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    Macron invita a Parigi il nuovo leader siriano Ahmed al-Shara’

    Bruxelles – La Francia potrebbe essere il primo Paese occidentale ad accogliere il nuovo presidente ad interim della Siria, Ahmed al-Shara’. Almeno, questo è quanto trapela da Damasco, visto che l’Eliseo non ha ancora ufficialmente confermato l’invito. È probabile che l’occasione della visita sarà la conferenza internazionale sul futuro del Paese mediorientale, che si terrà a Parigi il prossimo 13 febbraio.Non si è ancora posato del tutto il polverone causato dall’improvvisa (e inattesa) caduta del regime sanguinario di Bashar al-Assad, rovesciato a inizio dicembre dalle milizie salafite di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts, letteralmente “Comitato per la liberazione del Levante”) guidate da Ahmed al-Shara’, altrimenti noto col nome di battaglia Abu Mohammed al-Jolani (che lui ha però chiesto ai suoi interlocutori di non utilizzare).Ma la “nuova Siria” sta già godendo, se non di un reset totale delle sue relazioni internazionali, almeno di un’importante apertura di credito. A fine gennaio, ad esempio, i ministri degli Esteri dei Ventisette hanno concordato di allentare gradualmente alcune parti dell’ampio regime sanzionatorio che l’Ue aveva imposto contro il Paese levantino, anche se è ancora presto per i dettagli tecnici.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Kaja Kallas (foto: European Council)Il canale diretto con ParigiE ieri (5 febbraio), il nuovo padrone della Siria post-Assad ha sentito al telefono il presidente francese Emmanuel Macron, aprendo così il suo primo canale diretto con un leader europeo. L’inquilino dell’Eliseo, si legge in un comunicato ufficiale, ha discusso con il suo omologo “della necessità di proseguire la lotta al terrorismo, a beneficio del popolo siriano e della sicurezza della nazione francese“, esprimendo la disponibilità di Parigi “a sostenere la transizione” in corso e auspicando che quest’ultima “possa soddisfare pienamente le aspirazioni del popolo siriano“.Quello che Macron ha invece omesso di annunciare, almeno stando ai media transalpini, è di aver invitato al-Shara’ a recarsi personalmente a Parigi “nelle prossime settimane”. A riferirlo, al posto dell’Eliseo, è stato l’ufficio della presidenza siriana. Si tratterebbe del primo incontro con un leader occidentale, che fa seguito a quelli coi vicini regionali: negli scorsi giorni, dopo aver ricevuto l’emiro del Qatar, al-Shara’ ha viaggiato in Arabia Saudita e in Turchia.Ricostruzione e migrazioniIl messaggio che il nuovo presidente ad interim sta portando in lungo e in largo è che le due priorità del nuovo corso da lui inaugurato sono la stabilità e la ricostruzione del Paese. Quest’ultima, evidentemente, sarà un business gigantesco. E proprio di questo, tra le altre cose, si parlerà il prossimo 13 febbraio alla Conferenza internazionale sulla Siria, che sarà ospitata proprio nella capitale transalpina.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto: Stephane De Sakutin/Afp)Al di là dei paroloni sulla transizione democratica e inclusiva che al-Shara’ sostiene di voler portare avanti, è evidente che una questione centrale nei futuri rapporti tra Damasco e Bruxelles sarà la gestione dei flussi migratori, eterna spina nel fianco delle cancellerie europee. Le quali stanno aspettando, proprio in queste settimane, la proposta dell’esecutivo comunitario sui famigerati “centri di rimpatrio” extra-Ue, per deportare nei Paesi terzi i rifugiati che non intendono accogliere sul proprio territorio e sui quali l’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra) ha suonato giusto oggi un flebile campanello d’allarme.Geopolitica e sicurezzaIn più, c’è la dimensione geo-strategica. Da un lato, la Siria – martoriata da oltre un decennio di devastante guerra civile, durante la quale al-Assad non ha esitato a usare le armi chimiche contro i suoi stessi cittadini, e lacerato dall’esperienza dello Stato islamico (cui peraltro l’Hts è stata affiliata per un periodo) – è stato storicamente un alleato di ferro della Russia di Vladimir Putin, alla quale forniva notoriamente un accesso al Mediterraneo tramite il porto di Tartus, non distante dal confine col Libano. Lì, Mosca gestiva una base navale che sembra stia ora abbandonando, almeno a giudicare dalle immagini satellitari raccolte a fine gennaio. La sfida, per i partner regionali ed europei della nuova Siria, è quella di far uscire Damasco dall’orbita del Cremlino.Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (destra) riceve ad Ankara il leader siriano Ahmed al-Shara’, il 4 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Dall’altro lato, la questione della sicurezza potrebbe risultare più complessa. Il neo-sultano turco Recep Tayyip Erdoğan, ad esempio, intende continuare a combattere le Forze democratiche siriane (Sdf), una coalizione di milizie che controllano la regione de facto autonoma del Rojava nel nord-est del Paese e la cui formazione principale è l’Unità di protezione popolare (Ypg) curda, che Ankara considera il ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), classificato come organizzazione terroristica.Al contrario, per gli occidentali i curdi rappresentano un prezioso alleato nella lotta al terrorismo jihadista (almeno nominalmente, visto il clamoroso voltafaccia degli Stati Uniti di Donald Trump nel 2019). Per il momento, Macron avrebbe ribadito la “lealtà” della Francia verso di loro. Ma per al-Shara’, alla ricerca di appoggi internazionali più ampli e solidi possibile, si pone ora il problema di come integrarli nello Stato siriano post-dittatoriale.

