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    Dalle relazioni economiche alla guerra russa in Ucraina, inizia la partita a scacchi di von der Leyen con Xi Jinping

    Bruxelles – Il viaggio più importante, quello per mettere in fila le priorità di Bruxelles nel dialogo tra l’Ue e la Cina, si è concluso. E per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ora inizia la partita a scacchi con il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, delle promesse che saranno davvero messe a terra e delle sfide da affrontare per riequilibrare un rapporto ormai troppo sbilanciato verso Pechino, che rischia di compromettere il dialogo in futuro.
    Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)
    “Questa è un’opportunità per un confronto aperto e franco, le nostre relazioni sono vaste e complesse e il modo in cui le gestiamo oggi sarà un fattore determinante per la prosperità economica del futuro”, ha messo in chiaro la numero uno dell’esecutivo comunitario nel suo intervento al vertice trilaterale di oggi (6 aprile) a Pechino con Xi Jinping e con il presidente francese, Emmanuel Macron. L’interdipendenza è evidente e parte dai dati commerciali: “L’Ue è il maggiore mercato per le esportazioni cinesi e per noi la Cina è la terza destinazione delle merci esportate”, ha ricordato von der Leyen, sottolineando che si tratta di un valore commerciale di “oltre 2,3 miliardi di euro al giorno nel 2022”. Tuttavia, negli ultimi dieci anni si è assistito a un graduale squilibrio, con il deficit commerciale dell’Unione che “si è più che triplicato e ha quasi raggiunto i 400 miliardi di euro l’anno scorso”. Secondo quanto riferito da von der Leyen alla stampa, “ne abbiamo parlato perché questa traiettoria non è sostenibile e dimostra che ci sono questioni strutturali da affrontare”.
    Se nel faccia a faccia con il leader cinese la presidente della Commissione Ue ha ribadito che “nel contesto geopolitico attuale è importante più che mai parlarci e tenere aperte le linee di comunicazione” tra Bruxelles e Pechino, ai giornalisti ha ripetuto l’analisi sui rapporti Ue-Cina già presentata la settimana scorsa durante l’intervento al Mercator Institute for China Studies e all’European Policy Centre: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Al contrario, “dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare piuttosto su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”.
    In questa strategia di de-risking “rischi diversi richiedono diversi modi per affrontarli”, ha precisato von der Leyen. Per esempio, quelli sulle dipendenze strategiche “devono essere affrontati attraverso la diversificazione degli investimenti e dei rapporti commerciali“. Anche perché le imprese europee – sia quelle esportatrici sia per quelle che operano nel Paese asiatico – “sono preoccupate per le pratiche sleali e le politiche commerciali in alcuni settori, che impediscono l’accesso al mercato cinesi”, come nel caso di “prodotti agricoli o dispositivi medici”. Ecco perché sarà cruciale la ripresa dei dialoghi ad alto livello, sia quello economico e commerciale sia quello sul digitale, il cui accordo tra i leader è arrivato nel corso del vertice bilaterale: “Dovranno essere convocati quanto prima, per fare progressi su tutti i file e dare risultati tangibili”, è l’esortazione di von der Leyen. “In un mondo che sta attraversando profondi cambiamenti storici, dobbiamo aver la capacità e la responsabilità di superare le differenze”, ha puntualizzato Xi Jinping.

