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    Gaza, i parlamentari europei si uniscono nella condanna a Netanyahu

    Bruxelles – Israele è andato oltre, e continuare a dare man forte e pieno sostegno al governo e al suo leader, Benjamin Netanyahu, diventa difficile. L’Unione europea prende le distanze dal modo in cui lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, e di fatto inizia a scaricare la leadership israeliana. Il dibattito d’Aula del Parlamento europeo sulla situazione a Gaza registra toni duri, da parte della Commissione e da parte di molti parlamentari europei, che da ogni gruppo politico censurano una situazione considerata sempre più insostenibile.Inizia la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a condannare l’operato di Netanyahu, senza comunque mai citarlo direttamente. Però, nel denunciare pubblicamente che “la situazione sul campo è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”, von der Leyen di fatto mette sul banco degli imputati lo Stato ebraico. “Abbiamo tutti visto le segnalazioni di bambini che muoiono di fame. Non può essere“. Accusa indirettamente il governo israeliano, quando sottolinea che “tutti sanno quanto sia difficile spostare gli aiuti dentro e dentro Gaza”. Un rimprovero chiaro. Da parte Ue garantisce tutto il sostegno possibile. Annuncia l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Unione europea invitando gli Stati membri dell’Ue a partecipare, conferma il pieno sostegno al corridoio umanitario marittimo annunciato lo scorso fine settimana, e in tal senso “finanzieremo e coordineremo il flusso delle merci europee attraverso il corridoio”. La situazione, continua von der Leyen, “rende ancora più importante collaborare con quelle agenzie che sono ancora presenti sul territorio. E questo è il caso dell’Unrwa“, l’agenzia della Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi che Israele vorrebbe delegittimata e isolata dopo le accuse di funzionari coinvolti negli attacchi di Hamas. Una sottolineatura che segna le distanze tra Ue e Israele.Ma è nell’Aula che si consuma lo strappo forse più grande. Voci critiche si levano da tutti i principali gruppi: popolari (Ppe), socialisti (S&D), liberali (Re), Verdi, Sinistra radicale. Esponenti di tutte queste forze spendono parole dure, non necessariamente espressione delle posizione dell’intero gruppo, ma comunque sono personalità di alto livello a parlare, a testimonianza di un malumore diffuso. La più diretta è la capogruppo dei socialisti, Iratxe Garcia Perez, che parla apertamente di “massacro di palestinesi da parte di Netanyahu“, di fronte al quale “dobbiamo mandare un chiaro segnale” ed invita “far cessare la sua impunità”. Come Ue, continua, “dobbiamo evitare che i palestinesi vengano sopraffatti dal regime di apartheid istituito da Netanyahu”.Va giù duro anche Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente della commissione Libertà civili: “Netanyahu impedisce l’accesso via terra agli aiuti umanitari”, denuncia. “Questa brutalità commessa contro il popolo di Gaza supera il legittimo diritto di autodifesa e il diritto internazionale”. Quindi l’affondo: i responsabili “devono essere puniti”. Un chiara messa in stato d’accusa per il governo di Tel Aviv.Dalle fila del Ppe è l’irlandese Sean Kelly a chiedere “lo stop dell’uccisione di persone innocenti a Gaza da parte di Netanyahu“, e invocare “un cessate il fuoco”. Parole che si contrappongono a quelle di von der Leyen, che in Aula sostiene invece la necessità di “una pausa umanitaria”. Il dibattito dunque mostra anche visioni diverse interne al Ppe.Senza accuse così veementi anche i liberali scaricano quello che una volta era un partner incondizionato. “Abbiamo perso ogni speranza in Netanyahu e in Israele“, scandisce il greco Georgos Kyrtsos, che non considera l’attuale classe dirigente come affidabile ai fini del processo di pace e una soluzione a due Stati. Valery Hayer, presidente di Renew Europe, invoca il “cessate il fuoco per ragioni umanitari”. Anche qui, cessate il fuoco invece di pausa umanitaria, a riprova dell’insostenibilità di una situazione considerata non più sostenibile. Si aggiunge alla richiesta Jordì Sole, dei Verdi, anch’egli critico di fronte al deterioramento a Gaza.Dai banchi de laSinistra i toni si fanno ancora più duri. Joao Pimenta Lopes accusa Israele di “genocidio a Gaza”, invitando l’Ue a ritirare appoggio e sostegno allo Stato ebraico. “La situazione è imbarazzante, e dovremmo smetterla di essere complici”. Il dibattito d’Aula sembra suggerire che, a prescindere da come finirà il confronto tra Israele e Hamas, lo Stato ebraico questo conflitto l’abbia già perso in termini di sostegno dell’opinione pubblica e di appoggio politico.