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    Trump a Putin: sei indebolito, lavoriamo subito ad un cessate il fuoco in Ucraina

    Bruxelles – Non si è ancora insediato ufficialmente, ma il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha già iniziato a chiedere al suo (futuro) omologo russo Vladimir Putin di sedersi al tavolo delle trattative per stipulare al più presto un cessate al fuoco in Ucraina. Anche perché Putin “è indebolito”, per via della guerra e “del cattivo stato dell’economia”, continuare l’invasione potrebbe avere “effetti molto più grandi e molto peggiori”, ha detto Trump in un’intervista al New York Post.Anche per gli alleati della Nato il messaggio è sempre lo stesso: se non fate la vostra parte in termini di spesa militare, non contate sulla protezione di Washington.Il presidente ucraino Volodymyr “Zelensky e l’Ucraina vorrebbero fare un accordo e fermare la follia”, ha scritto il tycoon newyorkese sulla sua piattaforma Truth, dopo aver suggerito in un’intervista andata in onda lo scorso weekend che è “probabile” che la sua amministrazione – il cui insediamento formale è in calendario per il 20 gennaio – riduca gli aiuti militari a Kiev. “Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati”, ha scritto sul social, aggiungendo: “Conosco bene Vladimir (Putin, ndr). È il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando”.Sempre lo scorso weekend, Trump ha incontrato a Parigi (dove si trovava per assistere alla riapertura della cattedrale di Notre-Dame dopo l’incendio che l’ha devastata nel 2019) Zelensky alla presenza del padrone di casa, il presidente francese Emmanuel Macron. Durante un trilaterale all’Eliseo, il capo dello Stato transalpino ha cercato di proporsi come facilitatore tra i due, tra i quali non si è ancora instaurato un canale diretto e stabile nonostante i contatti siano già avviati almeno dalla scorsa estate.Il presidente ucraino ha descritto i colloqui con il futuro inquilino della Casa Bianca come “costruttivi” ma ha voluto ribadire per l’ennesima volta che la pace con la Russia dovrà essere “giusta e solida”, una pace “che i russi non possano distruggere in pochi anni come hanno fatto prima”, ha dichiarato all’indomani dell’incontro. Il punto è sempre lo stesso: “Dobbiamo parlare prima di tutto di garanzie di pace efficaci”, ha ribadito Zelensky, per il quale la migliore garanzia di sicurezza per l’ex repubblica sovietica continua a rimanere l’adesione alla Nato.Da sinistra: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente-eletto statunitense Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, il 7 dicembre 2024 (foto: Julien De Rosa/Afp)Nella sua intervista, Trump si è addirittura spinto a ventilare l’ipotesi di ritirare Washington dalla Nato, segnalando che la partecipazione statunitense durante il suo prossimo mandato non potrà essere data per scontato se gli altri Stati membri non terranno fede agli impegni presi in termini di spesa per la difesa, cui in base agli obiettivi decisi nel 2014 dovrebbe andare almeno il 2 per cento del Pil nazionale. “Se pagano i loro conti e se penso che ci trattino in modo equo”, ha detto il presidente-eletto, “resterei assolutamente nella Nato”.Queste esternazioni hanno messo in allarme la leadership ucraina, gli altri membri dell’Alleanza nordatlantica e gli stessi esperti di sicurezza negli Usa. Il futuro presidente non ha rivelato se è già entrato in contatto personalmente con Putin (“perché non voglio fare nulla che possa ostacolare i negoziati”, ha spiegato) ma è evidente che, almeno nei circoli di quella che sarà la prossima amministrazione, i preparativi per arrivare al più presto ad una cessazione delle ostilità sono già in atto, almeno a giudicare dalla leggerezza con cui l’argomento viene affrontato dal prossimo presidente degli States.Tuttavia, almeno ufficialmente, non sono stati diffusi piani concreti su come si potrebbe arrivare a un esito del genere. Considerando sia l’impazienza che sembra avere Trump sia le recenti osservazioni di Zelensky, il quale ha ammesso per la prima volta dall’inizio della guerra nel febbraio 2022 che sarà impossibile per l’Ucraina riprendere militarmente il controllo delle regioni occupate, molti osservatori immaginano che qualunque piano negoziale per la fine del conflitto comporti una cessione (perlomeno temporanea) di una parte delle oblast’ finite sotto occupazione russa – senza considerare la Crimea, annessa unilateralmente da Mosca nel 2014.

