More stories

  • in

    Elezioni in Norvegia: i laburisti alle urne contro la “Meloni norvegese”

    Bruxelles – La Norvegia in bilico tra la sua storica socialdemocrazia e la destra. Il Paese nordico oggi si è recato alle urne, per le elezioni parlamentari. I candidati forti sono il laburista e Premier uscente Jonas Gahr Støre contro la paladina di destra Sylvi Listhaug. Entrambi hanno un curriculum di peso: Støre è Primo Ministro dal 2021, mentre Listhaug è stata ministra della Giustizia nel 2018. La “Meloni norvegese”, come l’ha definita Le Figaro, ha riportato sulla ribalta il Partito del Progresso, ora secondo raggruppamento nazionale.La sfida è serrata. I sondaggi danno i Labour intorno al 27 per cento, mentre l’estrema destra di Listhaug al 21 per cento. Le possibili coalizioni avvicinano però i due contendenti: Listhaug dovrebbe poter beneficiare dei voti dei conservatori dell’ex premier Erna Solberg, arrivando così intorno agli 81 seggi, poco sotto la soglia degli 85 necessari alla maggioranza.Støre resta il favorito, visto l’aiuto in extremis ricevuto da Jens Stoltenberg, ex Segretario generale della NATO e Ministro dell’Economia uscente. Per la stampa è stato lo “Stoltenback” a riportare entusiasmo nel centrosinistra dopo un inizio di 2025 negativo. Nonostante i favori del pronostico, il rischio per i laburisti è quello di dover creare una coalizione molto ampia, includendo, oltre ai già presenti Partito di Centro agrario e Sinistra socialista, anche il Partito Rosso di estrema sinistra e i Verdi, fino ad oggi estromessi dall’esecutivo.Per i 5 milioni di abitanti della Norvegia, le elezioni arrivano in un momento caratterizzato dall’inflazione. Uno dei motivi è l’aumento del prezzo del gas. L’incremento è dovuto in parte al fatto che la Norvegia è membro dello Spazio Economico Europeo (SEE). Dal 2022, Oslo è stata obbligata ad aumentare i prezzi dell’elettricità per rispettare le regole comunitarie in materia di mercato dell’energia. Un paradosso per un Paese che non ha nessun problema di approvvigionamento energetico. I norvegesi si sono sentiti beffati e obbligati a pagare un aumento in bolletta mentre l’azienda energetica statale Statkraft ha raddoppiato i ricavi.Proprio per questo motivo, in questo momento, gli abitanti della Norvegia non guardano con favore un adesione all’Unione Europea. I leader di partito hanno infatti lasciato il tema sullo sfondo durante la campagna elettorale, consapevoli del fatto che secondo alcune ricerche, più della metà (55 per cento) si oppone a un ingresso nell’UE.L’eventuale successo del Partito del Progresso metterebbe ancora più nel cassetto l’argomento, vista la manifesta contrarietà di Listhaug. La leader ha paventato l’idea di poter rinegoziare le regole di partecipazione allo Spazio Economico Europeo (SEE), che garantiscono la libera circolazione delle merci tra Norvegia e UE. L’ipotesi suggerita dalla “Meloni norvegese” probabilmente resterà solo nei manifesti elettorali. Oslo esporta verso gli Stati membri circa il 66 per cento dei suoi beni e non può permettersi una riduzione. L’ex premier è stato, invece, più dialogante: “L’Europa ha bisogno della Norvegia e la Norvegia ha bisogno dell’Europa”, anche se questo non significa entrare a farne parte.I primi risultati elettorali saranno disponibili dopo la chiusura delle urne, alle 21:00. L’ex premier laburista sembra indirizzato verso la riconferma, ma in Norvegia, come nel resto d’Europa, l’ultradestra aumenterà senza dubbio i suoi consensi.

  • in

    “Intimidazioni e abuso di risorse pubbliche”: l’Osce getta ombre sul trionfo elettorale di Rama in Albania

