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    L’eurodeputato condannato in Albania arriva a Strasburgo. Giallo sull’immunità parlamentare

    dall’inviato a Strasburgo – La partita tra Grecia e Albania si sposta a Strasburgo, nell’Aula del Parlamento Europeo. Alla sessione inaugurale del 16-19 luglio ci sarà anche Fredi Beleri, sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë condannato a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023, ma risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia. La giustizia albanese gli ha concesso di partecipare ai lavori dell’istituzione Ue di questa settimana, ma richiedendo il suo ritorno in carcere per scontare il resto della pena in Albania subito dopo la fine della sessione plenaria.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Secondo quanto riportano i media greci, Beleri ha lasciato questa mattina (15 luglio) il carcere in Albania grazie a un permesso di cinque giorni, viaggiando per Tirana prima di volare ad Atene e di lì a Strasburgo. Potrà così partecipare alla votazione per l’elezione della presidenza del Parlamento Ue e delle cariche di vertice domani (16 luglio) e per quella sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea giovedì (18 luglio), ma dovrà rimanere in contatto costante con la polizia albanese prima di tornare in carcere già questo fine settimana. “Il rispetto del diritto di voto e di essere eletti è un elemento chiave di qualsiasi Stato di diritto“, ha commentato il vicepresidente (greco) della Commissione Ue responsabile per lo Stile di vita europeo, Margaritis Schinas.Secondo quanto previsto dal regolamento interno del Parlamento Europeo, i suoi membri godono dell’immunità dai procedimenti giudiziari, anche se le accuse riguardano reati commessi prima della loro elezione. Tuttavia il ‘Protocollo 7’ fa esplicito riferimento all’applicazione dell’immunità sul territorio dei Paesi membri dell’Unione e, nel caso di Beleri, non ci sono appigli nonostante l’elezione a eurodeputato, in quanto sta scontando la pena per un reato commesso in Albania, Paese extra-Ue. Il verdetto della Corte d’appello speciale albanese dello scorso 25 giugno ha confermato la condanna di primo grado di marzo e ha tolto a Beleri la carica di sindaco di Himarë (il 4 agosto si terranno nuove elezioni nel paese). Dopo che sarà entrato ufficialmente in carica domani, il neo-eurodeputato molto probabilmente presenterà ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei prossimi mesi.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo di Kyriakos Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    Tra Grecia e Albania scoppia il caso di immunità parlamentare dopo l’elezione di Beleri al Parlamento Ue

    Bruxelles – Se il caso della neo-eletta eurodeputata italiana Ilaria Salis si è chiuso in modo meno traumatico del previsto, tra Grecia e Albania è appena iniziata la partita giudiziaria sull’immunità parlamentare di un nuovo membro greco del Parlamento Europeo, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023. Il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, è risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia e ora sarà una Corte d’appello speciale a Tirana a prendere la decisione definitiva sulla sua scarcerazione.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Con oltre 238 mila preferenze Beleri si è assicurato un posto tra i 7 eurodeputati conservatori eletti (su 21 totali per la Grecia) e subito dopo la comunicazione dei risultati definitivi ha rivendicato il suo successo in una “lotta per la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà e la dignità dei cittadini”. Quella che da mesi è diventata una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra Albania e Grecia ha denunciato Tirana sulle “condizioni inimmaginabili per un Paese che vuole entrare a far parte della famiglia europea” e ha ringraziato il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, per “l’opportunità di essere candidato, cosa di cui sarò sempre grato”. A questo punto però sarà una Corte d’appello speciale albanese a prendere martedì prossimo (25 giugno) la decisione definitiva, con lo scenario non improbabile di uno scontro giudiziario con Atene, al punto che Beleri ha anticipato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea: “So che il sistema giudiziario in Albania è controllato da Edi Rama“.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    Anche la Grecia potrebbe aprire un caso di immunità parlamentare complicato dopo le elezioni europee

