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    Palestina, una nuova Flotilla veleggia verso Gaza. Le piazze di tutto il mondo chiedono la fine del genocidio

    Bruxelles – C’è una nuova flotilla che veleggia verso Gaza. Mentre gli attivisti rapiti e deportati da Israele nei giorni scorsi stanno rientrando nei rispettivi Paesi, una spedizione più piccola sta navigando nel Mediterraneo orientale per raccogliere il testimone lasciato dai velieri intercettati in questa staffetta di solidarietà transnazionale. L’obiettivo rimane lo stesso: raggiungere le coste dell’exclave palestinese, rompere il blocco navale illegale imposto da Tel Aviv nel 2009 e consegnare nella Striscia gli aiuti umanitari per offrire sollievo alla popolazione stremata dallo sterminio sistematico che va avanti, nella sua versione più eclatante, da quasi due anni.Le nove imbarcazioni, che si trovano attualmente (6 ottobre) al largo dell’Egitto, sono state messe in mare dall’iniziativa Thousand Madleens, affiliata alla Global Sumud Flotilla, la missione della società civile internazionale che nelle ultime settimane ha contribuito in maniera determinante a mantenere alta l’attenzione mediatica e politica del mondo intero sul genocidio dei palestinesi perpetrato dallo Stato ebraico a Gaza (come documentato dalle Nazioni Unite e dalle stesse ong israeliane).La prima spedizione ospitava a bordo delle oltre 40 navi, fermate con metodi pirateschi da Israele in acque internazionali tra il 2 e il 3 ottobre, un buon numero di figure pubbliche (su tutti, gli attivisti Greta Thunberg e Thiago Ávila) e politici di varie nazionalità, inclusi quattro italiani: i parlamentari Marco Croatti (senatore M5s), Arturo Scotto (deputato Pd), Benedetta Scuderi (eurodeputata Avs) e Annalisa Corrado (eurodeputata Pd). Stavolta, gli equipaggi sono più ridotti e non annoverano nomi famosi. Il che non lascia ben sperare per il trattamento che verrà riservato ai naviganti, considerato quello usato dagli apparati di sicurezza israeliani fin qui.L’attivista svedese Greta Thunberg arriva all’aeroporto di Atene dopo la detenzione in Israele, il 6 ottobre 2025 (foto: Aris Messinis/Afp)Stando alle testimonianze di diversi attivisti rilasciati da Tel Aviv nelle ultime ore, incluso il giornalista italiano Saverio Tommasi, le autorità dello Stato ebraico avrebbero praticato contro di loro atti di tortura sin dall’intercettazione delle navi e fino alla fine della detenzione. I resoconti menzionano violenze fisiche, verbali e psicologiche per umiliarli, ricorrendo a trattamenti inumani e degradanti soprattutto durante la permanenza nelle strutture detentive. Thunberg, ad esempio, sarebbe stata avvolta in una bandiera israeliana e portata in trionfo dai militari di Tel Aviv come un trofeo di caccia, per poi finire in una cella infestata di cimici da letto. Lo stesso Tommasi ha dichiarato di essere stato percosso ripetutamente ed esposto al pubblico ludibrio dei soldati.La Farnesina ha annunciato nel pomeriggio il ritorno in patria degli ultimi 15 italiani ancora detenuti in Israele. Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani sono tutti “in ottime condizioni fisiche”. Tel Aviv ha detto di aver espulso oggi 171 cittadini europei (tra cui Thunberg e i nostri connazionali) verso la Grecia e la Slovacchia, mentre almeno altri 138 si troverebbero ancora in custodia. Lo scorso 3 ottobre erano già rientrati in Italia i quattro parlamentari che avevano preso parte alle missione, mentre durante il weekend è toccato ad altri 26 cittadini della Repubblica.Le azioni di Tel Aviv, del resto, hanno scatenato una risposta trasversale della società civile globale dalle proporzioni inaspettate. Negli ultimi giorni, milioni di persone si sono riversate in strada in Europa e in tutto il mondo, occupando coi propri corpi lo spazio pubblico attraverso partecipatissime proteste che portavano un doppio messaggio di solidarietà: sia verso il popolo palestinese, massacrato in diretta nell’assordante silenzio dei governi mondiali, sia verso gli attivisti della Flotilla. Da Berlino a Città del Messico, da Madrid a Montreal, da Istanbul a Melbourne, da Stoccolma a Buenos Aires, da Amsterdam a Kuala Lumpur.La manifestazione nazionale per la Palestina a Roma, il 4 ottobre 2025 (foto: Alessandro Amoruso via Imagoeconomica)In un inedito storico, l’epicentro di questo movimento transnazionale spontaneo è stato proprio il Belpaese. L’apice della mobilitazione nazionale si è registrato a Roma sabato scorso (4 ottobre), quando centinaia di migliaia di manifestanti – gli organizzatori parlano di oltre un milione di presenze – hanno letteralmente inondato le strade della capitale sfilando in un immenso corteo, colorato e plurale, per chiedere pacificamente la fine del genocidio a Gaza, il riconoscimento incondizionato della Palestina, la protezione diplomatica per gli attivisti della Flotilla e la fine della complicità del governo italiano coi crimini di guerra commessi da Tel Aviv nella più totale impunità e in sfregio assoluto del diritto internazionale.Il capodelegazione del Partito democratico all’Eurocamera, Nicola Zingaretti, ha espresso il suo sostegno per le manifestazioni del weekend definendole “un segnale straordinario di vitalità della nostra democrazia“. Al netto dei posizionamenti dei partiti, sembra proprio che la società civile stia cominciando a prendersi in carico, con una spinta intergenerazionale dal basso come non se ne vedevano dal G8 di Genova del 2001, la difesa di quel diritto internazionale considerato valido “fino a un certo punto” proprio da chi – come lo stesso Tajani – dovrebbe invece, almeno teoricamente, sostenerlo e tenerlo al riparo da violazioni e abusi, anche se questi ultimi vengono commessi da potenze alleate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sinistra) e il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Intanto a Strasburgo, dov’è appena iniziata la plenaria dell’Europarlamento, sono state bocciate due mozioni presentate da altrettanti gruppi dell’emiciclo (i Verdi e la Sinistra) per inserire nel calendario odierno un dibattito sulle sorti della Flotilla. Ad ogni modo, una discussione su Gaza (incluso sugli sforzi diplomatici per pervenire ad una soluzione negoziata del conflitto) è fissata per domani, nel giorno del secondo anniversario dall’attacco di Hamas del 2023.In queste stesse ore, in Egitto, si stanno incontrando gli emissari di Israele e di Hamas per negoziare indirettamente i termini del piano di pace in 20 punti stilato da Donald Trump con l’ausilio dell’ex premier britannico Tony Blair e reso pubblico a fine settembre dal presidente statunitense durante la visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Washington. In linea di massima entrambe le parti avrebbero accettato la bozza di accordo, ma rimane da definire una serie di dettagli cruciali come, tra gli altri, il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia, il disarmo dell’organizzazione palestinese, il rilascio degli ostaggi e la distribuzione degli aiuti umanitari nell’exclave costiera.

