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    Ucraina, i volenterosi a Parigi per definire le garanzie di sicurezza

    Bruxelles – Gli alleati di Kiev continuano a cercare la quadra sulle garanzie di sicurezza. Dopodomani a Parigi la coalizione dei volenterosi discuterà per l’ennesima volta di come sostenere l’Ucraina al termine delle ostilità, anche se le trattative sono in stallo da settimane. Ma rimane da sciogliere il nodo principale: il potenziale dispiegamento di soldati sul campo. Da Berlino sono arrivate parole nette all’indirizzo di Ursula von der Leyen, che gioca a fare il comandante in capo di una forza militare che non c’è.Il menù sul tavolo della trentina di partecipanti alla coalizione dei volenterosi, che si incontreranno giovedì (4 settembre) nella capitale transalpina, è lo stesso da mesi. La portata principale è costituita dalle ormai famigerate garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina una volta cessata la guerra, in corso da più di tre anni e mezzo. Nonostante se ne discuta da tempo, tuttavia, nessuno è ancora in grado di definirle chiaramente, indicando con precisione su quali elementi si baseranno e, soprattutto, chi fornirà cosa.Alla riunione parigina di dopodomani, co-presieduta da Emmanuel Macron e Keir Starmer, dovrebbero partecipare in presenza anche Volodymyr Zelensky, Ursula von der Leyen e il Segretario generale della Nato Mark Rutte. Il presidente ucraino chiederà nuovi aiuti e cercherà di spingere i suoi alleati ad aumentare la pressione su Vladimir Putin, che non sembra minimamente interessato a sedersi al tavolo negoziale nonostante la sceneggiata di ferragosto in Alaska con Donald Trump.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Il nodo più intricato è quello dell’invio di un contingente multinazionale sul suolo ucraino, che per essere credibile dovrebbe contare almeno 30mila soldati – al netto dell’inquadramento di una tale “forza di rassicurazione“, essenzialmente diversa dalle classiche operazione di peacekeeping (se non altro perché le truppe non monitorerebbero il fronte ma rimarrebbero nelle retrovie, pronte a sostenere l’esercito di Kiev in caso di nuova aggressione russa). Un’opportunità che parrebbe avere un qualche senso dal punto di vista strategico, ma che rimane difficile da digerire sul piano politico.Nessun capo di Stato o di governo occidentale prende alla leggera l’impegno a mandare i propri soldati all’estero, soprattutto al di fuori del cappello Nato. Al momento pare che gli unici disponibili a inviare i proverbiali “stivali sul terreno” siano proprio Macron e Starmer, anche se quest’ultimo in tempi recenti avrebbe raffreddato gli ardori dei mesi scorsi. Contrari, invece, Italia, Germania e soprattutto Stati Uniti. Washington ha accettato di offrire un non meglio specificato backstop ad ucraini ed europei, e le altre cancellerie hanno fatto ampiamente capire che senza il sostegno dello zio Sam non si va da nessuna parte.Le difficoltà su questo fronte sono emerse plasticamente ieri (primo settembre), quando il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha criticato aspramente la fuga in avanti di Ursula von der Leyen sulla questione. In una recente intervista al Financial Times, il capo dell’esecutivo comunitario ha sostenuto che i volenterosi avrebbero elaborato “piani piuttosto precisi” rispetto all’impegno nel dopoguerra, compreso un eventuale contingente terrestre.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Un passo di troppo per Berlino, dove il governo è alle prese con una complessa riforma della Bundeswehr. Con commenti caustici, Pistorius ha sottolineato che “l’Ue non ha alcuna responsabilità né competenza in materia di dispiegamento di truppe, per nessuno e per nessun motivo”, offrendo un consiglio al vetriolo per la numero uno del Berlaymont: “Mi asterrei dal confermare o commentare in alcun modo tali considerazioni“, ha rincarato, ritenendo “assolutamente sbagliato” discutere pubblicamente dei piani militari prima che i belligeranti abbiano stipulato una tregua. Lo stesso cancelliere federale Friedrich Merz ha ribadito che allo stadio attuale “nessuno sta parlando di truppe di terra“.Una soluzione politicamente politicamente più accettabile per i volenterosi potrebbe essere la fornitura di supporto aereo e logistico, inclusi la condivisione d’intelligence e l’addestramento delle forze armate di Kiev, come ventilato la scorsa settimana dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas. Sicuramente, come ripete da tempo von der Leyen, la strategia su cui tutti concordano è quella di fare dell’Ucraina un “porcospino d’acciaio“, rafforzando il suo esercito al punto da renderla “indigesta” per qualunque aggressore.D’altro canto, le iniziative diplomatiche per giungere alla cessazione delle ostilità sembrano giunte ad un binario morto. L’ultimo incontro diretto tra le delegazioni negoziali dei belligeranti si è risolto nell’ennesimo buco nell’acqua e non si vede all’orizzonte alcuna svolta nelle trattative. Mosca continua a bombardare il suo vicino ed è arrivata a colpire anche la sede della delegazione Ue a Kiev.Nello specifico, le posizioni dei belligeranti sulle garanzie di sicurezza sono inconciliabili: per la Russia se ne dovrebbe parlare solo una volta raggiunta l’intesa su una tregua (ma la presenza di truppe Nato è inaccettabile per Mosca), mentre l’Ucraina le ritiene un prerequisito essenziale per sedersi al tavolo. Del resto, lo zar sta infrangendo uno dopo l’altro gli ultimatum lanciati da Trump, senza che la Casa Bianca abbia messo in campo alcuna delle “gravi conseguenze” minacciate negli scorsi mesi.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Nel frattempo, l’inquilino del Cremlino ha sostenuto di non essere mai stato contrario all’adesione dell’Ucraina all’Ue durante un colloquio a Pechino col primo ministro slovacco Robert Fico, uno dei cavalli di Troia di Putin all’interno del club a dodici stelle. Lo zar ha dichiarato di “apprezzare molto” l’autonomia di Bratislava nel seguire una “politica estera indipendente“, mentre il suo interlocutore ha precisato che “l’Ucraina deve soddisfare tutte le condizioni per entrare nell’Ue”, sottolineando che “i criteri politici non possano prevalere sui criteri di preparazione”.Si tratta del terzo faccia a faccia tra Fico e Putin nel giro di un anno, con buona pace della pretesa di Bruxelles di aver mantenuto un fronte unitario nei confronti di Mosca. L’atro sodale di Putin nell’Unione, il premier ungherese Viktor Orbán, sta continuando a bloccare tanto l’apertura dei negoziati di adesione quanto l’esborso degli aiuti per l’Ucraina, puntando sistematicamente i piedi anche sulle sanzioni comunitarie contro il Cremlino (al momento è in preparazione il 19esimo pacchetto, dopo aver disinnescato proprio il veto di Fico). Budapest e Bratislava hanno da tempo ingaggiato un braccio di ferro con Kiev sulle forniture di gas e petrolio russo, lamentando recentemente le interruzioni dovute agli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba.