    Bruxelles – I casi sono diversi, così come sono diversi i luoghi di detenzione e le motivazioni che hanno spinto le scelte di candidatura. Ma queste elezioni europee 2024 passeranno alla storia anche per le decisioni di due partiti in Italia e in Grecia di includere nelle rispettive liste elettorali ciascuno una persona detenuta in un Paese terzo, aprendo un potenziale scenario inedito a Bruxelles sull’immunità parlamentare.Il sindaco eletto di Himarë (Albania), Fredi Beleri, candidato alle elezioni europee con Nuova Democrazia del primo ministro greco, Kyriakos MitsotakisOltre a Ilaria Salis, cittadina italiana detenuta in Ungheria per più di un anno in condizioni inaccettabili per un Paese membro Ue (solo dal 15 maggio le sono stati concessi gli arresti domiciliari) e candidata capolista nella circoscrizione Nord-ovest con Alleanza Verdi-Sinistra, il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, potrebbe aprire un caso diplomatico post-elezioni tra Bruxelles e Tirana per la decisione di candidare nelle liste del partito al potere Nuova Democrazia una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra i due Paesi confinanti: il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023.Il caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisIn Grecia il sistema di voto prevede le preferenze e, con la nomina di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento. I sondaggi danno Nuova Democrazia al 33 per cento e non sembra improbabile che, grazie al sistema delle preferenze, Beleri possa essere tra gli otto eurodeputati eletti, facendo scattare a Bruxelles l’iter per l’immunità parlamentare.

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    La triplice strategia per l’autonomia dei Balcani dal gas russo: nuovi fornitori, espansione della produzione e più GNL

    Bruxelles – Trovare soluzioni per l’indipendenza energetica dalla Russia è una priorità per l’Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione Europea. La guerra in Ucraina sta aumentando la pressione anche sui Balcani Occidentali, la regione che aspira ad accedere nel prossimo futuro nell’UE e che è alla ricerca di nuove forniture di gas per liberarsi dalla dipendenza russa. Una strategia che potrebbe rappresentare un punto di forza anche per il resto del continente, nonostante non siano da sottovalutare le complessità.
    Per i Balcani il discorso sulla dipendenza dal gas russo vale doppio. Mentre per l’Unione Europea la domanda di questa risorsa energetica dipende al 40 per cento dal Cremlino, alcuni Paesi della regione – come Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord – dipendono totalmente dal Cremlino. È per questa ragione che i Paesi balcanici sono scettici sulla possibilità che Bruxelles adotti un embargo sulle importazioni di gas dalla Russia. Non va dimenticato che il sesto pacchetto di sanzioni sta però creando per la prima volta tensioni e ritardi all’interno dei Ventisette: il premier ungherese, Viktor Orbán, guida il fronte dei contrari, mentre l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, ha avvertito che “un embargo energetico non deve essere più doloroso per gli europei che per la Russia”.
    Nello sforzo di indipendenza dalle fonti energetiche russe, se si considera l’Europa sud-orientale le vie praticabili sono tre: il collegamento con fornitori alternativi di gas, l’espansione della produzione locale e l’aumento delle consegne di gas naturale liquefatto (GNL). Un ruolo cruciale lo gioca il Paese membro UE più importante nella penisola balcanica, la Grecia. “Il Mediterraneo orientale diventa ancora più importante ora che si cerca una diversificazione delle fonti per allontanarci dal petrolio e dal gas russo”, ha spiegato a inizio aprile il premier greco Mitsotakis sottolineando che “dovremmo studiare tutti i progetti di interconnessione in quest’area, attraverso oleodotti, gasdotti e GNL”.
    Anche per i Balcani la chiave per l’autonomia strategica sul gas è la diversificazione. Nei prossimi cinque anni il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP), che dall’Azerbaijan corre attraverso la Grecia e l’Albania e sotto l’Adriatico fino all’Italia, dovrebbe essere in grado di raddoppiare la propria capacità, dagli attuali 10 miliardi di metri cubi a 20: il gasdotto di interconnessione Grecia-Bulgaria entrerà in funzione a settembre di quest’anno, mentre è in costruzione quello che da Salonicco trasporterà il gas verso la Macedonia settentrionale, con la prospettiva di raggiungere anche Kosovo e Serbia. Le riserve sottomarine di gas nel Mediterraneo orientale potrebbero fornire all’Europa circa 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma si dovranno trovare modalità per risolvere le tensioni geopolitiche nell’area e per riprendere i discorsi sul Gasdotto EastMed, un progetto da 6 miliardi di euro che dovrebbe trasportare il gas dai depositi al largo di Israele e dell’Egitto attraverso Cipro e Grecia. Ad Alessandropoli, città della Grecia nord-orientale, entro la fine del 2023 dovrebbe entrare in funzione un terminale di GNL con una capacità di 5,5 miliardi di metri cubi, che rappresenterà un punto di riferimento anche per Paesi come Macedonia del Nord e Bulgaria.
    Nonostante sembri quasi impossibile rinunciare sul breve periodo agli impianti di Gazprom, la strategia di diversificazione delle forniture di gas potrebbe essere vincente nei Balcani. Sviluppando questa triplice strategia, si potrebbero coprire quasi completamente i volumi modesti di gas richiesti dalle economie e dalle società della regione. Come esempio, è sufficiente pensare che la Grecia, il Paese più sviluppato della penisola, consuma 5,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno (l’Italia 76,1). In uno scenario di lungo periodo, la penisola balcanica e il continente europeo potranno ancora aver necessità delle fonti energetiche russe, ma non esserne dipendenti, sviluppando dialoghi e partnership strategiche con attori geopolitici dall’Asia al Medioriente, fino all’Africa.

