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    Il G7 promette altri 32 miliardi di dollari di sostegno all’Ucraina per il 2023

    Bruxelles – Supporto all’Ucraina incrollabile finché sarà necessario. Lo è stato nel 2022, altrettanto lo sarà nel 2023. Nell’ultimo incontro virtuale sotto presidenza tedesca, i ministeri delle finanze del G7 (che comprendono Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, oltre all’Unione europea) hanno ribadito in una dichiarazione congiunta la ferma condanna dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, della “tragica perdita di vite umane che ne deriva” e dei “continui attacchi disumani” di Mosca contro le infrastrutture critiche ed energetiche delle città ucraina, che stanno lasciando milioni di persone senza elettricità, gas per riscaldarsi o senza acqua.

    The @G7 mobilised a total of $32.7 billion in budgetary assistance for #Ukraine in 2022. The plan is to provide a further $32 billion in 2023. In this way, the #G7 is reaffirming its unshakable support for Ukraine. #FinanceTrack statement: ➡️ https://t.co/3RswzXeHGz. #G7GER
    — Bundesministerium der Finanzen (@BMF_Bund) December 22, 2022

    La nota diffusa ricorda che le sette più grandi economie al mondo hanno messo a disposizione negli ultimi 12 mesi 32,7 miliardi di dollari (circa 30 miliardi di euro) per l’Ucraina e il piano è quello di mobilitare altri 32 miliardi di dollari nel 2023. “Per il 2022, – si legge – abbiamo mobilitato 32,7 miliardi di dollari di sostegno al bilancio per aiutare l’Ucraina a colmare il suo deficit di finanziamento per quest’anno. L’intero importo è stato erogato all’Ucraina o è in corso di erogazione”. Quanto ai prossimi dodici mesi, il G7 conferma l’approccio congiunto per un sostegno economico e di bilancio coordinato per il prossimo anno, “in linea con le esigenze del governo ucraino: per il 2023 abbiamo già mobilitato fino a 32 miliardi di dollari di bilancio e di sostegno economico“, si legge ancora.
    La dichiarazione comune spiega che l’importo finanziario comprende i 18 miliardi di euro mobilitati da parte dell’Unione Europea, integrati da una quota di sovvenzioni che arriveranno dagli Stati membri per coprire i costi degli interessi, e un altro pacchetto di aiuti molto significativo da parte degli Stati Uniti, come proposto dall’amministrazione di Joe Biden in attesa di essere approvata dal Congresso degli Stati Uniti. Altri 500 milioni di dollari di ulteriori prestiti arriveranno dalla Banca Mondiale garantiti dal Regno Unito e 115 milioni di dollari canadesi di entrate tariffarie dalle importazioni da Russia e Bielorussia. Il Giappone sta inoltre preparando un ulteriore sostegno al bilancio di Kiev per il 2023. Tutti gli impegni finanziari citati nella nota “danno certezza all’Ucraina e permettono al governo di continuare a fornire servizi di base, di effettuare le riparazioni più critiche e di stabilizzare l’economia”.
    Lo scorso ottobre alla Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aveva messo in chiaro la necessità di uno stanziamento da 38 miliardi di dollari per il 2023, al quale la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva promesso un sostegno solo dai Ventisette pari a 1,5 miliardi di euro al mese per tutto il prossimo anno (complessivamente 18 miliardi).

    I ministri delle finanze di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti promettono “supporto all’Ucraina incrollabile finché sarà necessario”

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    L’Unione europea trova l’accordo sul tetto a 60 dollari al petrolio russo

    Bruxelles – Fumata bianca. Gli ambasciatori dei Ventisette hanno hanno raggiunto oggi (2 dicembre) un accordo sul tetto massimo al prezzo del petrolio russo a 60 dollari al barile, dopo il via libera della Polonia, l’ultimo Paese rimasto a esprimere riserve sulla cifra (perché chiedeva una soglia più bassa).
    Dopo l’accordo politico di principio sul tetto al prezzo del petrolio russo deciso nell’ottavo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei 27 stati membri hanno iniziato nei giorni scorsi le trattative per trovare un’intesa sulla fascia di prezzo oltre la quale vietare il trasporto globale via mare del greggio di Mosca verso Paesi terzi. E’ nel contesto del G7 (che riunisce oltre all’Unione europea, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e USA) che le sette economie più ricche al mondo hanno concordato all’inizio del mese di settembre in linea di principio di introdurre un tetto massimo globale sul prezzo del petrolio russo trasportato verso i Paesi terzi, nell’ottica di impedire alla Russia di continuare a trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali.
    La scadenza ultima per trovare un accordo era il 5 dicembre, quando entrerà in vigore l’embargo al petrolio russo deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a inizio giugno, con cui i governi hanno deciso di tagliare entro la fine del 2022 il 90 per cento delle importazioni russe di petrolio in arrivo nel continente europeo, attraverso un embargo su tutto il petrolio in arrivo via mare e un impegno di Germania e Polonia a tagliare anche le proprie importazioni attraverso l’oleodotto Druzhba, che è rimasto esentato dall’embargo per andare incontro alle richieste del premier ungherese Viktor Orbán. L’embargo europeo sul greggio russo entrerà in vigore dal 5 dicembre ed è la stessa data di scadenza che hanno i governi per mettersi d’accordo anche sul tetto al prezzo del petrolio via mare. A quanto si apprende, la procedura sarà formalizzata nel fine settimana.