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    È in ritardo la partenza dei primi aiuti dal corridoio marittimo per Gaza

    Bruxelles – Per ora, le 200 tonnellate di viveri da spedire il più in fretta possibile a Gaza rimangono ferme al porto di Larnaca, a Cipro. L’apertura del corridoio marittimo cipriota, annunciata venerdì 8 marzo con la visita nell’isola della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si inceppa ancor prima di diventare realtà. La nave dell’ong Open Arms resta attraccata “a causa di alcune considerazioni tecniche”, precisano fonti diplomatiche. Ma la nuova partenza sarebbe “prevista entro poche ore”.

    Níkos Christodoulídis, Ursula Von der Leyen a Larnaca, 11/03/24Nelle “prossime ore” è anche la formula usata già ieri dal portavoce del governo di Nicosia, Konstantinos Letymbiotis, per comunicare all’agenzia stampa nazionale (Cna) un primo dilatamento delle tempistiche previste. Aggiungendo che non avrebbe reso pubblica l’ora esatta per motivi di sicurezza. Il portavoce del governo cipriota ha inoltre dichiarato che “la nave è stata controllata, come richiesto, dalle autorità della Repubblica di Cipro in conformità con tutti i protocolli previsti dalla pianificazione”. In coordinamento ufficiale con Tel Aviv e in presenza di rappresentanti di Israele.Un rallentamento dovuto, secondo quanto riportato dalla Cna, dal fatto che “la piattaforma a Gaza che riceverà le gli aiuti umanitari trainati dalla nave non è ancora pronta”. Il portavoce capo della Commissione europea, Eric Mamer, ha dichiarato che “esistono diversi modi in cui può essere scaricata una nave”, a seconda “della dimensione, del carico, delle condizioni meteo e di sicurezza”. Confermando che “esiste un piano per scaricare gli aiuti” indipendentemente dall’iniziativa degli Stati Uniti di costruire un molo temporaneo. Il porto galleggiante “sarà di aiuto per scaricare carichi più pesanti una volta che sarà operativo”, ha proseguito Mamer. Non prima di sei settimane, prevedono da Washington.Fonti di Open Arms avrebbero dichiarato all’Agenzia spagnola Efe che per scaricare le quasi 200 tonnellate di farina, riso e cibo in scatola direttamente sulle spiagge di Gaza è stata prevista la costruzione di un frangiflutti nella zona di arrivo. A quel punto, la distribuzione passerebbe dalle mani dei partner internazionali sul campo: agenzie Onu come l’Unrwa, il World Food Programme e l’Oms, ma anche la Croce rossa internazionale e la Mezzaluna Rossa.

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    In partenza da Cipro i primi aiuti umanitari sul corridoio marittimo per Gaza. Von der Leyen: “Può fare la differenza”

    Bruxelles – Al via il “progetto pilota” che dovrebbe portare all’apertura, nel fine settimana (9-10 marzo), del corridoio marittimo cipriota per fornire assistenza alla popolazione di Gaza. Come annunciato dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulides, e dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la prima imbarcazione è pronta a salpare dal porto di Larnaca.A cinque mesi dall’attacco terroristico di Hamas e dalla risposta israeliana, che sta provocando una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza, la comunità internazionale non è ancora riuscita ad assicurare l’ingresso continuo e sicuro di una sufficiente quantità di aiuti umanitari per i 2 milioni di sfollati palestinesi. Di aiuti via terra ne entrano sempre meno, come denunciato recentemente dall’Unrwa, mentre diverse organizzazioni internazionali hanno lanciato l’allarme sul rischio di una vera e propria carestia nell’enclave palestinese. “Conosciamo le difficoltà che si incontrano alle frontiere terrestri di Gaza, sia attraverso il valico di Rafah che attraverso il corridoio stradale del Giordano”, ha ammesso in conferenza stampa von der Leyen.