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    La risoluzione su Gaza divide l’Aula di Strasburgo. È scontro sul termine genocidio

    Bruxelles – Che redigere un testo comune sulla tragedia umanitaria in atto a Gaza fosse un compito difficile, lo dimostra il fatto che – a quasi due anni dal 7 ottobre 2023 – il Parlamento europeo si è sempre finora sottratto dall’incombenza. I gruppi politici metteranno per la prima volta ai voti una risoluzione giovedì 11 settembre, e le negoziazioni sono serrate. Il rischio di incagliarsi su punti di vista inconciliabili è altissimo, a partire dalla questione ‘genocidio sì’ o ‘genocidio no’.A insistere per riconoscere l’intento genocidario dell’azione militare israeliana è la famiglia socialista. A costo di fratture con la destra moderata. L’eurodeputata del Partito Democratico, Lucia Annunziata, l’ha affermato chiaramente in Aula: “Se per uscire dall’impasse in cui siamo oggi dobbiamo dividerci sul genocidio, dividiamoci pure”. Che gli oltre 64 mila morti palestinesi, il blocco agli aiuti umanitari, le evacuazioni forzate e le occupazioni coatte costituiscano un genocidio, ne è sicura anche la capogruppo S&d, Iratxe Garcia Perez, che tuttavia mantiene una certa cautela: “Quello che sta succedendo è un genocidio. Se ci sono problemi con il modo in cui lo chiamiamo, negozieremo. Sono disposta a negoziare”, ha aperto in mattinata la socialista spagnola.Chi non sembra disposto a scendere a compromessi, sono i 46 del gruppo della Sinistra europea: “Quello che vogliamo è una condanna chiara al genocidio, sostegno alla Corte penale internazionale” e “sanzioni a Netanyahu”, ha elencato il copresidente Martin Schirdewan. Nel testo depositato dal gruppo compaiono anche una dura critica ai leader delle istituzioni europee, colpevoli di “silenzi prolungati e mancanza di chiare condanne” dei crimini commessi da Israele, la richiesta di un embargo totale sulle armi a Tel Aviv e la “cessazione immediata” dell’accordo Ue-Israele nella sua interezza.La capogruppo S&D Iratxe García Pérez e il capogruppo Ppe Manfred Weber (foto: EP)Numeri alla mano, è difficile che l’ambizioso testo proposto dalla sinistra radicale venga accolto dall’Aula. D’altra parte, le mozioni messe sul tavolo dai gruppi di destra ed estrema destra – Conservatori (Ecr) e Patrioti (PfE) – non contengono nessun elemento capace di aumentare la pressione sul governo di Netanyahu. Anzi, Ecr chiede che il Parlamento “respinga le accuse infondate secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio a Gaza”, ed entrambi incoraggiano una “continua cooperazione” con Tel Aviv nell’ambito dell’Accordo di associazione.Verosimilmente, il compromesso sarà raggiunto al centro, tra Popolari e Socialisti, con l’appoggio dei liberali di Renew e del gruppo dei Verdi. Sulla questione genocidio, la linea ufficiale dei primi è che “non spetta al Parlamento europeo decidere“, ma alle “procedure in corso presso organismi internazionali”, mentre il negoziatore dei Verdi per la risoluzione, Villy Søvndal, ha preferito parlare di “spargimento di sangue”, senza ricorrere al termine genocidio. Per il resto, i paletti fissati da liberali ed ecologisti ricalcano quelli indicati da S&d: sanzioni ai ministri estremisti israeliani, la sospensione del pilastro commerciale