    Bruxelles – A 48 ore dalle elezioni in Albania che hanno riconfermato per la quarta volta consecutiva il premier Edi Rama, l’Organizzazione per lo Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) getta alcune ombre sul trionfo del partito socialista, che da solo ha conquistato il 52,1 per cento dei voti: “I nostri osservatori a lungo termine hanno assistito a intimidazioni diffuse e all’abuso di risorse pubbliche durante la campagna“, si legge nel report della missione Osce. Conclusioni immediatamente rilanciate da quell’Unione europea a cui Rama ha promesso l’adesione entro il 2030.L’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr) dell’Osce ha dispiegato la propria missione, guidata dall’ambasciatore Lamberto Zannier e composta da 12 esperti internazionali e 26 osservatori a lungo termine, già a partire dal 10 aprile. In tal modo, l’Osce ha potuto verificare non solo il corretto svolgimento della giornata elettorale, che si è svolta “in modo tranquillo e ben organizzato, nonostante alcune carenze”, ma anche il clima che ha preceduto il voto per il rinnovo del Parlamento dell’11 maggio.Edi Rama durante un comizio elettorale a Tirana, 9/5/2025. (Photo by Adnan Beci / AFP)Dal rapporto emerge “un uso improprio delle risorse statali, con alti rappresentanti del governo impegnati in numerosi eventi ufficiali che spesso coincidevano con la campagna elettorale e includevano l’annuncio di programmi di assistenza sociale e progetti infrastrutturali, conferendo al partito al potere un vantaggio indebito”. Al di là della mancanza di condizioni di parità tra i candidati, la missione internazionale ha segnalato intimidazioni diffuse e numerose accuse di pressioni sui votanti, in particolare sui dipendenti pubblici. Lo stesso Zannier ha avvertito che “stiamo assistendo a un’estrema polarizzazione politica che si traduce in una pressione eccessiva sugli elettori e sul processo elettorale stesso”, e che questo “compromette i passi positivi compiuti in passato in Albania e potrebbe influire negativamente sui progressi verso il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine” indicati dall’Odihr.In una dichiarazione congiunta, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, e la commissaria europea per l’Allargamento, Marta Kos, si sono congratulate “con tutte le autorità competenti che hanno garantito il regolare svolgimento delle operazioni in tutto il Paese” candidato all’adesione all’Ue, sottolineando che le elezioni sono state gestite in modo “generalmente inclusivo e trasparente“. Kallas e Kos hanno poi però ripreso le annotazioni del rapporto dell’Odihr, affermando che “a causa dell’uso diffuso di risorse amministrative e dell’influenza delle istituzioni, è possibile che la maggioranza al potere abbia goduto di un vantaggio derivante dalla carica ricoperta”. Nel comunicato, Bruxelles ha evidenziato inoltre che “l’indipendenza dei media continua a rappresentare un problema e la copertura elettorale ha continuato a dare risalto ai principali partiti, mentre la trasparenza del finanziamento della campagna elettorale è rimasta limitata”.Rama non ha ancora commentato l’esito delle elezioni né le rilevazioni dell’Odihr e di Bruxelles. E nemmeno le accuse, molto più dure, mosse dal suo rivale sconfitto: il leader del Partito Democratico, Sali Berisha, ha dichiarato che “le elezioni dell’11 maggio sono state caratterizzate dal più massiccio acquisto di voti nella storia elettorale dell’Albania” e che il Partito Democratico “non accetterà mai queste elezioni”. Berisha ha già indetto una manifestazione di protesta per il 16 maggio, il giorno in cui i leader di tutta Europa parteciperanno al vertice della Comunità politica europea proprio a Tirana.

  • in

    Elezioni in Albania, Edi Rama verso il poker contro il redivivo Berisha. Con l’incognita del voto della diaspora