    La visione di von der Leyen sulla Cina globale
    Non è stata solo una questione di rapporti tra Bruxelles e Pechino, né esclusivamente di equilibri economici, la visita a Pechino di von der Leyen di concerto con il presidente francese Macron. Sul tavolo sono state portate anche questioni geopolitiche di strettissima attualità, che riguardano da vicino entrambe le potenze. “Questa visita arriva in un momento di insicurezza globale, dovuta soprattutto alla guerra russa in Ucraina”, e per l’Unione “il posizionamento della Cina è cruciale”, è stato l’avvertimento della leader dell’esecutivo comunitario al membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“. Il leader cinese si è detto “disponibile a collaborare per invitare la comunità internazionale a mantenere una moderazione razionale ed evitare di intraprendere azioni che portino la crisi fuori controllo”, con l’obiettivo di “promuovere i colloqui di pace e una soluzione politica”.
    Il vertice bilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, a Pechino (6 aprile 2023)
    Parlando di pace in Ucraina, i Ventisette sono sempre “fortemente dalla parte del piano in 10 punti del presidente Zelensky“, ma von der Leyen ha concesso a Xi Jinping – aldilà delle criticità e dello scetticismo generale sulla proposta avanzata da Pechino – di condividerne alcuni punti, in particolare “sulla sicurezza nucleare e sulla diminuzione dei rischi” di un conflitto con armi nucleari. Il presidente cinese è stato incoraggiato a chiamare al telefono il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, e lo stesso Xi Jinping “mi ha confermato che lo farà non appena le condizioni e le tempistiche saranno adeguate”, ha reso noto alla stampa la capa dell’esecutivo Ue. Rimane sempre valido l’avvertimento di “non fornire alcun equipaggiamento militare direttamente o indirettamente alla Russia”, perché “tutti sappiamo che armare l’aggressore andrebbe contro il diritto internazionale e danneggerebbe pesantemente le nostre relazioni“.
    Spazio – poco, almeno nel briefing di von der Leyen con i giornalisti – al tema dei diritti umani (“Ho espresso forte preoccupazione per la situazione nello Xinjiang e ho accolto con soddisfazione l’aver ripreso il nostro dialogo sui diritti umani”) e lo stesso si può dire di una questione spinosa alle porte della Cina, ovvero la stabilità nello Stretto di Taiwan. “È di cruciale importanza”, ha sottolineato la presidente della Commissione Ue: “Nessuno dovrebbe modificare unilateralmente lo status quo con minacce o l’uso della forza, sarebbe inaccettabile, e qualsiasi tensione va risolta con il dialogo”. Ci sono infine alcune “aree di convergenza e cooperazione sulle questioni globali”, su cui le due potenze condividono la “responsabilità, a partire dalla protezione del clima e dell’ambiente”. A questo proposito l’obiettivo è continuare sulla strada tracciata nell’ultimo anno e “cooperare da vicino in vista della Cop28” del 12 dicembre a Dubai: “Il cambiamento climatico rimane una delle sfide globali più urgenti, possiamo affrontarlo solo se rimaniamo uniti”. Un’esortazione sulla lotta ai cambiamenti climatici, ma che per von der Leyen va ben oltre.

    Nel suo viaggio congiunto con il presidente francese, Emmanuel Macron, la numero uno della Commissione Ue ha ribadito al leader cinese la necessità di riequilibrare i rapporti e impegnarsi per stabilizzare la scena globale: “Dobbiamo cercare soluzioni attraverso dialogo e diplomazia”

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    Il Grand Tour cinese. In due settimane Sanchez, Macron e von der Leyen in visita a Pechino

    Bruxelles – Due settimane di intensi sforzi diplomatici per non far scappare la Cina dal dialogo con i Ventisette e cercare di spingere un’intesa per mettere pressione sulla Russia. Il colpo di coda della due-giorni di Consiglio Europeo ed Eurosummit all’insegna delle preoccupazioni sul blocco sino-russo è stato un triplice annuncio dei programmi del premier spagnolo, Pedro Sánchez, del presidente francese, Emmanuel Macron, e della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sulle rispettive visite a Pechino: una in solitaria di Sánchez, e l’altra del tandem Macron-von der Leyen, almeno “per una parte del viaggio”, ha puntualizzato l’inquilino dell’Eliseo.
    Il presidente francese, Emmanuel Macron (24 marzo 2023)
    Erano note da settimane le intenzioni di Macron di recarsi in visita in Cina verso la prima metà di aprile. L’annuncio alla stampa è arrivato dallo stesso presidente francese al termine del Consiglio Ue, che ha specificato il fatto di aver chiesto alla numero uno dell’esecutivo comunitario “di accompagnarmi in un pezzo della mia visita in Cina”. A strettissimo giro dalla comunicazione di Macron è seguita la conferma da parte dei portavoce della Commissione Europea (dal momento in cui non si è tenuta nessuna conferenza stampa in conclusione della vertice dei Paesi dell’Eurozona). La presidente von der Leyen si recherà in Cina con il presidente Macron nella prima settimana di aprile: “Giovedì prossimo terrà un discorso al Mercator Institute for China Studies e all’European Policy Centre sulle relazioni Ue-Cina”, mentre la visita a Pechino si terrà “la settimana successiva”, ha reso noto il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer. Dettagli e programma per la stampa arriveranno “a breve”.
    Il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez (24 marzo 2023)
    Prima della trasferta congiunta di Macron e von der Leyen sarà Sánchez a essere ospite del presidente cinese, Xi Jinping, la prossima settimana. “È un viaggio a cui diamo la massima importanza”, ha confessato ai giornalisti lo stesso premier spagnolo in conferenza stampa, anticipando che “la guerra sarà oggetto delle discussioni a Pechino, analizzeremo in dettaglio la posizione cinese“. Perché se il piano di pace in 12 punti – che più che piano di pace ha tutti i tratti di un documento di posizione sullo scenario geopolitico secondo le lenti della potenzia orientale – è stato pesantemente criticato a livello Ue, è altrettanto vero che “la Cina è un attore globale, e la sua voce va ascoltata per vedere se, fra tutti noi, riusciamo mettere fine alla guerra“. Si partirà in particolare dai punti meno controversi, se non del tutto condivisibili, per cercare di influenzare la posizione del partner/competitor: rifiuto dell’uso di armi nucleari e il rispetto dell’integrità territoriale, sono i riferimenti espliciti di Sánchez.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (23 marzo 2023)
    Non cambia comunque il fatto che – come messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei leader Ue nel capitolo sull’Ucraina – i Ventisette sostengono la formula di pace del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e continuano a lavorare con Kiev sul piano di pace in 10 punti, perché “riteniamo che possa garantire una pace duratura e giusta”, ha ribadito con forza il premier spagnolo. Dopo la strada aperta da Sánchez, saranno i leader di Commissione Ue e Francia a tentare di spingere Pechino verso un “impegno diretto a fare pressioni sulla Russia” nel mettere fine alla guerra in Ucraina. Tema al centro anche del confronto bilaterale di questa mattina tra Macron e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che solo cinque mesi fa era stato il primo tra i leader europei a recarsi in visita in Cina.
    Oltre alle discussioni sulla guerra russa in Ucraina (con la mancata condanna anche nell’ultima Risoluzione Onu e la recente visita di Xi Jinping all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca), tra i tre leader e la leadership di Pechino servirà anche un confronto sul piano economico e commerciale – in modo da non far alimentare l’isolamento cinese – soprattutto per quanto riguarda le materie prime critiche su cui l’Unione Europea ha iniziato un percorso assertivo per non trovarsi legata a un concorrente non allineato ai suoi stessi valori nel percorso verso la doppia transizione digitale e verde.