dell’accordo di associazione Ue-Israele e lo stop alla vendita e al trasferimento di armi verso Tel Aviv. Oltre che un cessate il fuoco immediato e l’ingresso di aiuti umanitari in larga scala nella Striscia di Gaza.Nessuno di questi punti è però presente nel testo redatto dal Ppe. Il suo leader, Manfred Weber, ha affermato questa mattina che “non aiuta avere un dibattito sulla formulazione, sulla parola genocidio o no”, ma che “quello che conta è trovare unità, trovare un approccio comune”. Per i popolari, il Parlamento europeo deve limitarsi a lanciare un appello per “un cessate il fuoco immediato, per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas e per un flusso senza ostacoli di generi alimentari e aiuti umanitari per la popolazione di Gaza”, ha spiegato il relatore Michael Gahler. Aggiungendo che “non deve esserci alcuna evacuazione forzata dei civili che vivono nella città di Gaza”.L’esercito israeliano ha però già ordinato l’evacuazione immediata di Gaza City. E per quanto riguarda le altre richieste, i capi di Stato e di governo dell’Ue e l’Alta rappresentante le ripetono come un disco rotto da mesi, senza che abbiano sortito alcun effetto. Il rischio è, come paventato dalla leader socialista Perez, il Ppe metta gli altri gruppi di fronte a una “risoluzione vuota”, che “dice la stessa cosa che abbiamo sentito negli ultimi mesi, ovvero niente”. In definitiva, che l’Eurocamera si scopra effettivamente incapace di fare la propria parte per mettere fine alla sofferenza di oltre un milione di civili palestinesi. Genocidio o no.

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    La Commissione Ue precisa: su Gaza Ribera ha parlato a suo nome, non c’è una decisione sulla parola “genocidio”

    Bruxelles – Teresa Ribera non ha parlato a nome della Commissione. La vice presidente che ieri (4 settembre) ha definito il massacro di Gaza ad opera di Israele un “genocidio”, l’ha fatto a suo nome. Esclusivamente.La continua fuga dell’esecutivo von der Leyen dal prendere una posizione di esplicita condanna politica a quanto sta facendo l’esercito di Israele a Gaza è stata certificata dalla portavoce Paul Pinho, che oggi ha precisato che “non sta alla Commissione giudicare le definizioni”, e che dunque sulla definizione di genocidio “non c’è una decisione del collegio”.La Commissione, attraverso il portavoce per gli Affari esteri, si trincera dietro la magistratura, affermando che queste definizioni “sono di competenza delle magistrature nazionali e internazionali, dopo aver correttamente stabilito i fatti”.

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    La vice presidente della Commissione UE Ribera: A Gaza è “genocidio”

    Bruxelles – Anche per la vice presidente della Commissione europea, la socialista spagnola Teresa Ribera a Gaza è in corso “un genocidio”.“Il genocidio a Gaza mette in luce l’incapacità dell’Europa di agire e parlare con una sola voce“, ha scandito Ribera nel discorso tenuto questa mattina (minuto 8.08) agli studenti della Paris School of International Affairs of Sciences Po.Questa sfida, ha sottolineato la vice presidente, arriva di fonte alle “proteste che si diffondono nelle città europee e 14 membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiedono un cessate il fuoco immediato”.