    #COREPERII | ✅ Ambassadors have just reached an agreement on price cap for Russian seaborne #oil 🛢️. Written procedure follows, decision will enter into force on publication in the Official Journal. EU stays united and #StandWithUkraine. 🇺🇦🇪🇺 #EU2022CZ pic.twitter.com/92vHTFDzxV
    — EU2022_CZ (@EU2022_CZ) December 2, 2022

    L’intesa degli ambasciatori dei 27 dopo il via libera della Polonia, che durante le trattative ha chiesto una soglia più bassa

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    Obbligo di acquisti congiunti e price cap dinamico sulla borsa di Amsterdam, la proposta Ue contro il caro gas

    Bruxelles – Un limite di prezzo dinamico a tutte le transazioni nel Dutch Title Transfer Facility (Ttf), il mercato olandese di riferimento per gli scambi del gas in Europa. Poi ancora un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto (GNL) complementare e alternativo al Ttf da rendere operativo entro la fine del 2022 e acquisti congiunti di gas obbligatori per il riempimento di almeno il 15 per cento delle riserve europee. Sono alcuni dei punti principali del nuovo pacchetto contro il caro energia, visto e anticipato da Bloomberg, che la Commissione europea proporrà domani (18 ottobre) agli Stati membri per affrontare i rincari energetici. La bozza, ancora suscettibile a modifiche prima del via libera del collegio domani a Strasburgo, sarà sul tavolo dei capi di stato e governo riuniti giovedì e venerdì (20-21 ottobre) a Bruxelles al Consiglio europeo. L’ultimo di Mario Draghi alla guida dell’esecutivo italiano.
    La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha riunito nel fine settimana il collegio dei commissari per “fare buoni progressi nell’attuazione della tabella di marcia per affrontare i prezzi elevati dell’energia presentata ai leader al vertice informale di Praga”, ha scritto in un tweet, con l’idea di “approvare un altro pacchetto di proposte legali alla nostra prossima riunione del collegio, martedì”. Nelle scorse settimane l’esecutivo comunitario ha subito forti le pressioni di un gruppo di Paesi, tra cui Italia, Grecia, Polonia e Belgio, che hanno chiesto a più riprese l’introduzione di un corridoio dinamico ai prezzi del gas.

    Good VTC discussion on energy with College members.
    Made good progress on implementing the roadmap to tackle high energy prices presented to Leaders at the informal summit in Prague.
    We will approve another package of legal proposals at our next college meeting, Tuesday. pic.twitter.com/e8r08gtyRn
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 16, 2022

