sanzioni, di “misure volte a colpire ulteriormente le entrate energetiche” del Cremlino.Alla fine, tutti contenti: Costa ha portato a casa l’unità dei “27 meno uno” (se di unità si può parlare), il premier di Bratislava non si è lasciato mettere all’angolo dai suoi omologhi e Ursula von der Leyen si è tenuta una finestra aperta per continuare a limare i contorni delle sanzioni sul petrolio di Mosca.

  • in

    Nato, dall’Aia il via libera al nuovo target del 5 per cento. Trump: “Vittoria monumentale”

    Bruxelles – Tutto bene quel che finisce bene. Contro i più nefasti pronostici, il terremoto Trump non ha sconquassato il vertice Nato all’Aia, che si è chiuso senza particolari psicodrammi col via libera dei 32 Paesi membri all’aumento delle spese in difesa fino al 5 per cento del Pil in dieci anni. In effetti, l’intero summit è stato sostanzialmente un tappeto rosso srotolato davanti al tycoon, trattato come una divinità in terra.I nuovi obiettivi di spesaSi è conclusa oggi (25 giugno) la due giorni dell’Aia con l’adozione di una snella dichiarazione congiunta in cui viene sancito, nero su bianco, lo storico aumento delle spese militari nazionali al 5 per cento del Pil entro il 2035, come già ampiamente anticipato negli scorsi mesi.Donald Trump, azionista di maggioranza dell’Alleanza, lo ha definito un “successo monumentale” e se ne è intestato il merito. Una vittoria “per gli Stati Uniti, perché portavamo un peso ingiusto”, ha dichiarato trionfalmente al termine dei lavori, ma anche “una vittoria per l’Europa e la civiltà occidentale“.L’impegno comprende, da un lato, investimenti per “almeno il 3,5 per cento del Pil” nelle “esigenze fondamentali di difesa” (armi, munizioni, salari, caserme, infrastrutture militari e via dicendo) volte a soddisfare i nuovi obiettivi di capacità della Nato. Dall’altro, gli alleati concordano di destinare “fino a” 1,5 punti di Pil alla categoria più ampia degli investimenti relativi alla sicurezza (inclusi, tra le altre cose, la protezione delle infrastrutture critiche, il rafforzamento della resilienza civile e la promozione dell’innovazione).Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Nato)Nel computo delle spese per la difesa, che andranno dettagliate dai singoli Paesi membri in piani nazionali annuali (sui quali, grazie alla formulazione vaga del comunicato, le cancellerie manterranno un buon grado di flessibilità), verranno inclusi anche i “contributi diretti” all’Ucraina e alla sua industria militare. Una revisione delle traiettorie di spesa e degli obiettivi di capacità è fissata per il 2029.Sono stati così fugati i dubbi che fino a ieri aleggiavano sulla testa dei 32 leader, incluse le rimostranze avanzate nei giorni scorsi dal premier spagnolo Pedro Sánchez riguardo proprio ai nuovi target di spesa, giudicati “irragionevoli”. Le osservazioni del leader socialista non sono piaciute a Trump: la Spagna “è l’unico Paese Nato che si rifiuta di pagare”, ha sbottato, denunciando come “terribile” l’atteggiamento di Madrid e minacciando di raddoppiare i dazi al Paese iberico nei futuri negoziati commerciali (condotti, in realtà, dalla Commissione europea a nome di tutti i Ventisette).Buona la prima per RutteIl Segretario generale dell’Alleanza nordatlantica, Mark Rutte, porta a casa un successo personale di non poco conto. Ha superato il suo battesimo del fuoco riuscendo a far filare liscio un vertice politicamente complesso – il più importante dalla fondazione della Nato nel 1949, secondo alcuni osservatori – e, soprattutto, è riuscito a tenere a bordo il mercuriale presidente statunitense, confermando di meritarsi il titolo di Trump whisperer.“Un buon amico“, lo ha definito l’ex premier olandese, che per tutto il summit (e pure prima, stando ai messaggi privati resi pubblici dallo stesso tycoon) non ha fatto altro che usare parole al miele, battutine, sorrisi deferenti e gesti accomodanti per ingraziarsi l’inquilino della Casa Bianca e non irritare il suo ego smisurato.