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    Un attacco russo ha colpito la delegazione Ue a Kiev. Bruxelles promette nuove sanzioni

    Bruxelles – Nell’attacco missilistico condotto questa notte dalla Russia su Kiev è stata colpita anche la sede della delegazione Ue in Ucraina. Immediate le condanne dei vertici comunitari, secondo i quali il Cremlino non dimostra alcun reale interesse per la pace. Intanto le trattative internazionali procedono a rilento, mentre i Ventisette discutono di garanzie di sicurezza e nuove sanzioni contro Mosca.Durante la notte tra il 27 e il 28 agosto, l’ennesimo bombardamento russo sulla capitale ucraina ha coinvolto la sede della delegazione dell’Unione europea, danneggiandola gravemente secondo le informazioni fornite dai funzionari che vi lavoravano. Stando ai rapporti locali, il raid avrebbe ucciso una decina di persone e ne avrebbe ferite una trentina, danneggiando una serie di edifici inclusa anche la sede del British Council, l’istituto di promozione della lingua inglese all’estero.Secondo Katarina Mathernova, ambasciatrice Ue a Kiev, il palazzo della delegazione sarebbe stato “gravemente danneggiato dall’onda d’urto” provocata dal bombardamento di un edificio civile nelle vicinanze. “Questa è la vera risposta di Mosca agli sforzi di pace“, ha aggiunto. Al momento attuale non risultano vittime tra il personale della delegazione.L’attacco russo su Kiev del 28 agosto 2025 (foto: delegazione Ue in Ucraina)Non si è fatta attendere la condanna di Bruxelles e la solidarietà delle istituzioni comunitarie verso le vittime civili e lo staff della delegazione. “Sono sconvolto dall’ennesima notte di attacchi missilistici contro l’Ucraina”, ha scritto su X il presidente del Consiglio europeo, António Costa, sottolineando che “l’Ue non si lascerà intimidire” dalle bombe della Federazione. “L’aggressione della Russia non fa che rafforzare la nostra determinazione a sostenere l’Ucraina e il suo popolo”, ha aggiunto.Per la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, “la Russia deve cessare immediatamente i suoi attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili e partecipare ai negoziati“, accettando la mediazione offerta dal presidente statunitense Donald Trump. Durante un punto stampa in tarda mattinata, la timoniera del Berlaymont si è detta “oltraggiata dall’attacco” in cui, ha spiegato, “due missili hanno colpito entro una distanza di 50 metri dalla delegazione nell’arco di 20 secondi”. Alle sue spalle, uno schermo proiettava le immagini della struttura colpita dall’attacco.“La Russia non si fermerà di fronte a niente pur di terrorizzare l’Ucraina“, ha rincarato, “incluso prendere di mira l’Ue”. E ha promesso di continuare a “mantenere la massima pressione” su Mosca rafforzando il regime sanzionatorio di Bruxelles e portando avanti “il lavoro sugli asset russi immobilizzati per contribuire alla difesa e alla ricostruzione dell’Ucraina”. Per il momento – riferiscono i portavoce della Commissione – il focus è sugli extraprofitti generati dai beni russi congelati più che sui beni stessi, il cui valore si aggira intorno ai 210 miliardi di euro nella giurisdizione dell’Unione, tuttavia le discussioni sul tema continuano.I’m outraged by the missile and drone attack on Kyiv, killing men, women and children.And damaging our EU diplomatic mission.My thoughts go to our brave staff.Russia’s strikes on Kyiv will only strengthen Europe’s unity and Ukraine’s defiance ↓ https://t.co/VzuBWIPxzH— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 28, 2025Contestualmente, von der Leyen ha annunciato che domani inizierà un tour in “sette Stati membri che stanno rafforzando e proteggendo i nostri confini esterni con la Russia e la Bielorussia“: nell’ordine della visita, che durerà fino a lunedì, toccherà Lettonia, Finlandia, Estonia, Polonia, Bulgaria, Lituania e Romania (Sofia e Bucarest sono in prima linea sul fianco orientale della Nato anche se non condividono direttamente una frontiera con Mosca e Minsk). L’obiettivo è “esprimere la piena solidarietà dell’Ue e condividere i progressi che stiamo facendo nella creazione di una forte industria europea della difesa“, ha spiegato.Come confermato dalla portavoce della Commissione per gli affari esteri, Anitta Hipper, l’Alta rappresentante Kaja Kallas ha convocato per “oggi stesso” il chargé d’affaires della Federazione a Bruxelles per protestare l’accaduto. Il capo della diplomazia a dodici stelle ha redarguito Mosca: “Mentre il mondo cerca una via per la pace, la Russia risponde coi missili“, ha dichiarato, ingiungendo al Cremlino di “fermare le uccisioni e negoziare” la cessazione delle ostilità.Anche la commissaria all’Allargamento Marta Kos ha condannato “fermamente questi attacchi brutali“, definendoli “un chiaro segnale che la Russia rifiuta la pace e sceglie il terrore“. “La nostra piena solidarietà va al personale dell’Ue, alle loro famiglie e a tutti gli ucraini che subiscono questa aggressione“, ha concluso.Il ministro degli Esteri ucraino Andrij Sybiha ha invocato “non solo la condanna dell’Ue, ma anche quella mondiale” per quella che definisce una “violazione diretta della Convenzione di Vienna“, nella quale viene sancita la sicurezza dei corpi diplomatici e l’inviolabilità di ambasciate e missioni internazionali.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Sulla stessa linea, Volodymyr Zelensky ha dichiarato di aspettarsi “una risposta da parte di tutti coloro che nel mondo hanno invocato la pace, ma che ora più spesso rimangono in silenzio”, puntando il dito in particolare contro l’Ungheria di Viktor Orbán, il più filorusso tra gli Stati Ue che da tempo si mette di traverso sia sulle sanzioni a Mosca sia sugli aiuti a Kiev, per non parlare del veto contro l’adesione di quest’ultima al club europeo.Stasera, i titolari della Difesa dei Ventisette si riuniranno a Copenaghen per avviare una riunione informale che si protrarrà nella giornata di domani, mentre sabato sarà il turno dei responsabili degli Esteri. Sul tavolo soprattutto la questione delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina – su cui i membri della coalizione dei volenterosi stanno discutendo intensamente in queste settimane – e quella del 19esimo pacchetto di misure restrittive contro il Cremlino, che la Commissione vorrebbe presentare a inizio settembre.Dopo aver incontrato Trump in Alaska, lo scorso 15 agosto, il presidente russo Vladimir Putin ha puntato i piedi per rallentare i progressi diplomatici verso una soluzione negoziale della guerra in corso da oltre tre anni e mezzo, reiterando i dubbi già manifestati diverse volte sulla legittimità di Zelensky (il suo mandato è tecnicamente scaduto nel maggio 2024, ma non si possono convocare elezioni finché è in vigore la legge marziale) e bollando come irricevibile la presenza di truppe Nato in Ucraina, uno degli elementi centrali della cosiddetta “forza di rassicurazione” europea che gli alleati di Kiev stanno cercando di definire in una frenetica girandola di riunioni sulle due sponde dell’Atlantico.