    Alla fine, la Commissione dovrebbe spianare la strada a un meccanismo di controllo dei prezzi dinamico, che sia temporaneo e da mettere in atto mentre lavora al nuovo parametro di riferimento complementare per il prezzo del gas liquefatto. Dopo aver constatato, e ammesso più volte, che il Ttf non è più rappresentativo del mercato, sempre più dominato dagli scambi di gas naturale liquefatto. Il nuovo indice non sarà avviato prima della fine del 2022, in tempo per renderlo operativo prima della prossima stagione di riempimento delle riserve di gas nella primavera 2023.
    Assente nella bozza vista da Bloomberg la proposta (su cui Bruxelles spingeva fino a poche settimane fa) di estendere a tutti i Paesi dell’Ue il modello iberico di ‘price-cap’, ovvero un tetto sul prezzo del gas usato per la produzione di elettricità, come introdotto in primavera da Spagna e Portogallo e che nei fatti ha contribuito ad abbassare i prezzi nei due Paesi. Sul cap per la generazione di elettricità è mancato però il sostegno da buona parte dei governi dell’Ue, dal momento che nei fatti andrebbe finanziato con risorse nazionali e non tutti hanno spazio fiscale per farlo. L’Italia ad esempio si è detta contraria, insieme a Polonia, Belgio, Grecia in un non paper trasmesso alla Commissione nelle scorse settimane. Bruxelles presenterà invece misure per aumentare la liquidità nei mercati energetici e la proposta di rendere obbligatorio per i governi partecipare all’acquisto congiunto di gas per il riempimento di almeno il 15 per cento degli stoccaggi dei Paesi, rendendo di fatto operativa finalmente la piattaforma per gli acquisti congiunti.
    Gli acquisti congiunti di gas sono considerati fondamentali per riprendere a riempire gli stoccaggi appena finirà l’inverno e soprattutto per evitare concorrenza tra i governi nell’acquisto delle forniture. Sulla scia dell’acquisto comune dei vaccini durante la pandemia COVID-19, di fronte alla crisi energetica connessa alla guerra in Ucraina Bruxelles ha lanciato lo scorso 7 aprile una piattaforma energetica a cui gli Stati membri possono aderire su base volontaria per negoziare e cercare approvvigionamenti di gas (e in futuro anche idrogeno e gas naturale liquefatto), principalmente per mantenere anche i prezzi più contenuti potendo gestire la domanda a livello comunitario e non nazionale. Nella sostanza si cerca di evitare che ci sia concorrenza tra i Paesi membri dell’Ue nell’acquisto di forniture, data la necessità di accelerare con la diversificazione dei fornitori e riempire le riserve. Secondo le indiscrezioni, le forniture russe saranno escluse da questo sistema di appalti congiunti, che come spiegavamo, ha avuto difficoltà a decollare soprattutto perché sarà affidato agli operatori commerciali e non direttamente ai governi.
    Le proposte dovrebbero assumere la forma legislativa di una proposta di Regolamento del Consiglio, da far adottare agli Stati quindi a maggioranza qualificata (senza unanimità e dunque senza possibilità di veti) e senza passaggio all’Europarlamento.

    L’esecutivo comunitario presenterà domani a Strasburgo un nuovo pacchetto di misure per ridurre i prezzi del gas, tra cui un nuovo indice di riferimento complementare al Ttf di Amsterdam per il gas naturale liquefatto. Le proposte saranno sul tavolo dei capi di stato e governo Ue riuniti a Bruxelles il 20-21 ottobre al Consiglio europeo, l’ultimo di Mario Draghi alla guida dell’Italia

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    Gas, il Cremlino: le forniture riprenderanno “solo con lo stop alle sanzioni” occidentali

    Bruxelles – L’Unione europea tira dritto sul tetto al prezzo del gas russo, mentre la Russia torna a incolpare Bruxelles e le sanzioni occidentali per l’interruzione dei flussi di gas dal Nord Stream e per aver innescato la peggiore crisi europea dell’approvvigionamento di gas. I problemi con le forniture di gas tramite il gasdotto che collega i giacimenti siberiani direttamente alla Germania “persisteranno fino alla revoca delle sanzioni”, perché impediscono la “manutenzione delle unità dei gasdotti”, ha dichiarato in serata il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, spiegando che il funzionamento del gasdotto “si basa su un’unità che necessita di una seria manutenzione” e le sanzioni ne impediscono la riuscita.
    Il gigante russo del gas Gazprom venerdì ha annunciato che il gasdotto Nord Stream 1, la principale rotta di approvvigionamento in Europa, rimarrà chiuso a data da destinarsi dopo aver riscontrato una perdita di olio in una turbina di una stazione di compressione, facendo salire alle stelle i prezzi del gas. Il messaggio del Cremlino è chiaro: finché ci saranno sanzioni, i flussi del gas non ripartiranno e i prezzi (presumibilmente) continueranno a salire. “Problemi con la fornitura di gas sono sorti a causa delle sanzioni imposte al nostro Paese dagli stati occidentali, tra cui Germania e Gran Bretagna”, ha riferito ai giornalisti Peskov, come riporta Reuters. “Vediamo tentativi incessanti di trasferire responsabilità e incolpare su di noi. Lo rifiutiamo categoricamente e insistiamo sul fatto che l’Occidente collettivo – in questo caso, l’UE, il Canada, il Regno Unito – è responsabile del fatto che la situazione è arrivata al punto in cui è adesso”, ovvero con i prezzi alle stelle e difficoltà con l’approvvigionamento. Alla domanda se il Nord Stream tornerà a pompare gas con un allentamento delle sanzioni, Peskov ha risposto in maniera affermativa.
    Questo significa che le sanzioni occidentali contro Mosca “funzionano”? Fatto è che il Cremlino strumentalizza le sanzioni per incolpare l’Occidente della crisi energetica in corso. Le dichiarazioni del Cremlino arrivano in una Italia in piena campagna elettorale in cui il dibattito politico si è concentrato nel fine settimana sul reale funzionamento delle sanzioni e soprattutto se sia necessario portarle avanti anche di fronte a evidenti ricadute sui consumatori europei e sulle loro bollette. La diatriba è tutta interna alla coalizione di centrodestra, con il leader della Lega Matteo Salvini che insiste sul fatto che le sanzioni avrebbero provocato più danni alle economie europee rispetto a quella russa, e per questo dovrebbero essere ripensate. La posizione di Fratelli d’Italia è più moderata e allineata a quella dei principali partner dell’Ue sull’importanza delle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina.
    Gli effetti delle sanzioni occidentali sull’economia del Cremlino si vedranno sul lungo termine ed è proprio di oggi lo scoop di Bloomberg che ha preso visione di un rapporto interno preparato per il governo russo, secondo cui la Russia potrebbe andare incontro alla “recessione più lunga e più profonda man mano che l’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee si diffonde”. Il documento, precisa Bloomberg, è frutto di mesi di lavoro da parte di funzionari ed esperti che cercano di valutare il vero impatto dell’isolamento economico della Russia dovuto all’invasione dell’Ucraina voluta da Putin.
    Poco prima delle dichiarazioni del Cremlino, la Commissione ha confermato che una proposta per porre un tetto sul gas russo ci sarà. “Putin usa l’energia come arma, tagliando le forniture e manipolando i nostri mercati energetici. Ma Fallirà e l’Europa prevarrà”, ha avvertito la presidente Ursula von der Leyen, assicurando che la Commissione europea sta preparando proposte per aiutare le famiglie e le imprese vulnerabili a far fronte ai prezzi elevati dell’energia”.