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (foto: Nato)Tutto a posto, pare, anche sulla questione dell’articolo 5 della Carta atlantica, dov’è sancita la clausola di mutua difesa (la stessa raison d’être della Nato, che estende a tutti i Paesi membri l’ombrello nucleare dello zio Sam). E sulla quale il presidente Usa era rimasto vago anche ieri, osservando provocatoriamente che ci sono “numerose definizioni” di quella disposizione fondamentale.Al termine della sessione odierna, Trump è parso conciliante quando ha detto di voler “aiutare” i leader europei a proteggere i propri Paesi. Rutte ha rimarcato che “l’America si impegna nella Nato ma si aspetta che gli alleati facciano di più”. “E gli alleati di Ue e Canada faranno di più“, ha promesso, ribadendo un leitmotiv che ripete da tempo.Il nodo dell’UcrainaL’altro tema previsto dall’agenda dell’Aia era il sostegno all’Ucraina aggredita. Un tema indigesto per Trump, che ha drasticamente ridotto gli aiuti di Washington a Kiev e nutre contemporaneamente una cordiale antipatia per Volodymyr Zelensky e una genuina ammirazione per Vladimir Putin. Alla fine, il tycoon ha accettato un faccia a faccia col suo omologo ucraino, definendolo “gentilissimo” e ammettendo che “sta combattendo una battaglia coraggiosa e difficile“.“Lui vuole arrivare alla fine” della guerra, ha riconosciuto, aggiungendo che sentirà nuovamente l’inquilino del Cremlino per cercare una soluzione. Zelensky – che ha successivamente incontrato anche i leader del cosiddetto formato E5 (Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito) ha descritto il bilaterale come “lungo e sostanziale“, sostenendo di aver “discusso di come raggiungere un cessate il fuoco e una vera pace”.I had a meeting with the leaders of the E5 group of countries – Germany, France, the United Kingdom, Italy, and Poland – as well as the NATO Secretary General.Strengthening Ukraine’s air shield is crucial, and today we primarily discussed air defense systems and interceptors… pic.twitter.com/S6wJDx9ThP— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 25, 2025Ma sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia dopo quasi tre anni e mezzo di guerra neo-imperialista, la distanza tra le due sponde dell’Atlantico rimane siderale. Putin è per Trump “una persona mal consigliata“, mentre Rutte conferma di “non fidarsi” dello zar e delle sue “bugie”.Ennesima doccia fredda anche sulle sanzioni. Il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha ribadito che la Casa Bianca non intende aumentare la pressione su Mosca, almeno per ora. A Bruxelles si lavora invece per confezionare al più presto il 18esimo pacchetto di misure restrittive, anche se rimane il giallo dell’abbassamento del price cap sul greggio russo, che richiederebbe l’ok da tutti i partner G7.Nel comunicato finale del summit, ad ogni modo, gli europei sono riusciti a includere il riferimento alla Federazione come “minaccia a lungo termine per la sicurezza euro-atlantica“, e il capo dell’Alleanza ha ribadito di fronte ai microfoni che il percorso dell’Ucraina verso l’adesione alla Nato è “irreversibile”.La crisi in Medio OrienteFuori dall’agenda dei lavori ma decisamente centrale è stato, infine, il tema della crisi mediorientale. Il cessate il fuoco mediato personalmente da Trump tra Israele e Iran sta tenendo. Lui stesso ha annunciato che la prossima settimana incontrerà la leadership della Repubblica islamica per discutere del programma nucleare di Teheran, anche se, dice, quel programma non esiste più.Del resto, i leader Nato si sono affrettati a riconoscere ossequiosamente il merito del presidente nel risolvere (almeno temporaneamente) il conflitto tra le due potenze regionali, che rischiava di deflagrare in maniera incontrollata e tracimare ben oltre i confini regionali. Poco importa, a questo punto, se l’intervento dei B-2 sui siti nucleari iraniani – peraltro mentre erano in corso i negoziati con gli europei a Ginevra – configura una palese violazione del diritto internazionale, rimasto sepolto sotto la pioggia di bombe made in Usa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Oppure se la stessa intelligence di Washington segnala che, in realtà, il programma atomico iraniano sarebbe stato solamente rallentato di qualche mese e non annichilito per sempre, come sostengono i vertici dell’amministrazione a stelle e strisce (i quali danno della “feccia” alla stampa che ha condiviso la notizia).L’importante, in politica, è mantenere l’apparenza, il protocollo, la foto di famiglia senza sbavature. La cartolina che arriva dall’Aia racconta di una famiglia apparentemente felice. Eppure, anche quella transatlantica è infelice a modo suo. E ciascuno dei suoi membri lo sa.