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    Ucraina, Macron spinge per l’utilizzo di armi Nato in Russia. E incassa il sì di Scholz

    Bruxelles – L’attivismo di Emmanuel Macron per dare una svolta alla resistenza di Kiev all’invasione russa trova terreno fertile e strappa l’appoggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Pensiamo che dovremmo consentire all’Ucraina di neutralizzare le basi da cui partono i razzi”, ha dichiarato il presidente francese a nome dell’asse franco-tedesco. Parigi e Berlino stanno con il segretario della Nato, Jens Stoltenberg: è tempo che l’Ucraina possa utilizzare le armi dell’Alleanza atlantica per colpire bersagli militari in Russia.Per convincere l’opinione pubblica della necessità di prendere questa decisione, Macron si è presentato alla conferenza stampa congiunta con Scholz con una mappa del confine tra Russia e Ucraina, illustrando le basi da cui partono gli attacchi di Mosca. Che si trovano spesso appena dietro la frontiera, in territorio russo. Macron ha immediatamente chiarito che “non dovremmo consentire” a Kiev “di colpire obiettivi diversi da quelli, intendo naturalmente obiettivi civili o altri obiettivi militari”.Più cauto Scholz, che però ha sostanzialmente appoggiato la posizione di Parigi. “L’Ucraina ha tutte le possibilità di farlo, secondo il diritto internazionale. Bisogna dire chiaramente che se l’Ucraina viene attaccata, può difendersi“, ha confermato il cancelliere tedesco. Le due maggiori potenze Ue confermano dunque la linea illustrata ai ministri dei 27 da Jens Stoltenberg nel corso del Consiglio Ue Affari Esteri del 27 maggio. “Questa è una guerra, e secondo il diritto internazionale l’Ucraina ha il diritto di difendersi e questo implica anche raid su obiettivi militari in Russia“, ha dichiarato senza lasciare alcun dubbio il segretario generale della Nato.Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergPosizione forte del via libera da parte dell‘Assemblea parlamentare della Nato alla rimozione dei vincoli di utilizzo di mezzi ed equipaggiamenti forniti. L’organo composto dai delegati dei Paesi Nato ha votato a grande maggioranza la dichiarazione che esorta i 32 governi dell’Alleanza a “sostenere l’Ucraina nel suo diritto internazionale di difendersi eliminando alcune restrizioni sull’uso delle armi fornite dagli alleati della Nato per colpire obiettivi legittimi in Russia“.A livello Ue tuttavia rimangono forti perplessità e timori per una tale svolta. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha affermato chiaramente che “tutto il materiale militare che inviamo in Ucraina deve essere utilizzato per proteggere l’Ucraina all’interno del territorio ucraino”, evidenziando che “noi non siamo in guerra con la Russia” e criticando l’uscita di Stoltenberg, perché “a volte serve un po’ più di prudenza”. Mentre l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borell, a margine dell’incontro di ieri con i ministri della Difesa dei 27 aveva dichiarato che solo “un Paese, forse uno e mezzo”, spingeva per la rimozione dei vincoli all’utilizzo delle armi in territorio russo.A Bruxelles aleggia la paura di innescare un ulteriore escalation con l’imprevedibile regime di Putin, come dimostra il mancato accordo tra i 27 sulla possibilità di addestrare personale militare in territorio ucraino. Perché alcuni Stati membri “ritengono che si tratta di inviare addestratori, e gli addestratori sono militari. In un modo o nell’altro – ha spiegato l’Alto rappresentante – si tratterebbe di inviare truppe non combattenti, ma alla fine sarebbero agenti militari nel territorio ucraino, con il rischio che certamente comporta”.Insomma, ogni scatto in avanti sul coinvolgimento nel conflitto va pesato attentamente. Ma l’asse Parigi-Berlino potrebbe avere la forza per riorientare le posizioni dei 27.