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    La Global Sumud Flotilla naviga verso Gaza, Israele prepara una reazione muscolare

    Bruxelles – Il maltempo non ferma la Global Sumud Flotilla. Seppur con qualche ritardo sulla tabella di marcia iniziale, i partecipanti all’iniziativa transnazionale hanno ripreso il mare e stanno navigando verso le coste di Gaza. Nei prossimi giorni altre imbarcazioni si uniranno alla spedizione umanitaria per fornire sollievo ai palestinesi della Striscia, che Israele sta massacrando indiscriminatamente da oltre 22 mesi. Sui ponti della “flotta resistente” anche diversi politici italiani.Continua ad allargarsi il sostegno internazionale alla missione di solidarietà della Global Sumud Flotilla, la più grande mobilitazione della società civile mai messa in piedi nella storia recente appena salpata alla volta di Gaza. Obiettivo: spezzare il blocco illegale imposto da Israele e aprire un corridoio umanitario marittimo, nel tentativo di far entrare nella Striscia gli aiuti di cui la popolazione palestinese ha un disperato bisogno dopo quasi due anni di bombardamenti incessanti e una carestia creata artificialmente da Tel Aviv.Nelle ultime ore si sono “arruolati” volontariamente svariati politici di diversi Paesi, inclusi quattro italiani. Ci sono le europarlamentari Benedetta Scuderi (Avs) e Annalisa Corrado (Pd), il senatore Marco Croatti (M5s) e il deputato Arturo Scotto (Pd). Con loro anche altri due membri del gruppo della Sinistra all’Eurocamera di Strasburgo, la francese Emma Fourreau e l’irlandese Lynn Boylan (quest’ultimo a bordo di una nave indipendente che monitorerà lo svolgimento delle operazioni).L’eurodeputata di Avs Benedetta Scuderi (foto: Andrea Panegrossi via Imagoeconomica)“Questo governo è complice”, ha denunciato Scuderi additando Palazzo Chigi, rinnovando gli appelli per “fare pressioni” su Benjamin Netanyahu – ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità – e “smettere di inviare armi” a Tel Aviv. L’eurodeputata lamenta peraltro il silenzio di Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sulla Flotilla: né Roma né Bruxelles hanno offerto alcuna copertura politico-istituzionale agli attivisti, che pure stanno cercando di colmare coi loro corpi un vuoto lasciato aperto dalle cancellerie dell’Europa e del mondo.Corrado invoca la “protezione” del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e sottolinea come nella Striscia non siano morti “solo 65mila esseri umani, in gran parte civili e bambini” ma anche “la democrazia, la fiducia nella politica e nelle istituzioni internazionali, tra silenzi e inazione”. “A Gaza stiamo morendo tutte e tutti noi”, osserva, paragonando la Flotilla ad una “arca di Noè del nostro tempo“.La partenza della Flotilla non è stata delle più semplici. A causa delle condizioni meteorologiche avverse, una trentina di navi con oltre 300 attivisti salpate la notte del 31 agosto da Barcellona sono dovute rientrare nel porto catalano poche ore dopo essersi messe in mare, all’alba del primo settembre. Da lì sono ripartite la sera stessa, ma per una seconda volta nella giornata di ieri (2 settembre) cinque piccole imbarcazioni hanno dovuto tornare indietro per riparare i danni.Le altre 24 hanno proseguito, meno sette che hanno fatto tappa alle Baleari per sostenere ulteriori riparazioni e aspettare i natanti che nel frattempo sono ripartiti da Barcellona. Il convoglio si sarebbe dovuto riunire domani (4 settembre) col resto della Flotilla al largo delle coste tunisine, ma a quanto pare l’appuntamento è stato rimandato al 7 settembre. A quel punto si congiungeranno anche i naviganti salpati da Genova, dalla Sicilia e dalla Grecia per veleggiare tutti insieme verso Gaza. L’organizzazione Emergency ha annunciato che si unirà alla missione con la sua nave Life support.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Shaul Golan/Afp)Nel frattempo si intensifica la pressione politica su Israele, anche se continuano a mancare azioni concrete da parte dei governi occidentali per porre fine allo sterminio dei gazawi e assicurare la consegna degli aiuti umanitari nella martoriata exclave costiera. All’Eurocamera di Strasburgo ha raccolto un centinaio di firme la richiesta di interrogazione scritta all’Alta rappresentante Kaja Kallas sulla strage dei cronisti palestinesi a Gaza – oltre 240 dall’ottobre 2023, stando ai dati Onu – avanzata dal dem Sandro Ruotolo, secondo cui “chi colpisce i giornalisti colpisce il diritto a conoscere la verità”.Ieri il Belgio si è aggiunto al novero dei Paesi che si dichiarano pronti a riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, seguendo le più recenti orme di Francia, Malta e Regno Unito. Solo qualche giorno prima, l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidio (Iags) ha certificato che Tel Aviv sta perpetrando il “crimine dei crimini” nella Striscia, come già rilevato dalle stesse ong israeliane.Lo Stato ebraico risponde in maniera muscolare. La marina israeliana ha condotto un’esercitazione nelle acque antistanti Gaza, mentre un numero di droni non identificati sorvola le imbarcazioni della Flotilla, probabilmente per sorvegliarle. Erano senza dubbio israeliani, invece, i droni che hanno colpito le strutture in cui sono stanziati i caschi blu dell’Unifil, così come i velivoli dell’aeronautica di Tel Aviv che nelle scorse ore sono atterrati all’aeroporto militare di Sigonella, dopo aver sorvolato la Sicilia. Quanto agli attivisti della Flotilla, il ministro ultraortodosso della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir li ritiene dei “terroristi” e dice di volerli trattare di conseguenza.

