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    Oltre 118 miliardi, l’Ue ha già speso quasi il bilancio di un anno per l’Ucraina

    Bruxelles – L’Unione europea ha già speso quasi l’equivalente di un bilancio annuale comune in sostegno all’Ucraina. Tra aiuti comunitari e contributi dei singoli Stati membri, “l‘assistenza complessiva dell’Ue all’Ucraina e al suo popolo ammonta finora a oltre 118 miliardi di euro“, scandisce l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione parlamentare in materia. Una cifra impressionante, se si considera che il bilancio comune per il solo 2023 è stato pari a 186,6 miliardi di euro. Aiutare il presidente ucraino Volodymir Zelensky nella sua risposta all’aggressione militare russa inizia a raggiungere proporzioni importanti, e senza precedenti. L’assistenza finanziaria da oltre 118 miliardi di euro, specifica Borrell, “include circa 43,5 miliardi di euro di sostegno militare, di cui 6,1 miliardi dal Meccanismo per la pace“. Praticamente quasi un terzo dello sforzo economico dei Ventisette a oggi è servito ad alimentare la macchina bellica ucraina, per permettere difesa e contro-attacco. Qui, precisa ancora l’Alto rappresentante, “il sostegno dell’Ue fa la differenza, ad esempio, sulla difesa aerea“.Cifre e numeri comunque parziali, e destinate ad essere aggiornate ancora. “L’Ue continuerà a sostenere l’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia”, assicura Borrell. Una rassicurazione frutto anche dell’evoluzione di un conflitto non solo più tra Mosca e Kiev. “La Russia ha anche iniziato a utilizzare missili della Repubblica Popolare Democratica di Corea e forse presto anche quelli iraniani”, denuncia l’Alto rappresentante. Un’escalation del conflitto che non consente ripensamenti.  Quindi l’avvertimento politico ai partner di tutta l’Unione europea. Quali che siano, in prospettiva, mosse e decisioni del nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump,  l’Ue dovrà tenere il punto:“Qualsiasi soluzione che ignori l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina comporterebbe la ricompensa dell’aggressore e la legittimazione dei tentativi di ridisegnare i confini con la forza, non solo in Europa”.

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    Zelensky a Bruxelles coi leader Ue: “L’Ucraina nella Nato è un passo preventivo”