    Alcuni Paesi della penisola (Serbia, Bosnia e Macedonia del Nord) dipendono quasi totalmente dal Cremlino. Ma la Grecia sta guidando gli sforzi di indipendenza energetica attraverso il rafforzamento dei gasdotti alternativi e un nuovo terminale di gas naturale liquefatto

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    Accordo tra Italia e Grecia: fissati i confini marittimi, potenziata la cooperazione tra Roma e Atene

    Bruxelles – L’incontro alla Farnesina trai ministri degli Esteri di Italia Grecia ha visto lo scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo sui confini marittimi dei due Paesi. Nikos Dendias, in una lettera indirizzata all’omologo italiano Luigi di Maio, ha parlato di “un atto simbolico di eccezionale importanza”.
    L’accordo tra Italia e Grecia e la ZEE
    Un’intesa era stata già trovata nel giugno del 2020, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale nel 2021. Adesso l’accordo diventa realtà anche sul piano internazionale. I confini marittimi ricalcano quelli disegnati già nel 1977. All’epoca però non erano state definite le specificità funzionali delle zone disegnate. Adesso Atene e Roma si sono accordate per delimitare le rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). 
    Si tratta della prima ZEE formalmente dichiarata dall’Italia. Fino al 2020 la Penisola era uno dei pochi Paesi Mediterranei a non aver esteso il proprio diritto esclusivo su un braccio di mare oltre le 12 miglia di acque territoriali. Tutt’oggi i confini marittimi e di sfruttamento delle risorse italiani sono fonte di controversie con Malta, Algeria e Tunisia, non esistendo una zona definita nel Canale di Sicilia e al largo delle coste sarde.
    Luigi di Maio auspica che l’accordo odierno possa “rappresentare un modello per il futuro”. Le ZEE sono in genere proclamate tramite decisioni unilaterali, ma solo l’accordo con i Paesi confinanti assicura che le delimitazioni vengano realmente rispettate. Un approccio simile a quello tenuto con la Grecia potrebbe ad esempio essere replicato con le nazioni sull’altro lato dell’Adriatico, con cui Roma ha in generale buoni rapporti.