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    Falsa partenza (causa meteo) della Global Sumud Flotilla. Tutti gli occhi su Tel Aviv

    Bruxelles – La Global Sumud Flotilla è dovuta tornare indietro poche ore dopo essere salpata. La gigantesca mobilitazione della società civile internazionale per portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza via mare è partita ieri da diversi porti alla volta dell’exclave palestinese assediata. Dovrebbe arrivare al largo delle coste gazawe tra un paio di settimane, e punta a mantenere alta l’attenzione mediatica per mettere pressione su Israele, che con ogni probabilità impedirà alle imbarcazioni di sbarcare.È partita ieri (31 agosto) la prima parte della Global Sumud Flotilla, una flotta di decine di navi di dimensioni medio-piccole messe in acqua dagli aderenti a quella che potrebbe essere la più grande mobilitazione transnazionale della storia recente, ma è dovuta rientrare in porto poche ore dopo a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Non è chiaro, al momento, quando potrà ritentare il mare.Una ventina di navi sono salpate da Barcellona, dove oltre 5mila persone hanno salutato i circa 300 naviganti: non solo marinai ma anche attivisti, giornalisti, avvocati, medici, personaggi pubblici e membri della società civile. Sulle imbarcazioni, tonnellate di aiuti umanitari per i palestinesi della Striscia, intrappolati da oltre 18 anni di assedio illegale dello Stato ebraico, iniziato nel giugno 2007.Tra gli altri c’era anche Greta Thunberg, che figura nel board dell’iniziativa. “La questione riguarda come le persone vengono deliberatamente private dei mezzi di sussistenza più elementari e come il mondo possa tacere“, ha dichiarato la giovane attivista svedese, accusando Tel Aviv di voler “cancellare la nazione palestinese“.Contemporaneamente, da Genova mollavano gli ormeggi altre imbarcazioni con la “benedizione” della sindaca Silvia Salis. La sera precedente, una manifestazione partecipatissima (gli organizzatori parlano di 50mila presenze) ha portato sul lungomare la cittadinanza per l’ennesima dimostrazione di solidarietà coi gazawi vittime dello sterminio. I rappresentanti dei portuali hanno promesso di “bloccare tutto” – riferendosi alle spedizioni per Israele, incluse quelle di armi, che partono regolarmente dalla Liguria – se verrà usata violenza contro la Flotilla.Altre navi sono partite da altri porti del Mediterraneo occidentale e tutte stanno facendo vela verso la zona centrale del Mare Nostrum dove, il prossimo 4 settembre, raccoglieranno ulteriori naviganti da altre località, incluse Tunisia, Grecia e Sicilia, per un totale di circa 50 imbarcazioni con oltre 500 naviganti provenienti da 44 Paesi. Obiettivo: forzare il blocco, o almeno trasmettere in diretta mondiale la risposta israeliana (negli scorsi mesi, Tel Aviv ha fermato diverse spedizioni umanitarie che avevano tentato di raggiungere Gaza, talvolta ricorrendo a metodi pirateschi come attacchi con droni in acque internazionali). L’arrivo era originariamente previsto per metà settembre.Come qualunque iniziativa simile, nemmeno la Global Sumud Flotilla è esente da critiche. Alcuni osservatori ne hanno messo in dubbio la genuinità e l’opportunità, domandandosi se si tratti di un gesto realmente utile – date le probabilità di successo dell’impresa, prossime allo zero, ma anche dati i costi esorbitanti della mobilitazione e una serie di apparenti inefficienze logistiche – o non piuttosto di una spettacolarizzazione mediatica per fornire all’ennesimo slancio del performattivismo occidentale una veste di dignità umanitaria con la quale l’opinione pubblica globale si potrà lavare la coscienza.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sinistra) e il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Sia come sia, quel che è certo è che si tratta dell’unica azione concreta attualmente sul tavolo tesa a fermare la carneficina in corso a Gaza e a cercare di mettere all’angolo Benjamin Netanyahu, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità ma intoccabile fintantoché gode della protezione incondizionata delle potenze occidentali, a partire dagli Stati Uniti.Nessun governo sta esercitando una reale pressione su Tel Aviv affinché ponga fine allo sterminio dei palestinesi (bollato come genocidio dalle stesse ong israeliane, oltre che da un buon numero di giuristi ed esperti), alla pulizia etnica nella Striscia, allo sfollamento forzato, all’apartheid in Cisgiordania, alle violazioni estese e sistematiche dei diritti umani e, in definitiva, allo smantellamento delle fondamenta stesse del diritto internazionale.Quest’ultimo sembra ormai evaporato, cancellato insieme agli edifici rasi al suolo dall’esercito israeliano (Idf), alla carestia creata artificialmente come ai tempi dell’Holodomor, agli assassini di civili, giornalisti e personale sanitario perpetrati con metodi terroristici, alla violenza impunita dei coloni, alle detenzioni extragiudiziali e ai soprusi di ogni genere che il popolo palestinese subisce da decenni, intensificatisi gravemente negli ultimi 22 mesi. Indisturbato, Netanyahu procede nel fare a pezzi la Palestina, dalle demolizioni in Cisgiordania all’assalto su Gaza City tutt’ora in corso, e il suo sodale Donald Trump continua a vaneggiare di trasformare Gaza nella “riviera del Medio Oriente“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Mentre Tel Aviv starebbe valutando di annettere l’intera zona C – la porzione di Cisgiordania (circa il 60 per cento) che, in base agli accordi di Oslo di trent’anni fa, si trova attualmente sotto il “temporaneo” controllo amministrativo e militare israeliano – come risposta (sic) alle “minacce” di diversi Paesi di riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, i leader Ue rimangono divisi e in diversi casi rischiano crisi politiche paralizzanti.Non si vede all’orizzonte nemmeno una maggioranza qualificata per una misura cosmetica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ a Israele, come certificato dall’Alta rappresentante Kaja Kallas. “Gli Stati membri non sono d’accordo su come far cambiare rotta al governo israeliano“, ha ammesso il capo della diplomazia comunitaria al termine dell’informale Difesa svoltosi l’altroieri a Copenaghen, dichiarandosi “non molto ottimista” sulla possibilità di fare progressi a stretto giro. Il portavoce della Commissione Thomas Regnier ha rifiutato di commentare su “casi specifici”, rispondendo ad una domanda sulle tecnologie militari vendute da Bruxelles all’Idf per lo sviluppo di droni usati contro i palestinesi.