    Tra fine marzo e inizio aprile i tre leader saranno ospiti del presidente Xi Jinping per un “impegno diretto a fare pressioni sulla Russia” per mettere fine al conflitto in Ucraina. “A breve” i dettagli e il programma dei viaggi

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    L’Ue dispiegherà 40 esperti sul confine Armenia-Azerbaigian per monitorare la situazione di conflitto nella regione

    Bruxelles – L’Unione Europea interviene concretamente negli sforzi diplomatici sul campo per tentare di trovare una soluzione al conflitto tra Armenia e Azerbaigian. I 27 ministri degli Esteri Ue hanno dato il via libera oggi (lunedì 17 ottobre) al dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio lungo il lato armeno del confine tra i due Paesi del Caucaso meridionale, con l’obiettivo di “monitorare, analizzare e riferire” sulla situazione di conflitto politico e militare nella regione.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La decisione di oggi mette a terra il compromesso raggiunto lo scorso 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan (mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue, Charles Michel), il primo dopo lo scoppio delle violenze di confine iniziate più di un mese fa. Il dispiegamento dei 40 esperti Ue lungo il confine “mira a creare fiducia in una situazione instabile che mette a rischio vite umane e compromette il processo di risoluzione del conflitto”, si legge in una nota dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Questa è un’altra prova del pieno impegno dell’Ue nel contribuire all’obiettivo finale di raggiungere una pace sostenibile nel Caucaso meridionale“.
    Dallo scorso 13 settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra, dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio. Le tregue temporanee negoziate – compresa quella del novembre 2020 – non sono mai riuscite a porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno Karabakh, enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano). Negli ultimi mesi l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice e ha posto come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi: entro la fine di ottobre si dovrebbe svolgere la prossima riunione delle commissioni di confine.
    Con lettera ricevuta dall’alto rappresentante Borrell il 22 settembre il ministero degli Esteri dell’Armenia aveva invitato l’Ue a dispiegare esperti civili lungo il confine di Stato. Venerdì scorso (14 settembre) era arrivata a Yerevan la missione di valutazione tecnica, in preparazione delle discussioni del Consiglio Affari Esteri di oggi a Lussemburgo a proposito dell’invio dei 40 esperti. La missione di monitoraggio avrà “carattere temporaneo e in linea di principio non durerà più di due mesi“, specifica la nota del Consiglio dell’Ue. Per garantirne il “rapido dispiegamento”, i 40 esperti saranno dislocati “temporaneamente”dalla missione di monitoraggio dell’Ue in Georgia, con “misure operative per non compromettere la propria capacità” nel Paese caucasico che ha fatto domanda di adesione all’Unione.
    La decisione è stata dettata dall’urgenza del momento (una missione apposita avrebbe richiesto tempi troppo lunghi per i preparativi), anche in considerazione della situazione generale nel Caucaso meridionale e nell’Asia centrale e l’influenza calante della Russia di Putin. L’Armenia fa parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan) e ha siglato un Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con la Russia, ed è per questo che la presenza Ue a Yerevan e lungo il lato armeno del confine con l’Azerbaigian assume un significato non di poco conto per il rafforzamento del ruolo di Bruxelles come attore politico e mediatore nella regione.