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    Gli alleati di Kiev cercano la quadra sulle garanzie di sicurezza. Doccia fredda da Mosca sul bilaterale Putin-Zelensky

    Bruxelles – Sono giorni frenetici per i partner occidentali dell’Ucraina, che stanno cercando di far accelerare la macchina diplomatica per raggiungere una soluzione negoziata della guerra con la Russia, nonostante le richieste del Cremlino rimangano irricevibili per Kiev. Nell’attesa di un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, gli alleati transatlantici stanno discutendo di quali garanzie di sicurezza fornire al Paese aggredito una volta cessate le ostilità.Dopo lo storico incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e una mezza dozzina di leader europei, incluso Volodymyr Zelensky, i responsabili politici e militari della Nato e della coalizione dei volenterosi si sono confrontati in una serie di riunioni per provare a definire la forma concreta che potrebbero prendere le famigerate garanzie di sicurezza promesse tante volte a Kiev in termini fumosi.Stando alle ricostruzioni circolate sulla stampa internazionale, nella giornata di ieri (21 agosto) i capi di Stato maggiore degli alleati transatlantici hanno presentato ai rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale diverse opzioni, di cui cominciano ad emergere alcuni dettagli parziali. L’unica cosa certa, a questo punto delle discussioni, è che i Paesi del Vecchio continente dovranno fare “la parte del leone“, come sottolineato ripetutamente dall’amministrazione a stelle e strisce.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per quanto Trump abbia espresso disponibilità a partecipare alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina (un esito tutt’altro che scontato e dipinto dalle cancellerie del Vecchio continente come un grande successo), il tycoon ha messo in chiaro che Washington non manderà truppe, rimanendo ambiguo rispetto al tipo di supporto che gli Stati Uniti potranno fornire una volta cessate le ostilità sul campo.Ora, pare che gli europei stiano chiedendo allo zio Sam di continuare a condividere le preziose informazioni d’intelligence e, soprattutto, di garantire una qualche forma di copertura aerea. Che potrebbe declinarsi in vari modi: attraverso l’impiego diretto di piloti statunitensi, ad esempio, per facilitare eventuali operazioni di terra oppure per mettere in piedi una no-fly zone nei cieli ucraini, ma anche tramite la fornitura di ulteriori sistemi antiaerei a Kiev. Un’ulteriore ipotesi potrebbe comportare il comando Usa della missione terrestre europea.Nel solco delle discussioni che si protraggono da mesi, ad ogni modo, il nodo più delicato rimane l’invio di truppe in Ucraina. Secondo alcune stime, per proteggere un’eventuale tregua saranno necessarie svariate decine di migliaia di soldati (nell’ordine dei 30-40mila come minimo), che dovrebbero rimanere stazionati in Ucraina nel medio-lungo periodo ed essere pronti a intervenire tempestivamente in caso di necessità.Al momento attuale, tuttavia, solo la Francia sembra disposta a schierare un proprio contingente in Ucraina. Tra le altre potenze militari europee, l’Italia ha chiuso da tempo la porta a quest’opzione (a meno che non se ne parli all’interno di una cornice Onu), in Germania la discussione è accesissima (in ogni caso la Bundeswehr è tutt’altro che in buona salute), e persino il Regno Unito starebbe riconsiderando l’impiego di truppe, che pareva certo fino a poco tempo fa. La Polonia, tra i più fervidi alleati di Kiev, non intende sguarnire le sue frontiere orientali con la Bielorussia e l’exclave russa di Kaliningrad.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Di sicuro, tutti concordano nel considerare l’esercito ucraino la “prima linea” fondamentale per respingere una potenziale nuova aggressione. A questo obiettivo mirano in effetti gli aiuti militari e finanziari occidentali, e in tre anni e mezzo di guerra le forze armate di Kiev hanno aumentato sensibilmente la loro preparazione mentre l’industria bellica nazionale ha fatto progressi sostanziali, come dimostra il nuovo missile balistico Flamingo con gittata di 3mila chilometri.Ma è proprio sulla “forza di rassicurazione” internazionale che rischia di impantanarsi tutto, dal momento che il Cremlino si oppone nettamente alla presenza di truppe dell’Alleanza in Ucraina. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato nei giorni scorsi che Mosca vuole essere consultata nella definizione delle garanzie di sicurezza per Kiev, e si è addirittura spinto a suggerire che tra i garanti della pace dovrebbero esserci i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, incluse la Cina e, appunto, la Russia.A proposito del Cremlino, in queste ore stanno circolando anche le precise richieste avanzate da Vladimir Putin durante il suo faccia a faccia con Trump ad Anchorage, in Alaska, lo scorso 15 agosto. Per porre fine alla propria aggressione, Mosca esige che Kiev ceda definitivamente la Crimea e l’intero Donbass alla Federazione (quest’ultimo, costituito dalle oblast’ di Donetsk e Luhansk, è occupato solo parzialmente dai russi), rinunci per sempre all’ingresso nella Nato, mantenga uno status di neutralità permanente e non ospiti sul proprio territorio truppe occidentali.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Difficilmente la leadership ucraina potrà accettare tutti i desiderata di Putin, che pure ha ridimensionato le sue ambizioni rispetto all’anno scorso. All’epoca voleva anche le oblast’ di Kherson e Zaporizhzhia (anch’esse parzialmente occupate e, come Donetsk e Luhansk, annesse unilateralmente con un referendum farsa nel settembre 2022). Ora, lo zar sarebbe disposto a “congelare” il fronte in queste due regioni lungo l’odierna linea di contatto e a ritirare le proprie truppe da alcune aree nei dintorni di Kharkiv, Sumy e Dnipropetrovsk.Se è prevedibile che Kiev non aderisca all’Alleanza nell’immediato futuro (stante l’opposizione di svariati membri, a partire dagli Usa), Zelensky ha detto chiaro e tondo che qualunque cessione territoriale andrà discussa al massimo livello tra lui e Putin. Da giorni si parla di un possibile bilaterale tra i leader dei Paesi belligeranti, cui dovrebbe dar seguito un trilaterale con Trump, per raggiungere un accordo di pace complessivo. Finora, i tre round di colloqui tra Russia e Ucraina non hanno portato ad alcun progresso in tal senso.Del resto, lo stesso Lavrov nelle scorse ore ha raffreddato gli entusiasmi, avvertendo che per arrivare ad un simile risultato servirà una meticolosa preparazione e reiterando i dubbi sulla legittimità del presidente ucraino, il cui mandato è scaduto nel maggio 2024 (la legge marziale in vigore nel Paese impedisce tuttavia di tenere nuove elezioni). Mosca, insomma, non ha alcuna fretta e può permettersi di prendere in giro ancora un po’ il presidente statunitense e la sua megalomania, a partire dal disattendere l’ennesimo ultimatum di due settimane fissato dal tycoon.