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha preso parte di persona al Consiglio europeo in corso nella capitale Ue, per chiedere direttamente ai leader dei Ventisette di continuare a supportare il suo Paese. E per presentare ai capi di Stato e di governo il suo “piano per la vittoria”, dopo averlo illustrato ieri al Parlamento di Kiev. Tra i punti più significativi del documento, la richiesta alla Nato di invitare l’ex repubblica sovietica come 33esimo membro.Il maxi-prestito G7“La vostra unione è un’arma che garantisce sicurezza a tutti noi”, ha dichiarato Zelensky prendendo la parola alla sessione mattutina del vertice che si è aperto giovedì (17 ottobre). Per ora, stando alle conclusioni adottate dai leader Ue sul tema del supporto all’Ucraina, l’unione tra le cancellerie sta resistendo. Soprattutto per quanto riguarda il prestito monstre deciso la scorsa estate in ambito G7: 45 miliardi di euro in tutto, di cui fino a 35 dovranno essere messi dall’Ue, da destinare alle casse di Kiev e da finanziare con gli extraprofitti generati dagli asset russi congelati in Occidente.Su questo punto, ormai da mesi, i governi nazionali e l’esecutivo comunitario stanno cercando di disinnescare l’opposizione del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha ripetutamente minacciato di far saltare il banco se non verranno garantite a Budapest una serie di deroghe per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico degli idrocarburi di Mosca.Al summit odierno, dunque, si è deciso di non decidere: il documento condiviso dai capi di Stato e di governo cita semplicemente “l’importanza di mantenere gli impegni presi” al vertice dei 7 in Puglia per far arrivare a Kiev gli aiuti di cui ha bisogno “entro la fine dell’anno”. Ma la decisione vera e propria arriverà più in là, e richiederà probabilmente l’ennesima opera di persuasione (o di compromesso) con il premier magiaro per sbloccare l’esborso da parte dei Ventisette.Il “piano per la vittoria”Zelensky ha inoltre presentato ai capi di Stato e di governo Ue il suo “piano per la vittoria” in cinque punti, che aveva esposto ieri alla Verchovna Rada e di cui ha già anticipato i punti più delicati – quelli riguardanti i dettagli strategici, che sono secretati – con alcuni partner internazionali (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti). Un piano la cui attuazione, ha ripetuto il presidente ucraino arrivando al palazzo Europa a Bruxelles, “non dipende dalla volontà russa” ma “dalla volontà dei nostri partner”.Parlando ai giornalisti al termine del proprio intervento con gli omologhi europei, Zelensky ha ribadito che il piano “rafforza l’Ucraina non solo sul campo di battaglia ma anche a livello geopolitico”, cristallizzando di fatto il posizionamento dell’ex repubblica sovietica nel campo occidentale. In questo senso, ha spiegato, va intesa la prima priorità della roadmap in questione, cioè la richiesta di un invito formale ad aderire alla Nato: anche se, con ogni evidenza, l’ingresso vero e proprio nell’Alleanza potrà avvenire solo in futuro, a conflitto concluso, l’invito a Kiev costituirebbe un importante messaggio politico da parte dei 32 Stati membri.Kiev nella Nato?“L’invito è un passo preventivo”, ha spiegato Zelensky, per dimostrare che il presidente russo Vladimir Putin non può manipolare l’ordine internazionale a proprio piacimento. “Questo invito rappresenta un simbolo che va ben al di là della Nato”, ha detto, poiché indica “che sarà inevitabile anche l’adesione all’Ue e confermerà il percorso democratico e rinforza la nostra posizione diplomatica”.Come esempio dell’inaffidabilità di Putin, Zelensky ha richiamato il memorandum di Budapest del 1994: con quel trattato, Kiev aveva trasferito alla Russia tutte le proprie testate nucleari, in cambio della garanzia da parte di Mosca, Washington e Londra che la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina non sarebbero state violate. Data la malafede del Cremlino, ha incalzato il leader ucraino, l’alternativa per il suo Paese è netta: “O torniamo alle armi nucleari, o dobbiamo diventare parte di un’alleanza (militare, ndr) efficiente, e la Nato è l’unica che funziona” e i cui membri hanno evitato guerre di aggressione da quando vi sono entrati. “Noi non stiamo scegliendo le armi nucleari, stiamo scegliendo la Nato”, ha scandito.Sul punto, Zelensky ha già parlato con il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, e con i due candidati alle elezioni del prossimo 5 novembre, la democratica (e attuale vicepresidente) Kamala Harris e l’ex presidente repubblicano Donald Trump. E ha lasciato intendere, pur senza scendere nei dettagli, che tutti e tre sono favorevoli in linea di principio.L’accoglienza europea del pianoQuanto ai leader europei, “la maggior parte” avrebbe espresso “pieno supporto per il piano”, ha dichiarato il presidente ucraino. Per quanto riguarda le proposte economiche (che prevedono investimenti congiunti da parte delle aziende occidentali per sfruttare le risorse naturali del Paese aggredito), Zelensky ha sottolineato che si tratta di uno “strumento di sicurezza economica”, per evitare che le materie prime critiche cadano nelle mani dei russi, come già accaduto dieci anni fa coi giacimenti di carbone del Donbass.Alcuni capi di Stato e di governo dei Ventisette sono ancora reticenti a concedere a Kiev di usare le proprie armi a lungo raggio per colpire obiettivi militari in territorio russo, e anche a dare il via libera all’adesione dell’Ucraina alla Nato. Tra questi, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ancora non ha fornito all’esercito ucraino armi a lunga gittata, e che sull’allargamento dell’Alleanza “non ha mai detto no e non ha mai detto sì”, nelle parole dello stesso Zelensky.Nel frattempo, ha fatto sapere il leader ucraino, continuano gli sforzi per avvicinare quanto più velocemente possibile la fine della guerra: “L’Ucraina è pronta per imboccare la via diplomatica”, ha assicurato, “ma per farlo dobbiamo essere forti”. “A novembre – ha aggiunto – presenteremo un documento completo” in dieci punti come base di partenza per le trattative di pace, “che vogliamo condividere con tutti e anche con la controparte russa”. Alla fine, il piano per la vittoria di cui si è parlato è una risposta alla domanda su “come costringere la Russia alla diplomazia, ad arrivare ad una pace giusta”. E se gli alleati occidentali di Kiev continuano a sostenere l’Ucraina e ad aiutarla nella realizzazione di tutti i punti del piano, ha stimato Zelensky, le ostilità potrebbero cessare entro la fine dell’anno prossimo.