    Welcome rapid deployment of monitoring capacity in 🇦🇲 along its international border with 🇦🇿 following meeting with @azpresident @NikolPashinyan & @EmmanuelMacron
    Will help build confidence & allow EU to better support border commissions which will convene shortly in Brussels.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) October 17, 2022

    La decisione è arrivata dopo il vertice bilaterale del 6 ottobre a Praga tra il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue, Charles Michel. Gli esperti arriveranno dalla missione in Georgia

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    Dalla Turchia all’Ucraina, passando dai Balcani Occidentali. Gli inviti Ue per il summit della Comunità politica europea

    Bruxelles – I preparativi per la nascita della Comunità politica europea non si sono fermati per tutta l’estate e ora è tempo di raccoglierne i frutti. Basterà attendere solo un altro mese per capire come si configurerà e a quali ambizioni potrà ambire il progetto politico – a suo modo storico – la cui paternità è condivisa tra il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e quello della Francia, Emmanuel Macron. In concomitanza con il primo giorno del prossimo vertice informale dei leader Ue in Repubblica Ceca, si terrà il 6 ottobre a Praga la prima riunione della Comunità politica europea, la piattaforma di coordinamento tra i Paesi di tutto il continente sulle questioni di importanza strategica comune.
    A meno di un mese dalla convocazione della riunione nella sede della presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, è ora tempo degli inviti. Come fanno sapere funzionari europei, da Bruxelles e da Praga “dovrebbero essere spedite” le partecipazioni a tutti i 27 Paesi membri dell’Unione, i sei dei Balcani Occidentali, Norvegia, Svizzera, Islanda, Lichstenstein, Regno Unito, Ucraina, Moldova, Georgia, Turchia, Armenia e Azerbaigian (eventuali sorprese o rifiuti dell’ultimo minuto saranno comunicati “presto”). Nel corso di un incontro informale con il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper II) il capo di gabinetto del presidente Michel ha riferito ai Ventisette che tra le questioni principali sul tavolo “ci saranno la guerra della Russia contro l’Ucraina, la crisi energetica e la situazione economica“, rendono noto le stesse fonti.
    La coreografia dell’incontro di Praga prevederà una sessione plenaria di apertura, tavole rotonde “su stabilità della sicurezza, energia, mobilità, economia”, incontri bilaterali e una cena plenaria di chiusura. Il tutto riservato esclusivamente ai leader dei Paesi invitati. È interessante notare che da Bruxelles arrivano precisazioni sul fatto che la Comunità politica europea (che ha già un acronimo, Cpe) “non si sostituisce all’allargamento” dell’Unione o alle sue politiche, in risposta ad alcune perplessità emerse nel momento della presentazione ufficiosa del format ai Paesi balcanici, che attendono da anni – se non da decenni – di diventare membri Ue: “Il Cpe sarà un processo inclusivo e garantirà la partecipazione dei leader dell’Unione e dei Paesi terzi”.
    Gli ultimi sviluppi a proposito della Comunità politica europea si fondano sulle conclusioni del vertice dei leader Ue di fine giugno, quando i Ventisette avevano messo nero su bianco la volontà di percorrere una strada che ridisegni la politica di integrazione sul continente, superando l’attuale visione binaria dentro/fuori l’Unione. La proposta era stata avanzata con tutta una serie di dettagli dal leader francese Macron (allora presidente di turno del Consiglio dell’Ue), all’evento conclusivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa del 9 maggio. A dimostrazione che il progetto stava prendendo piede a Bruxelles, pochi giorni più tardi il numero uno del Consiglio Michel aveva parlato del bisogno di una nuova cooperazione sul continente attraverso una “comunità geopolitica europea“. In quell’occasione era stata presentata anche la possibilità di riformare il processo di adesione all’Ue – un tema a cui guardano con attenzione i Balcani Occidentali – per renderlo “più rapido, graduale e reversibile”. Ma su questo fronte ancora tutto tace.

    Si terrà il 6 ottobre a Praga la prima riunione del format voluto dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, e francese, Emmanuel Macron, per chiudere i ranghi dei leader del continente su questioni strategiche comuni: “Ma non sostituisce la politica di allargamento dell’Unione”

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    Aborto, gli Stati Uniti ricordano all’UE che i valori non sono solidi come pietre

    Bruxelles – L’Europa reagisce, per niente compatta, al  diritto all’aborto negato da una sentenza della Corte suprema che riporta indietro l’America indietro di 50 anni.
    Una decisione arrivata mentre a Bruxelles i leader dell’Ue erano impegnati nei lavori del vertice del Consiglio europeo, ma che non sembra incontrato particolare resistenze. La Commissione resta silente. Solo l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue dice: “Le donne e le ragazze devono avere il diritto illimitato di decidere sul proprio corpo e sul proprio futuro”. Fine del commento di Josep Borrell, per quella che si materializza come una critica ‘light’. Silenzio della presidente von der Leyen, con il commissario Paolo Gentiloni che si limita a ritwittare un messaggio di Barack Obama in cui l’ex presidente democratico si rammarica per la scelta di “attaccare le libertà essenziali di milioni di americani”.