    The @EU_Commission proposal will aim to:
    • Reduce electricity demand (peaks)• Price cap on 🇷🇺 pipeline gas• Help vulnerable consumers & businesses with revenue from the energy sector• Enable support to electricity producers facing liquidity challenges linked to volatility
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 5, 2022

    La leader dell’esecutivo si spinge oltre e conferma che le proposte a cui sta lavorando Bruxelles mireranno “a ridurre la domanda di elettricità (picchi)” ma anche “a imporre un tetto al prezzo del gas russo importato da gasdotto, aiutare i consumatori e le imprese vulnerabili con le entrate del settore energetico e consentire il sostegno ai produttori di energia elettrica che devono affrontare problemi di liquidità legati alla volatilità” dei prezzi. Il price-cap sul gas importato dalla Russia e proveniente da gasdotto è una misura richiesta a livello europeo a più riprese dal governo di Mario Draghi, principalmente per ottenere un doppio effetto: affrontare il rincaro sulle bollette elettriche e far valere il potere dell’Unione Europea come principale acquirente dei combustibili fossili importati da Mosca; ma anche imporre una sorta di sanzione indiretta nei confronti della Russia, vista l’impossibilità di stabilire un embargo sul gas russo (che ormai non è neanche tra le ipotesi).
    Dopo mesi di cautela (e, a parere di molti, di ritardo) da parte dell’Esecutivo europeo, un’apertura in questo senso è arrivata alla fine della scorsa settimana dalla stessa von der Leyen, a margine di un evento in Germania. La Commissione europea sta finalizzando il lavoro su un cosiddetto ‘non paper’, un documento interno fatto circolare con le proposte mirate contro il caro-bollette e per una riforma del mercato energetico per presentarlo quanto prima ai governi. L’occasione sarà il Consiglio straordinario per l’energia convocato con urgenza dalla presidenza dell’Ue della Repubblica ceca il prossimo venerdì 9 settembre. Ma a detta del portavoce capo dell’esecutivo europeo, Eric Mamer, il documento sarà “nelle mani” delle Capitali prima di venerdì, in modo da dare un contributo concreto al dibattito in seno alla riunione dei ministri dell’energia.
    Mamer ha annunciato proprio oggi che la presidente von der Leyen parteciperà mercoledì alla riunione degli ambasciatori dell’Ue (nel Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue), è quindi probabile che le proposte verranno presentate in prima battuta in questa occasione. Nei giorni scorsi è circolata a Bruxelles una prima bozza di proposta che la Commissione avrebbe dovuto presentare, ma senza riferimenti al tetto al prezzo del gas russo. Bruxelles aveva pensato a un’altra misura, ovvero fissare un massimale sul prezzo dell’energia elettrica prodotta da fonti diverse dal gas (ad esempio le rinnovabili) per fornire ai governi risorse con cui ammortizzare i costi delle bollette. La scelta di spingersi oltre e aprire ufficialmente al tetto sul gas probabilmente è da ricondurre in parte all’ennesima dimostrazione di inaffidabilità del colosso russo Gazprom e della Russia come partner energetico per l’Ue, dopo l’annuncio che avrebbe tenuto il gasdotto Nord Stream chiuso “per manutenzione” ben oltre i tre giorni programmati la scorsa settimana (dal 31 agosto al 2 settembre). In parte, è da ricondurre anche alla pressione politica che le Capitali stanno esercitando sulla Commissione europea, accusata nuovamente di risposta lenta e inadeguata alla crisi dei prezzi dell’Energia. Von der Leyen sperava di poter fare gli annunci su come rivedere il mercato energetico dell’Ue al prossimo discorso sullo Stato dell’Unione, che la leader dell’Esecutivo comunitario pronuncerà il prossimo 14 settembre di fronte all’Aula del Parlamento di Strasburgo. Sarà probabilmente costretta ad anticipare i tempi.