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    Ecco il “piano per la vittoria” che Zelensky presenterà al vertice dei leader Ue

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbe partecipare in presenza al Consiglio europeo che partirà domani (17 ottobre) a Bruxelles, durante il quale presenterà ai leader dei Ventisette il suo “piano per la vittoria”, che aveva già anticipato nelle scorse settimane e di cui ha svelato oggi gli elementi principali al Parlamento di Kiev. Si tratta di un elenco di priorità strategiche che dovrebbero permettere al Paese aggredito di sedersi al tavolo delle trattative da una posizione che non sia di netta inferiorità – o almeno queste sono le intenzioni. Ma la strada appare tutt’altro che in discesa.Sono cinque i punti principali di questo piano: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, l’aumento delle sue capacità di difesa, la deterrenza verso nuove aggressioni da parte della Russia, la crescita economica e l’architettura di sicurezza una volta terminata la guerra in corso. Il documento include anche tre elementi secretati, che Zelensky ha già anticipato agli alleati internazionali nelle ultime settimane – il presidente Usa Joe Biden e i due candidati alle elezioni del mese prossimo, il primo ministro britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron e la premier italiana Giorgia Meloni.“Se il piano viene sostenuto” dai partner occidentali, ha dichiarato Zelensky di fronte ai deputati della Verchovna Rada (il legislativo monocamerale ucraino), “possiamo mettere fine alla guerra non più tardi del prossimo anno”. Si tratta, nelle parole del presidente, di “un piano per rafforzare il nostro Stato e la nostra posizione”, per permettere al Paese “di essere abbastanza forte per porre fine alla guerra, per assicurarci che l’Ucraina abbia tutti i suoi muscoli”. E ha chiarito che l’implementazione del piano “dipende dai nostri partner”, e “non dipende sicuramente dalla Russia”.L’Ucraina nella Nato?Ma è precisamente la priorità che Zelensky ha deciso di mettere in cima alla lista che potrebbe essere la più difficile da realizzare. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è stata ripetutamente indicata, negli ultimi tre anni, come una linea rossa invalicabile dal presidente russo Vladimir Putin, che ha motivato l’invasione su larga scala del febbraio 2022 (avvenuta dopo l’occupazione della Crimea e le infiltrazioni nel Donbass del 2014) proprio con la necessità di impedire che Kiev entrasse nel blocco militare occidentale.I rapporti dell’Ucraina con la Nato sono lunghi e complessi e risalgono ai tempi della dissoluzione dell’Urss nel 1991, ma Kiev ha formalmente avanzato la richiesta di entrare nell’Alleanza solo nel settembre 2022, dopo che Mosca proclamò l’annessione unilaterale dei territori occupati nell’ex repubblica sovietica. “Ci rendiamo conto che l’adesione alla Nato è una questione del futuro, non del presente”, ha concesso Zelensky nel suo discorso, ma ha aggiunto che se l’Alleanza invitasse l’Ucraina come 33esimo membro manderebbe un forte segnale del fatto che “i calcoli geopolitici” di Putin erano profondamente sbagliati.Tuttavia, anche se al summit di Washington dello scorso luglio la Nato ha ribadito che il percorso di Kiev verso l’adesione è “irreversibile”, è piuttosto improbabile che questa avvenga nel breve periodo. La decisione è politica, e va presa all’unanimità dai 32 Stati membri. Includere l’Ucraina, secondo diversi leader, sarebbe come uno schiaffo in faccia a Putin. Ma c’è anche un altro ostacolo: la Nato non può accettare al suo interno un Paese in guerra, poiché questo comporterebbe un’attivazione immediata dell’articolo 5 della Carta atlantica (il trattato fondamentale dell’organizzazione), che prevede il supporto di tutti gli alleati nel caso di aggressione ad uno di loro.Difesa dalla RussiaIl secondo punto del piano prevede la rimozione delle restrizioni sulle armi occidentali consegnate all’Ucraina, per consentire a quest’ultima di colpire in profondità oltre il confine con la Russia. Portare la guerra direttamente sul territorio della Federazione impedirebbe la creazione di “zone cuscinetto” sul suolo ucraino, un obiettivo cui mirava l’incursione dello scorso agosto nell’oblast’ di Kursk. La stessa Commissione europea aveva detto chiaro e tondo, all’epoca, che Kiev aveva il diritto di difendersi “anche in territorio nemico”.Oltre all’eliminazione delle restrizioni sui sistemi d’arma a lungo raggio, Zelensky continua a chiedere agli alleati occidentali ulteriori forniture di