    Bruxelles – Da un lato, la promessa di ripulire il Paese dalla corruzione e dell’ingresso lampo nell’Unione europea. Dall’altro, una sorta di Make Albania Great Again di chiara ispirazione trumpiana. L’Albania che arriva al voto di domenica 11 maggio è ancora dominata da due volti ultra-noti della politica nazionale: il premier socialista Edi Rama, a caccia del quarto mandato, e Sali Berisha, primo presidente eletto dopo il crollo del regime comunista e leader della coalizione di centro-destra. L’unica vera novità, in grado di sparigliare le carte, è la prima volta del voto della numerosissima diaspora albanese, che conta circa 250 mila elettori registrati.La carta di Rama per assicurarsi il poker di mandati è la promessa dell’adesione all’Ue entro il 2030. Una prospettiva che in Albania gode del sostegno di oltre quattro cittadini su cinque, il più alto dei Paesi dei Balcani occidentali. Tanto che uno dei segni distintivi dei sostenitori di Rama è proprio una maglietta bianca con scritto sopra un gran numero 5 multicolore, ad indicare gli anni che mancano al 2030. Durante i suoi comizi, questa settimana, Rama ha issato le bandiere a dodici stelle e – ai suoi sostenitori nella città di Pogradec – ha dichiarato: “Siamo alle porte dell’Europa e quelle porte ora sono aperte per noi”. Negli ultimi sei mesi, l’Albania ha aperto 16 dei 35 capitoli negoziali per l’adesione al blocco Ue.Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, a Bruxelles il 14/04/2025Secondo i dati della Banca mondiale, la crescita economica annuale per il periodo 2022-2024 ha superato il 4 per cento, trainata dal commercio con l’Ue, dal boom del turismo e dall’importante produzione di energia idroelettrica. D’altra parte, il basso tenore di vita e l’alto tasso di disoccupazione continuano a nutrire un’emigrazione di massa: tra il 2011 e il 2023, la popolazione albanese è diminuita di circa 420 mila unità.In questo contesto pieno di contraddizioni, il Partito Socialista è ancora il favorito e punta a riconfermare la maggioranza assoluta dei 140 seggi del Parlamento di Tirana. Di fronte a Rama, che negli anni è riuscito a costruire un potere personale che sembra incontrastato, gli avversari di sempre, ma indeboliti: il Partito Democratico, con cui i socialisti hanno dominato il panorama politico dal crollo del regime di Enver Hoxha all’inizio degli anni ’90. L’Alleanza per una Magnifica Albania – a guida democratica – è “la coalizione più forte che l’Albania abbia mai visto in 32 anni”, è convinto Sali Berisha, l’ottantenne ex primo ministro e leader del principale partito d’opposizione a Rama.Socialisti e Democratici, nessuno immune dalla corruzione dilaganteIl redivivo Berisha è tornato al timone del Partito Democratico dopo tre anni di caos, in cui è stato preso di mira dall’amministrazione di Joe Biden per presunta corruzione, espulso dal proprio gruppo parlamentare e posto agli arresti domiciliari dalla magistratura albanese. La sua liberazione ha revitalizzato la base del partito, ma Berisha rimane sotto inchiesta e soggetto a sanzioni sia da parte degli Stati Uniti che del Regno Unito, il che limita decisamente la sua credibilità internazionale.Il leader del Partito Democratico, Sali Berisha, a Tirana il 15/5/25 (Photo by Adnan Beci / AFP)Berisha punta tutto su una rivisitazione in salsa albanese del MAGA trumpiano. Ha assunto come consulente per la campagna elettorale Chris LaCivita, una delle menti dell’ultima campagna presidenziale di Trump, e ha adottato gli slogan tipici dell’universo della destra sovranista: la battaglia contro il woke e Soros e le accuse alla magistratura politicizzata che ha cercato di eliminarlo. Il suo principale alleato, l’ex presidente e leader del Partito della Libertà Ilir Meta, è attualmente in detenzione, arrestato lo scorso ottobre con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro.Nemmeno Rama è immune alla corruzione endemica nel Paese. In questi dodici anni al potere, diversi scandali hanno lambito il premier e colpito membri dei suoi governi e del partito socialista. Per ultimo, il caso di alcuni contratti a sei zeri per la costruzione di inceneritori assegnati illegalmente, per cui – a seguito delle indagini condotte dalla SPAK, la procura anticorruzione fondata nel 2019 – l’ex ministro dell’Ambiente Lefter Koka è stato incarcerato e l’ex vice di Rama, Arben Ahmetaj, è stato incriminato e ha lasciato il Paese (risiede ora in Svizzera).In cinque anni di attività, la SPAK ha confiscato 200 milioni di euro in casi di corruzione e criminalità organizzata, e diversi rapporti di media e organizzazioni internazionali hanno evidenziato le ambiguità e i torbidi legami tra l’establishment politico albanese e le reti criminali coinvolte nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro. Uno studio pubblicato il mese scorso dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime ha fatto luce sul ruolo della mafia albanese nel traffico globale di cocaina, in particolare attraverso il porto di Durazzo, reso possibile dalla corruzione all’interno delle istituzioni politiche, di polizia e giudiziarie albanesi.Le incognite: la diaspora e i nuovi partiti anti-corruzioneNon è chiaro quale impatto avranno queste vicende sulle elezioni, alla quale parteciperanno per la prima volta circa 250 mila elettori registrati della diaspora albanese. L’impressione è che, in mancanza di un’alternativa valida, Rama centrerà il poker. Ma se il Partito socialista non dovesse raggiungere i 71 seggi necessari per governare da solo (attualmente ne ha 76), il calendario a tappe forzate promesso da Rama per l’adesione all’Ue potrebbe uscirne compromesso.Nel conto dei seggi, potranno giocare un ruolo anche nuove formazioni che sono entrate in corsa per dare un’alternativa ai due partiti dell’establishment percepiti come troppo corrotti: Levizja Bashke (Movimento Insieme), partito di sinistra fondato nel 2022 con radici nell’attivismo civico, Shqiperia behet (Fare l’Albania) e Nisma Thurje (Iniziativa), due partiti centristi anti-corruzione che corrono in una lista unita, e Mundesia (L’Opportunità), guidato Agron Shehaj, imprenditore ed ex deputato del Partito Democratico.