  • in

    A Roma il vertice Weimar Plus in sostegno di Kiev. Rutte: “All’Aia la Nato concorderà il 5 per cento”

    Bruxelles – Sostegno incrollabile all’Ucraina e aumento delle spese per la difesa in ambito Nato. Sono i punti principali affrontati alla riunione del gruppo Weimar Plus, presieduto oggi a Roma da Antonio Tajani. Sul nuovo target del 5 per cento dell’Alleanza nordatlantica, il vicepremier forzista assicura l’impegno dell’Italia ma chiede più flessibilità. Nel frattempo, l’Ue spinge per adottare nuove sanzioni contro il Cremlino.I pesi massimi della difesa europea si sono riuniti oggi (12 giugno) a Villa Madama, a Roma, per discutere di sostegno a Kiev e di sicurezza euro-atlantica, inclusi i nuovi impegni di spesa militare dell’Alleanza nordatlantica. Alla Farnesina, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha accolto gli omologhi di Francia, Germania, Polonia, Spagna, Regno Unito e Ucraina, insieme all’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas e, per la prima volta, alla presenza del Segretario generale della Nato Mark Rutte.Focus sulla difesaSul versante sicurezza, il tema centrale è senza dubbio la necessità di aumentare massicciamente le spese militari nel Vecchio continente. Nella loro dichiarazione congiunta, i ministri hanno riconosciuto che gli alleati europei devono “assumersi maggiori responsabilità all’interno della Nato” e auspicato “un ambizioso rafforzamento delle capacità di difesa europee, intensificando in modo flessibile e sostenibile le spese per la sicurezza e e la difesa nazionali“.A Villa Madama con i Ministri dei Paesi Weimar+ per un importante confronto sulla sicurezza euroatlantica e sul sostegno all’#Ucraina.Abbiamo concordato di rafforzare il nostro impegno per un’Europa più forte, capace di difendere i propri cittadini e di contribuire alla pace e… pic.twitter.com/6IC639JRDc— Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) June 12, 2025Il riferimento è duplice. Da un lato, c’è il colossale piano ReArm Europe proposto dall’esecutivo comunitario: fino a 800 miliardi di potenziali investimenti nazionali da parte dei Ventisette (derivanti dal rilassamento delle regole del Patto di stabilità) più altri 150 miliardi in appalti congiunti dal fondo Safe, cui potranno partecipare anche Paesi extra-Ue come Regno Unito e Ucraina.Dall’altro lato, c’è il nuovo obiettivo del 5 per cento che sta per essere concordato dai leader dell’Alleanza al summit dell’Aia, in calendario per fine mese. Ma la parola d’ordine, appunto, è flessibilità. A sottolinearlo è lo stesso padrone di casa: “L’Italia è favorevole” ad alzare l’asticella, ha dichiarato il vicepremier, “ma bisogna programmarlo in almeno 10 anni“. Il Belpaese ha raggiunto solo recentemente il target del 2 per cento deciso nel 2014.Sul nodo cruciale delle tempistiche è arrivata la sponda di Rutte, che prima della ministeriale ha incontrato Giorgia Meloni per un bilaterale. “Non ho comunicato nulla riguardo a una data di scadenza” per tradurre in pratica il nuovo target (composto da 3,5 punti di Pil per le spese militari e un ulteriore 1,5 per cento in investimenti collegati in senso lato alla sicurezza), ha affermato il capo della Nato, in un’apertura agli alleati coi conti pubblici sotto pressione come l’Italia.La premier italiana Giorgia Meloni accoglie a Palazzo Chigi il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, il 12 giugno 2025 (foto: Chigi)Ma non c’è dubbio, ha tenuto il punto l’ex premier olandese, sulla necessità di “spendere di più” e di farlo massicciamente, a partire dalla produzione di munizioni e dall’aumento delle capacità di difesa antiaeree. Perché, sostiene, la Russia potrebbe attaccare direttamente il territorio Nato “entro il 2029 o al massimo al 2030”. Tutti d’accordo: per il titolare degli Esteri tedesco Johann Wadephul, “la capacità di difesa non deve essere un dibattito teorico, è un’amara necessità”, mentre Kallas ha ribadito che “un’Europa più forte significa anche una Nato più forte“.Sostegno a Kiev (e sanzioni su Mosca)Quanto al dossier Ucraina, i partecipanti hanno ribadito il sostegno al Paese aggredito, accogliendo con favore “gli sforzi di pace guidati dagli Stati Uniti e i recenti colloqui” tra le squadre negoziali di Kiev e Mosca (l’ultimo a Istanbul a inizio mese) ma deplorando l’approccio tutt’altro che costruttivo di Vladimir Putin.“Siamo pronti per la pace, vogliamo finire la guerra quest’anno“, ha dichiarato il titolare degli Esteri di Kiev, Andrij Sybiha. Ma, secondo il suo omologo polacco Radoslaw Sikorski, lo zar “si sta prendendo gioco” delle aperture concesse sia da Volodymyr Zelensky sia da Donald Trump (la cui mediazione non sembra finora portare da nessuna parte).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Per costringere l’inquilino del Cremlino a sedersi al tavolo delle trattative, i partecipanti al vertice odierno hanno ribadito la “disponibilità a intensificare la pressione sulla Russia“, anche ricorrendo all’imposizione di nuove sanzioni. In tal senso si sta già lavorando a Bruxelles, dove gli ambasciatori dei Ventisette stanno discutendo sul 18esimo pacchetto presentato a inizio settimana dalla Commissione.Sulle nuove misure – che vanno adottate all’unanimità dalle cancellerie – aleggia il veto del primo ministro slovacco Robert Fico, ufficialmente per timori relativi alla sicurezza energetica di Bratislava. Da Roma, Kallas si è detta “abbastanza ottimista su un accordo finale“, mentre i portavoce del Berlaymont continuano a ripetere che “la Commissione discute costantemente con gli Stati membri” su come le sanzioni possano “funzionare nell’interesse di tutti”.