    Non solo confini marittimi
    Ma i ministri non hanno discusso solo di confini marittimi. Come ha dichiarato di Maio, Italia e Grecia hanno affrontato una serie di dossier che spaziano dal “rafforzare il ruolo di hub energetici in Europa” alla “collaborazione sui temi europei, in particolare sulla necessità di un accordo sulle migrazioni”. L’incontro ha confermato che le due diplomazie sono d’accordo per una soluzione promossa dall’UE per evitare l’instabilità nei Balcani occidentali.
    Sul tavolo anche la Libia. Dendias ha ribadito la sua fiducia nella Conferenza internazionale sul futuro del Paese che inizierà a Parigi il 12 novembre. Lo scopo fondamentale per il ministro greco è quello di “favorire l’uscita dei mercenari dal Paese”, insieme a “un impegno di lungo periodo per ricostruire lo Stato”.
    Stando alle dichiarazioni dei funzionari del governo italiano l’accordo è solo una questione tra Roma ed Atene. Ma la lettera scritta dal ministro degli Esteri greco è indirizzata anche ad un altro interlocutore, la Turchia. Nel documento Dendias fa riferimento alle continue “violazioni del diritto internazionale” operate dalla marina turca nel Mediterraneo orientale e alla “ricerca di un casus belli” contro la Grecia.
    Dichiarazioni che fanno pensare che l’accordo con l’Italia, almeno per la Grecia, è una risposta all’intesa che Erdogan ha raggiunto con il governo dell’ex premier libico al-Sarraj nel 2019, per la creazione di un corridoio economico esclusivo tra Turchia e Libia. Questa delimitazione comprende anche alcuni tratti di mare a largo dell’isola di Creta che Atene rivendica come di propria competenza.

    L’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi era stato firmato nel giugno del 2020 e riprendeva i confini di un’intesa siglata già nel 1977, ma negli ultimi 45 anni non erano ancora state individuate le rispettive zone di giurisdizione funzionale

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    Mediterraneo orientale, presto un cavo sottomarino tra Grecia ed Egitto

    Bruxelles – Per la prima volta nel Mediterraneo orientale, un cavo elettrico sottomarino collegherà Africa ed Europa. Oggi 14 ottobre il ministro dell’Ambiente e dell’Energia greco Konstantinos Skrekas e il ministro dell’Energia elettrica egiziano Mohamed Shaker firmeranno ad Atene un memorandum d’intesa, che potrà poi diventare un accordo intergovernativo.
    La grande infrastruttura consentirà all’Egitto di esportare il suo surplus di energia elettrica pulita, derivante in massima parte dalla diga di Assuan, e di accreditarsi come hub energetico dell’intero Mediterraneo allargato. Per facilitarne il finanziamento, il governo di Kyriakos Mitsotakis chiederà di inserire il cavo nei progetti di interesse comune (PCI) dell’Unione europea. L’energia egiziana non sarà importata dalla sola Atene, ma anche da altri Paesi dell’Unione. Oltre alla Grecia, nel progetto è coinvolta anche Cipro. Sabato 16 ottobre il ministro Shaker sarà a Nicosia per firmare un accordo simile a quello greco con la ministra dell’Energia cipriota Natasa Pilides, mentre martedì 19 ottobre i tre ministri si vedranno tutti insieme. L’idea nel prossimo futuro è quella di collegare le reti elettriche dei tre Paesi, che già cooperano su molti temi.
    Grecia, Cipro ed Egitto condividono la preoccupazione per il crescente attivismo della Turchia nella regione. In particolare, Ankara avanza pretese sui ricchi giacimenti di gas che secondo Nicosia ricadono nella propria zona economica esclusiva (ZEE), oltre ad aver iniziato esplorazioni ritenute illegali da Atene davanti alle isole greche dell’Egeo. In Libia la Turchia ha sostenuto militarmente il governo di Fayez al-Serraj in cambio di una revisione favorevole ad Ankara della ZEE libica, mentre l’Egitto è uno storico sponsor del generale della Cirenaica Khalifa Haftar. Sempre in tema di zone economiche esclusive, Grecia ed Egitto hanno firmato nell’agosto 2020 un accordo che ridefinisce le rispettive ZEE. Nel giungo 2021, la storica visita del primo Ministro greco Mitsotakis al Cairo e ad Alessandria. La cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo è sempre più stretta.