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    Ue e Francia spingono la Cina a cooperare per “affrontare le sfide globali ed evitare incomprensioni”

    Bruxelles – Geopolitica e relazioni commerciali. Unione Europea e Cina cercano di riprendere le fila di un rapporto spinoso affrontando le due questioni più complesse ancora in cima agenda, nonostante tre incontri in un anno tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il leader cinese, Xi Jinping. A dimostrarlo è stato l’atteso vertice trilaterale ospitato a Parigi oggi (6 maggio) dal presidente francese, Emmanuel Macron, in cui è emersa da una parte la necessità di avere “buone relazioni reciproche”, ma dall’altra anche l’urgenza per Bruxelles di “affrontare le distorsioni” provocate da Pechino “con gli strumenti di difesa di cui disponiamo, se necessario”.Da sinistra: il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Parigi il 6 maggio 2024 (credits: Ludovic Marin / Afp)A mettere tutto questo sul tavolo è stata la presidente della Commissione Ue, che nel suo intervento introduttivo al trilaterale di Parigi ha ricordato quanto “il nostro impegno è fondamentale per garantire il rispetto reciproco, evitare malintesi e trovare soluzioni comuni alle sfide globali“. Proprio per queste ragioni rimane l’interesse a “dimostrare che il nostro impegno è efficace”. In particolare, secondo quanto emerge dalle parole di von der Leyen, “la Cina è importante per l’Unione Europea per affrontare le principali sfide globali“, come per esempio “la lotta congiunta contro il cambiamento climatico e la determinazione a proteggere la biodiversità e ad attuare la governance degli oceani”. Un messaggio identico a quello veicolato nell’incontro nello stesso formato a Pechino nella primavera 2023, ma che rappresenta pur sempre la base di partenza per non esacerbare un rapporto molto delicato con la controparte cinese.Anche dall’ospite francese è emerso uno spirito di cooperazione necessario per affrontare le frizioni comunque innegabili tra le due parti: “La situazione internazionale ha bisogno più che mai di questo dialogo euro-cinese“, ha rivendicato Macron lo sforzo di “tentare di superare le preoccupazioni” attuali e scongiurare una “logica di disaggregazione che sarebbe nefasta sul piano economico”. Da parte sua il presidente Xi Jinping ha parlato di un “rafforzamento del consenso e del coordinamento strategico” tra Unione Europea e Cina, che “come due grandi potenze mondiali devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione e la fiducia reciproca”. Perché le due questioni più cruciali sul tavolo – a cui ancora non è stata trovata una soluzione definitiva – sono non solo enormi nella loro portata, ma anche potenzialmente travolgenti per gli equilibri globali.Dall’Ucraina all’Asia orientaleIl vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino il 6 aprile 2023Il primo tema spinoso per i rapporti Ue-Cina è senza dubbio il “funzionamento dell’ordine internazionale basato sulle regole, in un contesto molto turbolento in Europa, in Medio Oriente e in Asia orientale“. Rimangono solo tra le righe le tensioni nello Stretto di Taiwan, mentre trova ampio spazio nelle parole di von der Leyen l’invasione russa dell’Ucraina: “Siamo determinati a fermare la guerra di aggressione e a stabilire una pace giusta e duratura”. Facendo leva su un “interesse comune nella pace e nella sicurezza” e ricordando il “ruolo importante del presidente Xi Jinping nella de-escalation della minaccia nucleare irresponsabile” del Cremlino, l’esortazione a Pechino è sempre quella di “usare tutta la sua influenza sulla Russia” per mettere fine al conflitto. In questo contesto è cruciale soprattutto lo stop totale della fornitura di beni cinesi a duplice uso che finiscono sul terreno di battaglia: “Serve più sforzo, considerata l’enorme minaccia che questa guerra rappresenta sia per l’Ucraina sia per l’Ue, questo tema ha un impatto” sulle relazioni tra l’Unione e Pechino, è l’avvertimento di von der Leyen.Il secondo scenario