    Today, the Supreme Court not only reversed nearly 50 years of precedent, it relegated the most intensely personal decision someone can make to the whims of politicians and ideologues—attacking the essential freedoms of millions of Americans.
    — Barack Obama (@BarackObama) June 24, 2022

    Dove ferve il dibattito è in Parlamento europeo. Non a livello di massime cariche, viste le posizioni personali anti-abortiste dell’attuale presidente. Il presidente della commissione Diritti delle donne, il socialdemocratico Robert Biedroń , pubblica una nota ufficiale in cui si dichiara “sconvolto” e ricordare come l’Eurocamera “ha fermamente condannato il regresso dei diritti delle donne e della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi in ​​atto a livello globale, compresi gli Stati Uniti e in alcuni Stati membri dell’UE”. Per questo “continueremo a stare con le donne e le ragazze negli Stati Uniti”. Questo sì che è prendere le distanze. Dal Parlamento una lezione alla Commissione.
    Indignati i Verdi (“Un duro colpo per il diritto all’aborto“, il commento del gruppo), di “grave regressione dei diritti e la messa in pericolo di milioni di donne” parla il PPE attraverso Frances Fitzgerald, membro delle commissioni Affari economici e Diritti delle donne.
    I liberali non ci vanno giù teneri. “Trump ha nominato non solo tre giudici della Corte Suprema, ma anche circa 200 giudici federali negli Stati Uniti per  portare a termine l’agenda repubblicana reazionaria”, l’analisi di Sophie in ‘t Veld, che vede una ‘polonizzazione’ degli Stati Uniti. L’indignazione di un’Europa che fa sempre più fatica a vedere riconosciuti i diritti e i valori ancora validi nel territorio dell’UE, fa i conti con un partner chiave che sceglie altre strade, un partner con cui malgrado tutto l’Ue deve continuare a fare i conti.
    Emmanuel Macron e Kyriakos Mitsotakis condannano. A differenza di altri, impegnati come loro nei lavori del Consiglio europeo prima e del G7 poi, i leader di Francia e Grecia, un liberale e un cristiano-democratico, si sfilano. “L’aborto è un diritto fondamentale per tutte le donne”, sostiene l’inquilino dell’Eliseo. “Deve essere protetto. Desidero esprimere la mia solidarietà alle donne le cui libertà sono state minate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti”. Mentre il leader ellenico si dice “turbato” per ciò che considera “un importante passo indietro nella lotta per i diritti delle donne”.
    Intanto però l’UE si ritrova con un partner considerato democratico per antonomasia che ora rischia di esserlo un po’ meno, se l’amministrazione Biden, come ha promesso di fare, non riuscirà a recuperare. Un nuovo problema, per l’Europa dei valori. 

    Reazioni tra il tiepido e il distaccato in Commissione, indignazione del Parlamento, leader del Consiglio in ordine sparso. La sentenza che elimina il diritto di interrompere la gravidanza ora mette alla prova la credibilità dell’Ue sui principi

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    L’irricevibile proposta francese per lo sblocco dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea