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    Il Canada approfondisce la cooperazione strategica con Finlandia e Svezia in chiave anti-russa (e anti-Trump)

    Bruxelles – Il Canada guarda con sempre più interesse agli Stati nordici del Vecchio continente, coi quali intende approfondire la cooperazione militare in funzione anti-russa e, al contempo, per ridurre l’impatto dei dazi a stelle e strisce. Questa settimana, due membri dell’esecutivo di Ottawa si sono recati in visita in Svezia e Finlandia, per sondare il terreno circa possibili partnership con le industrie belliche di Stoccolma e Helsinki.Alla fine il combinato disposto di due guerre – quella dei dazi scatenata da Donald Trump e quella sanguinosa di Vladimir Putin in Ucraina – ha spinto il Canada a rivedere la sua postura strategica nel suo giardino di casa, il Circolo polare artico. Con le calotte irrimediabilmente avviate verso lo scioglimento come conseguenza del cambiamento climatico, il governo di Ottawa non vuole correre rischi.Il primo ministro liberale Mark Carney, eletto lo scorso aprile proprio sulla scia delle sparate del tycoon statunitense (su tutte, l’ipotesi di annessione del vicino nordico come 51esimo Stato federato), sta stravolgendo la linea politica canadese, tradizionalmente ricalcata su quella di Washington.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ora, complice anche l’escalation doganale voluta dalla Casa Bianca, il Paese artico si sta rapidamente avvicinando all’Ue, come testimoniato dalla stipula di un nuovo accordo di cooperazione strategica con Bruxelles (porta di accesso di Ottawa al fondo Safe messo in piedi dalla Commissione Ue per gli appalti bellici congiunti), che va a puntellare la partnership economica del Ceta, già in piedi dal 2017.Proseguendo su questa strada, questa settimana il premier canadese ha inviato in Europa due ministre in altrettanti Stati membri dell’Unione. In Finlandia si è recata la titolare degli Esteri Anita Anand, mentre Mélanie Joly, responsabile per l’Industria, ha visitato la vicina Svezia. Si tratta di un cambio di paradigma per il Paese nordamericano, reso necessario dall’invasione russa dell’Ucraina (evento che, peraltro, ha convinto entrambe le nazioni scandinave ad entrare nell’Alleanza nordatlantica).“Lo sguardo della Nato deve spostarsi anche verso ovest e verso nord a causa del mutato panorama geopolitico, soprattutto dopo il 24 febbraio 2022″, ha osservato Anand da Helsinki, dove ha avuto un bilaterale col presidente Alexander Stubb, appena rientrato dal super-summit alla Casa Bianca di lunedì (18 agosto), per suggellare il nuovo partenariato strategico sulla politica estera e di sicurezza siglato tra i due Paesi.Canada and Finland are close NATO allies and partners in the Arctic. Today with Minister @elinavaltonen, our nations’ strengthened cooperation on NATO collaboration, Arctic and North Atlantic security, countering hybrid threats, and reiterated our support with Ukraine.… pic.twitter.com/EXtaUlxnOo— Anita Anand (@AnitaAnandMP) August 19, 2025Anand ha segnalato “un aumento dell’attività” di Mosca nei dintorni del cosiddetto Passaggio a nord-ovest – la rotta navale che collega l’Atlantico al Pacifico attraverso l’arcipelago artico canadese – e notando che “le infrastrutture russe si stanno spostando sempre più a nord, oltre il Circolo polare artico”. “La nostra priorità in termini di politica estera canadese nell’Artico è garantire che non venga tralasciato nulla per proteggere e difendere la sovranità del Canada“, ha aggiunto.Tradotto, significa ingenti investimenti nelle infrastrutture di sicurezza, anche attraverso nuove sinergie tra settori pubblico e privato. Così, mentre valuta una ulteriore commessa di 72 caccia F-35 (prossimamente dovrebbero esserne consegnati 16 per un valore di quasi 12 miliardi di euro), fiore all’occhiello della statunitense Lockheed Martin, parallelamente Ottawa si muove per approfondire la collaborazione nel campo militare con le industrie scandinave.Osservato speciale, come potenziale sostituto degli F-35, il caccia Gripen, prodotto dalla svedese Saab. Negli ultimi giorni è stato inoltre stipulato un partenariato tra la canadese Roshel e la svedese Swebor per la produzione di acciaio balistico per veicoli militari, che si aggiunge alla joint-venture finno-canadese per la costruzione di una nuova flotta rompighiaccio destinata alla guardia costiera del Paese degli aceri. Nel mirino anche i giacimenti di minerali critici di cui è ricca la regione, un enorme potenziale sia economico sia strategico.