    La Russia torna a incolpare l’Occidente per il malfunzionamento del gasdotto Nord Stream e avverte che non ripartiranno i flussi finché ci saranno le sanzioni (che iniziano a far male al Paese)

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    Il gasdotto Nord Stream 1 è ripartito

    Bruxelles – Dieci giorni di fermo che hanno tenuto l’Europa con il fiato sospeso, ma da questa mattina (21 luglio) alle 6 il gasdotto Nord Stream 1 ha ripreso a pompare gas verso la Germania. Nord Stream 1, gestito dal gigante russo del gas Gazprom, è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo all’Europa, che collega i giacimenti di gas siberiani direttamente alla Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico. Gazprom aveva annunciato una manutenzione programmata del gasdotto da lunedì 11 luglio fino al 21 del mese, facendo temere all’Unione europea che i flussi non sarebbero più ripartiti dopo quella data nel contesto delle tensioni con Mosca per la guerra in Ucraina.
    A capacità massima, Nord Stream 1 trasporta circa 55 miliardi di metri cubi di gas da Mosca alla Germania, dove il gas viene poi distribuito in altri Paesi europei. Rappresenta più di un terzo delle esportazioni di gas russo verso l’Unione europea. L’infrastruttura da metà giugno già funzionava al 40 per cento della sua capacità, a causa – ha motivato Mosca – dell’assenza di una turbina servita dalla società tedesca Siemens Energy, in Canada, necessaria per la manutenzione del gasdotto. Secondo il capo del regolatore energetico tedesco, Klaus Müller, i flussi di gas russo attraverso il gasdotto Nord Stream 1 potrebbero raggiungere un livello del 40 per cento della capacità giovedì, ma è rimasta l’incertezza politica sulle forniture. “I flussi di gas reali sul Nord Stream 1 possono oggi raggiungere il livello di pre-manutenzione di circa il 40 per cento di utilizzo (circa 700 gigawattora al giorno). Sfortunatamente, l’incertezza politica e il taglio del 60% da metà giugno rimangono”, ha commentato in un tweet.

    Die realen Gasflüsse auf der #NordStream1 liegen über der Nominierung und können heute das Vor-Wartungsniveau von ca. 40% Auslastung (ca 700 GWh/d) erreichen.Die politische Unsicherheit und die 60%ige Kürzung von Mitte Juni bleiben leider bestehen. @bnetza @bmwk https://t.co/9vwoWkZ439
    — Klaus Müller (@Klaus_Mueller) July 21, 2022

    Il governo di Berlino ha fatto sapere che il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck e Mueller rilasceranno dichiarazioni alla stampa sul gasdotto Nord Stream 1 e sulla situazione del gas in generale alle 14 di oggi. La preoccupazione crescente dell’Unione europea che le forniture russe di gas inviate attraverso il gasdotto Nord Stream 1 potessero potessero non ripartire, ha spinto la Commissione europea a proporre ieri, sotto forma di una proposta di regolamento, agli Stati membri di ridurre l’utilizzo del gas del 15% fino a marzo come misura di emergenza. Una misura pensata per essere volontaria in un primo tempo, ma che Bruxelles vuole poter imporre in maniera obbligatoria di fronte a una crisi di approvvigionamento.
    La Commissione continua a descrivere la riduzione delle forniture di gas dalla Russia come “un tentativo deliberato di utilizzare l’energia come arma politica”. Le consegne di gas di Mosca agli Stati baltici, Polonia, Bulgaria e Finlandia sono state sospese. Quelle in Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Italia sono state ridotte e i flussi attraverso il Nord Stream 1, la più grande rotta di importazione nell’UE, sono stati ridotti del 60 per cento e Mosca usa la dipendenza energetica di Bruxelles per creare instabilità politica. Finora, le importazioni di gas sono state in parte compensate dall’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL), ma anche questa strategia ha i suoi limiti per la limitata capacità di importazione dell’Ue. Le importazioni di GNL nella prima metà del 2022 sono state del 60 per cento in più rispetto all’anno precedente, raggiungendo tra 11 e 13 miliardi di metri cubi al mese, una cifra vicina all’attuale capacità massima di importazione dell’UE.