  • in

    Serbia, il presidente filorusso Aleksandar Vučić per la prima volta in Ucraina

    Bruxelles – Colpo di scena tra i Balcani occidentali e l’Ucraina. Uno dei principali alleati europei di Vladimir Putin, il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha partecipato a sorpresa ad un summit a Odessa, incontrando l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky nella sua prima visita ufficiale nel Paese. Potrebbe trattarsi di un tentativo di riposizionare Belgrado sullo scacchiere internazionale, più lontano da Mosca e più vicino a Bruxelles?L’annuncio, diffuso dall’ufficio della presidenza serba, ha colto tutti di sorpresa. Aleksandar Vučić si è recato oggi (11 giugno) a Odessa per una visita ufficiale di un giorno, mettendo piede in Ucraina per la prima volta da quando è salito al potere nel lontano 2012. L’autoritario leader balcanico ha partecipato ad un summit organizzato da Kiev che riunisce una dozzina di Paesi dell’Europa sud-orientale.Tra gli altri, erano presenti nella città portuale – colpita nelle scorse ore dall’ennesimo bombardamento russo – anche il neo-eletto presidente romeno Nicușor Dan, la presidente moldava Maia Sandu, il premier greco Kyriakos Mitsotakis e quello croato Andrej Plenković. Nessun invito, invece, per i rappresentanti del Kosovo: probabilmente un gesto di buona fede da parte ucraina nei confronti di Belgrado, che non riconosce l’indipendenza di Pristina.Grateful to all the leaders and partners who came together in Odesa for the Fourth Ukraine–Southeast Europe Summit.@sandumaiamd, @JakovMilatovic, @NicusorDanRO, @avucic, @R_JeliazkovPM, @AndrejPlenkovic, @kmitsotakis, @elisaspiropali, @IzetMexhiti, @tfajonYour presence sends… pic.twitter.com/Q58VCl0hdK— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 11, 2025Secondo diversi osservatori, la comparsata a Odessa andrebbe letta come un segnale politico del leader serbo, che starebbe cercando di riposizionare il suo Paese un po’ più lontano dalla Russia e un po’ più vicino all’Ue. Vučić si era finora destreggiato in un complicato equilibrismo tra Mosca e Bruxelles, che non sembrava averlo ancora messo in particolare difficoltà.Uno dei più solidi alleati europei di Vladimir Putin (col quale ha celebrato l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista lo scorso 9 maggio), il presidente serbo mantiene con la Federazione profondi legami economici, energetici, strategici e storico-culturali.Per non alienarsi il Cremlino, sta cercando di restare “neutrale” rispetto alla guerra d’Ucraina: non ha aderito alle sanzioni dell’Ue contro Mosca (è in arrivo il 18esimo pacchetto) e fornisce aiuti umanitari (ma non militari) a Kiev, mentre alle votazioni in sede Onu si è ripetutamente schierato a favore dell’integrità territoriale del Paese aggredito, evitando di riconoscere la Crimea e le altre oblast’ parzialmente occupate come territorio russo de jure.Eppure, negli ultimi giorni il rapporto tra Mosca e Belgrado pare essersi improvvisamente incrinato. A fine maggio, l’intelligence russa ha accusato la Serbia di aver inviato armi a Kiev tramite triangolazioni con Paesi Nato come Bulgaria, Cechia e Polonia e altri intermediari africani, arrivando a parlare di una “pugnalata alle spalle” da parte del tradizionale alleato balcanico. La Serbia, come la Russia, è storicamente avversa alla Nato, avendone subito i bombardamenti nel 1999.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)D’altra parte, almeno sulla carta, Vučić punta a portare Belgrado dentro il club a dodici stelle. Ma sul percorso verso l’adesione pesano – o erano pesate fin qui – sia la gestione sempre più autoritaria del potere da parte sua (a partire dalla repressione delle oceaniche proteste che stanno scuotendo il Paese da mesi) sia l’imbarazzante vicinanza con lo zar russo, nonostante i silenzi di António Costa e di Kaja Kallas.Attualmente, sono aperti 22 capitoli negoziali su un totale di 33 e un paio sono stati chiusi provvisoriamente, ma il processo è in naftalina da qualche anno. Nello specifico, i problemi sarebbero legati all’apertura del cluster 3 (crescita inclusiva), poiché i Ventisette non ritengono soddisfacente la situazione dello Stato di diritto, inclusi il contrasto alla corruzione, l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media.La verità, ad ogni modo, è che l’avvicinamento della Serbia all’Ue – parallelamente all’allontanamento dalla Russia – è nell’interesse strategico di Bruxelles. È probabilmente ancora presto, tuttavia, per dire se siamo di fronte ad un riallineamento della politica estera di Belgrado, che comporterebbe l’abbandono di alleanze decennali da parte di Vučić, peraltro senza una prospettiva concreta di adesione.