  • in

    Canada al voto, in un test dominato dalle politiche commerciali (e di allargamento) di Trump

    Bruxelles – Oggi il Canada va al voto per delle consultazioni legislative anticipate, rispetto alla scadenza naturale di ottobre, decise dal nuovo premier, il liberale Mark Carney, che ha preso il posto di Justin Trudeau lo scorso marzo.A stravolgere i contenuti di una consultazione elettorale che sembrava, qualche mese fa, poter premiare i conservatori di Pierre Poilievre, è stato il ciclone Donald Trump, che con le sue mire espansionistiche sul Canada come nuovo stato Usa (il cinquantunesimo) e i suoi dazi commerciali ha fatto scatenare tra i cittadini preoccupazioni che mai si erano avute. Dunque il conservatore Poilievre, che dopo nove anni di governo Trudeau sembrava sulla soglia del premierato, potrebbe essere penalizzato proprio per la sua vicinanza politica al presidente Usa. I sondaggi danno i liberali in leggero vantaggio.Molti cittadini canadesi nell’ultimo paio di mesi ha risposto alle provocazioni di Trump smettendo di comprare prodotti Made in Usa, e molte aziende locali hanno fatto campagne promozionali proprio sul buy Canadian.Carney ha promesso di affrontare la crisi economica che si sta affacciando, con un aumento dei prezzi e dell’inflazione, con un piano d’investimenti nei settori tecnologici e delle energie rinnovabili, per stimolare la crescita e ridurre la dipendenza da mercati esterni. Per altro il premier ha anche annunciato nuove politiche commerciali internazionali, puntando a rafforzare le relazioni con Europa, America Latina ed Asia.Sarà, a quanto pare, un testa a testa fra i due schieramenti, con alcuni partiti minori che potrebbero diventare importanti in caso di risultati equilibrati tra i due maggiori.Gli elettori sceglieranno tutti i 343 membri della Camera dei Comuni, uno per ogni circoscrizione, in un unico turno di votazione, che terminerà, in questo enorme Paese con tanti fusi orari, all’alba di domattina. Gli Exit poll sono attesi poco dopo la chiusura dei seggi.