    Secondo Berlino i flussi dovrebbero arrivare al 40 per cento della capacità oggi. La principale infrastruttura per il trasporto di gas russo all’Europa era ferma in manutenzione programmata dall’11 luglio per dieci giorni, mentre Bruxelles temeva che non sarebbe ripartita. Resta l’insicurezza energetica

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    L’Unione Europea ha congelato quasi 14 miliardi di euro agli oligarchi russi nei quattro mesi di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Si stringe il cerchio attorno agli oligarchi russi della cerchia di Vladimir Putin, con il congelamento degli asset delle persone e delle entità sanzionate dall’UE dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina decisa dal Cremlino il 24 febbraio scorso. In poco più di quattro mesi di guerra oltre i confini orientali dell’Unione, è salito a 13,8 miliardi di euro il valore degli asset sequestrati agli oligarchi russi (erano 9,89 a fine maggio), grazie agli sforzi della Commissione UE di rafforzare il rintracciamento, il congelamento, la gestione e la confisca dei beni dei soggetti sottoposti ai sei pacchetti di misure restrittive.
    A riportare la cifra “piuttosto enorme” dei beni sequestrati è stato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, in un punto con la stampa a margine del Consiglio Affari Interni informale a Praga. “Dei 13,8 miliardi di euro sequestrati, oltre 12 miliardi vengono da cinque Paesi membri“, ha puntualizzato il commissario. Per questo motivo la Commissione vuole “continuare a convincere” tutti i membri dell’Unione “a fare lo stesso”: a questo proposito, è stata inviata una lettera alle 27 capitali “per chiedere informazioni e per illustrare le migliori pratiche” per il sequestro e il congelamento di beni e proprietà. Il commissario per la Giustizia è sembrato sicuro del fatto che “nelle prossime settimane vedremo progressi in tutti i Paesi membri” anche grazie al coordinamento della task force Freeze and Seize istituita a marzo: “Più dettagli sui singoli Stati membri arriveranno dopo l’estate“, ha aggiunto Reynders.

    Sul tema del sequestro dei beni agli oligarchi russi si ricollega la questione non solo del congelamento, ma anche della confisca e riutilizzo, per chiunque violi le misure restrittive imposte dall’UE. Lo scorso 25 maggio la Commissione ha proposto un rafforzamento e un’estensione dei crimini dell’Unione Europea, includendo la violazione delle sanzioni tra i reati penali in tutti i 27 Paesi membri. “Abbiamo l’approvazione del Parlamento Europeo e il consenso al Consiglio, che approverà la proposta dopo la pausa estiva”, ha assicurato ai giornalisti Reynders: “In ottobre avremo una direttiva aggiornata e sarà possibile in tutti Paesi membri avviare procedure giudiziarie per la confisca se c’è stata una violazione”. Quanto recuperato sarà destinato a sostenere la ricostruzione dell’Ucraina, come confermato dal commissario per la Giustizia: “Dopo la confisca i soldi andranno direttamente al popolo ucraino“.
    La revisione della direttiva andrebbe a risolvere il problema della gestione dei beni congelati per i Ventisette, a causa delle spese per il loro mantenimento. Lo strumento di tipo economico al momento applicato non prevede che i beni congelati possano essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, rimanendo proprietà degli oligarchi sanzionati: non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato. In Italia, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 109, la custodia, amministrazione e gestione delle risorse economiche “oggetto di congelamento” spettano all’Agenzia del demanio, che deve pagare tutte le spese legate a un bene sottoposto a questo strumento economico. L’Agenzia può utilizzare eventuali utili prodotti dal bene, ma in caso contrario attinge a un fondo apposito del bilancio statale. Quando il bene viene ‘scongelato’ e restituito, il proprietario deve risarcire lo Stato italiano per tutte le spese sostenute.