    Atene e il Cairo firmano un memorandum d’intesa per la costruzione di un nuovo cavo sottomarino per l’esportazione dell’energia egiziana. Il 16 ottobre sarà firmato un simile accordo con Cipro. Dietro la collaborazione la comune rivalità con la Turchia

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    Perso il contratto in Australia la Francia si consola con la Grecia: ad Atene navi per tre miliardi

    Bruxelles – La Francia costruirà almeno sei navi da guerra per la marina militare della Grecia, per un costo stimato di tre miliardi di euro. Persa la ricca commessa australiana nella vicenda AUKUS, Parigi si consola con una piccola fornitura all’armatissime forze armate di Atene.
    Il presidente francese Emmanuel Macron e il premier greco Kyriakos Mitsotakis lo hanno annunciato oggi in una conferenza stampa congiunta a Parigi. Nel corso della visita, Mitsotakis ha presieduto l’inaugurazione di una mostra al Louvre che celebra il contributo francese all’indipendenza della Penisola ellenica.
    Per Mitstotakis si tratta di un accordo storico, che “legherà Grecia e Francia per decenni” e “apre la porta all’Europa di domani, che sarà forte, autonoma e capace di difendere i propri interessi”. Con l’occasione il presidente francese ha esortato ancora una volta i Paesi europei al perseguimento dell’autonomia strategica. Macron ha poi ribadito che non c’è alcuna intenzione di renderla alternativa all’alleanza con gli Stati Uniti – replica dell’approccio tenuto nella telefonata con il presidente Biden della scorsa settimana.
    La commessa della Francia per le fregate alla Grecia
    L’accordo prevede la fornitura alla Grecia di tre fregate e tre corvette. In seguito alla commessa potrebbe aggiungersi una quarta fregata. Secondo la stampa di settore per le fregate le forze armate greche avrebbero scelto la nuova classe FDI, nave di taglia intermedia prodotte dalla francese Naval Group. Le corvette sarebbero invece quelle della classe Gowind, imbarcazioni più piccole ed economiche equipaggiate per missioni antisommergibile e antinave.
    I costi della vendita sono stimati a tre miliardi di euro, ma è probabile che lievitino in corso d’opera: almeno altri 100 milioni saranno necessari per dotare le fregate dei sistemi di contromisure elettroniche di cui al momento sono sprovviste. Ciò che sorprende è la tabella di marcia forzata proposta da Parigi. Le prime navi dovranno essere consegnate entro il 2025 e le ultime entro la fine dell’anno successivo – tempi strettissimi considerata la mole delle imbarcazioni.
    La commessa, annunciata con grande enfasi dall’Eliseo, segue la delusione per la cancellazione di un accordo di forniture militari con l’Australia per un totale di 50 miliardi di euro. In quel caso la Naval Group avrebbe dovuto costruire dodici sottomarini diesel di classe Scorpene per la marina Australiana. Il governo di Canberra aveva cambiato idea in seguito all’annuncio del patto strategico AUKUS, optando per quelli anglo-americani a propulsione nucleare e causando l’ira di Parigi.
    Non solo navi: l’intesa tra Atene e Parigi
    Insieme alle forniture militari, i leader dei due paesi hanno annunciato che la cooperazione nel settore della difesa verrà approfondita. Secondo Bloomberg, le trattative trai due paesi avrebbero prodotto un’intesa sulla mutua assistenza in caso di invasione del territorio nazionale “con ogni mezzo a disposizione, incluso l’utilizzo della forza militare”.
    Il messaggio è rivolto in primis alla Turchia, le cui mire nel Mediterraneo turbano sia la Francia che la Grecia. Appena un anno fa, nell’estate del 2020, navi greche e turche erano arrivate a speronarsi dopo settimane di tensioni. Negli stessi giorni una fregata francese veniva messa sotto tiro da imbarcazioni turche al largo della Libia.
    Atene e Parigi cementano ulteriormente la partnership nel settore della difesa. A inizio 2021 l’aviazione greca aveva già acquistato 18 caccia Dassault Rafale di produzione francese, poi diventati 24 in un nuovo accordo raggiunto a inizio settembre. Il costo totale della commessa si aggira intorno a 2 miliardi e mezzo di euro.
    Proprio la sintonia sul dossier turco potrebbe essere alla base dell’accordo odierno. Come hanno riportato alcuni analisti greci, le navi transalpine erano l’alternativa più costosa tra quelle proposte alla marina greca. Solo i francesi, tra tutti i concorrenti (Olanda, Stati Uniti, Regno Unito), avrebbero però potuto assicurare anche l’impegno per l’assistenza militare.