di instabilità dell’ordine internazionale è quello del Medio Oriente, “che è di enorme preoccupazione per entrambe le parti” e per il quale “non deve essere risparmiato nessuno sforzo per la de-escalation della tensione e per evitare un conflitto più vasto nella regione“. Mentre Israele ha ordinato l’evacuazione di Rafah nella Striscia di Gaza in vista di un’imminente attacco di terra, la numero uno dell’esecutivo Ue ha ribadito la richiesta di un “cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, mentre tra Bruxelles e Pechino “lavoriamo per fornire tutto il supporto umanitario possibile e per la soluzione a due Stati”. Quella che anche per Xi Jinping “è l’unica via” per la fine del conflitto in Palestina. Da non sottovalutare è anche la “minaccia diretta dell’Iran”, su cui anche in questo caso “la Cina può giocare un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili e droni”, ha esortato von der Leyen.Le relazioni economiche Ue-CinaOltre agli scenari di instabilità geopolitica e il differente approccio dei due partner, nessuno nasconde che il tema di maggiore fragilità del rapporto tra Unione Europea e Cina è quello della concorrenza economica e commerciale. “Il nostro volume di scambi quotidiani è di circa 2,3 miliardi di euro al giorno, ma questa relazione è messa a dura prova“, ha ricordato von der Leyen a Xi Jinping, citando “la sovraccapacità indotta dallo Stato, la disparità di accesso al mercato e l’eccessiva dipendenza”. Basti ricordare che negli ultimi dieci anni si è assistito a un graduale squilibrio della bilancia commerciale, con il deficit dell’Unione che si è più che triplicato e ha quasi raggiunto i 400 miliardi di euro nel 2022: “Lo sbilanciamento rimane significativo ed è una questione di grande preoccupazione ma, come abbiamo dimostrato, difenderemo le nostre economie se necessario”.Inevitabile il riferimento ai prodotti che ricevono sussidi statali in Cina – “come i veicoli elettrici o l’acciaio” – e che “stanno sommergendo il mercato europeo”. A Bruxelles sono state avviate una serie di indagini sui sussidi di Pechino, a partire proprio dalle auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore. “La Cina continua a sostenere massicciamente il settore manifatturiero e questo, combinato con la domanda interna che non aumenta, fa sì che il mondo non possa assorbire la produzione cinese”, è l’attacco di von der Leyen, che ha reso nota la richiesta al governo cinese di “affrontare questa sovraccapacità”, mentre nel frattempo “ci coordineremo con i Paesi del G7 e con le economie emergenti che devono affrontare le distorsioni” provocate dalla politica economica e commerciale di Pechino. Ma il leader cinese ha tagliato corto, sostenendo che “il problema della sovraccapacità non esiste” in Cina.Tuttavia questo tema riguarda da vicino l’Unione e il suo Mercato interno, dal momento in cui “l’accesso ai mercati deve essere reciproco“, e l’approccio al momento è quello di “discutere come arrivare a progressi effettivi”, mentre “facciamo uso dei nostri strumenti di difesa, se necessario”. A dimostrarlo è la decisione dello scorso 24 aprile di lanciare la prima indagine attraverso lo Strumento per gli appalti internazionali nel mercato dei dispositivi medici: “Non possiamo accettare pratiche che distorcono il mercato e che possono portare alla deindustrializzazione qui in Europa“. E infine la questione delle catene di approvvigionamento, in particolare “l’eccessiva dipendenza” sul piano delle materie prime critiche. È proprio su questo fronte che la numero uno della Commissione rivendica il successo del nuovo approccio delineato all’inizio del 2023: “Abbiamo negoziato diversi accordi con molti Paesi terzi da cui otteniamo materie prime critiche, questo è il de-risking nella pratica“, ha ricordato von der Leyen, salutando il vertice trilaterale con un messaggio per il futuro: “Il nostro mercato rimane aperto alla concorrenza equa e agli investimenti, non è un bene per l’Europa se danneggia la nostra sicurezza e ci rende vulnerabili”.