    La cifra è stata resa nota dal commissario per la Giustizia, Didier Reynders, a margine del Consiglio Affari interni informale a Praga: “Più di 12 miliardi provengono da cinque Paesi membri UE”, ma a ottobre arriverà la direttiva aggiornata sulla confisca e riutilizzo dei beni sequestrati

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    L’Unione Europea e la Nuova Zelanda hanno trovato un accordo per il libero scambio commerciale

    Bruxelles – Si stringono i rapporti tra i due estremi del globo. Sulla base di un commercio bilaterale da 7,8 miliardi di euro all’anno per le merci e da 3,7 miliardi per i servizi – con esportazioni per 5,5 miliardi e importazioni da 2,3 miliardi per Bruxelles – UE e Nuova Zelanda hanno trovato oggi (giovedì 30 giugno) un’intesa commerciale di libero scambio che copre settori come l’agricoltura, il tessile, il digitale, l’energia e, per la prima volta, l’ambiente. Un accordo “solido e moderno” che “rappresenterà un’occasione per i nostri consumatori e agricoltori”, ha voluto sottolineare la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa congiunta con la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern. O, come ha ricordato il vicepresidente esecutivo dell’esecutivo comunitario, Valdis Dombrovskis, “il primo del suo genere a prevedere sanzioni in caso di violazione sostanziale dell’Accordo sul clima di Parigi”.
    La firma dell’accordo di libero scambio tra UE e Nuova Zelanda (30 giugno 2022)
    Secondo i negoziati portati avanti negli ultimi quattro anni, dal giorno dell’entrata in vigore dell’accordo (che dovrà essere prima siglato dal Consiglio e approvato dal Parlamento UE, con la contemporanea ratifica a Wellington), saranno eliminati i dazi su tutte le esportazioni di merci e prodotti industriali e alimentari dai Paesi membri UE verso la Nuova Zelanda, mentre l’Unione eliminerà “o ridurrà sostanzialmente” i dazi sulla maggior parte delle merci neozelandesi, si legge nel testo dell’intesa. Per esempio, il governo di Wellington rinuncerà a tariffe fino al 10 per cento applicate attualmente al settore automobilistico e tessile, o del 5 per cento a quelli chimico, farmaceutico e alimentare.
    Proprio per quanto riguarda quest’ultimo punto, le due parti “collaboreranno per rafforzare le politiche e definire programmi che contribuiscano allo sviluppo di sistemi alimentari sostenibili, inclusivi, sani e resilienti“, anche grazie al fatto che a beneficiare maggiormente dell’accordo saranno “gli agricoltori da entrambe le parti, anche oltre il taglio ai dazi commerciali” su cibo e fertilizzanti, ha specificato la presidente von der Leyen. In questo senso va letta la “crescita dell’80 per cento degli investimenti”, ma anche la tutela delle oltre 200 indicazioni geografiche protette dell’UE. Saranno inclusi “l’intero elenco dei vini e degli alcolici” (tra cui il Prosecco) e “le più rinomate indicazioni geografiche alimentari” (come il formaggio Asiago). Nel capitolo sul regime di protezione che sarà applicato dalla controparte neozelandese si legge che “sarà illegale la vendita di imitazioni” – come il divieto dell’uso di un termine IG “per prodotti non genuini”, o espressioni come ‘genere’, ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ – e l’uso “ingannevole” di simboli, bandiere o immagini che suggeriscono una falsa origine geografica.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern (30 giugno 2022)
    Ma nell’intesa tra UE e Nuova Zelanda risalta in particolare il capitolo dedicato a Commercio e sviluppo sostenibile, che include questioni ambientali e climatiche. Le due parti si impegnano a collaborare su questioni come la determinazione del prezzo del carbonio e la transizione verso un’economia a basse emissioni, includendo “impegni sanzionabili in linea con l’Accordo di Parigi” del 2015. Nella logica di favorire tutto ciò che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi ambientali e climatici “prevenendo, limitando, minimizzando o rimediando ai danni ambientali all’acqua, all’aria e al suolo”, sarà facilitato il commercio e gli investimenti in beni, servizi e tecnologie a basse emissioni di carbonio, a partire dall’azzeramento delle tariffe su energie rinnovabili e prodotti ad alta efficienza energetica.
    A questo si riconnette il capitolo sull’energia e le materie prime, che specifica l’eliminazione delle restrizioni all’esportazione di beni energetici, rinnovabili incluse. L’intesa “vieta i monopoli”, ma anche l’intervento “ingiustificato” nella determinazione dei prezzi e la doppia tariffazione (in cui i prezzi all’esportazione vengono fissati al di sopra dei prezzi interni). Saranno invece promossi il commercio e gli investimenti per le energie rinnovabili e i prodotti ad alta efficienza energetica, “affrontando le principali barriere non tariffarie specifiche per ogni tecnologia”: accesso non discriminatorio alla rete, utilizzo da parte di un’autorità di regolamentazione indipendente, bilanciamento dei mercati e promozione della cooperazione su standard comuni.
    Di rilievo è anche la parte dell’accordo riservata alla sfera digitale e alla proprietà intellettuale. Saranno facilitati i flussi di dati transfrontalieri, vietando i requisiti “ingiustificati” di localizzazione dei dati e mantenendo il livello di protezione dei dati personali secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’UE, “che contribuisce in modo significativo alla fiducia nell’ambiente digitale”. In questo modo le imprese potranno contare sulla “prevedibilità e certezza del diritto” e i cittadini comunitari e neozelandesi su “un ambiente online sicuro” nel momento in cui effettuano transazioni commerciali digitali a livello transfrontaliero. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di proprietà intellettuale, saranno protetti il diritto d’autore, i marchi, i disegni e i modelli industriali, con un aumento degli standard accettati da Wellington: 20 anni per i diritti di autori, esecutori e produttori di registrazioni sonore e 15 anni per disegni e modelli registrati.