    Bruxelles – Con la revoca del veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord approvata oggi (venerdì 24 giugno) dal Parlamento di Sofia, si iniziano già a sentire le fanfare del momento storico per lo sblocco di uno stallo divenuto ormai cronico. Il presidente francese, Emmanuel Macron, artefice della proposta ‘risolutoria’ – a cui Eunews ha avuto accesso – ha già iniziato a esultare per “l’inizio dei lavori sulla formalizzazione di un accordo nei prossimi giorni, la macchina si è avviata” e probabilmente, in tutto questo trionfalismo, si cercherà di aprire presto i negoziati (il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, già punta alla convocazione delle prime conferenze intergovernative).
    Ma basta spostarsi di un paio di centinaia di chilometri dalla sede del Parlamento bulgaro per capire che per la controparte macedone la proposta francese è semplicemente irricevibile. Fonti qualificate a Skopje, che conoscono a fondo la proposta, in un briefing con Eunews hanno definito così il tentativo di trasferire a livello di negoziati tra UE e Paese candidato una questione bilaterale – con la Bulgaria – di natura puramente identitaria, con pesanti conseguenze sullo stesso processo di allargamento dell’Unione. In tutti gli sforzi passati delle presidenze del Consiglio dell’UE che hanno preceduto quella francese da metà 2020 (tedesca, portoghese e slovena) la linea rossa da non varcare sul futuro negoziato con Skopje era proprio questa, mentre l’Eliseo ha deciso di forzarla. Le stesse fonti hanno riferito che la maggior parte dei governi UE la considerano un “vaso di Pandora”, che solo il commissario ungherese Várhelyi aveva osato socchiudere: se aperto, potrebbe portare alla “morte” del processo di allargamento.
    Ci sono tre elementi che giustificano le rimostranze di Skopje e che fanno parlare di una delocalizzazione del problema, più che di revoca del veto bulgaro. Per prima cosa, l’UE imporrebbe alla Macedonia del Nord di includere la componente bulgara nel preambolo della Costituzione nazionale, non come minoranza ma come popolo costituente, con l’inizio della riforma da programmare prima dell’inizio dei negoziati. Il problema è che il governo non può contare sulla maggioranza dei due terzi in Parlamento per cambiare la Carta fondamentale del Paese (ammesso e non concesso che abbia intenzione di farlo) e che alcuni partiti al governo hanno già annunciato che in caso di via libera sono pronti a farlo cadere. “Significherebbe un’agonia per trovare una maggioranza nei prossimi anni”, hanno spiegato le fonti di Skopje, rilevando la contemporanea intransigenza di Sofia, che “inequivocabilmente” non riconoscerà nel corso dei negoziati di adesione UE la lingua e “qualsiasi menzione” di natura identitaria macedone. Una chiara violazione dell’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che prevede il “rispetto della ricchezza della sua diversità culturale e linguistica” del patrimonio culturale europeo.
    Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, con il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, a Bruxelles
    Seconda criticità. Come si legge nella nuova proposta che modificherebbe la posizione del Consiglio del dicembre 2020, durante il rilevamento dei progressi nei negoziati attraverso gli annuali Pacchetti allargamento della Commissione, si assisterebbe a un’inedito screening di DG NEAR (il direttorato generale responsabile delle politiche in materia di allargamento UE) sulle questioni storiche, culturali e di istruzione. Nulla che sia previsto dai criteri di Copenaghen, cioè le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno) che devono essere rispettate dal Paese candidato.
    A questo si aggiunge il fatto che nel cluster Fundamentals’ sono stati inseriti nuovi paragrafi che non sono mai stati previsti nella storia dell’allargamento: tra questi una serie di elementi – hate speech, storia, istruzione – che vanno al di là della tradizionale definizione di ‘protezione dei diritti delle minoranze’. Questo elemento porta direttamente al terzo e più preoccupante problema: i report della Commissione dovranno passare dall’approvazione degli Stati membri, perché possano mantenere il pieno controllo dei negoziati, ancora sotto la scure dell’unanimità. In altre parole, se la Bulgaria deciderà di mettere il veto alla posizione del Consiglio sui cluster – quello sui principi fondamentali sarà il primo ad aprirsi e l’ultimo a chiudersi – non se ne farà niente. Come nell’ultimo anno e mezzo.
    Per tutte queste ragioni è chiaro che a Skopje non c’è spazio per la proposta francese “e forse è un bene per l’autorità morale dell’UE nella regione”. Le fonti macedoni pongono l’attenzione sul fatto che il primo ministro non ha spazio di manovra politica, ma soprattutto che “sono già stati fatti danni”, avvelenando il processo di allargamento con questioni bilaterali, “che comunque non sarebbero risolte”. Questa decisione del presidente francese Macron è frutto quantomeno della fretta di cercare “qualche successo, anche se è falso” sullo stato di avanzamento dell’allargamento alla regione balcanica, considerate le contemporanee richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia. È necessaria però una riflessione su cosa sta diventando il processo di allargamento in ostaggio dell’unanimità: anche se i negoziati con Skopje iniziassero, il diritto di veto della Bulgaria penderebbe ancora sulla testa dei macedoni.
    A quanto si apprende, il clima generale in Consiglio non è positivo, con la maggioranza degli Stati membri consci del problema anche per l’Unione. La linea che prevale sarebbe un ‘no’, a meno che sia a Sofia sia a Skopje si registrasse un voto favorevole sulla questione (già arrivato dalla Bulgaria, difficilmente dalla Macedonia del Nord). L’opinione pubblica macedone è tendenzialmente contraria e il premier Kovačevski ha già messo in chiaro ieri, al termine del vertice UE-Balcani Occidentali, le linee rosse del suo governo. La speranza è di “non essere soli”, dal momento in cui a Skopje è ancora riconosciuto il credito dell’accordo di Prespa nel 2018 (con la Grecia, sul cambio di nome in Macedonia del Nord) come “campione di compromesso”. I Ventisette – meno uno – sono consapevoli delle ragioni di un’eventuale opposizione: “Sanno che sarebbe balcanizzata l’Unione, quando dovrebbero unire i Balcani“, avvertono con molta cautela le fonti macedoni.
    Una posizione che viene messa in luce anche dall’ex-ministro degli Esteri, Nikola Dimitrov, che in un tweet ha spiegato che “nonostante i titoli dei giornali parlino del via libera di Sofia alla Macedonia del Nord e all’Albania, il testo adottato dice in realtà qualcosa di molto diverso”, considerato il fatto che “il Parlamento ha posto 4 nuove precondizioni e se saranno soddisfatte la Bulgaria potrà sostenere i colloqui di adesione con la Macedonia del Nord”. Proprio lo stesso Dimitrov, in un editoriale per European Western Balkans, ha fatto notare che “il diavolo sta nei dettagli”.