materiale bellico (a cominciare dalle munizioni) e maggiore supporto diretto al rafforzamento delle capacità militari dell’ex repubblica sovietica (dalle truppe terrestri alla contraerea, passando per l’assistenza a livello di intelligence), nonché una maggiore partecipazione nell’abbattimento di droni e missili russi nello spazio aereo ucraino.La terza parte del documento fa riferimento alla deterrenza contro future aggressioni da parte dell’ingombrante vicino. Per quanto questo punto rimanga secretato, si sa che vi è menzionata una deterrenza esplicitamente non-nucleare – giova ricordare a tal proposito che Kiev ha ceduto tutte le sue testate atomiche a Mosca in base al memorandum di Budapest del 1994, in cambio della garanzia che la Russia avrebbe rispettato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’idea è di mettere in piedi “un pacchetto globale di deterrenza strategica non-nucleare” sul territorio del Paese aggredito, che verosimilmente includerebbe asset convenzionali dei partner della Nato.Il rapporto coi partner occidentaliAl quarto punto, Kiev offre all’Ue e agli Stati Uniti un “accordo speciale” relativo a investimenti congiunti per lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nel suo sottosuolo (tra cui uranio, titanio, grafite e litio). Un accordo sulle materie prime critiche è già in piedi con Bruxelles dal 2021, mentre recentemente anche a Washington sembrano essersi accorti che l’Ucraina è “una miniera d’oro” di minerali del valore di circa 11mila miliardi di dollari, che l’Occidente non può permettersi di lasciar cadere in mani russe.Infine, il quinto elemento del piano riguarda l’architettura della sicurezza ucraina nel dopoguerra, che prevederebbe secondo Zelensky un grado avanzato d’integrazione tra le forze militari del suo Paese e quelle della Nato. “Se i nostri partner sono d’accordo, dopo la guerra pensiamo di sostituire alcuni dei contingenti militari statunitensi stazionati in Europa con unità ucraine”, ha dichiarato alla Rada. Il piano per la vittoria dev’essere realizzato, ha concluso, per “costringere la Russia” a “terminare la guerra”.Nel suo discorso, il presidente ucraino ha pubblicamente ammesso per la prima volta che gli alleati occidentali stanno aumentando le pressioni diplomatiche su Kiev per avviare al più presto delle trattative di pace con Mosca. E che la parola “negoziati” si sta sostituendo sempre di più a “giustizia”: un segnale eloquente della crescente stanchezza internazionale nei confronti della guerra. Così, il piano per la vittoria rappresenta nelle speranze di Zelensky un modo per sedersi al tavolo con il capo del Cremlino da una posizione che, se non di superiorità, almeno non sia di netta debolezza. L’Ucraina non vuole scambiare “territori o sovranità” in cambio dello stop all’aggressione, ha scandito di fronte all’emiciclo.Ma non tutto il Parlamento di Kiev ha accolto con favore la comunicazione del presidente. Alcuni membri dell’opposizione hanno criticato il piano di Zelensky come “irrealistico”, una “lista di desideri” priva di dettagli concreti su come vanno realizzati. E richiamarsi alla “vittoria” dell’Ucraina nel momento in cui il fronte orientale nel Donetsk sta cedendo davanti all’avanzata nemica e oltre metà delle infrastrutture energetiche sono fuori uso a causa dei bombardamenti, hanno rimarcato, è “contraddittorio”.I prossimi passi a BruxellesStando alla bozza di conclusioni del Consiglio europeo circolata nelle ultime ore, i leader dei Ventisette dovrebbero discutere, oltre che del piano di Zelensky, anche di altri aspetti del sostegno dell’Ue all’Ucraina. Uno dei piatti principali sul tavolo dei capi di Stato e di governo sarà il maxi-prestito a Kiev – da finanziare con gli extraprofitti generati dai fondi russi congelati in Occidente – che potrebbe arrivare a toccare i 35 miliardi di euro.E sul quale, per l’ennesima volta, aleggia il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, che minaccia di bloccare la decisione con cui Bruxelles vorrebbe modificare l’orizzonte temporale per il congelamento degli asset russi da sei a 36 mesi (decisione dalla quale potrebbe dipendere la partecipazione di Washington al prestito G7, che dovrebbe valere 45 miliardi di euro in tutto). Budapest ha chiesto, come condizione per non opporre il proprio veto, che non venga toccata la deroga che attualmente consente al Paese con la presidenza di turno dell’Ue di continuare ad acquistare petrolio dalla Russia, proprio nelle stesse ore in cui ha annunciato un aumento delle importazioni di gas da Mosca per il 2025.