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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.

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    Il ‘Triangolo di Weimar’ tra Scholz, Tusk e Macron riparte dal sostegno “unanime” a Kiev. Anche sulle armi

    Bruxelles – Riparte da Berlino, ma soprattutto dal sostegno “unanime” a Kiev, il Triangolo di Weimar tra Germania, Francia e Polonia. “Oggi abbiamo concordato una serie di priorità, tra cui l’immediato approvvigionamento di un numero ancora maggiore di armi per l’Ucraina sull’intero mercato mondiale”, ha annunciato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, al termine del vertice di oggi (15 marzo) con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro polacco, Donald Tusk, facendo riferimento al lancio di “una coalizione degli alleati dell’Ucraina per le armi a lungo raggio“.

    Dopo le frizioni delle ultime settimane in particolare tra Scholz e Macron sul tipo di supporto da fornire a Kiev e sulla possibilità di un intervento dei soldati Nato in Ucraina per fronteggiare l’esercito russo, l’alleanza regionale tra Francia, Germania e Polonia si è rinsaldata sotto la bandiera del “non lasciare mai che la Russia vinca” la guerra in Ucraina, ha messo in chiaro Macron in conferenza stampa. Questo tuttavia non implicherà un confronto diretto tra Mosca e i Paesi dell’Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei tre leader: “È altrettanto chiaro che non siamo in guerra con la Russia“, ha precisato Scholz, a cui ha fatto eco lo stesso presidente francese, puntualizzando che “non prenderemo mai l’iniziativa di un’escalation“.Anche se, in ogni caso, “vogliamo fare tutto il necessario, a partire da ora, per garantire che la situazione in Ucraina, nelle prossime settimane e mesi, migliori e non si deteriori“, ha sottolineato il premier polacco. Ecco perché “Putin deve sapere che il sostegno dei membri del Traingolo di Weimar a Kiev non verrà meno”, ha insistito ancora Scholz, annunciando che i Paesi europei – quella “coalizione di alleati” di Kiev – acquisteranno un maggior numero di armi per l’Ucraina sul mercato mondiale e aiuteranno Kiev ad aumentare la propria produzione. “Sarà ampliata la produzione di equipaggiamenti militari, anche attraverso la cooperazione con i partner in Ucraina”, ha spiegato Scholz a proposito delle “priorità” discusse oggi a Berlino.

    Da sinistra: il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il primo ministro polacco, Donald Tusk, e il presidente francese, Emmanuel Macron, a Berlino (15 marzo 2024)In questo contesto giocherà un ruolo decisivo l’aumento dell’impegno nell’ambito dell’Unione Europea, “per il quale abbiamo preso decisioni molto importanti a Bruxelles questa settimana”. Un riferimento al Fondo europeo per la pace che “riceverà 5 miliardi di euro per fornire ulteriore assistenza militare a Kiev quest’anno”, ma anche al rafforzamento della missione Ue di addestramento dei soldati ucraini e all’utilizzo dei profitti “significativi” dei beni russi congelati “per sostenere finanziariamente l’acquisto di carri armati per l’Ucraina”. Infine, per fronteggiare “l’espansionismo imperialista” del Cremlino, sarà costituita una “nuova coalizione di capacità per l’artiglieria missilistica a lungo raggio nell’ambito del formato Ramstein” (il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina guidato dagli Stati Uniti), i cui dettagli operativi saranno resi noti prossimamente.

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    Macron non sta trovando appoggio all’ipotesi di inviare soldati Nato in Ucraina contro l’esercito russo

    Bruxelles – È la prima volta che il tema dell’invio di soldati Nato sul territorio ucraino diventa un terreno di confronto tra i leader occidentali, ma la possibilità ipotizzata dal presidente francese, Emmanuel Macron, non sta trovando al momento alcuno spiraglio di manovra. Al contrario, a poche ore dalle parole dell’inquilino dell’Eliseo in conferenza stampa al termine della Conferenza di Parigi sul sostegno all’Ucraina, i maggiori alleati Ue e Nato della Francia prendono nettamente le distanze da uno scenario che implicherebbe un confronto diretto tra l’Alleanza Atlantica e la Russia.

    Il presidente della Francia, Emmanuel Macron“La posizione dell’Unione Europea è chiara dall’inizio della guerra, dobbiamo sostenere l’Ucraina per vincere questa guerra di difesa, la maniera e la forma del sostegno specifico militare è una decisione autonoma di competenza sovrana degli Stati membri“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, in un punto con la stampa oggi (27 febbraio) a Bruxelles, sottolineando però con forza che “non c’è alcuna decisione a livello Ue sull’invio di truppe per rafforzare l’esercito ucraino“, anche perché “non c’è un esercito europeo, stiamo discutendo di diverse visioni degli Stati membri”. Stano ha fatto un passo indietro rispetto alla richiesta di commentare le dichiarazioni di ieri sera (26 febbraio) del presidente Macron – “non è nostro compito” – ma ha comunque sostenuto a nome della Commissione Europea l’appello per un “maggiore sostegno con missili a lungo raggio e munizioni, dobbiamo mobilitare di più e più velocemente, perché è ciò di cui hanno bisogno gli ucraini per la difesa”.L’ipotesi di inviare truppe Nato in Ucraina “non è da escludere”, ha ventilato Macron al termine del vertice di ieri in cui si è discusso (senza nessun leader dell’Unione Europea) della futura assistenza all’Ucraina con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, il presidente polacco, Andrzej Duda, il primo ministro olandese, Mark Rutte, e altri funzionari europei, statunitensi e canadesi. Il presidente francese ha inserito l’eventualità nel quadro della necessità della sconfitta dell’esercito di Mosca “per la sicurezza e la stabilità in Europa“, anche se ha subito messo in chiaro che “non c’è consenso” su questa ipotesi “in modo ufficiale, scontato e approvato”. Lasciando aperta la porta a un cambio di strategia in futuro se cambieranno gli equilibri, l’inquilino dell’Eliseo non ha risparmiato una critica velata alla Germania di Scholz – “Molti di quelli che dicono ‘Mai, mai’ oggi, sono gli stessi che dicevano ‘Mai carri armati, mai aerei, mai missili a lungo raggio’ due anni fa” – e ha invocato “l’umiltà di constatare che spesso siamo arrivati in ritardo di sei o dodici mesi“. L’obiettivo è comunque chiaro (e condiviso da tutti i leader occidentali) sul fatto che “la Russia non può vincere questa guerra”, ha concluso Macron.Le reazioni alle parole di Macron