    Dopo la cancellazione del “contratto del secolo” con la Marina australiana, la Naval Group francese conclude con successo un accordo per la vendita di almeno sei navi da guerra a partire dal 2025

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    Afghanistan, eurodeputati invocano corridoi umanitari. Ma Grecia, Bulgaria e Polonia militarizzano le frontiere

    Bruxelles – A quattro giorni dalla scadenza per le operazioni di evacuazione straniere in Afghanistan – in ore di concitazione dopo gli attacchi suicidi di ieri (26 agosto) all’aeroporto internazionale di Kabul – e con i Paesi occidentali che stanno chiudendo in tutta fretta i ponti aerei, una domanda è rimasta in sospeso: che ne sarà dei cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi e di quelli che cercheranno di fuggire dal regime dei talebani?
    I Paesi occidentali avevano promesso a tutti coloro che negli ultimi 20 anni avevano collaborato col le forze statunitensi, europee e della NATO che sarebbero stati evacuati con le rispettive famiglie dal Paese. Promessa estesa poi anche ai gruppi che potrebbero diventare un bersaglio del nuovo regime, come donne, studenti universitari e membri di associazioni internazionali (come quelli di Friday’s For Future, per la cui evacuazione l’attivista Greta Thunberg ha lanciato un appello urgente).
    Sembra però quasi impossibile rispettare l’impegno, anche a causa della volontà del presidente statunitense, Joe Biden, di rispettare tassativamente la scadenza del 31 agosto per il ritiro completo delle truppe. Ma come riporta The New York Times, sarebbero ancora almeno 250 mila gli afghani che hanno lavorato con gli Stati Uniti che devono ancora essere evacuati, mentre i Paesi europei si stanno ritirando uno dopo l’altro ben prima del termine ultimo fissato dai talebani per lasciare l’aeroporto di Kabul.
    Evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul
    Una soluzione per chi non ce la farà, potrebbero essere i corridoi umanitari. A Bruxelles se ne sta parlando da giorni, nonostante l’opposizione di diversi Stati membri UE e della presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE. A chiederlo con forza in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono stati 76 membri del Parlamento UE. Tra loro, 22 eurodeputati italiani: 9 del Partito Democratico (Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino, Massimiliano Smeriglio, Patrizia Toia, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Giuliano Pisapia e Pietro Bartolo), 8 del Movimento 5 Stelle (i promotori Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara, Tiziana Beghin, Chiara Gemma, Daniela Rondinelli, Mario Furore, Dino Giarrusso e Sabrina Pignedoli) e 3 di Europa Verde (Eleonora Evi, Rosa D’Amato e Ignazio Corrao) oltre alle firme di Salvatore De Meo (Forza Italia) e Anna Bonfrisco (Lega).
    “È fondamentale attivare immediatamente i corridoi umanitari”, si legge nella lettera, che fa riferimento all’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001: “Abbiamo già una base legislativa e normativa, ma non l’abbiamo mai usata”. La direttiva “stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo, come quella attualmente in corso in Afghanistan”. In questo caso viene stabilito un meccanismo di emergenza “per fornire protezione immediata e temporanea a sfollati che sono impossibilitati a tornare nel proprio Paese d’origine”. Tutti criteri “perfettamente applicabili” nel caso dei cittadini afghani in fuga.
    Nonostante la direttiva non sia mai stata sfruttata da quando è entrata in vigore, “è arrivato il momento di mettere fine a questa inazione e l’Afghanistan rappresenterebbe l’occasione perfetta per farlo“. La Commissione UE dovrebbe svolgere un ruolo di “mediatore umanitario”, cercando di “incoraggiare i Paesi membri ad attuare programmi vasti ed efficaci per proteggere i rifugiati afghani”, spiegano i firmatari. “Non possiamo voltare loro le spalle nel momento in cui hanno più bisogno di noi“, anche considerate le responsabilità “non trascurabili” dell’Occidente nell’aver determinato la situazione attuale nel Paese, ma anche il supporto “sostanziale” offerto dagli afghani negli ultimi 20 anni. Insieme ai “partner storici” di Washington e Londra, è necessario “aprire discussioni diplomatiche per implementare misure a garanzia della loro protezione”.
    Secondo il vicepresidente dell’Eurocamera, Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), “al Parlamento è possibile arrivare a una chiara e forte maggioranza in favore dei corridoi umanitari europei”, già a partire dalla plenaria di settembre: “Siamo pronti a fare la nostra parte, mettendo al centro solidarietà e responsabilità”. Una risposta all’atteggiamento “di chiusura” di alcuni Paesi membri UE (tra cui Austria, Slovenia e Ungheria), che “non rappresenta la posizione ufficiale delle istituzioni europee e siamo certi essere in minoranza anche in Consiglio”, attacca Castaldo. Nella lettera dei 76 eurodeputati viene sottolineato che “è in gioco la nostra credibilità come attore coinvolto nella protezione e nella promozione dei diritti umani” e per questo motivo “è essenziale utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per alleviare il più possibile le sofferenze del popolo afghano”.