  • in

    L’Ue annuncia il 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Nel mirino le esportazioni energetiche e il settore bancario

    Bruxelles – Non c’è 17 senza 18. A nemmeno due settimane dall’adozione dell’ultimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, la Commissione Ue mette sul tavolo nuove misure restrittive per costringere il Cremlino ad accettare una tregua in Ucraina. Nel mirino di Bruxelles sono finiti stavolta i settori energetico e bancario, ma non è scontata la sponda di Washington sul tetto al prezzo del petrolio. E, a dirla tutta, nemmeno l’unità interna dei Ventisette.Era il 20 maggio scorso quando i ministri degli Esteri dei Ventisette approvavano il 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, puntando a colpire soprattutto la “flotta ombra” con cui la Federazione continua ad esportare il suo greggio in giro per il mondo. Oggi (10 giugno), i due papaveri più alti del Berlaymont hanno presentato un nuovo round di misure restrittive. “L’obiettivo della Russia non è la pace, bensì imporre il dominio della forza”, ha scandito Ursula von der Leyen presentando insieme a Kaja Kallas il 18esimo pacchetto sanzionatorio dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina.Secondo la presidente dell’esecutivo comunitario, “la forza è l’unica lingua che la Russia è in grado di comprendere” e dunque va mantenuta alta la pressione su Vladimir Putin affinché accetti di sedersi al tavolo negoziale, finora disertato dallo zar. Per l’Alta rappresentante, “nulla suggerisce che la Russia sia pronta per la pace”, anzi. Mosca, dice il capo della diplomazia a dodici stelle, è “crudele, aggressiva, una minaccia per tutti noi“.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)I due binari lungo i quali si muoveranno le prossime sanzioni saranno quelli dell’energia e delle transazioni finanziarie. Quanto al primo ramo, l’obiettivo è l’export di petrolio russo, che rappresenta ancora circa un terzo delle entrate del Cremlino. Per raggiungerlo, la Commissione propone tre diverse misure. Anzitutto, verranno vietate tutte le operazioni connesse ai Nord Stream 1 e 2: “Nessun operatore dell’Ue potrà effettuare, direttamente o indirettamente, alcuna transazione” relativa al doppio gasdotto che collega la Federazione alla Germania, spiega von der Leyen. Attualmente, nessuna delle due arterie sul fondale del Mar Baltico è in funzione.Un’ulteriore misura sarà poi l’abbassamento del tetto al prezzo del petrolio a 45 dollari al barile dai 60 attuali, concordati dai partner del G7 nel dicembre 2022. A sentire la popolare tedesca, “abbassando il tetto lo adattiamo alle mutate condizioni del mercato e ne ripristiniamo l’efficacia”. Contemporaneamente, la lista dei vascelli ombra del Cremlino si allunga ancora per includere altre 77 imbarcazioni, portando il totale a quota 419.Infine, l’Ue vorrebbe introdurre “un divieto di importazione di prodotti raffinati a base di petrolio greggio russo“, onde impedire che quest’ultimo raggiunga il mercato unico “per vie traverse”. Dopo l’adozione del 17esimo pacchetto di sanzioni, certifica Kallas, “le esportazioni di petrolio della Russia tramite le rotte del Mar Nero e del Mar Baltico sono diminuite del 30 per cento in una sola settimana”. Anche le cifre snocciolate da von der Leyen parlano di un crollo verticale degli introiti ottenuti da Mosca con i suoi idrocarburi: da 12 a 1,8 miliardi mensili.