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    L’Ue ai Paesi del Golfo: “Più fermezza contro Putin”. Il mondo arabo: “Riconoscete la Palestina”

    Bruxelles – Da una parte l’invito a più fermezza nella risposta alle manovre militari russe in Ucraina, dall’altra parte l’invito a fare di più per la Palestina e la causa palestinese. Unione europea e Paesi del golfo arabico provano a rafforzare le proprie relazioni, ma sul piano politico il primo approccio è di quelli che mostrano distanze e difficoltà a capirsi e intendersi. Un dialogo da costruire, certo, che inizia però all’insegna di richieste fugate. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, esorta i partner extra-europei a considerare un cambio di rotta nei confronti di Mosca. “L’aggressione della Russia qui in Europa è molto sentita, e so quanto anche per voi il concetto di sovranità sia importante”, premette ai rappresentanti dei Paesi arabi: “I conflitti attorno a noi richiedono una risposta tempestiva“.Von der Leyen tocca un tema per l’Ue cruciale, quello di un sostegno incondizionato all’Ucraina e la necessità di mettere il presidente russo Vladimir Putin all’angolo. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma il fare affari con Mosca è qualcosa che genera malumori al blocco dei Ventisette, che ricevono un impegno di circostanza e una risposta molto evasiva.“Noi riconosciamo la carta Onu, e siamo quindi per la difesa dell’integrità territoriale”, scandisce l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani. “Il consiglio dei Paesi del golfo sostiene chiunque cerca una soluzione pacifica del conflitto“, aggiunge, senza però specificare quali dovrebbero essere le condizioni di una pace tra Russia e Ucraina. Dichiarazioni evasive a cui si aggiunge la richiesta politica del blocco del golfo persico per l’Ue: riconoscere la Palestina.“Ringrazio tutti quelli che riconoscono la Palestina come Stato, e chiedo altri di fare altrettanto“, scandisce il leader qatariota. Parole che servono a ricordare all’Europa degli Stati come al netto degli impegni e dei proclami del Vecchio continente, l’ipocrisia di fondo percepita nel golfo persico si annida nella contraddizione tra chi dice di volere una soluzione a due Stati e chi ancora – più della metà dei 27 – non ha riconosciuto la Palestina come Stato.Non un dialogo tra sordi, tutt’altro. Due mondi distanti che cercano un riavvicinamento, non semplice, fatto di priorità e sensibilità diverse per cultura, storia, geografia. Non sarà semplice, e a Bruxelles, dove si ospita il primo summit di questo tipo, lo sanno bene. Von der Leyen è consapevole della portata del primo vertice Ue-Paesi del golfo. “La vostra presenza è storica”, segno che oggi “ci vediamo l’un l’altro come partner strategici”. Però, aggiunge, “per essere partner strategici bisogna ascoltarsi, impegnarsi per un altro futuro, fidarsi”. La fiducia è tutta da trovare e da costruire. La vera sfida è questa, e le premesse, però, non sembrano delle più incoraggianti.L’Europa insiste su Putin, i Paesi arabi del golfo rispondono con la questione israelo-palestinese e l’implicita richiesta di ricalibrare il peso politico più sulla parte araba e meno su quella israeliana. Per il segretario generale del Consiglio di cooperazione dei Paesi arabi del golfo, Jasem Mohamed Albudaiwi, “il futuro della nostra cooperazione è promettente”. L’esordio sembra però suggerire, se non l’esatto contrario, un percorso piuttosto tortuoso.