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    Non si placa lo scontro tra Ungheria e Ucraina sul petrolio russo

    Bruxelles – Mentre l’Europa cerca di tradurre in risultati concreti il super-summit alla Casa Bianca, l’Ungheria procede nella sua rotta di collisione con l’Ucraina. Non solo ostruendo il cammino di Kiev verso l’adesione al club a dodici stelle (sul quale lo stesso Donald Trump ha chiesto spiegazioni a Viktor Orbán), ma anche minacciando il Paese aggredito di sospendere le forniture di elettricità, come ritorsione per il bombardamento dell’oleodotto Druzhba – da cui Budapest importa il petrolio russo – ad opera degli ucraini.Non sembra destinata a finire tanto presto la pantomima tra Ungheria e Ucraina sulle forniture energetiche. L’ultimo scambio al vetriolo l’ha cominciato il ministro magiaro degli Esteri, Péter Szijjártó, scagliatosi contro il governo di Kiev per aver colpito, nelle operazioni militari contro la Russia, un paio di stazioni di pompaggio lungo l’oleodotto Druzhba, il serpente di metallo lungo 4mila chilometri che irrora l’Europa centro-orientale col petrolio di Mosca passando per Bielorussia e Ucraina.L’oleodotto Druzhba e la rete di distribuzione del petrolio (foto: Wikimedia Commons)Dal cosiddetto “oleodotto dell’amicizia” si è recentemente staccata la Cechia, ma ora Ungheria e Serbia vogliono prolungarlo per farlo arrivare nel Paese balcanico, contro i piani di Bruxelles sul phase-out dei combustibili fossili russi. Anche la Slovacchia (che ha a lungo strumentalizzato la questione della propria sicurezza energetica puntando i piedi sulle sanzioni contro il Cremlino) ha visto interrompersi l’afflusso di petrolio come conseguenza degli attacchi ucraini.“L’Ucraina ha nuovamente attaccato l’oleodotto che porta in Ungheria, interrompendo le forniture. Questo ultimo attacco alla nostra sicurezza energetica è scandaloso e inaccettabile!”, ha lamentato in un post su X il capo della diplomazia di Budapest, accusando Kiev e Bruxelles di voler “trascinare l’Ungheria in guerra“.“Questa non è la nostra guerra“, ha ribadito Szijjártó, condendo il tutto con una minaccia tutt’altro che velata: “Un promemoria per i decisori ucraini: l’elettricità proveniente dall’Ungheria svolge un ruolo fondamentale nell’alimentare il vostro Paese…”, ha aggiunto. Stando ai dati del governo ungherese, nel 2024 Kiev ha importato da Budapest circa 2,14 terawattora di elettricità, pari a circa il 40 per cento del fabbisogno totale ucraino.Peter, it is Russia, not Ukraine, who began this war and refuses to end it. Hungary has been told for years that Moscow is an unreliable partner. Despite this, Hungary has made every effort to maintain its reliance on Russia. Even after the full-scale war began. You can now send… https://t.co/yvMq8slTG0— Andrii Sybiha (@andrii_sybiha) August 18, 2025Accuse rispedite al mittente dall’omologo ucraino Andrij Sybiha: “Da anni si ripete all’Ungheria che Mosca è un partner inaffidabile”, ha risposto il titolare degli Esteri, eppure “l’Ungheria ha fatto di tutto per mantenere la sua dipendenza dalla Russia“. “Ora puoi inviare le tue lamentele – e le tue minacce – ai tuoi amici a Mosca“, ha concluso.Del resto, l’Ungheria è in cima alle cronache politiche di questi giorni anche per altri due episodi, entrambi legati a Donald Trump e al processo di pace che il tycoon sta cercando di avviare per concludere la guerra d’Ucraina. Durante l’incontro fiume svoltosi lunedì (18 agosto) alla Casa Bianca, il presidente statunitense ha alzato la cornetta per sentire Viktor Orbán, tra i suoi più fedeli sostenitori nel Vecchio continente, non prima di aver chiamato Vladimir Putin.Nello scambio con l’autoritario premier ungherese, su presunta pressione dei leader Ue presenti Trump avrebbe chiesto conto del sistematico ostruzionismo praticato da Orbán sul dossier dell’ingresso di Kiev nell’Unione. Il primo ministro magiaro giustifica la propria opposizione sulla base della sicurezza continentale, rovesciando la narrazione prevalente a Bruxelles. Se per il resto dei Ventisette integrare Kiev in Ue significa aumentare la sicurezza di tutti, per lui “l’adesione dell’Ucraina all’Ue non fornisce alcuna garanzia di sicurezza“: né per gli ucraini né per gli europei che, sostiene, si porterebbero la guerra in casa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)In quella stessa telefonata, Orbán avrebbe proposto a Trump di ospitare a Budapest un vertice trilaterale con Putin e Volodymyr Zelensky, fortemente caldeggiato dal presidente Usa. Tuttavia, il simbolismo per l’Ucraina sarebbe infausto. Proprio lì, nel 1994, Kiev e Mosca siglarono il memorandum con cui l’ex repubblica sovietica consegnò alla Russia le proprie testate nucleari in cambio della promessa che la Federazione avrebbe rispettato la sua integrità territoriale. Vent’anni dopo – senza che Londra e Washington fornissero le garanzie di sicurezza previste dal trattato – il Cremlino annesse la Crimea e sostenne l’insurrezione dei separatisti filorussi in Donbass.Ovunque si terrà, comunque, l’incontro Trump-Putin-Zelensky dovrebbe dare seguito ad un faccia a faccia tra i leader dei due Paesi belligeranti, al quale stanno lavorando le diplomazie di mezzo mondo. Uno dei luoghi papabili per il bilaterale potrebbe essere Ginevra, in Svizzera, come suggerito da Francia e Italia. Il governo elvetico ha già annunciato che fornirebbe allo zar l’immunità dal mandato di cattura spiccato nel marzo 2023 dalla Corte penale internazionale, se decidesse di recarsi nello Stato alpino per i colloqui di pace.