    The EU must not overlook what is happening in Kabul & Afghanistan and stand up for #HumanRights! 🇦🇫
    With ~80 MEPs, we call on @vonderleyen, @JosepBorrellF & @YlvaJohansson to act & to activate humanitarian corridors immediately by using the #TemporaryProtectionDirective. pic.twitter.com/IwcqT4b5ih
    — Tilly Metz MEP (@MetzTilly) August 26, 2021

    Filo spinato e soldati alla frontiera
    La situazione alle frontiere esterne dell’UE dice però tutt’altro. Nelle ultime 48 ore Grecia, Bulgaria e Polonia hanno iniziato a militarizzare i propri confini, anticipando una possibile crisi migratoria. Da Sofia è arrivato l’annuncio che saranno inviati tra i 400 e i 700 soldati lungo le frontiere con Grecia e Turchia, punto d’ingresso via terra della rotta balcanica. “La pressione sul confine bulgaro sta aumentando e questo richiede al governo di agire”, ha spiegato Georgi Panayotov, ministro della Difesa. “I soldati aiuteranno la polizia per la sorveglianza e la costruzione di barriere“.
    Da Atene sono invece arrivate le dichiarazioni del ministro dell’Immigrazione, Notis Mitarachi, e del capo della protezione civile, Michalis Chrisochoidis, che hanno ribadito “l’inviolabilità dei confini della Grecia, perché non possiamo aspettare passivamente l’impatto di un flusso simile a quello del 2015”. Il governo ha già terminato i lavori di estensione di 40 chilometri del muro di confine con la Turchia, mentre nuove pattuglie sono state attivate per le operazioni di controllo. L’arsenale della polizia di frontiera è stato ulteriormente rafforzato con gas lacrimogeni, granate stordenti, telecamere e radar con una copertura di 15 chilometri in territorio turco.
    E poi c’è la Polonia, che ha iniziato ufficialmente i lavori di costruzione della recinzione di filo spinato al confine con la Bielorussia. In questo caso la questione migratoria si intreccia con il deterioramento dei rapporti dell’Unione Europea con la Bielorussia di Alexander Lukashenko e l’aumento esponenziale degli ingressi irregolari di persone migranti, provenienti dal Medioriente e dall’Africa lungo rotta bielorussa. L’ultimo dittatore d’Europa sta agevolando il flusso come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles al Paese e la Lituania è stato il primo Paese membro UE a iniziare la costruzione di una barriera per bloccarlo.
    Dopo aver annunciato l’intenzione di fare lo stesso, il governo di Varsavia ha dato il via alle operazioni di installazione di una rete di filo spinato lungo i 399 chilometri di confine tra Polonia e Bielorussia: “Da mercoledì sono stati eretti quasi tre chilometri di recinzione”, ha scritto su Twitter il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, aggiungendo che sono stati mobilitati oltre 1.800 soldati per dare aiuto alla polizia di frontiera.

    Wzmacniamy granice! Żołnierze rozpoczęli budowę ogrodzenia na granicy polsko-białoruskiej. Płot zwiększy jej szczelność i znacznie utrudni próby nielegalnego przekraczania. pic.twitter.com/QRZMzK2CZI
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 25, 2021