    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergDopo le parole di Macro solo il primo ministro francese, Gabriel Attal, si è schierato al fianco del suo presidente – “Non si può escludere niente in una guerra in corso nel cuore dell’Europa” – mentre dalle altre capitali sono arrivate prese di distanza dalla possibilità di un dispiegamento di soldati occidentali in Ucraina per fronteggiare quelli russi. Tra i primissimi a chiudere la porta è stato lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: “Gli alleati stanno fornendo un sostegno senza precedenti all’Ucraina, lo facciamo dal 2014 e lo abbiamo intensificato dopo l’invasione su larga scala, ma non ci sono piani per truppe da combattimento della Nato sul terreno in Ucraina“. Nessuna reazione ufficiale dalla Casa Bianca, ma un funzionario statunitense ha confermato a Reuters che l’opzione non è in discussione a Washington. Per l’Italia è stato invece il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a ribadire che “non siamo in guerra con la Russia e l’invio di truppe in Ucraina darebbe invece questa idea“, invocando “molta prudenza” per non dare adito a fraintendimenti e scatenare un conflitto su più larga scala.

    Netta la risposta del cancelliere tedesco Scholz, che non solo ha sottolineato che la possibilità “non è sul tavolo”, ma ha anche precisato che “c’è consenso” sul fatto che questo principio rimarrà anche “in futuro”. Gli ha fatto eco da Londra il primo ministro britannico, Rishi Sunak, che ha ricordato come “oltre al piccolo gruppo di personale” nel Regno Unito per addestrare i soldati ucraini, “non abbiamo alcun piano per un dispiegamento su larga scala“. Da Madrid il governo spagnolo ha fatto sapere attraverso i propri portavoce che “non è d’accordo” con lo scenario tratteggiato da Macron e che piuttosto “dobbiamo concentrarci sull’accelerare l’invio di armi, l’unità è stata finora l’arma più efficace dell’Unione Europea contro Putin“. La Svezia – che è in procinto di diventare il 32esimo membro Nato fra pochi giorni – allo stesso modo ha evidenziato per voce del suo premier, Ulf Kristersson, che “non c’è richiesta” di Kiev su questo fronte e perciò la “questione non è attuale”. Né la Polonia né la Repubblica Ceca – come hanno confermato i rispettivi primi ministri, Donald Tusk e Petr Fiala – hanno piani per l’invio di soldati in Ucraina, mentre il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, ha avvertito che un intervento di questo tipo da parte di un qualsiasi Paese Nato – anche sulla base di un accordo bilaterale – “significa provocare un conflitto globale“.

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    A Bruxelles filtra ottimismo per la telefonata tra Xi Jinping e Zelensky dopo il viaggio di von der Leyen e Macron in Cina