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Per quel che riguarda il settore bancario, l’idea è quella di “trasformare l’attuale divieto di utilizzare il sistema Swift in un divieto totale di effettuare transazioni” con entità ed istituti finanziari russi. Tale divieto, assicura von der Leyen, verrà esteso non solo ad altre 22 banche russe ma anche, soprattutto, “agli operatori finanziari di Paesi terzi che finanziano il commercio con la Russia eludendo le sanzioni”.Colpito anche il Fondo russo per gli investimenti diretti, che sovvenziona progetti e interventi di vario tipo in giro per il mondo, mentre vengono introdotti anche ulteriori limitazioni sulle esportazioni di “tecnologie e beni industriali fondamentali” verso la Federazione per un valore complessivo di oltre 2,5 miliardi di euro. Si tratta di macchinari, metalli, plastica e prodotti chimici ma anche beni e tecnologie a duplice uso (sia civile sia militare) cruciali per il complesso militare-industriale russo.Ci sono, tuttavia, giusto un paio di nodi politici che potrebbero rallentare (o addirittura far deragliare) l’adozione delle sanzioni comunitarie. Da un lato, il price cap sul greggio russo, come ricordato dalla stessa von der Leyen, è stato stabilito a livello del G7 e dunque, per modificarlo, serve l’accordo dei membri della coalizione. “Discuteremo come agire insieme” al vertice in programma per il 15-17 giugno a Kananskis (in Canada), ha promesso von der Leyen, che si dice “molto fiduciosa”.Ma il presidente statunitense Donald Trump non ha mostrato fin qui grande appetito per un nuovo giro di vite contro Mosca, per quanto i suoi alleati europei gli stiano tirando la giacca in tal senso fin dal suo ritorno alla Casa Bianca a gennaio. “Insieme agli Stati Uniti possiamo davvero forzare Putin a negoziare seriamente“, ha ripetuto per l’ennesima volta Kallas. Per ora, però, sembra che Bruxelles e Washington non stiano riuscendo a coordinarsi alla grande.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Al Congresso si discute molto della proposta, avanzata dal senatore repubblicano Lindsey Graham, di imporre dazi del 500 per cento sulle importazioni da qualunque Paese che continui a commerciare con la Russia, esentando chi sostiene la resistenza di Kiev (come gli Stati Ue). Ma un regime di sanzioni secondarie così drastico potrebbe rivelarsi un boomerang pericoloso per gli stessi States, peraltro impegnati proprio in questi giorni in complessi negoziati con la Cina per disinnescare la guerra commerciale scatenata da Trump un paio di mesi fa.D’altra parte, nemmeno tra i Ventisette pare esserci accordo totale sulla questione sanzioni. Oltre alla consueta opposizione dell’Ungheria di Viktor Orbán, ora sta alzando la voce anche la Slovacchia di Robert Fico. La scorsa settimana, il Parlamento di Bratislava ha approvato una risoluzione che impegna il governo a non appoggiare nuove sanzioni comunitarie contro la Russia. “Se ci sarà una sanzione che ci danneggerà, non voterò mai a favore”, ha dichiarato l’altroieri il primo ministro slovacco.