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    La battaglia delle ong belghe contro l’appalto ad un’impresa spagnola che opera in Cisgiordania

    Bruxelles – La società civile belga vuole impedire che i soldi dei contribuenti contribuiscano a sostenere i crimini commessi da Israele contro i palestinesi, dal genocidio in corso nella Striscia di Gaza all’apartheid in Cisgiordania. Nel mirino di una serie di gruppi per i diritti umani, supportati dalla relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese, è finita una commessa multimiliardaria affidata dalle ferrovie pubbliche nazionali ad un’azienda spagnola che fa affari con l’economia dell’occupazione israeliana.Durante un incontro con la stampa, una coalizione di organizzazioni non governative con sede in Belgio ha ribadito oggi (26 agosto) il proprio impegno per evitare che l’Sncb/Nmbs, il gruppo proprietario delle ferrovie federali, proceda con l’assegnazione alla spagnola Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles (Caf) di un contratto da 3 miliardi di euro per l’acquisto di 600 vagoni. La prima designazione della Caf come vincitrice del bando risale allo scorso febbraio: è stata poi sospesa ad aprile e successivamente riconfermata a luglio.L’appello lanciato da Al-Haq Europe, Intal, Vrede vzw e 11.11.11 è semplice: i soldi pubblici non devono finire nelle tasche di un’impresa che con le sue attività nei territori palestinesi occupati alimenta quella che la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, definisce la “economia del genocidio” dello Stato ebraico, basata sulla pulizia etnica, la distruzione, il furto di terre e, in definitiva, la violazione sistematica dei diritti umani e del diritto internazionale.Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)Essendo coinvolta in dal 2019 nella costruzione e manutenzione di una linea tramviaria che collega la Gerusalemme Est occupata con gli insediamenti illegali in Cisgiordania, sostengono le ong, l’azienda basca va esclusa dalla gara d’appalto. “Non si può firmare un contratto con un’azienda profondamente coinvolta nella politica di occupazione”, osserva Willem Staes di 11.11.11.Staes e i suoi collaboratori spiegano che il Belgio, in quanto Stato membro dell’Ue, sostiene la soluzione a due Stati, ma che i legami economici di Bruxelles con le colonie israeliane illegali costituiscono de facto una violazione degli obblighi giuridici del Paese. L’Sncb, stando alla loro denuncia, non ha incorporato nella procedura d’appalto alcuna analisi del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte della Caf. Una mancanza che potrebbe configurare una “grave negligenza professionale” per le ferrovie federali ai sensi della normativa belga.Le quattro sigle della società civile hanno intrapreso un’azione legale contro l’Sncb di fronte al Consiglio di Stato, la più alta istanza di giudizio del Belgio in ambito amministrativo, che dovrebbe discutere la questione la prossima settimana ed emettere una sentenza entro tre settimane. Giustificano questo procedimento irrituale con la necessità di creare “un precedente cruciale per ritenere le istituzioni pubbliche responsabili dei loro legami economici con aziende coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani“, come si legge in un comunicato congiunto delle associazioni.Pure Albanese ha ribadito la centralità del concetto di responsabilità, declinandolo su due piani distinti ma collegati. Da un lato la responsabilità pubblica, per cui è necessario chiedere conto a decisori politici e istituzioni dei loro legami con entità che si macchiano di crimini tanto efferati.“I doveri in capo agli Stati e le responsabilità in capo alle aziende sono due facce della stessa medaglia”, ragiona l’avvocata. La stessa Caf, ricorda, è già presente nel database dell’Onu dove sono registrate le aziende che coi loro affari alimentano le violazioni israeliane, incluse la segregazione e lo sfollamento forzato. L’impresa basca, sostiene, “è un attore chiave” negli sforzi per la “annessione permanente di terra palestinese“.La relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, Francesca Albanese (foto: Saverio De Giglio via Imagoeconomica)Albanese denuncia come “scioccante” l’immobilità dei governi mondiali, incapaci di mettere in campo “una risposta politica robusta” nei confronti di Israele. A partire da quelli dei Ventisette che, dopo oltre 22 mesi di sterminio quasi scientifico (accoppiato ad una carestia orchestrata in maniera artificiale, come certificato dall’Onu), rimangono divisi persino su una misura blanda come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv.Iniziative come quella della Global Sumud Flotilla – forse la mobilitazione transnazionale più ampia di sempre, per rompere l’assedio di Gaza e far entrare nella Striscia gli aiuti umanitari – sono importanti, ragiona, “ma è responsabilità degli Stati” reagire in maniera strutturale. “L’Ue e i suoi Paesi membri non possono interagire con Israele come se nulla fosse“, incalza, evidenziando come lo Stato ebraico “si è spinto molto più in là” del Sud Africa nell’epoca dell’apartheid, finito giustamente nel mirino di sanzioni e boicottaggi internazionali.D’altra parte, la relatrice Onu ha rinnovato l’appello alla responsabilità individuale dei singoli cittadini in un momento storico in cui rimanere in silenzio è ormai un atto di complicità. E suggerisce tre livelli di azione che ogni persona può intraprendere autonomamente: informarsi sulla Palestina, con una prospettiva storica e senza fermarsi alla situazione attuale; fare pressione sul proprio governo tramite proteste e manifestazioni e, infine, fare pressione su aziende e imprese per mezzo di boicottaggi e abitudini d’acquisto e di consumo eticamente consapevoli.

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    Gaza, ora anche le ong israeliane accusano Tel Aviv di genocidio