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    Trump promette nuovi aiuti umanitari per Gaza. E torna a minacciare Putin con un nuovo ultimatum

    Bruxelles – Dopo Ursula von der Leyen, è stato il turno del premier britannico Keir Starmer di incontrare Donald Trump durante la visita di quest’ultimo in Scozia. Una conversazione a tutto campo, dall’accordo sui dazi doganali appena stretto con l’Ue alla carneficina che Israele sta compiendo a Gaza, passando per un nuovo ultimatum a Vladimir Putin.Non ha certo lasciato a bocca asciutta i giornalisti accalcati al golf club di Turnberry, in Scozia, Donald Trump, neanche per il secondo giorno di fila. Dopo aver annunciato ieri (27 luglio) insieme a Ursula von der Leyen l’avvenuto accordo commerciale con l’Unione europea (lui l’ha definito “il più grande accordo mai fatto”, al netto dei dubbi di diverse cancellerie tra i Ventisette), oggi il presidente statunitense ha avuto un faccia a faccia col primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer.Trump ha riservato alcune lusinghe anche per l’inquilino di Downing Street, complimentandosi per il “fantastico lavoro” compiuto da quest’ultimo nell’ottenere una tariffa base ancora più bassa di quella offerta a Bruxelles (il 10 contro il 15 per cento). “Hanno voluto un accordo commerciale per anni, molti anni”, ha ricordato il tycoon riferendosi alle difficoltà dei vari gabinetti succedutisi a Londra dal 2016 nel trovare una quadra con Washington nell’era post-Brexit, nonostante la special relationship tra i due Paesi.Il primo ministro britannico Keir Starmer (foto: Lauren Hurley via Imagoeconomica)Ma soprattutto, l’inquilino della Casa Bianca ha usato parole piuttosto nette in merito a due delle questioni internazionali che più preoccupano il Regno Unito e l’Europa tutta. Anzitutto, sull’immane massacro perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza negli ultimi 21 mesi, giustificato da Benjamin Netanyahu come una necessaria risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 ma ingiustificabile sotto il profilo del diritto internazionale (al punto da essere valso al leader dello Stato ebraico un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale).Proprio mentre prendeva il via alla sede dell’Onu di New York la conferenza internazionale sulla Palestina co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, tra i colli scozzesi Trump e Starmer sembravano concordare sulla necessità di fare immediatamente rispettare un cessate il fuoco e di far entrare con urgenza gli aiuti umanitari nella martoriata enclave costiera. “Dobbiamo aumentare gli aiuti umanitari“, ha notato il padrone di casa, per farsi rispondere dal suo ospite che Washington è “pronta ad aiutare” per risolvere la “terribile situazione” in cui versa Gaza, collaborando col Regno Unito (che sta già effettuando lanci aerei di generi alimentari sulla Striscia).Bambini palestinesi aspettano la distribuzione degli aiuti umanitari (foto: Bashar Taleb/Afp)“Dobbiamo nutrire i bambini“, ha continuato il tycoon, promettendo che gli Usa si impegneranno “ancora di più” e forniranno “cibo buono e sostanzioso” alla popolazione civile, deliberatamente affamata dal governo israeliano, garantendo l’istituzione di “centri di distribuzione di cibo“. La speranza è che tali operazioni non si risolvano in decine di palestinesi assassinati quotidianamente come avviene ora con la Gaza humanitarian foundation, l’ente israelo-statunitense che gestisce gli aiuti umanitari (quelli che Tel Aviv fa entrare col contagocce, scaricando sull’Onu la colpa per la loro penuria).Le immagini circolate negli scorsi giorni mostrano “gente che muore davvero di fame, non si può fingere una cosa del genere“, ammette Trump, apparentemente contraddicendo le bugie di Netanyahu per cui “non c’è fame a Gaza“. Ma senza mai riconoscere le responsabilità genocidiarie dello Stato ebraico, che rimane pur sempre l’alleato di ferro dello zio Sam nel cruciale scacchiere mediorientale. “Israele può fare molto” per far arrivare ai gazawi il cibo di cui hanno bisogno, dice il presidente, ma bisogna fare in modo “che le persone possano entrare” nella Striscia.Trump è parso insofferente anche sul tema del cessate il fuoco, sostenendo di aver fatto notare al premier israeliano che “ora forse dovrai agire in modo diverso” per “porre fine a tutto questo” e osservando che una tregua “è possibile”, se non altro per far tornare a casa la ventina di ostaggi ancora nelle mani di Hamas (detenzione bollata come “molto ingiusta” dal miliardario repubblicano).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Quanto alla guerra d’Ucraina, il presidente statunitense si è mostrato ancora più rigido nei confronti dell’omologo russo Vladimir Putin, nei confronti del quale si è detto “molto deluso“. Tanto da ritrattare il precedente ultimatum di 50 giorni, rivolto un paio di settimane fa all’inquilino del Cremlino affinché accetti di sedersi al tavolo delle trattative: “Fisserò un nuovo termine di circa 10 o 12 giorni a partire da oggi“, ha ammonito, riservandosi di annunciarlo pubblicamente nelle prossime ore.“Non c’è motivo di aspettare“, spiega il tycoon, dal momento che “non vediamo alcun progresso” nei negoziati per porre fine alle ostilità che durano ormai da quasi tre anni e mezzo, come certificato dall’ennesimo buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul tra le delegazioni di Kiev e Mosca. Se le armi non tacciono e non si raggiunge un accordo, minaccia, Washington comminerà “sanzioni e forse dazi secondari” contro la Federazione.