  • in

    Merz visita Trump: possibile un accordo sui dazi, ma niente sanzioni alla Russia (per ora)

    Bruxelles – Friedrich Merz evita lo scontro con Donald Trump, ma non riesce a convincerlo delle ragioni europee. Nel suo primo faccia a faccia col presidente statunitense, il cancelliere tedesco si è mostrato deferente e accomodante per non irritare la controparte, evitando di discutere di fronte alle telecamere i temi più controversi nelle relazioni tra Berlino e Washington. Dall’incontro, però, non ha portato a casa alcuna concessione particolare.Continua la processione dei leader mondiali alla corte di Donald Trump. Ieri (5 giugno) è stato il turno del cancelliere tedesco, che ha recato al tycoon un dono particolare: la copia del certificato di nascita del nonno incorniciata in oro. Friedrich Trump nacque nel 1869 a Kallstadt, un villaggio nell’attuale Länd del Palatinato che al tempo faceva parte della Baviera, ed emigrò successivamente negli Stati Uniti.Il Bundeskanzler ha dimostrato di aver studiato bene il proprio interlocutore. Ha saputo schivare gli argomenti che avrebbero potuto far precipitare la loro conversazione in uno scontro frontale, come avvenuto fra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello sudafricano Cyril Ramaphosa. Merz si è detto “estremamente soddisfatto” dell’incontro, aggiungendo di “aver trovato nel presidente americano una persona con cui posso parlare molto bene a livello personale”. Per contro, Trump ha descritto Merz come “una persona con cui è molto facile trattare“.Il presidente statunitense Donald Trump (sinistra) accoglie alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il 5 giugno 2025 (foto via Imagoeconomica)Nel tentativo di creare un clima amichevole col tycoon newyorkese, il leader della Cdu ha ricordato che il giorno successivo, cioè oggi, sarebbe occorso l’81esimo anniversario dello sbarco in Normandia. “È stato allora che gli americani hanno liberato l’Europa“, ha notato il Bundeskanzler. Con l’operazione Overlord, il 6 giugno 1944 gli alleati arrivarono sulla costa atlantica della Francia, allora sotto occupazione nazista, mentre altre armate occidentali risalivano lo Stivale dalla Sicilia e i sovietici marciavano da est su Berlino.“Non è stata una giornata piacevole per voi“, ha ribattuto Trump alludendo al fatto che il D-Day segnò l’inizio della fine per Adolf Hitler. “A lungo  termine, signor presidente, questa è stata la liberazione del mio Paese dalla dittatura nazista“, ha risposto Merz, aggiungendo che “sappiamo cosa vi dobbiamo”. Il cancelliere ha poi colto la palla al balzo, tracciando un parallelo tra l’invasione dell’Europa da parte del Terzo Reich e quella dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin. Gli Stati Uniti, ha osservato, sono “di nuovo in una posizione molto forte per fare qualcosa per porre fine a questa guerra“.