    Níkos Christodoulídis, Ursula Von der Leyen in conferenza stampa a LarnacaLa possibilità di aprire un corridoio marittimo nel Mediterraneo, messa sul tavolo da Cipro già ad ottobre, è quindi stata esplorata per mesi e finalmente lanciata oggi con il sostegno – oltre che della Commissione europea – di Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti. “È chiaro che siamo a un punto in cui dobbiamo semplicemente sbloccare tutte le vie possibili”, ha dichiarato Christodoulides. Decisivo il tempismo di Joe Biden, che ha annunciato nel suo discorso sullo stato dell’Unione una missione d’emergenza guidata dalle forze armate statunitensi per costruire un “molo temporaneo” al largo di Gaza per i rifornimenti.In concreto, il meccanismo delineato dalle autorità cipriote per spedire in modo sicuro gli aiuti via mare sarà coordinato dalla responsabile delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari e la ricostruzione a Gaza, la diplomatica olandese Sigrid Kaag. Che – si legge nella dichiarazione congiunta di lancio dell’iniziativa Amalthea – sarà incaricata di “facilitare, coordinare, monitorare e verificare il flusso di aiuti a Gaza ai sensi della risoluzione 2720 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Una volta rodata la corsia d’emergenza, Cipro “convocherà presto alti funzionari per discutere di come accelerare questo canale marittimo“. Le operazioni dovranno per forza di cose essere “strettamente coordinate” con il governo di Israele, che controlla gli accessi via mare alle spiagge di Gaza.Il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha rilasciato una nota in cui di è detto “favorevole all’inaugurazione del corridoio marittimo”, che “consentirà l’aumento degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, dopo che i controlli di sicurezza saranno effettuati secondo gli standard israeliani“. D’altra parte, i partner a supporto dell’iniziativa cipriota hanno richiamato Israele affinché “faciliti più percorsi e apra altri valichi per far arrivare più aiuti” alla popolazione.Da Bruxelles si augurano che il corridoio marittimo possa “fare davvero la differenza per la situazione del popolo palestinese”. Ma parallelamente – ha sottolineato von der Leyen da Larnaca “continueranno i nostri sforzi per fornire assistenza ai palestinesi attraverso tutte le vie possibili”. Via terra, con le oltre 1.800 tonnellate di aiuti recapitate in Egitto in 41 ponti aerei, e un domani anche dal cielo, come già fatto da Stati Uniti, Francia e Giordania: “Prenderemo in considerazione tutte le altre opzioni, compresi i lanci aerei, se i nostri partner umanitari sul posto lo riterranno efficace”, ha confermato la leader Ue.

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    Ponti aerei e un corridoio marittimo da Cipro. L’Ue al lavoro per incrementare gli aiuti a Gaza