    La Commissione Europea e il governo guidato da Jacinda Ardern hanno siglato un’intesa sull’eliminazione dei dazi sulle rispettive esportazioni industriali e alimentari. Ma è anche la prima a prevedere sanzioni in caso di “violazione sostanziale” dell’Accordo sul clima di Parigi

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    L’Unione Europea cerca di coordinare gli Stati membri per il cambio delle banconote dei profughi in fuga dall’Ucraina

    Bruxelles – Nelle ultime sette settimane, da quando la Russia ha aggredito militarmente l’Ucraina, l’Unione Europea è diventata un luogo di rifugio per oltre quattro milioni di ucraini. Aldilà degli sforzi di solidarietà annunciati e messi in atto dai Ventisette, ci sono molti aspetti problematici che riguardano la vita di tutti i giorni e le necessità pratiche di cittadini di un Paese extra-UE che sono stati accolti in massa e in tempi record alle frontiere dell’Unione (grazie alla prima attivazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea). Uno di questi riguarda le banconote che i rifugiati in arrivo dall’Ucraina hanno in portafoglio e quelle che servono loro per effettuare pagamenti nell’UE.
    Dopo aver risolto la questione degli animali domestici e delle comunicazioni tra profughi e famiglie rimaste in Ucraina (grazie a un accordo storico tra operatori telefonici), gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) ha approvato una raccomandazione sul cambio di banconote di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nell’UE, a sostegno delle persone che – dopo essere fuggite dalla guerra – stanno riscontrando problemi nella conversione di denaro. La raccomandazione invita gli Stati membri a istituire schemi nazionali che permettano la conversione fino a 10 mila grivnie (circa 310 euro) a persona, bambini compresi, per un minimo di tre mesi. La conversione di banconote avverrebbe senza spese e al tasso di cambio ufficiale pubblicato dalla Banca centrale dell’Ucraina.
    Dall’inizio dell’invasione militare russa, la Banca centrale dell’Ucraina ha dovuto sospendere il cambio di banconote di grivnia per proteggere le riserve limitate di valuta estera del Paese, influenzando a sua volta la convertibilità della valuta ucraina negli Stati membri UE: molte banche non sono più state disposte a cambiare la grivnia proprio a causa dei rischi di cambio, rendendo più difficile per i rifugiati convertire il denaro che hanno portato con sé fuggendo dalla guerra. Il primo aprile la Commissione Europea ha presentato una proposta di raccomandazione per promuovere un approccio coordinato per gli schemi nazionali, in modo che gli sfollati dall’Ucraina possano convertire alle stesse condizioni le banconote di grivnia in valuta locale, indipendentemente dallo Stato membro che li ospita (euro, lev bulgaro, corona ceca, corona danese, corona svedese, fiorino ungherese, kuna croata, złoty polacco, leu romeno). In questo modo si stabiliranno condizioni di parità per gli istituti di credito e si potranno prevenire comportamenti speculativi sul mercato.
    L’adozione formale della raccomandazione da parte del Consiglio è prevista per il 19 aprile con procedura scritta. Le raccomandazioni non sono atti giuridicamente vincolanti, ma l’implementazione effettiva e l’istituzione degli schemi devono essere decise dagli Stati membri secondo le proprie legislazioni nazionali.

    I 27 ambasciatori UE hanno approvato la raccomandazione sulla conversione di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nei Paesi membri a condizioni paritarie e senza spese, per prevenire comportamenti speculativi sul mercato