  • in

    Nel 2024 la democrazia si è deteriorata a livello globale

    Bruxelles – La democrazia non se la passa bene a livello globale. Nel super anno elettorale appena trascorso, la salute del sistema democratico in giro per il mondo si è deteriorata fino a registrare i peggiori risultati in quasi un ventennio. Tiene l’Europa occidentale, ma altre regioni mondiali sono regredite sensibilmente.“La democrazia è il peggior sistema di governo, ad eccezione di tutte le altre”. La celebre frase pronunciata da Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni nel novembre 1947 (peraltro citando un autore sconosciuto) continua a rimanere valida ancora oggi. Quello democratico è un sistema politico-istituzionale pieno di problemi e contraddizioni, che poggia su un precario equilibrio costantemente sul punto di spezzarsi. Eppure è l’unico, almeno tra quelli provati nella storia delle società umane di massa, capace di garantire un livello soddisfacente di libertà ed uguaglianza per tutti.Come funziona l’indagineTuttavia, stando all’ultima rilevazione pubblicata oggi (27 febbraio) dall’Unità di intelligence dell’Economist (Eiu), la democrazia non gode di buona salute a livello mondiale. Salute peggiorata nel corso del 2024, nonostante sia stato un anno record nella storia per numero e portata delle elezioni che sono state organizzate. Anzi, da quando ha iniziato a raccogliere i suoi dati, nel 2006, l’Eiu non ha mai dipinto un quadro a tinte così fosche.Western Europe has the largest number of “full democracies”, with Nordic countries dominating four of the top seven positions in EIU’s Democracy Index 2024. Find out why in our free report: https://t.co/DjI3ShbhQZ#DemocracyIndex #Markets #Economy pic.twitter.com/aFzQPCVMG3— Economist Intelligence: EIU (@TheEIU) February 27, 2025Gli analisti dell’Economist assegnano un punteggio su una scala da zero a dieci a 167 Paesi e territori, sulla base di cinque criteri: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili. Le categorie in cui vengono raggruppati i Paesi e i territori sono quattro: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autoritari.Alcuni trend globaliLa media del punteggio globale è scesa a 5,17 toccando un nuovo minimo storico: il valore più alto è stato raggiunto nel 2015 (con 5,55), mentre nel 2023 il dato aggregato si è attestato a 5,23. In uno sviluppo forse controintuitivo, nonostante il 2024 sia stato un super anno elettorale (circa 1,65 miliardi di voti in oltre 75 Paesi, secondo i calcoli dell’Eiu), l’indice relativo al processo elettorale è sceso di 0,08 punti rispetto al 2023, a causa di elezioni non sempre libere ed eque, così come di limitazioni anche sostanziali alla libertà di parola e di associazione.Un calo ancora maggiore (-0,13) l’ha registrato l’indice del funzionamento del governo, che si è fermato a 4,53 punti a livello globale. “Questa scarsa performance è il risultato delle debolezze fondamentali che affliggono i sistemi democratici, sia sviluppati che in via di sviluppo”, certificano gli analisti. “L’immobilismo, le disfunzioni, la corruzione, l’insufficiente trasparenza e la mancanza di accountability hanno minato la fiducia dell’opinione pubblica nei governi, nei partiti politici e nei politici”, continuano, e per questo “la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche è in declino da molti anni“.Foto: John Thuys/AfpSolo il 6,6 per cento della popolazione globale vive in una democrazia completa, poco più della metà del 12,5 per cento di dieci anni fa. Contando anche chi vive in una democrazia imperfetta, si arriva poco oltre il 45 per cento. Quasi due persone su cinque (il 39,2 per cento del totale) vivono in un regime autoritario (categoria che comprende 60 Stati nel mondo, soprattutto tra il continente africano e quello asiatico), mentre il restante 15 per cento circa in regimi ibridi che combinano democrazia elettorale e tendenze autoritarie.La classifica generaleNel 2024, il Paese più democratico del mondo è stato la Norvegia per il 16esimo anno di fila (con 9,81 punti sul massimo di 10). Gli altri gradini del podio sono occupati da Nuova Zelanda e Svezia (9,61 e 9,39 rispettivamente), mentre in fondo alla classifica ci sono Afganistan (0,25), Myanmar (0,96) e Corea del Nord (1,08). Gli Stati Uniti sono 28esimi con 7,85 punti (democrazia imperfetta), l’India è 41esima con 7,29 (democrazia imperfetta) l’Ucraina è 92esima con 4,9 punti (regime ibrido), la Cina 145esima a quota 2,11 (regime autoritario) e la Russia 150esima a 2,03 (regime autoritario).Ad eccezione della Nuova Zelanda, i primi dieci classificati sono tutti Paesi europei: dopo Norvegia e Svezia ci sono Islanda, Svizzera, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo. Il Regno Unito è salito dal 18esimo al 17esimo posto con 8,34 punti. Di conseguenza, la regione dell’Europa occidentale è l’unica a migliorare il proprio punteggio aggregato (seppur di un impercettibile 0,01), attestatosi nel 2024 a una media di 8,38 punti.Al contrario, le aree in cui si sono registrati i deterioramenti più consistenti sono state quella del Medio Oriente e Nordafrica (-0,11 punti) e quella dell’Asia e Australasia (-0,10). Dei 167 Paesi e territori analizzati dall’Eiu, solo 37 hanno registrato qualche miglioramento rispetto all’anno precedente.Come va l’Ue?Quanto agli Stati membri dell’Ue, 13 su 27 sono democrazie complete (in ordine di punteggio: Germania, Austria, Estonia e Spagna a pari merito, Cechia e Portogallo a pari merito e Grecia), mentre le restanti sono democrazie imperfette. Tra queste ultime, la Francia è 26esima (con 7,99 punti), l’Italia 37esima (7,58) e la Polonia 39esima (7,4). Maglia nera alla Romania, che col 72esimo posto su 167 si ferma appena sotto alla sufficienza (5,99 punti) e scende dunque nel gruppo dei regimi ibridi.La Francia è scesa di categoria tra il 2023 e il 2024, abbandonando la famiglia delle democrazie complete (per classificarsi così sono necessari almeno 8 punti su 10) per il deterioramento dell’indice di fiducia nel governo dovuto alla profonda crisi politica in cui è precipitata nell’ultimo anno.Sostenitori di Călin Georgescu protestano contro il suo arresto, il 26 febbraio 2025 (foto: Daniel Mihailescu/Afp)Per quel che riguarda la Romania, il declassamento a regime ibrido – l’unico Stato membro in questa categoria – è seguito al caos politico-istituzionale seguito all’annullamento delle presidenziali risalente allo scorso dicembre a seguito delle interferenze russe (giusto ieri è stato brevemente fermato il candidato filorusso e principale indiziato, Călin Georgescu).Evoluzioni positive si sono invece registrate in Cechia, Estonia e Portogallo, che hanno fatto il loro ingresso nella famiglia delle democrazie complete.