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    Rimpasto di governo: Kiev nomina come ministro degli Esteri il vice di Dmytro Kuleba

    Bruxelles – Procede il cambio ai vertici dell’esecutivo ucraino avviato dal presidente Volodymyr Zelensky all’inizio della settimana, che aveva portato alle dimissioni eccellenti del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba lo scorso mercoledì (4 settembre). Il giorno successivo, la Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale nazionale) ha approvato la nomina del vice di quest’ultimo, Andrii Sybiha, per guidare la diplomazia e gli sforzi internazionali del Paese. Nelle intenzioni del capo dello Stato, il rimpasto governativo più ampio dall’inizio dell’invasione russa su larga scala dovrà servire a ridare nuova energia all’Ucraina mentre sta per cominciare un altro, difficile inverno. Così, i deputati di Kiev hanno approvato giovedì (5 settembre) la figura proposta da Zelensky per sostituire Kuleba, che era diventato in questi due anni e mezzo uno dei volti ucraini più conosciuti all’estero. I voti favorevoli a Sybiha alla Rada sono stati 258, mentre non sarebbe stato espresso nessun parere contrario. Il 49enne Sybiha, che ha alle spalle una solida carriera diplomatica (dal 2016 al 2021 è stato ambasciatore in Turchia, tra le altre cose) e lavora da tempo all’interno dell’ufficio del presidente, era diventato il numero due di Kuleba lo scorso aprile. Si unirà dunque agli altri nuovi ministri approvati dal Parlamento, mentre al suo predecessore, che è stato per anni il volto e la voce di Kiev nei rapporti con gli alleati, spetterebbe ora una posizione che ha a che fare con il rafforzamento delle relazioni con la Nato. Il rimpasto governativo sta coinvolgendo diverse altre figure politiche. Olga Stefanishyna (ex vicepremier responsabile dell’Integrazione europea ed euro-atlantica) è diventata ministra alla Giustizia, Oleksiy Kuleba gestirà lo Sviluppo delle comunità, dei territori e delle infrastrutture, Svetlana Grinchuk prenderà in carico il ministero dell’Ambiente. Mykolai Tochitsky avrà la responsabilità della Cultura e delle comunicazioni strategiche, mentre all’Agricoltura è stato nominato Vitaliy Koval (che prima guidava il Fondo delle proprietà statali). L’ex vicepremier Iryna Vereshchuk prenderà la guida della divisione Armi e difesa dell’ufficio del presidente e alle Industrie strategiche dovrebbe invece finire Herman Smetanin, che dal giugno 2023 è a capo di Ukroboronprom, un’azienda nel settore della difesa. 

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    Ucraina, tensione Borrell-Tajani: “Ridicolo non permettere a Kiev di attaccare”

    Bruxelles – Sulla guerra russa in Ucraina, adesso è strappo Ue-Italia e tensioni tra l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il primo non gradisce la linea del secondo, e ne critica le argomentazioni. Negare, come ha fatto Tajani, la possibilità di utilizzo delle armi degli alleati su suolo russo è una logica considerata come ipocrita. “Penso sia ridicolo dire che consentire di colpire all’interno del territorio russo significhi essere in guerra contro Mosca”, sostiene Borrell all’inizio della riunione informale dei ministri della Difesa, tornando sulle dichiarazioni di Tajani di ieri. Il ministro degli Esteri ha detto che l’Unione non è in guerra contro la Russia per spiegare il ‘no’ del governo all’eliminazione delle restrizioni sull’utilizzo delle armi occidentali, e l’Alto rappresentante insiste nel bacchettare il partner: “Non siamo in guerra contro Mosca, penso sia ridicolo dirlo. Stiamo sostenendo l’Ucraina“. Ecco il distinguo operato da Borrell, per replicare alle affermazioni non gradite dell’Italia. “L’Ucraina – continua Borrell – viene attaccata dal territorio russo e, secondo il diritto internazionale, può reagire attaccando i luoghi da cui viene attaccata. Quindi, non c’è nulla di strano in questo”. Dall’Italia dunque dichiarazioni inaccettabili e posizioni incomprensibili. Resta fermo per gli Stati membri il diritto di scegliere, questo Borrell né lo nega né lo mette in discussione. “E’ chiaro che questa è una cosa che spetta a ciascuno di loro”, anche perché quella estera e di difesa “non è una politica dell’Ue”. Quindi, a Tajani che lo accusava di parlare a titolo personale, replica: “Come Alto rappresentante devo avere opinioni personali se voglio spingere il consenso tra gli Stati membri”. Le riunioni informali aprono un solco tra il governo Meloni e l’Ue.