    Bruxelles – Con pazienza, dopo qualche settimana dal viaggio dei presidenti della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron, l’Unione Europea inizia a cogliere i frutti del proprio impegno diplomatico. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha telefonato ieri (26 aprile) al leader ucraino, Volodymyr Zelensky, aprendo ufficialmente i canali di comunicazione tra Pechino e Kiev. Potrebbe sembrare semplicemente un caso, ma i fatti sono fatti: in oltre un anno di guerra russa l’assenza di un contatto diplomatico tra Cina e Ucraina è sempre stata il grande elefante nella stanza, mentre dopo sole tre settimane dalle pressioni Ue a Pechino si è concretizzata la tanto attesa conversazione di alto livello tra i due leader.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente della Cina, Xi Jinping (credits: Afp)
    “È un primo passo importante, atteso da tempo, della Cina nell’esercizio delle sue responsabilità di membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, è quanto rendono noto i portavoce della Commissione Europea, commentando la notizia della telefonata tra Xi Jinping e Zelensky, in linea con le richieste di von der Leyen e Macron. Questo passo in avanti da parte del presidente cinese viene considerato come un segnale incoraggiante per mettere pressioni sul Cremlino, dopo i timori suscitati dalla visita all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il mese scorso: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla guerra di aggressione, a ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina e a rispettare la sua sovranità, come base per una pace giusta”.
    Funzionari Ue parlano esplicitamente di momento “positivo”, perché ora “i canali di comunicazione sono aperti”. Per Bruxelles il dovere morale di Pechino nel fare pressione su Mosca per mettere fine all’invasione russa deriva sempre dal fatto che la Cina è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e “condivide la responsabilità globale di difendere e sostenere la Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale”. Ecco perché si guarda con ottimismo all’annuncio di Xi Jinping di voler inviare a Kiev un rappresentante speciale per gli affari eurasiatici, che avrà il compito di analizzare come il testo in 12 punti sui principi politici di Pechino possa convergere con il piano di pace di Zelensky per la pace. A questo proposito le fonti ribadiscono che l’Unione continua a sostenere l’iniziativa del presidente ucraino “per una pace giusta basata sul rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale” del Paese invaso dal 24 febbraio dello scorso anno: “Spetta all’Ucraina decidere i parametri futuri di ogni potenziale negoziato“.
    C’è poi la questione nucleare, su cui Pechino è particolarmente sensibile: “Non ci sono vincitori in una guerra nucleare“, ha ribadito Xi Jinping nella telefonata di ieri. Un messaggio chiaramente indirizzato a Putin (e all’Occidente), dal momento in cui l’Ucraina non dispone di armamenti di questo tipo dal 1994. Anche nelle istituzioni comunitarie si guarda a questo aspetto della guerra con grande attenzione e le parole del leader cinese non sono passate inosservate: “L’appello ha avuto luogo nel giorno dell’anniversario del disastro di Chernobyl [l’incidente del 26 aprile 1986 alla centrale nucleare ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica, ndr], che sottolinea l’importanza della sicurezza nucleare”, fanno notare i funzionari europei. Una questione che è tornata di stretta attualità non solo per le minacce dell’uso dell’arma nucleare da parte di Mosca, ma soprattutto per le continue “attività militari attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia”.
    Prima e dopo il confronto von der Leyen-Macron-Xi Jinping
    A Bruxelles il dossier Cina è caldissimo, anche ma non solo per la questione della guerra russa in Ucraina. Per le istituzioni comunitarie è diventato cruciale trovare una via per mantenere aperto il dialogo con Pechino, senza però rendersi dipendenti da un partner/competitor con cui esistono evidenti divergenze sul piano del rispetto della democrazia, dei diritti umani e delle relazioni internazionali. Ecco perché lo scorso 30 marzo la presidente della Commissione Ue von der Leyen ha tenuto un discorso programmatico sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina, considerato soprattutto lo squilibrio commerciale. Una strategia che si baserà sul de-risking nelle aree in cui non è possibile trovare un’intesa di cooperazione – ma che in ogni caso non implica uno sganciamento di Bruxelles da Pechino – e che è stata ribadita il 6 aprile a Pechino su diversi temi: relazioni economiche, guerra russa in Ucraina e tensioni sullo Stretto di Taiwan.
    Proprio il rischio di un’escalation della tensione tra Cina e Taiwan – che rischierebbe di diventare un nuovo scenario di guerra globale dopo quello nell’Europa orientale – è diventato centrale nel dibattito interno all’Unione Europea, dopo le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“. Il contesto era quello della necessità di raggiungere una vera autonomia strategica europea (non un’equidistanza tra Washington e Pechino), ma anche nel dibattito al Parlamento Ue della settimana scorsa è emerso più uno scontro tra i gruppi politici sulle parole di Macron che un effettivo ragionamento sulla gestione dei rapporti con la Cina sia sul tema della guerra in Ucraina sia nel caso di uno scivolamento delle tensioni diplomatiche tra Pechino e Taipei verso uno scontro armato.
    A tentare di mettere una pezza sono stati la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che hanno ribadito la necessità di unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e la “ferma opposizione” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo nello Stretto di Taiwan, “in particolare attraverso l’uso della forza”. Lo stesso alto rappresentante Ue ha esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale per il commercio globale”. Ad agitare nuovamente i rapporti tra Pechino e Bruxelles è stato però l’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, che ha messo in discussione la sovranità dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica, inclusi quelli oggi parte dell’Ue (Estonia, Lettonia e Lituania). Ecco perché a Bruxelles si stanno iniziando a preparare le discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo al Consiglio di giugno, quando si dovrà “rivalutare e ricalibrare la nostra strategia verso Pechino“, ha anticipato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.

    Fonti Ue precisano che si tratta di “un primo passo importante, atteso da tempo” e che è stato al centro delle discussioni dei due leader europei con il presidente cinese a Pechino: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla sua guerra di aggressione in Ucraina”