  • in

    Il “regresso democratico” della Georgia preoccupa l’Eurocamera in vista delle elezioni parlamentari

    Dall’inviata a Strasburgo – Con le elezioni parlamentari del 26 ottobre alle porte, ed un governo fortemente filo-russo ed anti libertario, la democrazia in Georgia è a rischio. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in risposta all’allontanamento georgiano dall’Unione europea e dai suoi valori, con la prospettiva di un’adesione che sembra sempre più difficile.L’Ue aveva promesso che non avrebbe lasciato correre l’operato del governo georgiano e la risoluzione mette nero su bianco che la Georgia deve rispettare gli impegni presi da quando ha presentato la sua richiesta per l’ingresso nell’Ue.Si parla di “regresso democratico” e “clima di odio e intimidazione” per la Georgia, che ha adottato leggi che sono “incompatibili con i valori e i principi democratici dell’Ue” e ovviamente frenano (se non bloccano) il processo di adesione georgiano. “Profonda preoccupazione dinanzi all’accresciuta influenza della Russia in Georgia” per l’Eurocamera, che viene confermata anche dall’uso di immagini di guerra in Ucraina del partito Sogno georgiano per manipolare l’opinione pubblica.Arriva una ferma condanna per quanto riguarda la criminalizzazione delle forze di opposizione da parte dell’oligarca Bidzina Ivanishvili e di personalità eminenti al governo. Sempre in tema di contrasto agli avversari politici, gli eurodeputati spingono l’Ufficio di investigazione del paese ad indagare sulle brutali repressioni delle manifestazioni pro-Ue.Lo status di Paese candidato è stato garantito alla Georgia nella convinzione che venissero seguite le raccomandazioni della Commissione per raggiungere gli standard europei. “La legislazione recentemente adottata è chiaramente in contrasto con tale ambizione e ha effettivamente sospeso l’integrazione della Georgia nell’Ue“, si legge nella raccomandazione. L’invito rivolto all’Ue e agli Stati membri è di procedere nei confronti di coloro che compromettono la democrazia nel paese, anche con sanzioni personali (come già fatto dagli Usa verso i membri di Sogno georgiano).Le elezioni sono un tema caldissimo per gli eurodeputati, e si chiede con fermezza che siano garantiti i più alti standard internazionali per avere elezioni democratiche, eque e libere. E, soprattutto, che si rispetti la volontà e la libera scelta del popolo georgiano, che il partito al governo, Sogno georgiano, ha decisamente in poca considerazione.La situazione politica in GeorgiaLa situazione politica georgiana è complessa, vista la divisione tra popolazione filo-Ue e un governo che guarda alla Russia putiniana.Nel maggio di quest’anno è stata approvata una legge sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, che richiama, non troppo vagamente, quella russa. La legge impone alle organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come “organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera”. Qua la prima frattura evidente con l’Ue nel cammino per l’adesione.L’”arresto al processo di adesione” della Georgia aveva comportato dall’Ue il congelamento del Fondo europeo per la pace, bloccando di fatto 30 milioni di euro per l’anno corrente. L’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński, aveva dichiarato che “si stanno valutando altre misure se la situazione dovesse ulteriormente deteriorarsi”. Nella risoluzione di oggi si conferma il blocco ai finanziamenti “fino a che le leggi antidemocratiche non saranno state abrogate”.A settembre, l’approvazione di un ulteriore provvedimento relativo ai “valori della famiglia e la protezione dei minori” ha dato un’ulteriore stoccata alla Georgia europeista. La legge “mina i diritti fondamentali della popolazione georgiana”, per il Servizio di azione esterna europeo (Seae). Il riconoscimento e la tutela della famiglia solo come unione tra un uomo (“biologicamente maschio”) e di una donna (“biologicamente femmina”) ha un impatto forte sulla società civile georgiana, minacciando i diritti della comunità Lgbtq+.Il Parlamento europeo ha deciso di dare un segnale forte, nella speranza che il 26 ottobre faccia rientrare in carreggiata la Georgia e la sua democrazia sempre più claudicante. Per altro, la legge sulla “trasparenza delle influenze straniere” ha “di fatto rimosso l’obbligo di disporre di osservatori nazionali”, la cui presenza per l’Eurocamera poteva favorire la trasparenza.Non si registra unità nella decisione, dal momento che il piccolo gruppo di estrema destra Esn, Europa delle Nazioni Sovrane, aveva proposto un emendamento opposto rispetto al testo adottato. Tra i 495 favorevoli il Ppe quasi in blocco e S&D, Patrioti per l’Europa si divide tra favorevoli e contrari (e qualche astenuto) e Esn resta all’opposizione. In attesa delle elezioni, l’Europa parla chiaro: la Georgia deve invertire completamente la rotta, spostando il suo favore dalla Russia all’Europa, oppure l’adesione diventerà un altro “sogno georgiano”.