    Bruxelles – Potrebbe essere questione di giorni perché l’Ue apra un corridoio marittimo per far entrare aiuti umanitari a Gaza. Una prospettiva su cui Cipro ragiona dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sarà a Nicosia già domani (7 marzo) e venerdì, e visiterà il porto di Larnaca, scalo designato per le operazioni che Bruxelles si augura comincino “quanto prima”.In un contesto in cui giorno dopo giorno si sovrappongono i report e gli allarmi sulla catastrofe umanitaria in corso a Gaza, dove l’Unrwa ha dichiarato che nel mese di febbraio l’assistenza si è dimezzata rispetto al mese precedente e l’Oms ha riportato che “almeno dieci bambini sono morti di fame negli ultimi giorni”, l’Unione europea ha l’obbligo morale di accelerare i preparativi e fare tutto il possibile.Da un lato Bruxelles ha già aumentato il budget destinato a sostenere il lavoro dei partner sul campo: l’Unrwa, ma anche la Mezzaluna Rossa e la Croce Rossa. Proprio oggi il commissario Ue per la Gestione delle Crisi, Janez Lenarčič, in visita in Cisgiordania ha annunciato l’effettivo esborso della prima tranche da 50 milioni per l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Ma l’altra opzione è raggiungere la popolazione di Gaza autonomamente con beni di prima necessità dai Paesi membri. Dal 7 ottobre l’Ue ha effettuato circa 40 ponti aerei in Egitto. Che dovrebbero raggiungere Gaza attraverso dei convogli dal valico di Rafah. Ma via terra, gli aiuti non entrano o lo fanno a rilento, a causa dei combattimenti e degli ostacoli ai convogli imposti da Israele.È sempre più urgente “espandere gli strumenti”, ha dichiarato oggi Balazs Ujvari, portavoce responsabile per le questioni di aiuti umanitari per la Commissione europea. Da una parte le discussioni in via di definizione sul corridoio marittimo, dall’altra operazioni aeree – come già fatto anche da Francia, Giordania e Stati Uniti. “Stiamo studiando questa possibilità molto attentamente”, ha confermato Ujvari. Si tratterebbe di farlo attraverso il meccanismo europeo di protezione civile, anche se paracadutare gli aiuti nella Striscia “resta l’ultima risorsa”, perché “può comportare solamente l’invio di una quantità limitata di assistenza”.Più percorribile al momento l’opzione cipriota, che sarà svelata nei dettagli durante la visita di von der Leyen. Sarebbe una decisa rottura con Israele, che controlla l’accesso via mare di qualsiasi merce diretta a Gaza. Che provenga dal mare o dal cielo, in entrambi i casi l’Ue potrà contare sul contributo dell’Italia. La Camera dei deputati ha dato il via libera alle missioni Aspides nel Mar Rosso e Levante in Medio Oriente. Quest’ultima, come precisato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, “apre la possibilità di esplorare” la fornitura di aiuti umanitari dall’alto, via paracadute, nella Striscia di Gaza. E impegna contemporaneamente il governo Meloni a promuovere l’iniziativa internazionale per la creazione di corridoi marittimi, in linea con quanto ha messo sul tavolo Cipro.

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    La Commissione Ue rispetterà gli impegni presi con l’Unrwa nel 2024: pronti i primi 50 milioni di euro

    Bruxelles – L’Ue non chiuderà i rubinetti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi (Unrwa). A oltre un mese dalle gravi accuse israeliane a 12 dipendenti dell’Agenzia, presunti complici di Hamas negli attacchi del 7 ottobre, le azioni intraprese dall’Unrwa per accertare le responsabilità individuali e rafforzare il controllo dell’Agenzia hanno convinto la Commissione europea a procedere al pagamento di 50 milioni, linfa vitale per non interrompere l’assistenza alla popolazione di Gaza.Si tratta della prima sostanziosa tranche degli impegni previsti per il 2024, che ammontano a 82 milioni totali. “La seconda e la terza tranche di 16 milioni di euro saranno erogate in linea con l’attuazione dell’accordo”, fa sapere la Commissione europea. Accordo che prevede che – oltre all’indagine avviata dall’Ufficio per i servizi di supervisione interna delle Nazioni Unite (Oios) e all’istituzione di una commissione di revisione indipendente – l’Unrwa avvii un audit dell’Agenzia condotto da esperti esterni nominati da Bruxelles. La caparbietà con cui il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha dichiarato di essere pronto a rivoluzionare l’agenzia per garantire una revisione del personale, mettere in atto ulteriori meccanismo di controllo e rafforzare il dipartimento di indagini interne hanno fatto il resto.UNRWA Commissioner General Philippe Lazzarini in Brussels, February 12, 2023. (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Come spiegato dal commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, che alla notizia del presunto coinvolgimento dei 12 dell’Unrwa agli attacchi di Hamas aveva immediatamente spinto per la sospensione dei fondi all’Agenzia, “con la decisione odierna la Commissione diversifica la sua assistenza per l’innocente popolo palestinese di Gaza”. L’esecutivo Ue ha deciso infatti di stanziare altri 68 milioni di euro ad altri partner internazionali nella regione, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.L’esborso della Commissione europea arriva in un momento di catastrofe umanitaria senza precedenti, in cui ogni giorno è peggiore di quello precedente. Solo pochi giorni fa l’Unrwa aveva annunciato che a febbraio, gli aiuti umanitari entrati nella Striscia sono diminuiti del 50 per cento rispetto a gennaio. Le vittime accertate palestinesi dal 7 ottobre hanno superato quota 30 mila, a cui andranno sommate le migliaia di dispersi, e ieri (29 febbraio) Israele ha aperto il fuoco durante la distribuzione di farina a Gaza City, uccidendo 100 persone e ferendone 700.“Sono inorridito dalla notizia dell’ennesima carneficina tra i civili a Gaza alla disperata ricerca di aiuti umanitari. Queste morti sono totalmente inaccettabili. Privare le persone degli aiuti alimentari costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario”, ha immediatamente reagito all’accaduto l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta “profondamente turbata dalle immagini provenienti da Gaza”, perché “gli aiuti umanitari sono un’ancora di salvezza per chi ne ha bisogno e l’accesso ad essi deve essere garantito”.