“Stiamo cercando di esercitare una maggiore pressione sulla Russia, dovremmo parlarne”, ha rimarcato Merz. Ma sulla guerra d’Ucraina non è riuscito a scucire alcuna concessione all’inquilino della Casa Bianca. Al contrario, e con buona pace delle sue stesse promesse di porre rapidamente fine al conflitto, Trump ha suggerito che potrebbe essere opportuno lasciare che Mosca e Kiev “continuino a combattere per un po’”, paragonando i due belligeranti a dei bambini litigiosi difficili da separare.Ma l’amministrazione a stelle e strisce non imporrà nuove sanzioni sul Cremlino, almeno per il momento. Se diventerà chiaro che le trattative in corso (o meglio in stallo) non porteranno a nulla, ha ammonito Trump, le contromisure di Washington potrebbero “riguardare entrambi i Paesi”. Il presidente Usa è apparso frustrato con l’Ucraina per gli attacchi condotti sul territorio della Federazione negli scorsi giorni, di cui ha parlato al telefono col suo omologo russo: Putin “è scontento”, ha detto, e “io sono scontento”. Una posizione che stona con quella degli alleati su questo lato dell’Atlantico, dove è netta la distinzione tra aggredito e aggressore, come ricordato stamattina dai portavoce della Commissione europea.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Gli altri due temi chiave dell’incontro sono stati la questione della sicurezza transatlantica e la guerra commerciale tra Stati Uniti ed Unione europea. Sul primo punto, Merz ha strappato a Trump l’impegno a non ritirare nessuno dei 40mila militari statunitensi stazionati in Germania. Il timore di un disimpegno dello zio Sam dal Vecchio continente è reale tra le cancellerie europee, che si stanno preparando a dare il disco verde alla richiesta di Washington di aumentare significativamente le spese per la difesa in ambito Nato, alzando l’asticella dal 2 al 5 per cento del Pil.Quanto ai dazi, il presidente statunitense è fiducioso che “un buon accordo commerciale” con Bruxelles sia a portata di mano. Attualmente, Washington ha imposto dazi del 10 per cento su tutte le importazioni europee, più il 25 per cento sulle auto (una catastrofe per l’economia tedesca, della quale l’automotive è un pilastro fondamentale) e il 50 per cento su acciaio e alluminio. Giorni fa, Trump ha compiuto l’ennesima giravolta sospendendo fino al 9 luglio l’attivazione di un’ulteriore dazio del 50 per cento sugli import a dodici stelle.Infine, Merz ha evitato di toccare determinati temi, come ad esempio le pesanti ingerenze da parte di membri di spicco dell’amministrazione Trump nella politica interna tedesca – con il vicepresidente JD Vance e l’ormai ex braccio di ferro del tycoon, Elon Musk, che hanno apertamente sostenuto l’ultradestra di Alternative für Deutschland (AfD) – o le relazioni di Berlino e Washington col premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ma anche il rapporto burrascoso della Casa Bianca con la Corte penale internazionale. Proprio ieri, il governo Usa ha imposto sanzioni su quattro giudici della Cpi a causa delle indagini in corso sui crimini di guerra dell’esercito di Tel Aviv, in una mossa senza precedenti fermamente condannata dai vertici Ue.