  • in

    Nelle elezioni farsa in Tunisia il presidente Kais Saied ha stravinto. L’Ue: “Prendiamo atto delle denunce della società civile”

    Bruxelles – Nessuna sorpresa a Tunisi: secondo gli exit poll, il presidente in carica Kais Saied ha stravinto le elezioni presidenziali con l’89,2 per cento dei voti. Non pervenuti gli altri due candidati figuranti, che insieme avrebbero totalizzato circa l’11 per cento. Di fronte alle denunce di brogli e abusi di potere lanciate dalle opposizioni e dalla società civile, l’Unione europea – che con l’autoritario presidente ha rafforzato la propria partnership – ha commentato: “Ne prendiamo atto, rimaniamo a fianco del popolo tunisino”.Un popolo che ha ampiamente boicottato l’appuntamento elettorale: nella giornata di ieri (6 ottobre), alle urne si è presentato soltanto il 28 per cento degli aventi diritto di voto. Nel 2019, quando Saied ricevette il suo primo mandato, l’affluenza era stata del 49 per cento. C’è anche chi alle urne proprio non poteva arrivarci: i centinaia di oppositori politici imprigionati dal regime, tra cui Ayachi Zammel, l’unico vero sfidante ammesso alle elezioni presidenziali. Zammel, ex deputato liberale e imprenditore agricolo, è in carcere dallo scorso 3 settembre, condannato a scontare tredici anni e otto mesi con l’accusa di aver falsificato i moduli elettorali richiesti per la candidatura.Dal carcere, secondo gli exit poll Zammel avrebbe conquistato il 6,9 per cento dei voti. Al terzo posto, con il 3,9 per cento, Zouhair Maghzaoui, candidato fantoccio che non ha mai messo in discussione il progetto politico di Saied e anzi l’ha apertamente sostenuto nel corso dello smantellamento delle istituzioni democratiche messo in atto dal presidente. La percentuale “bulgara” ottenuta da Saied non si vedeva dai tempi di Ben Ali, che nel 1999 e nel 2004 venne eletto con più del 90 per cento dei voti. E contro cui, nel 2010, sfociarono le proteste che dilagarono nella primavera araba.Il presidente Kais Saied, alle urne domenica 6 ottobre (Photo by FETHI BELAID / AFP)I risultati preliminari saranno comunicati questa sera dall’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni (Isie), ma per conoscere quelli definitivi bisognerà aspettare il 24 ottobre, trascorso il periodo per la valutazione di eventuali ricorsi. Tuttavia, a margine della chiusura delle urne, Saied ha già dichiarato che nei prossimi cinque anni “ripulirà il paese da tutti i corrotti e dai cospiratori“.La repressione messa in atto da Saied, che si è intensificata ulteriormente in un clima elettorale segnato da vessazioni nei confronti di oppositori politici, giornalisti e ong per i diritti umani, rischia di mettere in imbarazzo Bruxelles, che con il presidente tunisino ha rafforzato i propri legami e siglato nell’estate dell’anno scorso una partnership comprensiva e globale. Garantendo a Saied oltre un miliardo di euro, nel tentativo di stabilizzare il Paese colpito da una profondissima crisi economica. E con l’obiettivo di fermare le partenze di migranti subsahariani dalle coste tunisine verso l’Europa.Interpellata dalla stampa internazionale a Bruxelles, la portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Nabila Massrali. ha dichiarato che l’Ue “prende atto della posizione espressa da molti attori sociali e politici tunisini in merito all’integrità del processo elettorale, in particolare per quanto riguarda le varie misure ritenute lesive dei requisiti democratici di credibilità e inclusività, tra cui la modifica sostanziale della legge elettorale alla vigilia delle elezioni”.Solo dieci giorni fa, il Parlamento di Tunisi ha approvato la riforma voluta dal governo, che prevede il passaggio della competenza sulle controversie dal Tribunale amministrativo alla giustizia ordinaria. In sostanza, gli eventuali ricorsi dei candidati contro le decisioni dell’Isie dovranno essere presentate direttamente in Corte d’Appello e in Cassazione. In base alla nuova legge, i risultati preliminari delle elezioni presidenziali potranno essere contestati solo dinanzi al Tribunale di primo grado di Tunisi. Una modifica che ha suscitato le proteste delle opposizioni e della società civile, che si sono radunati fuori dal Parlamento di Tunisi lo scorso 27 settembre.“Ovviamente, l’Ue è al fianco del popolo tunisino e rimane attenta alle sue legittime esigenze e aspirazioni in termini di libertà fondamentali, democrazia e sviluppo sostenibile, in conformità con l’accordo di associazione Ue-Tunisia”, ha proseguito Massrali. Una dichiarazione che lascia intendere che l’Ue sarà pronta a fare la voce grossa con il presidente. Ma la coperta è corta, come dimostrano le sistematiche violazioni dei diritti delle persone migranti perpetrate dalle forze di sicurezza tunisine, su cui l’Ue sta facendo spallucce. L’amico-partner Saied tiene sotto scacco Bruxelles, terrorizzata da una fantomatica invasione dal continente africano.