    Bruxelles –  Dopo oltre 21 mesi di crimini di guerra commessi dall’esercito di Tel Aviv nella Striscia di Gaza, sono adesso le stesse ong israeliane a parlare esplicitamente di genocidio per descrivere l’immane massacro della popolazione palestinese orchestrato da Benjamin Netanyahu. Su tutte, è B’Tselem a inchiodare le autorità dello Stato ebraico alle proprie responsabilità, attraverso un elenco delle gravissime violazioni compiute ai danni dei gazawi sin dall’ottobre 2023.Non usa mezzi termini l’ong israeliana B’Tselem, che nelle scorse ore ha pubblicato un rapporto destinato a fare molto rumore, fuori e dentro lo Stato ebraico, dal titolo inequivocabile: “Il nostro genocidio“. Nelle 88 pagine della relazione viene accuratamente documentata una lunga serie di sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale, perpetrate da Israele ai danni della popolazione palestinese nell’enclave costiera dove da quasi due anni si sta consumando una delle campagne militari più sanguinose della storia recente.La distruzione nel campo rifugiati palestinese di Nuseirat, nella Striscia di Gaza (foto: Eyad Baba/Afp)“Un’analisi della politica di Israele nella Striscia di Gaza e dei suoi terribili risultati, insieme alle dichiarazioni di alti funzionari politici e comandanti militari israeliani sugli obiettivi dell’attacco, porta alla conclusione inequivocabile che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata e deliberata per distruggere la società palestinese“, sostiene l’associazione. Il tutto, peraltro, trasmesso quotidianamente in diretta sui social e sui mezzi d’informazione di tutto il mondo, almeno finché sopravvivono ancora giornalisti sul campo.In altre parole, dice B’Tselem, “Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza“, come reso evidente dal combinato disposto di “uccisioni di massa, sia dirette sia attraverso la creazione di condizioni di vita insostenibili, gravi danni fisici e mentali ad un’intera popolazione, distruzione delle infrastrutture di base in tutta la Striscia e lo sfollamento forzato su vasta scala, con la pulizia etnica che si aggiunge alla lista degli obiettivi di guerra ufficiali” del gabinetto guidato da Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato lo scorso novembre dalla Corte penale internazionale).Ci sono poi “gli arresti di massa e gli abusi sui palestinesi nelle prigioni israeliane, che sono diventate di fatto campi di tortura, e lo strappo del tessuto sociale di Gaza, compresa la distruzione delle istituzioni educative e culturali palestinesi”, continua il rapporto. Il tutto, afferma l’ong, risulta in un deliberato “attacco all’identità stessa dei palestinesi“, dal momento che la risposta di Tel Aviv agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 si è trasformata in uno strumento di punizione collettiva del popolo palestinese, un altro reato proibito dal diritto internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Shaul Golan/Afp)L’Encyclopaedia Britannica definisce il genocidio come “la distruzione deliberata e sistematica di un gruppo di persone a causa della loro etnia, nazionalità, religione o razza“. La Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio è stata siglata in sede Onu nel 1948 ed è entrata in vigore nel 1951. Attualmente, ne fanno parte 149 Stati, tra cui tutti i 27 dell’Unione europea.Il termine è stato coniato durante la Seconda guerra mondiale dal giurista polacco di origini ebree Raphael Lemkin, per designare il tentativo scientifico di eliminare gli ebrei europei da parte del Terzo Reich di Adolf Hitler. Tra gli esempi storici più noti di genocidio (considerato “il crimine dei crimini”) c’è quello perpetrato ai danni degli armeni in Turchia a inizio Novecento, quello degli ucraini orchestrato dalla dirigenza sovietica nel 1932-1933 (l’Holodomor) e quello dei bosgnacchi a Srebrenica del 1995, di cui quest’anno è stato ricordato il 30esimo anniversario.“L’attuale offensiva contro il popolo palestinese, compresa la Striscia di Gaza, deve essere compresa nel contesto di oltre settant’anni in cui Israele ha imposto un regime violento e discriminatorio ai palestinesi“, spiega B’Tselem, riprendendo un suo precedente rapporto, risalente al 2021, in cui accusava lo Stato ebraico di aver messo in piedi un sistema di apartheid in piena regola non solo nei territori occupati – l’enclave costiera e la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est (cioè i martoriati pezzi di terra sui quali dovrebbe sorgere il futuro Stato di Palestina, del cui riconoscimento si sta parlando proprio in questi giorni al Palazzo di vetro dell’Onu) – ma in tutta l’area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.Il memoriale del genocidio di Srebrenica, in Bosnia-Erzegovina (foto: Elvis Barukcic/Afp)La voce autorevole di B’Tselem si aggiunge così ad un lungo elenco di allarmi che si stanno susseguendo negli ultimi anni a proposito della carneficina portata avanti da Tel Aviv nella Striscia, ma (in coppia con quella dell’associazione di medici Physicians for human rights) acquisisce una rilevanza particolare proprio perché proviene dall’interno di Israele. L’ong londinese Amnesty international parla di genocidio fin dal dicembre 2024.A gennaio 2024, quando la campagna israeliana nella Striscia era in corso “solo” da tre mesi, la Corte internazionale di giustizia aveva già lanciato un altolà al governo di Netanyahu sulla possibile commissione del crimine di genocidio, a partire dall’accusa del Sudafrica. Ad aprile dello stesso anno è stata la relatrice Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, a puntare il dito contro le ingiustificabili violazioni di Tel Aviv (una mossa che le è valsa l’imposizione di sanzioni da parte degli Stati Uniti di Donald Trump).Recentemente, la coalizione di giuristi Jurdi ha ricordato alle istituzioni comunitarie che, coi loro silenzi e le loro inerzie, si stanno di fatto rendendo complici di una delle peggiori catastrofi umanitarie degli ultimi decenni. Tutto quello che Bruxelles è riuscita a fare in oltre 21 mesi di eliminazione deliberata di un popolo da parte di una potenza alleata, nonostante abbia certificato nero su bianco le violazioni dei diritti umani di cui quest’ultima si è resa responsabile, è stato aprire la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele e proporre la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per la ricerca a partire dal 2028.