    Membri dell’Unrwa distribuiscono farina a Gaza (Photo by SAID KHATIB / AFP)Proprio oggi, l’Unrwa ha pubblicato un appello firmato da 17 importanti Ong – tra cui Save The Children, ActionAid International, Oxfam – perché l’Unione europea e gli Stati membri non voltino le spalle all’Unrwa, che non sostiene soltanto i quasi 2 milioni di sfollati interni a Gaza, ma un totale di oltre 6 milioni di profughi palestinesi in Libano, Giordania, Siria e nei territori occupati della West Bank. Ricordando che l’Unrwa ha più di 13 mila dipendenti a Gaza, di cui 158 sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti israeliani, e 30 mila in tutto il Medio Oriente.La decisione della Commissione europea di non interrompere il sostegno all’Unrwa potrebbe non essere sufficiente, se è vero che lo stesso Lazzarini ha più volte ribadito che senza i fondi per 450 milioni di dollari bloccati da diversi donors in tutto il mondo, l’Agenzia potrebbe non riuscire a proseguire il proprio lavoro già dalla fine di marzo. I 50 milioni di euro di Bruxelles sono una boccata di ossigeno – che si aggiunge all’aumento di fondi mobilitato d’urgenza da alcuni Paesi come Belgio e Spagna, ma la speranza è che fungano da esempio per gli Stati membri che hanno sospeso i propri pagamenti. Austria, Estonia, Finlandia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Svezia, oltre a Stati Uniti, Islanda, Regno Unito, Giappone e Australia.

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    Borrell a Israele: “Niente attacchi all’Onu, fondamentale per pace e stabilità”

    Bruxelles – Le ragioni di Israele non valgono più di ogni altra cosa, sicuramente non più delle Nazioni Unite. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, manda un messaggio chiaro e deciso allo Stato ebraico e i suoi rappresentanti. Lo fa rispondendo a un’interrogazione parlamentare in cui ci si lamenta del comportamento di Gilad Erdan, ambasciatore di Israele presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, critico, troppo critico, nei confronti del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.Quello che è successo risale all’8 dicembre ed è la censura di Guterres sul modo in cui Israele sta rispondendo agli attacchi del 7 ottobre. Una risposta ritenuta eccessiva, tanto da indurre il segretario generale dell’Onu a chiedere il rispetto dei diritti umani e cessate il fuoco. Parole che non sono piaciute a Erdan, secondo cui criticando Israele ci si schiera con i terroristi di Hamas. L’ambasciatore israeliano ha chiesto le dimissioni di Guterres e minacciato di non concedere visti a nessun funzionario Onu.“L’Ue respinge gli attacchi contro il Segretario generale delle Nazioni Unite o i tentativi di squalificare l’Onu come organismo fondamentale che opera per la pace e la stabilità nel mondo“, replica oggi Borrell. Un messaggio chiaro per il governo di Netanyahu. Nei confronti del quale rincara la dose, insistendo sulla necessità del rispetto dei diritti umani di base.“L’Ue – continua Borrell nella sua risposta – sostiene l’appello rivolto dal Segretario generale delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza dell’Onu affinché intervenga per evitare una catastrofe umanitaria a Gaza e il collasso del sistema umanitario”. Un implicito atto di accusa nei confronti di Israele, e di aver creato situazioni insostenibili e sempre più difficile da appoggiare. Le ragioni di Israele sono andate un po’ oltre il consentito, e Borrell lo dice come meglio non potrebbe.