    Although the news headlines speak of Sofia’s green light to North Macedonia & 🇦🇱 the adopted text actually says something very different. The Parliament set 4 new preconditions and once/if they are fulfilled 🇧🇬 will be able to support the accession talks with 🇲🇰 Here they are 1/5
    — Nikola Dimitrov (@Dimitrov_Nikola) June 24, 2022

    Il tentativo di mediazione del presidente Macron porta a livello UE le ragioni del veto di Sofia, creando nuovi ostacoli al cammino di Skopje. Fonti macedoni qualificate spiegano come sarebbero minati i principi dell’intero processo di allargamento

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    I leader UE al lavoro sulla proposta della comunità politica europea. La palla nelle mani del presidente Charles Michel

    Bruxelles – Si mette in moto la macchina dell’Unione Europea sulle idee che circolano ormai da più di un mese nelle sedi delle istituzioni comunitarie. Nelle conclusioni del vertice dei leader UE ha trovato spazio anche la proposta della comunità politica europea, un tentativo di ridisegnare la politica di integrazione sul continente che superi l’attuale visione binaria dentro/fuori l’Unione.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron (di spalle)
    Durante la prima giornata di Consiglio Europeo (giovedì 23 giugno) i Ventisette hanno tenuto una “discussione strategica” su come far evolvere il rapporto con i partner in Europa, partendo da quanto avanzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, all’evento conclusivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa del 9 maggio scorso (in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’UE). Si tratterebbe di “un’organizzazione che permetterà a nazioni europee democratiche che condividono gli stessi valori di trovare nuovo spazio di cooperazione politica, economica, energetica, di sicurezza, di trasporti, investimenti e infrastrutture, e di circolazione di persone”, aveva spiegato l’inquilino dell’Eliseo. E nel documento approvato questa notte dai Ventisette questa idea inizia a prendere corpo: l’obiettivo della comunità politica europea sarebbe quello di “offrire una piattaforma di coordinamento politico per i Paesi europei in tutto il continente“, in particolare con quelli con cui l’UE ha già “strette relazioni”.
    È evidente che sono profonde le implicazioni per il processo di allargamento che, come si è visto al vertice UE-Balcani Occidentali di ieri mattina a Bruxelles, sta rischiando di arrivare al capolinea per l’incapacità dell’Unione di rispettare le promesse fatte negli anni. Il presidente Macron aveva promesso che la creazione della comunità politica europea “aiuterà l’avvicinamento e lo faciliterà per chi vorrà proseguirlo, senza rendere obbligatoria l’adesione all’Unione” e proprio su queste basi sono arrivate le risposte positive di tutta la regione balcanica. Anche nel corso di una conferenza stampa particolarmente polemica, i tre leader dell’iniziativa Open Balkan – il premier albanese, Edi Rama, il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier macedone, Dimitar Kovačevski – si sono dimostrati tutti aperturisti su una proposta che “potrebbe essere l’unico modo per noi di essere ascoltati dai nostri colleghi dell’Unione”.
    Il quadro entro cui si dovrebbe iscrivere questa iniziativa “non sostituirà le politiche e gli strumenti dell’UE esistenti, in particolare l’allargamento“, specificano le conclusioni, “e rispetterà pienamente l’autonomia decisionale dell’Unione Europea”. Come fanno sapere fonti europee, la comunità politica europea si baserebbe su incontri regolari a livello di leader per creare uno spazio per le discussioni politiche e per contribuire alla “comprensione reciproca e a una cultura strategica comune”. A questo punto la palla passa nelle mani del presidente del Consiglio UE, Charles Michel, che sarà responsabile di portare avanti il progetto insieme alle presidenze di turno del Consiglio dell’UE, quella francese uscente e quella ceca in carica dal primo luglio. È proprio il presidente Michel il secondo maggiore sostenitore della proposta francese, che vorrebbe legare anche a una riforma del processo di adesione all’UE, che diventi “più rapido, graduale e reversibile”.