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    Ucraina, si avvita la crisi interna: Zelensky firma la legge sull’anticorruzione e innesca la protesta popolare

    Questo articolo è stato aggiornatoBruxelles – Si alza la temperatura dello scontro politico domestico in Ucraina. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza ieri sera in tutto il Paese per protestare contro le controverse norme approvate dal Parlamento, considerate una stretta autoritaria ai danni delle infrastrutture anticorruzione, nella prima manifestazione antigovernativa dal 2022. Ma il presidente Volodymyr Zelensky tira dritto e promulga lo stesso la legge, rischiando una pericolosa frattura interna in una società già stremata da quasi tre anni e mezzo di guerra.Nel frattempo, si moltiplicano gli allarmi da parte della comunità internazionale, in particolare tra gli alleati europei. L’Ue richiama Kiev ai suoi impegni su garanzie democratiche e Stato di diritto, mentre l’Ocse avverte: se si prosegue su questa china scivolosa, si mettono a rischio gli investimenti esteri nell’industria della difesa ucraina e nella ricostruzione post-bellica del Paese.La legge 12414 entra in vigoreAlla fine, l’esito che tanti in Ucraina avevano temuto, dalle opposizioni parlamentari alle organizzazioni della società civile, è diventato realtà. Nella tarda serata di ieri (22 luglio), il capo dello Stato Volodymyr Zelensky ha apposto la sua firma sulla controversa legge approvata poche ore prima in tutta fretta dal legislativo monocamerale di Kiev, la Verchovna Rada, facendola entrare formalmente in vigore.Durante l’accesa sessione in Aula, il partito del presidente Servitore del popolo (Sn), che controlla l’emiciclo ed esprime il governo, aveva inserito nel disegno di legge 12414 sulla modifica del codice penale alcuni emendamenti che portano de facto sotto l’autorità del procuratore generale – una figura di nomina presidenziale (l’incarico è ora nelle mani di Ruslan Kravchenko, considerato molto vicino a Zelensky) – i due principali organi indipendenti per il contrasto alla corruzione: l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e l’Ufficio del procuratore speciale anticorruzione (Sapo).Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Genya Savilov/Afp)La mossa è stata aspramente criticata dalle due istituzioni in questione, finite negli scorsi giorni nel mirino dei servizi di sicurezza ucraini (Sbu) per presunte infiltrazioni di spie del Cremlino. Il mandato dei due organismi, creati nell’ambito delle riforme post-Euromaidan (quella che gli ucraini chiamano “rivoluzione della Dignità” e che portò alla fuga del presidente filorusso Viktor Yanukovych), è quello di investigare casi di alto livello di corruzione.Le crepe nel fronte internoSecondo i critici di Zelensky, gli attivisti, le ong e una parte consistente dell’opinione pubblica, i raid dell’Sbu sarebbero una ritorsione politicamente motivata contro le indagini a carico dell’ex vicepremier Oleksiy Chernyshov, un altro alleato del presidente. Stando alle ricostruzioni della stampa locale, il clima nel Paese si starebbe scaldando rapidamente. Il timore diffuso è che la picconata sferrata dal governo all’indipendenza degli organi di controllo, una condizione alla base dello Stato di diritto, metta a repentaglio in un colpo solo la solidità della giovane democrazia ucraina e le sue prospettive di aderire all’Ue.Non appena la Rada ha approvato le nuove norme, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nella capitale e in altre città (da Leopoli a Kharkiv, da Odessa a Sumy, su cui pure continuano a piovere le bombe russe) sfidando i divieti e i coprifuoco imposti dalla legge marziale nella prima protesta antigovernativa dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022.A preoccupare la folla, composta soprattutto da giovani, è quella che viene descritta come una più ampia campagna di pressione contro le infrastrutture democratiche nazionali. In cui rientra anche il breve arresto dell’attivista Vitaliy Shabunin, co-fondatore del Centro d’azione anticorruzione (AntAC), l’ong più in vista nel Paese nella lotta alla corruzione.Manifestanti a Kiev nella serata del 22 luglio 2025 (foto: Tetiana Dzhafarova/Afp)I cittadini vorrebbero la fine della corruzione endemica che affligge gli apparati statali fin dall’epoca sovietica e percepiscono la mossa del presidente come un grave tradimento delle promesse di rinnovamento democratico, un ritorno ad una gestione della cosa pubblica reminiscente dell’era di Yanukovych nonché una sconfessione della retorica che da anni dipinge la resistenza ucraina come una battaglia esistenziale della civiltà occidentale contro l’aggressione neo-imperialista della Federazione.A livello politico, le forze dell’opposizione parlamentare stanno raccogliendo le firme necessarie per adire la Corte costituzionale sulla base di presunti vizi procedurali nell’adozione della legge 12414, sperando che i giudici possano dichiarare le nuove norme invalide in tutto o in parte. La soglia minima per avviare la revisione di costituzionalità è di 45 deputati.Ad ogni modo, compromettere l’unità del fronte interno in una fase così delicata della guerra – tra la crescente stanchezza degli alleati occidentali e i rapporti su un’imminente offensiva russa, mentre i rappresentanti dei due Paesi belligeranti si stanno incontrando in queste ore a Istanbul – rischia di tramutarsi in un boomerang molto pericoloso per Zelensky, forse addirittura al punto da influenzare le sorti del conflitto. Lo stesso esercito ucraino, in evidente difficoltà sul campo, sarebbe generalmente contrario alla riforma approvata dal presidente.Le preoccupazioni degli alleati (e la risposta di Zelensky)Del resto, sembra unanime anche la condanna dei partner internazionali di Kiev. In prospettiva, la stretta sugli organi anticorruzione rischia di minare tanto il sostegno militare alla resistenza ucraina (c’è chi, come Donald Trump , potrebbe approfittarne per ritardare ulteriormente la fornitura dei patriot) quanto quello politico all‘integrazione della nazione aggredita nella famiglia euro-atlantica, a cominciare dalla sua adesione al club a dodici stelle (contro cui rema da tempo soprattutto il premier ungherese Viktor Orbán).Dall’Ue si stanno moltiplicando i commenti apertamente critici rispetto alla leadership ucraina, per la prima volta dall’inizio della guerra. Già ieri Guillaume Mercier, un portavoce dell’esecutivo comunitario, aveva sottolineato che l’assistenza finanziaria di Bruxelles è “subordinata ai progressi in materia di trasparenza, riforma giudiziaria e governance democratica“.Oggi, Mercier ha spiegato a Eunews che gli organismi anticorruzione finiti al centro della bufera “sono fondamentali per il programma di riforme dell’Ucraina e devono operare in modo indipendente“. Ursula von der Leyen ha parlato direttamente con Zelensky, ci ha detto il portavoce, per esprimere “forte preoccupazione per le conseguenze degli emendamenti (al codice penale, ndr) e ha chiesto spiegazioni al governo ucraino“. In qualità di Paese candidato, ha concluso, “l’Ucraina è tenuta a rispettare pienamente” gli standard comunitari sullo Stato di diritto e la lotta alla corruzione, reiterando che sul tema “non possono esserci compromessi“.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos (foto: Lukasz Kobus via Imagoeconomica)La commissaria all’Allargamento, Marta Kos, si è detta “seriamente preoccupata” per gli ultimi sviluppi, ribadendo che “lo smantellamento delle garanzie fondamentali che tutelano l’indipendenza del Nabu è un grave passo indietro“. Kos ha dichiarato di aver avuto “discussioni franche” con la premier ucraina Yulia Svyrydenko e il ministro all’Integrazione europea Taras Kachka, sostenendo che continua il lavoro congiunto con le autorità nazionali “sulle necessarie riforme dello Stato di diritto e sui progressi” nel percorso verso l’Ue.Il commissario alla Difesa, Andrius Kubilius, che si trovava a Washington ieri (22 luglio) proprio per spronare l’amministrazione a stelle e strisce ad aumentare sia il supporto alla difesa di Kiev sia la pressione su Mosca tramite sanzioni più stringenti (i Ventisette hanno da poco approvato il 18esimo round di misure restrittive), ha affermato che “in guerra, la fiducia tra la nazione che combatte e la sua leadership è più importante delle armi moderne: difficile da costruire e mantenere, ma facile da perdere con un solo errore significativo da parte della dirigenza”, aggiungendo che “la trasparenza e il dialogo europeo aperto sono l’unico modo per riparare la fiducia danneggiata“.In una lettera inviata all’ufficio di Zelensky, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha evidenziato che il giro di vite contro il Nabu e il Sapo potrebbero risultare in un flusso più modesto di investimenti dall’estero verso l’industria della difesa ucraina e nella ricostruzione post-bellica.I gathered all heads of Ukraine’s law enforcement and anti-corruption agencies, along with the Prosecutor General. It was a much-needed meeting — a frank and constructive conversation that truly helps. We all share a common enemy: the Russian occupiers. And defending the… pic.twitter.com/GNIA585mGR— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) July 23, 2025In risposta alle reazioni interne ed esterne al Paese, Zelensky ha convocato in mattinata i capi delle agenzie anticorruzione e dei servizi per fare il punto sulla situazione. “È stato un incontro molto necessario, una conversazione franca e costruttiva”, ha commentato, rimarcando che il “nemico comune” è l’invasore russo e che “difendere lo Stato ucraino richiede un sistema di applicazione della legge e di lotta alla corruzione sufficientemente forte, che garantisca un vero senso di giustizia“.“Tutti noi ascoltiamo ciò che dice la società“, ha assicurato il presidente riferendosi ai manifestanti, e sostenendo di voler garantire “giustizia sicura e funzionamento efficace di ogni istituzione“. Infine l’annuncio dell’inizio di un nuovo corso per porre fine all’impunità, alle infiltrazioni e alle inefficienze: “La prossima settimana si terrà una riunione di lavoro approfondita sul piano d’azione congiunto” per rinvigorire le infrastrutture dell’anticorruzione, ha promesso, fissando “entro due settimane” la scadenza per la presentazione della roadmap sul futuro assetto delle agenzie statali.