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    Dall’Ue l’ennesimo avvertimento a Israele: “Le decisioni de l’Aia sono vincolanti”. Ma a Gaza entrano sempre meno aiuti umanitari

    Dall’inviato a Strasburgo – L’Eurocamera torna sulla catastrofe umanitaria di Gaza. All’allarme lanciato dal commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, secondo cui a febbraio gli aiuti umanitari entrati nella Striscia sono diminuiti del 50 per cento rispetto a gennaio, ha risposto da Strasburgo il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič. Il messaggio è chiaro: Israele deve implementare le misure richieste dalla Corte di Giustizia Internazionale.Lo scorso 26 gennaio il tribunale de l’Aia ha emesso la prima decisione relativa al rischio di genocidio nella Striscia di Gaza, concedendo un mese di tempo alle autorità israeliane per presentare un rapporto in cui illustrasse le misure adottate per prevenire tale crimine. Un portavoce della Corte ha confermato a Eunews che il rapporto è arrivato ed è ora sotto la lente dei giudici.Ma nell’ultimo mese, la situazione sul campo è ulteriormente peggiorata. Israele minaccia un’operazione su vasta scala a Rafah, dove si sono ammassati in questi cinque mesi quasi 2 milioni di sfollati interni palestinesi, se Hamas non dovesse rilasciare gli ostaggi prima dell’inizio del Ramadan (previsto il 10 marzo). E l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati palestinesi ha denunciato la preoccupante riduzione dell’assistenza umanitaria a Gaza a causa di “mancanza di volontà politica, chiusura regolare dei valichi di frontiera e mancanza di sicurezza dovuta alle operazioni militari”. 

    Addirittura, nel nord della Striscia l’Unrwa non riuscirebbe a distribuire aiuti dal 23 gennaio. Alla denuncia dell’Unrwa si è unito Lenarčič, che ha partecipato al dibattito sulla situazione a Gaza all’emiciclo di Strasburgo per conto dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. “Un mese dopo che la Corte ha chiesto misure provvisorie, la situazione è solo peggiorata. Sono apparse sacche di fame a Gaza, le persone sono così disperate che la distribuzione ordinaria non è più possibile”, ha dichiarato in aula. E ha ricordato agli eurodeputati che l’Ue si aspettava “la piena, immediata e effettiva implementazione” degli “ordini vincolanti” de l’Aia.I bollettini diffusi quotidianamente dal ministero della Salute di Gaza parlano di 30 mila vittime accertate nella Striscia dal 7 ottobre. Una carneficina, a cui andranno aggiunti diverse migliaia di dispersi sotto le macerie. Secondo un report della Johns Hopkins University, il numero dei morti potrebbe superare le 60 mila unità se non ci sarà un cessate il fuoco e un massiccio aumento degli aiuti umanitari il più presto possibile. Lenarčič ha ricordato che “26 Stati membri su 27” hanno accolto l’appello della comunità internazionale perché Israele non avanzi su Rafah, e perché si raggiunga “un accordo per la fine immediata dei combattimenti e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas”.Così come a 26 – e il bastian contrario è sempre Budapest – c’è “un accordo sull’adozione di sanzioni” contro i coloni israeliani estremisti, ma il veto ungherese immobilizza l’Ue. “Alcuni Stati membri hanno introdotto divieti di ingresso a livello nazionale. Con l’avvicinarsi del Ramadan tra due settimane, il rischio che la situazione possa sfuggire ulteriormente di mano è elevato”, ha avvertito il commissario sloveno.Che è poi tornato sulla vicenda dell’Unrwa e sulle accuse israeliane di complicità di alcuni membri dello staff negli attacchi terroristici del 7 ottobre. “Il lavoro delle Nazioni Unite, compresa l’Unrwa, rimane cruciale“, ha messo in chiaro Lenarčič, ricordando che il segretario generale dell’Onu, Antronio Guterres, e lo stesso Lazzarini “stanno prendendo molto sul serio le accuse israeliane e hanno preso misure immediate”. Lenarčič ha invitato gli eurodeputati a “riconoscere l’ambiente ad alto rischio in cui opera l’Unrwa” e a rifiutare “punizioni collettive che contribuirebbero al collasso umanitario a Gaza“. Oltre che all’instabilità in Giordania, Libano, Siria e nella West bank occupata. Per il commissario Ue responsabile delle crisi umanitarie non c’è dubbio: “Resta di fondamentale importanza fornire all’Unrwa finanziamenti adeguati”, semplicemente perché “non c’è alcun sostituto per l’Unrwa, ora e per il giorno dopo”.