  • in

    Il Venezuela ritira l’invito agli osservatori dell’Ue per le elezioni presidenziali del prossimo 28 luglio

    Bruxelles – Nessun osservatore europeo alle prossime elezioni in Venezuela. Il governo di Caracas ha deciso di ritirare l’invito che aveva rivolto all’Ue di mandare nel Paesi degli osservatori che verificassero il regolare e corretto svolgimento delle elezioni presidenziali il prossimo 28 luglio. Un segnale allarmante per il processo democratico, dato che il Venezuela negli ultimi anni è stato attenzionato per le pratiche antidemocratiche del presidente Nicolás Maduro.Il ritiro unilaterale del Venezuela preoccupa, specialmente perché il presidente uscente è dietro nei sondaggi a Edmundo González Urrutia, candidato principale delle opposizioni. Il rischio di svolgere delle elezioni senza osservatori internazionali indipendenti è che potrebbero essere truccate più facilmente. Inoltre la mancanza di un organo terzo che ne verifichi lo svolgimento causerebbe accuse reciproche che rischierebbero di far precipitare il Paese nel caos. La situazione attuale in Venezuela è incandescente: l’economia è in recessione con tassi d’inflazione annua a tre cifre, le proteste nelle strade si susseguono con cadenza sempre più ravvicinata e i diritti umani non sono rispettati con continui abusi della polizia. In questo contesto quindi le elezioni rischiano di esacerbare la situazione.L’Unione europea ha attaccato la decisione di ritirare l’invito agli osservatori attraverso un post rilasciato su X ( il social ex Twitter): “Il popolo venezuelano dovrebbe essere in grado di scegliere il suo prossimo presidente attraverso elezioni credibili supportate dall’osservazione internazionale, inclusa quella dell’Unione Europea, che ha una lunga e illustre storia di osservazione indipendente e imparziale”. Elvis Amoroso, capo del Consiglio nazionale elettorale del Venezuela, ha risposto che i rappresentanti dell’Ue “non sono i benvenuti nel nostro Paese mentre vengono mantenute le sanzioni genocide contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, e in particolare il suo governo”. In realtà le sanzioni decise dai 27 Paesi non riguardano il governo venezuelano ma solo 54 ufficiali accusati di atti di repressione o tentativi di minare la democrazia, inoltre l’Ue ha posto l’embargo alla vendita di armi.Questa non sarebbe stata la prima volta che l’Unione europea sorvegliava lo svolgimento delle elezioni in Venezuela. Nel 2021 l’Ue aveva accettato l’invito del governo venezuelano e aveva mandato degli osservatori per seguire le procedure di voto per le regionali. La missione ha concluso che la competizione si era svolta in condizioni migliori rispetto alle elezioni svoltesi negli ultimi anni, ma l’uso di fondi pubblici a beneficio dei candidati filo-governativi ha comunque inficiato sull’esito delle consultazioni.La strada per arrivare alla decisione di votare il prossimo 28 luglio è stata travagliata. Lo scontro tra il presidente Maduro e l’allora presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó, terminato con l’allontanamento di quest’ultimo dalla politica, ha lasciato molte frizioni aperte. Nel ottobre del 2023 però governo e opposizioni hanno firmato, grazie alla mediazione della Norvegia, un accordo alle Barbados nel quale si sanciva la seconda metà del 2024 come momento per tenere elezioni libere ed indipendenti. Ma senza la presenza di osservatori internazionali difficilmente sarà verificabile il processo elettorale.