    Approdata in Consiglio l’idea del leader francese, Emmanuel Macron, di creare una piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione “su questioni di interesse comune” con i Paesi europei “con i quali abbiamo strette relazioni”, attraverso incontri regolari tra leader

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    Nessun negoziato di pace con la Russia finché Kiev non sarà pronta. Draghi, Macron e Scholz non tradiscono l’Ucraina

    Bruxelles – Serviva una risposta chiara a Kiev sui dubbi che nelle ultime settimane si sono sollevati rispetto agli umori di alcune capitali dell’Unione Europea per il prolungarsi della guerra in Ucraina. “Qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev e da quello che ritiene accettabile per il suo popolo, soltanto così possiamo costruire una pace giusta e duratura”. Non potevano essere più chiari il premier italiano, Mario Draghi, il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante il loro viaggio di oggi (giovedì 16 giugno) nella capitale dell’Ucraina, accompagnati anche dal presidente romeno, Klaus Ioannis.
    Nel corso della conferenza stampa congiunta con il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, i leader europei hanno dissolto le preoccupazioni maggiori dell’opinione pubblica del Paese invaso dall’esercito russo: negoziati di pace, invio di armamenti, conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE. “Le modalità della pace non saranno decise che dall’Ucraina e dai suoi rappresentanti, non negozieremo mai con la Russia alle spalle di Kiev“, ha sottolineato con forza il presidente Macron, che però ha voluto precisare che “non siamo in guerra contro il popolo russo come collettività” e che gli sforzi diplomatici con Mosca – in particolare di Parigi e Berlino – sono sempre avvenuti “dopo aver informato il presidente Zelensky“. Senza dimenticare che “noi portiamo le nostre esigenze come forze europee, ma non per negoziare al posto dell’Ucraina”.

    À Kiev, solidaires du peuple ukrainien.https://t.co/H2W95AxTTw
    — Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) June 16, 2022

    Allargando lo sguardo, si è rasserenato anche il cielo dell’integrazione dell’Ucraina nell’UE. In attesa del parere formale della Commissione Europea – atteso per domani – i leader europei si sono recati a Kiev con “un messaggio chiaro, l’Ucraina appartiene alla famiglia europea“, ha annunciato il cancelliere Scholz. Questo significa che anche da Parigi e Berlino sarà dato il via libera allo status di Paese candidato, così come “anche per la Repubblica di Moldova“. La guerra russa “cambierà la storia dell’Europa”, gli ha fatto il presidente francese, che ha confermato la volontà da parte di tutti e quattro i Paesi rappresentati nel viaggio a Kiev di “costruire l’unanimità dei Ventisette“. Dichiarazioni che spazzano via le temute divisioni emerse dal Consiglio del mese scorso, quando il premier Draghi aveva lamentato di essere l’unico leader tra i Big 3 a sostenere la candidatura di Kiev. Dal canto suo, il presidente Zelensky ha ribadito ai quattro leader che il suo governo è “pronto a lavorare per fare dell’Ucraina un membro a pieno titolo” dell’Unione.
    Il cancelliere Scholz ha inoltre confermato che la Germania è impegnata nel sostegno militare all’Ucraina “per tutto il tempo che sarà necessario”. Parole confermate anche dal presidente francese Macron: “Fino al ritorno della pace in un’Ucraina libera e indipendente, il nostro impegno rimarrà costante”, attraverso “sostegno umanitario, economico e militare per consentire ai soldati ucraini di fare la differenza sul campo contro gli attacchi dell’esercito russo”. Per il premier Draghi la questione va oltre e riguarda anche “le atrocità commesse a Bucha e Irpin, che condanniamo senza esitazioni“, anche e soprattutto dopo la visita nelle città distrutte dalla guerra russa. Per questo motivo Macron, Scholz e Draghi sono stati chiari che i tre maggiori Paesi dell’Unione Europea sono allineati per sostenere le indagini internazionali sui crimini di guerra commessi dall’esercito di Mosca.
    Un’ultima questione urgente per Macron Scholz e Draghi è quella delle esportazioni di grano dall’Ucraina, bloccate dall’esercito e dalla marina del Cremlino nel Mar Nero. “Ci sono due settimane per sminare i porti e occorre creare corridoi sicuri con la massima urgenza per il trasporto del grano”, nello sforzo di evitare “una catastrofe che si avvicina inesorabilmente”, è stato il tetro avvertimento del premier Draghi, che ha parlato di “scadenze sempre più urgenti” in vista di consegne che a questo punto non potranno arrivare “prima della fine di settembre”.

    Nel viaggio nella capitale ucraina, i tre leader europei (insieme al presidente della Romania, Klaus Iohannis) hanno ribadito il sostegno al Paese invaso dall’esercito russo anche a livello di armamenti e sul conferimento dello status di candidato all’adesione UE