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    L’Ue è ferma sulle sanzioni ai coloni israeliani estremisti perché serve l’unanimità. Ma dopo la Francia altri Paesi sono pronti

    Bruxelles – Del piano annunciato più di due mesi fa dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, di imporre un regime di sanzioni europee contro i coloni israeliani estremisti, non c’è ancora traccia. Ostaggio della regola dell’unanimità che vige tra i 27, l’Ue rimane ferma nella paradossale condizione di voler ridare vigore alla soluzione dei due Stati ma contemporaneamente non fare nulla contro chi ne mette a repentaglio le fondamenta.“Se vogliamo mantenere la nostra credibilità, dobbiamo denunciare ciò che sta accadendo in Cisgiordania”, ha avvertito ancora una volta Borrell al suo arrivo al Consiglio Ue Affari esteri a Bruxelles. Ma il consenso non c’è ancora. I due Paesi ancora restii sono Ungheria e Repubblica Ceca, ma tanto basta per lasciare l’Ue immobile davanti alla crisi israelo-palestinese. Al di là delle sanzioni ai coloni che si macchiano di violenze contro le comunità palestinesi: dal vertice dei ministri degli Esteri è uscito un comunicato in cui 26 Paesi membri “richiedono una pausa umanitaria immediata che porti a un cessate il fuoco sostenibile, alla liberazione degli ostaggi e alla fornitura continua di assistenza umanitaria”. Anche qui a 26, non a 27.Ma alcuni Paesi membri sono pronti a forzare la mano, per quanto una mossa individuale non possa avere lo stesso peso di una posizione presa dal blocco. A dare l’esempio la Francia, che già una settimana fa ha vietato l’ingresso sul suolo nazionale a 28 cittadini israeliani colpevoli di violenze nella West Bank. E oggi, anche i ministri di Spagna e Belgio hanno paventato lo strappo. José Manuel Albares, ministro degli Affari esteri spagnolo, ha dichiarato che “se non si arriverà a un accordo nell’Ue Madrid sarà pronta a procedere unilateralmente“, mentre  l’omologa belga, Hadja Lahbib, ha annunciato che il Belgio – che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue – ha “deciso di adottare delle sanzioni contro i coloni estremisti e diversi Paesi europei sono pronti a seguirci. Vedremo se potremo andare avanti a Ventisette in merito”.Anche da Dublino sono pronti a proseguire da soli, ha dichiarato il ministro degli Esteri Micheál Martin, esprimendo “rammarico” per la mancanza di consenso unanime in seno all’Ue. L’Italia si è mostrata possibilista, ma solo a una decisione comune: il vicepremier Antonio Tajani ha spiegato che Roma “si riconosce nella posizione adottata dal G7 che condanna i coloni e le violenze perpetrate” e che “se ci saranno sanzioni europee non ci opporremo“. Dopo che una decisione in tal senso è già stata presa dai principali alleati occidentali, Stati Uniti e Regno Unito, l’Ue appare già in ritardo. Soprattutto alla luce dei dati dell’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opta: dal 7 ottobre 2023 sono stati registrati 558 attacchi di coloni israeliani contro palestinesi che hanno causato vittime palestinesi (50 incidenti), danni a proprietà di proprietà palestinese (447 incidenti) o sia vittime che danni a proprietà (61 incidenti).Tajani ha anche sottolineato che contemporaneamente l’Ue sta lavorando a nuove sanzioni su Hamas, e qui l’unanimità ci sarebbe già. Il capo della diplomazia europea Borrell ha tagliato corto in conferenza stampa: “Abbiamo deciso di continuare a lavorare su come procedere contro gli estremisti violenti e contro le violazioni dei diritti e le violenze sessuali di Hamas”, ha concluso.