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    A Kursk c’è il rischio di un incidente nucleare

    Bruxelles – L’incursione ucraina nella regione russa di Kursk potrebbe mettere a rischio la sicurezza della centrale nucleare di Kurchatov. A lanciare l’allarme è Rafael Grossi, capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’organo delle Nazioni unite che si occupa di nucleare. Il fronte dista solo 40 chilometri ma l’avanzata delle truppe di Kiev continua, aumentando le preoccupazioni circa un possibile incidente dagli esiti imprevedibili. L’offensiva lanciata dall’Ucraina lo scorso 6 agosto ha portato la guerra entro i confini della Russia, avvicinandola pericolosamente alla centrale. “Il pericolo o la possibilità di un incidente nucleare è emerso chiaramente“, ha dichiarato alla stampa Grossi martedì (27 agosto), considerato che gli scontri tra gli eserciti rivali stanno avvenendo principalmente proprio nella regione di Kursk. Il Cremlino ha denunciato diversi attacchi ucraini ai danni dell’impianto, che come sottolineato dallo stesso Grossi è particolarmente fragile poiché privo di una cupola protettiva. Il fatto che la centrale stia continuando a funzionare in condizioni operative “quasi normali”, ha aggiunto il segretario dell’Aiea, rende la situazione ancora più delicata. Lo stabilimento nucleare nell’oblast’ di Kursk è uno dei più importanti di tutta la Federazione ed è attivo dal 1976. Attualmente solo uno dei quattro reattori (costruiti tra il 1976 e il 1985 secondo lo stesso modello di quelli di Chernobyl), il numero tre, è operativo, mentre il numero quattro è in manutenzione da domenica (25 agosto). Nel 2018 è cominciata la costruzione di altri due reattori. Quello della sicurezza degli impianti atomici è diventato un tema centrale nella guerra d’Ucraina, soprattutto nell’ultima fase “calda” avviata con l’invasione russa del febbraio 2022. La centrale ucraina di Zaporizhzhia, nei pressi di Enerhodar, è la più grande non solo del Paese ma di tutto il Vecchio continente ed è caduta nelle mani dei russi nel marzo di due anni fa. Da allora, Mosca e Kiev non hanno mai smesso di addossarsi a vicenda la responsabilità degli attacchi che ne mettono a repentaglio le strutture. 

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    Ab InBev resta in Russia, Mosca non dà il permesso a fermare il business della birra

    Bruxelles – Birre belga in Russia, il business continua perché Mosca non concede il permesso di interrompere gli affari. La storia di Ab InBev, la multinazionale della ‘bionda’ con sede a Leuven, in Belgio, si arricchisce di un nuovo capitolo che continua a mettere in imbarazzo i belgi e arricchisce la macchina da guerra del Cremlino. Sono le autorità russe ad aver detto ‘niet’ all’intenzione di Ab InBev di uscire dal consorzio con i russi e cedere le quote ai turchi di Anadolu Efes. Questi ultimi si sarebbero detti a più riprese disponibili a rimpiazzare Ab InBev nel mercato della birra in Russia, ma, ammettono i belgi, “non sono state ottenute le necessarie approvazioni normative e governative” per completare la transazione.La Russia in sostanza tiene l’industria delle birra belga legata e ancorata in patria, contro il volere dichiarato del colosso che, tra i vari marchi, vanta Corona, Stella Artois, Budweiser, Beck’s, Birra del Borgo, Leffe, e Jupiler, il brand che sponsorizza la massima serie calcistica del Belgio. Ab InBev ha annunciato l’intenzione di lasciare la Russia nel 2022, sulla scia della guerra dichiarata da Mosca all’Ucraina. Un’intenzione rimasta fin qui lettera morta, per ragioni di contratti commerciali e questioni giuridiche onerose e complicate.Da parte russa è facile capire il motivo che spinge a fare in modo che il partner europeo resti presente e attivo all’interno delle Federazione. Alla fine del 2023 la multinazionale della birra ha registrato ricavi per 59,4 miliardi di dollari. Un partner redditizio, ricco, stabile, che fa gola al Cremlino, e su cui le autorità russe possono esercitare pressione e offrire una prova di forza contro le sanzioni a dodici stelle, che vorrebbero azzerrare i rapporto economico-commerciali con la Russia di Putin per fermarne la macchina bellica. Invece la Russia di Putin, almeno in questa partita, sembra avere la meglio.