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    Ucraina, la Slovacchia continua a mettersi di traverso sulle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Fumata nera per il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. A ritardare l’adozione delle nuove misure restrittive, che l’Alta rappresentante Kaja Kallas sperava di finalizzare durante il Consiglio Affari esteri di ieri, è ancora una volta la Slovacchia di Robert Fico. Bratislava non è soddisfatta delle rassicurazioni offerte dalla Commissione sulle forniture di gas russo, che l’esecutivo comunitario vuole bandire entro la fine del 2027.La lettera inviata ieri (15 luglio) dal Berlaymont, e firmata da Ursula von der Leyen in persona, “non offre alla Slovacchia garanzie sufficienti” rispetto alla questione cruciale dell’approvvigionamento di gas a basso costo dalla Russia. Con queste parole, condivise sui social il giorno stesso, il primo ministro Robert Fico ha chiuso la porta alle discussioni sul 18esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, allungando un braccio di ferro politico che si trascina da mesi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, sperava che l’adozione del nuovo round di misure restrittive – presentato dall’esecutivo a dodici stelle a inizio giugno – potesse avvenire durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette svoltasi ieri a Bruxelles. Ma dovrà aspettare ancora.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Fico giustifica l’opposizione slovacca sulla base di preoccupazioni per la sicurezza energetica di Bratislava. Di fatto, il premier nazional-populista (uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin in Europa, insieme all’omologo ungherese Viktor Orbán) sta legando l’adozione delle sanzioni contro Mosca – che richiedono l’unanimità – alla transizione energetica dell’Ue nel quadro della strategia RePower Eu.Il piano di Bruxelles – definito “assurdo” da Fico – prevede il graduale abbandono (phase out) delle fonti fossili importate dalla Federazione entro il 2028, incluso il gas naturale, con una decisione che andrà presa a maggioranza qualificata dagli Stati membri (e che, pertanto, Fico non riuscirebbe a bloccare).Il premier slovacco ha puntato i piedi durante il vertice Ue di giugno, chiedendo garanzie per tutelare la sua economia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo. Ma continua a dichiararsi aperto a negoziare un accordo che possa “garantire un certo livello di comfort” al Paese mitteleuropeo. Se Bratislava riceverà rassicurazioni accettabili circa la mitigazione dell’impatto del phase out, dice, non bloccherà più l’adozione delle sanzioni.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La soluzione preferita da Fico sarebbe un’esenzione nazionale fino al 2034, data in cui scadrà il contratto di forniture a lungo termine siglato con Gazprom, il colosso dell’energia russo di proprietà statale. In caso contrario, sostiene, Bratislava dovrà affrontare una causa legale e potrebbe dover pagare una multa fino a 20 miliardi di euro. Ma la Commissione non ne vuole sapere e fa notare che i divieti legali imposti a livello Ue possono essere fatti valere come cause di forza maggiore in sede di contenzioso con Gazprom.Per tendere una mano verso il governo slovacco, von der Leyen ha proposto di creare una task force per esaminare le necessità del Paese e monitorarne la transizione verde, coadiuvando Bratislava nell’escogitare e implementare soluzioni tecniche, economiche e normative di vario genere, inclusi un utilizzo più flessibile degli aiuti di Stato ed il ricorso ai fondi europei per compensare le perdite dovute al phase out e alla diversificazione energetica. Inoltre, ha ribadito la possibilità di ricorrere ad un “freno d’emergenza” per sospendere temporaneamente l’applicazione del divieto d’importazione del gas nel caso in cui si raggiungano picchi estremi dei prezzi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Tutte proposte rispedite al mittente da Fico, i cui partner di coalizione in patria si sarebbero categoricamente opposti alle aperture di Bruxelles, per la frustrazione di von der Leyen e Kallas. L’ex premier estone ha dichiarato ieri di essere “davvero triste” di non aver raggiunto l’accordo e ribadito che “eravamo davvero vicini a convincere la Slovacchia“, sottolineando che “questi negoziati vanno avanti da parecchio tempo” e puntando il dito contro l’atteggiamento ostruzionista del governo di Bratislava che, lamenta, presenta continuamente nuove condizioni. “Ora la palla è nel campo della Slovacchia”, ha aggiunto.Le discussioni tecniche, a livello di ambasciatori al Coreper, stanno proseguendo oggi. La speranza è di trovare una quadra entro la fine della settimana: “Sono ottimista e ancora fiduciosa” che si raggiungerà una conclusione oggi, ha affermato ieri Kallas. Forse una spinta al premier slovacco potrebbe arrivare dall’annunciata intenzione della Casa Bianca di Donald Trump di imporre pesanti “tariffe secondarie” a tutti i partner commerciali di Mosca se non ci saranno progressi nei negoziati con l’Ucraina nei prossimi 50 giorni.